Il Pilot di X-Files - Il commento 25 anni dopo

Il Pilot di X-Files - Il commento 25 anni dopo

Non ho alcun ricordo della prima volta in cui ho visto l’episodio pilota di X-Files. Credo che ormai si sia perso dietro al numero infinito di volte in cui l’ho guardato. Dico spesso che vorrei subire una cancellazione selettiva della memoria per dimenticarmi improvvisamente di questi 25 anni di episodi tv e ripartire a guardare X-Files senza saperne assolutamente nulla.

Ma così non può essere, quindi riguardare il Pilot oggi è un viaggio nella memoria che però ha il merito di farmi apprezzare con occhi nuovi tutto quello che X-Files ha fatto nel suo percorso televisivo.

L’episodio parte semplicemente, senza sigla. I mezzi a disposizione di Chris Carter e della sua troupe sono pochi e semplici. I costumi ci portano immediatamente agli anni ’90: spalline, giacche e maglie due taglie più del dovuto da abbinare a pantaloni larghi e dai colori oggi improponibili.

Una ragazza è stata trovata morta in circostanze misteriose in una foresta dell’Oregon, ma a farla da padrone, è la scena del primo incontro tra Mulder e Scully. Lui è un giovane agente dell’FBI strafottente quasi ai limiti della sopportazione. Sembra saperne sempre una più di tutti gli altri, ma è relegato a lavorare in un ufficio che risiede negli scantinati dell’Hoover Building. Come se non bastasse, i casi su cui indaga sono i rifiuti, gli scarti, dei suoi colleghi che lavorano ai piani superiori: presunti rapimenti alieni, fenomeni paranormali, tutta roba di cui la gente ride e su cui inventa barzellette.
Lei è una scienziata, ancora più giovane, mandata agli X-Files per tenere Mulder sotto controllo. Ed in quanto scienziata, Scully è curiosa. Le indagini di Mulder la affascinano fin da subito. Trovare una spiegazione scientifica e plausibile di ciò che fino a quel momento non è stato spiegato, diventa immediatamente la sua missione. La ragazza ovviamente è morta per qualche ragione. Se è morta per cause naturali è plausibile che l’autopsia non sia stata accurata. Se è stata uccisa, è plausibile che le indagini siano state superficiali.

Scully è il nostro punto di vista. Lo spettatore che segue l’episodio in tv, vive la storia attraverso di lei. Anche noi siamo sempre un passo indietro rispetto a Mulder. Il tempo è costante universale, non può scomparire… ma adesso non ne siamo più così sicuri. Quando Mulder si ferma per disegnare una X sulla strada, sul nostro volto compare la stessa espressione di Scully. E nonostante ci affascini molto l’idea, non riusciamo a credere mai fino in fondo che Billy Miles e i suoi amici siano stati portati via da qualcosa e non da qualcuno. Siamo ancora con Scully quando lei mente a Mulder e rimane sveglia la notte per studiare le radiografie di Ray Soames.

La dinamica tra questi due personaggi è perfetta. Gli equilibri nei loro dialoghi sono dati da un sapiente dosaggio di battute divertenti, spiegazioni dettagliate e scontri verbali più duri. Un uomo e una donna che discutono alla pari, perché se Mulder è sempre un passo avanti a Scully, Scully non si fa mettere i piedi in testa da nessuno. E negli anni ’90, trovare una cosa simile in televisione era impossibile perché, semplicemente, non c’era. Abbiamo dovuto aspettare l’arrivo di Chris Carter per averla.

A fare da contorno ai personaggi principali, ci sono molti elementi che in futuro ritroveremo spesso.
Ci sono il buio e l’oscurità. Una fotografia, perfezionata nel corso delle stagioni da John Bartley, che diverrà un tratto distintivo di X-Files.
Ci sono le foreste e c’è Vancouver (anche se non si vede). Location che impareremo presto a riconoscere, che hanno permesso a Mulder e Scully di viaggiare in tutti gli Stati Uniti – e oltre – per ben cinque stagioni, un film e due stagioni revival.
Ci sono i personaggi senza nome. C’è un Terzo Uomo ed un Uomo che Fuma che vediamo aggirarsi negli uffici federali.
C'è la paranoia tipica degli anni '90 e tutti i dubbi sull’operato delle istituizioni che governano un paese.
Ci sono fenomeni inspiegabili in cui crede quasi solo Mulder.
C’è l’ingenuità di Scully e la sua incrollabile fede nella scienza e nelle istituzioni.
Ci sono David Duchovny e Gillian Anderson, che qui sono davvero due bambini, insieme all'ombra di quello che diventeranno e di ciò che riusciranno a fare per i personaggi chiamati ad interpretare.
C'è la verosimiglianza delle storie. Perché la realtà in cui si trovano Mulder e Scully è, per molti versi, simile alla nostra. Ed è proprio questo che ci terrà incollati allo schermo, perché se certe cose accadono nel loro universo, cosa impedisce che accadano anche nel nostro?

In questo primo episodio della serie, a ben vedere, c’è già tutto X-Files.

E c’è già tutto anche Chris Carter con quella sua caratteristica unica di porre domande e non fornire mai risposte. C’è la sua voglia di credere in qualcosa, ma in qualcosa che non sia campato in aria. Il suo modo nuovo di raccontare le storie rappresenta una sfida continua con il pubblico, abituato, soprattutto allora, ad iniziare un episodio ed arrivare alla fine sapendo cosa fosse accaduto.

Al termine di questo primo episodio non sappiamo cosa sia veramente successo ai ragazzi che si sono diplomati nell’89 a Bellefleur. Sono stati rapiti da una luce, come sostiene Billy Miles? E cosa ci fanno tutti quei dispositivi di localizzazione stipati nei magazzini segreti del Pentagono? Allora è vero che il Governo sa tutto sugli alieni e non dice niente? E la sorella di Mulder è stata davvero rapita dagli alieni? E chi è quell’uomo che si aggira nei corridori dell’FBI e nel Pentagono come se fosse la cosa più naturale di questo mondo?

Quello che sappiamo è però che un solo episodio di questa serie tv non ci è bastato. Vogliamo vedere altre storie così. Vogliamo essere di nuovo catapultati nella realtà di Mulder e Scully per seguirli nelle loro indagini e scoprire cosa accadrà.

 

 



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