Le fanfic di X-Files

Brina sul cuore

Mulder e Scully, la neve ed il dolore per quello che avrebbe potuto essere e che mai (o no) sarà.
Autore: Spooky2
Pubblicata il: 05/10/2009
Tradotta da: Angelita
Rating: NC-17, vietata ai minori di 17 anni
Genere: ANGST, MRS/RSM
Sommario: Mulder e Scully, la neve ed il dolore per quello che avrebbe potuto essere e che mai (o no) sarà.
Note sulla fanfic: Forse questo racconto, quello che si racconta o come si racconta può ferire certe sensibilità. Se è così, vi chiedo scusa in anticipo per questo. Si tratta solo di una libera interpretazione di quello che era potuto accadere o quello che scatenò quel " non smettere mai di credere in un miracolo". Ho avuto molti dubbi con questo racconto e perfino( questo lo sanno bene Saranya ed FBI) sono stata sul punto di non mandarlo. Lasciarlo nella memoria del computer come un tentativo fallito. Ma la costanza di queste due consigliere di lusso mi hanno animato a dargli un titolo( no, non l’aveva, in effetti aveva pensato di mandarlo "senza titolo") ed inviarlo. Qui sta. Ora è cosa vostra giudicarlo, condannarlo a morte o salvarlo.

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- Mulder...

- Vengo.

Mulder riattaccò frettolosamente il telefono con una mano mentre con l’altra prendeva le chiavi della macchina e s’infilava, con più difficoltà che efficienza, la giacca. Trenta secondi più tardi stava scendendo le scale de suo palazzo a tre scalini alla volta: l’ascensore era troppo lento per la sua impazienza. Uscì per strada spinto da Satana in persona, e si ricordò di lui nel dare un’occhiata intorno a sè. "Merda!". La sua macchina, come le altre, era rimasta sepolta sotto un palmo di neve. Quest’immagine, che in qualsiasi altra occasione avrebbe avuto un valore poetico degno di essere immortalato, quella sera si presentava come una funesta premonizione.

Washington si era svegliata sotto uno spesso manto di neve che copriva tutto, tingendo le strade, i palazzi e gli alberi con la sua pura e fredda pigmentazione. Un bianco così brillante che accecava i pochi insensati che osavano mettere piede in strada e vivere per raccontarlo. Questo semplice atto quotidiano si era trasformato, da due giorni, in un’autentica temerarietà. Non era necessario essersi laureati i Fisica per conoscere i pericoli che comporta la neve: con il passare delle ore, la sua struttura soffice cambia fino a trasformarsi nella traditrice superficie scivolosa capace di diventare una trappola mortale sotto piedi fiduciosi.

E con questo paesaggio dantesco s’incontrò Mulder nell'uscire in strada. "Per caso non sai far di meglio, maledetto figlio di puttana?"- gridò con lo sguardo perso nel cielo di un intenso grigio plumbeo. Sarebbe stato necessario più della neve per fermarlo questa notte. Nemmeno gli stessi cavalieri dell’Apocalisse ce l’avrebbero fatta. Non questa notte. Non dopo la telefonata supplicante di Scully. Non dopo QUELLA notte.

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Avvolta nel suo enorme e confortevole accappatoio bianco, Scully passeggiava disorientata per il suo appartamento, come se stesse cercando qualcosa ed avesse dimenticato cosa. Aveva tentato tutto: un bagno, un bicchiere di latte caldo, il suo gelato preferito con una doppia razione di cioccolato, la musica di Leonard Cohen…E niente. Tutto quello che prima riusciva a placare la sua malinconia fino a lasciarla in uno stato di piacevole ibernazione, almeno per alcuni giorni, non aveva funzionato. Tutto o quasi tutto.

"Mulder". Sì, era l’ultimo proiettile in canna. O il primo, in effetti. Ma Scully resisteva. Non voleva chiamarlo. Non era ancora preparata ad ammettere davanti a lui che ne aveva bisogno più di quello che era disposta ad accettare. Già si era dimostrata vulnerabile davanti a Mulder quella notte. Non voleva sembrare recidiva. Ma il dolore era tanto intenso che Scully temeva, da un momento all’altro, che si sarebbe disintegrata in milioni e milioni di molecole fino a sparire.

Da ore le lacrime avevano smesso di solcare le sue guance, forse si erano esaurite. In effetti, non era mai stata propensa a piangere. Il suo dolore era stato esplosivo. Lei non era come Missy. Missy piangeva fino a vuotarsi e dopo, come il sole dopo la tempesta, splendeva con una vitalità ed una fede rigenerate. Dana non piangeva mai, sua madre non lo capiva, non capiva come le sue due figlie potessero essere così radicalmente opposte, la notte ed il giorno le chiamava. Non c’era bisogno di dire chi era chi…

Ancora oggi Dana si rifiutava di piangere. Ed ogni volta che le lacrime, a tradimento, invadevano i suoi occhi, si ricordava di Missy e "del potere riparatore del pianto", come aveva battezzato sua sorella quelle sessioni intime di piagnistei." Missy, mi dispiace cara, ma con me non ha mai funzionato". Dana era sempre stata la più timida e riservata delle due. Perfino per un fatto così naturale come piangere. Ma quella notte Dana Scully aveva pianto. Come da tempo non faceva. Ma il "potere risanatore", non si era presentato. Per questo poco dopo mezzanotte aveva sollevato come un automa la cornetta del telefono e, dopo aver marcato il numero 1 che aveva in memoria, la sua voce fu solo capace di sussurrare una parola: "Mulder…"

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-Avanti, avanti, avanti!- Mulder colpiva senza clemenza il volante della macchina mentre pensava quale potesse essere la strada più breve, e che non fosse chiusa al traffico per la neve, per arrivare a casa di Scully.

Le strade di Washington erano deserte. Non tanto per l’ora tarda ma per le difficoltà che comportava circolare in suddette condizioni. Ma a Mulder questo poco importava. Senza catene, né riscaldamento, la sua macchina più che ruotare per le strade sembrava pattinare su di esse. Qualsiasi persona sana di mente sarebbe rimasta a casa, rispettando i consigli per la viabilità che, da due giorni, le emittenti radiofoniche e la televisione ripetevano incessantemente: "non muoversi se non in caso di estrema necessità"

- E questa che cazzo credete che sia!

Questa tempesta storica li aveva presi di sorpresa. Non solo la città, ma anche loro due. Non avevano parlato di nuovo da quella notte in cui la terra si era aperta sotto i loro piedi. E questa inaspettata tempesta, la peggiore che aveva scosso Washington nell’ultimo secolo secondo come predicava la stampa, li manteneva isolati. Ognuno nella propria casa,con i suoi fantasmi ed elucubrazioni. Ma soli in definitiva. Nessuno dei due osava fare il primo passo. Mulder per vergogna: non voleva spiegarle i motivi della sua fuga. E Scully per orgoglio: non poteva rompersi, ancora una volta, davanti a lui. Ma malgrado tutto, era stata Scully che aveva preso l’iniziativa.

C’era stato bisogno solo di uno squillo di telefono perché Mulder rispondesse all’altro lato della linea. La stava aspettando. In effetti, l’aspettava da tutta una vita.

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Quindici minuti dopo aver lasciato il suo appartamento, Mulder scendeva dalla macchina, che si era trasformata in un autentico frigorifero. Era terrorizzato. In piedi davanti al palazzo della sua compagna, inzuppato fino alle ossa e spaventato come un bambino perduto nel bosco. Dalla sua vulnerabile e piccolissima prospettiva di pedone, Mulder sollevò lo sguardo verso il cielo e lì, in mezzo ad una mole di cemento, vide la luce. Sì, la calda e casalinga luce che usciva dalla finestra dell’appartamento di Scully. In mezzo al buio più assoluto, nel cuore di una delle notti più fredde e rigide dell’ultimo secolo e in mezzo al dolore più emozionalmente fisico che aveva mai sentito da quando aveva memoria, Mulder si sentì un come uno stronzo. Un terrorizzato, miserabile e disprezzabile stronzo. E malgrado questo nauseabondo sentimento che si portava dietro da due giorni, sapeva che non poteva tornare indietro. Non più. Era arrivato fin lì. In effetti, tutte le strade portavano inesorabilmente fino a quel portone. Fino a lei.

Il portone era aperto e l’ascensore l’aspettava nell’ingresso. Perfino il palazzo sembrava allearsi con la sua missione quella notte. Arrivò al pianerottolo di Scully ad una velocità che gli sembrò supersonica e uscì dall’ascensore come se stesse sputando le viscere dal petto. Uno, due, tre…aveva i passi contati fino alla porta della sua compagna. Infatti, se sommava i metri che separavano l’ascensore dall’appartamento di Scully e li moltiplicava per le innumerevoli volte che li aveva percorsi in sette anni il risultato finale si sarebbe avvicinato molto alla distanza che separa Washington dall’Antartico. "Ironia della vita" pensava Mulder mentre in modo automatico tirava fuori dalla tasca le chiavi della sua compagna. Sì, le stesse che Scully gli aveva dato solo per situazioni estreme. Non tentennò nemmeno un secondo ed introdusse la chiave nella serratura.

Fu in quel preciso istante che Mulder si rese conto che stava attraversando qualcosa in più di una porta tangibile.

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Scully stava raggomitolata in un angolo del suo immenso divano, con un accappatoio che copriva ogni centimetro della sua pelle ed il volto nascosto tra le ginocchia quando sentì stridere la chiave nella serratura. "Mulder". Non si era mossa da questa posizione fetale dall’attacco di lucida follia durante il quale aveva deciso di chiamare il suo compagno. E sembrava non essere disposta a farlo nemmeno ora. I muscoli del suo corpo erano più tesi delle corde di un violino e tutti, senza alcuna eccezione, si erano alleati contro di lei. Sono in quella posizione degna di un contorsionista o di un bambino stava comoda. Il minimo tentativo di raddrizzarsi era ricevuto da un crampo acuto che nasceva e moriva nella sua sterile intimità. "Perché? Perché a me?". Si domandava insistentemente tra i singhiozzi mentre afferrava con forza la croce che le pendeva dal collo nudo.

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La sicurezza con cui Mulder spinse la porta di Scully sfumò nello stesso istante in cui la vide rannicchiata nel sofà. Una tenue luce che veniva dalla cucina illuminava il salone in modo evanescente e Scully, coperta dal suo accappatoio bianco, sembrava ancor più uno spettro che la sua incrollabile compagna."Che ci è successo, Scully…" Dopo lo shock iniziale, Mulder s’incamminò verso di lei nel più assoluto silenzio. Temeva che una sola parola sua potesse scatenare una tempesta dalla quale entrambi sarebbero usciti eccessivamente ammaccati. Lui era preparato a leccarsi le ferite, l’aveva già fatto in altre occasioni, ma non poteva permettere che lei facesse lo stesso. "Ha già sofferto troppo…Per colpa mia". E quella notte avrebbero sofferto di più. Molto di più.

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Il suo odore. Questa fu la prima cosa che percepì Scully. Perfino prima che il tepore delle labbra di lui venissero in contatto con le sue. Quel bacio, che in qualsiasi altro momento le sarebbe sembrato un’audacia, l’aveva lasciata indifferente. Le sue labbra avevano perso la capacità di baciare, come la sua pelle di rizzarsi ed il suo ventre di procreare. Sì, finalmente avrebbe fatto onore al nomignolo con cui l’avevano ribattezzata in modo ironicamente premonitorio nell’FBI: la Regina di ghiaccio. Quella notte, Dana Katherine Scully era incapace di assimilare un altro sentimento che non fosse dolore. Tutto, perfino il bacio di Mulder, soprattutto il bacio di Mulder, aveva il sapore del fiele. E malgrado questo, o forse proprio per questo, si afferrò a lui con disperazione.

E in quell’abbraccio Mulder avvertì, ed addirittura sentì, come il suo cuore cadeva in frantumi. Si rompeva in mille pezzi ed questi s’infilavano come schegge nella sua carne tremante, lacerandolo dentro. Voleva solo gridare, gridare fino a rimanere senza voce. E colpirlo. Colpire quel maledetto delinquente che aveva fatto questo a Scully. Colpirlo ancora ed ancora, fino a che le sue nocche non si fossero aperte in carne viva per averle rubato la possibilità di essere madre. E se fosse stato necessario colpirlo fino a che il sangue di lui si confondesse con il suo. In effetti, questo era lo stesso. Nelle sue vene scorreva lo stesso sangue rosso e corrotto: Spender, il Fumatore. "Sono un autentico figlio di puttana". Sì, se l’avesse avuto davanti in quel momento non avrebbe esitato a sbatterlo fino alla morte .

Lui gli aveva rubato tutto quello che Mulder qualche volta aveva amato. Addirittura prima di conoscerlo, Spender gli aveva rubato sua sorella, la felicità di un focolare e l’innocenza. E aveva continuato a rubargli altro ed altro ancora lungo gli anni della sua vita da adulto. Perfino Scully gli aveva strappato cinque anni prima, quando incominciava ad essere per lui qualcosa in più dell’inseparabile compagna di sezione. Ma questo, ciò che era successo 48 ore, prima era stato il più doloroso dei saccheggi a cui Spender li aveva sottomessi. Perché questa cosa non solo colpiva lui, ma soprattutto lei, la sua unica tra cinque miliardi. Scully non sarebbe mai diventata madre. L’ultima possibilità era fallita.

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"Sei un’egoista, Dana. Per caso non soffre tanto quanto te?" ripeteva a sé stessa. Di più, molto di più. Mulder quella notte era abbattuto, avvilito e sull’orlo del suicidio emozionale, perché al sentimento di dolore ed impotenza di Scully si univa il suo ricorrente sentimento di colpa. Si sentiva colpevole per essere venuto meno di nuovo. Se non l’avesse conosciuto, Scully sarebbe stata sicuramente una professionista di successo con un marito devoto e alcuni piccoli Scully con la pelle bianca ed i capelli rossi. Ma l’aveva conosciuto. E l’avevano rapita, e l’avevano sottoposta a continui esami che l’avevano resa sterile oltre che inocularle il cancro. Ed ora, cinque anni più tardi, Mulder sentiva che le era venuto meno di nuovo. Aveva avuto la possibilità di redimersi e, di nuovo, aveva fallito. Il suo sperma non era servito. Non aveva fecondato gli ovuli di Scully. Ancora una volta era venuto meno alla persona più importante della sua vita. E si sentiva incapace di riprendersi da questo fallimento.

Mulder pensava a tutto questo mentre prendeva Scully in braccio e la portava in camera da letto. E, malgrado il pessimo stato spirituale in cui si trovava, sentirla tra le sue braccia aveva un grato potere risanatore per lui.

Scully uscì dalla trance in cui stava immersa solo quando senti le calde mani di Mulder sulla sua spalla e come, con timidezza, il suo compagno le toglieva l’accappatoio, che era diventato una seconda pelle in quelle ultime 48 ore. La giacca del pigiama verde contrastava con il pallore estremo che mostrava quella notte. "Bianco neve su verde speranza. Ironia del destino." pensò Mulder dentro di sé mentre le toglieva i calzini per metterla a letto e coprirla come un bambino indifeso. Forse, nel calore delle lenzuola, il colore sarebbe tornato sulle sue guance, ora tinte di un insano grigio cenere.

- Mulder…

- Riposa. Non andrò da nessuna parte, Scully...- Non questa volta, pensò Mulder. Non ti lascerò sola di nuovo. Supereremo questo tutti e due insieme.

A volte ci sono situazioni nella vita che si ripetono continuamente, in forma ciclica. Mulder era di quelli che credevano che, in questi casi la vita ti dà, eccezionalmente, una seconda opportunità per porre rimedio a qualcosa che nell’occasione precedente non avevi fatto bene. E l’unica via d’uscita da questo ciclo spazio-temporale è emendare la situazione. E Mulder desiderava di essere capace di aggiustare, ora, quello che 48 ore prima nella stessa stanza e con Scully ugualmente tra le sue braccia, aveva fatto male. Avrebbe messo tutto il suo impegno in questo.

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Accoccolata in posizione fetale nel letto, Scully rifiutava di addormentarsi. Faceva incetta delle poche forze che le rimanevano per lottare contro la seduzione di Morfeo che persisteva nel suo impegno di trascinarla nel suo mondo... un mondo, quello dei sogni, che abitualmente si presentava in modo seducente e con un attraente effetto sedativo. Ma ora, diventava ostile, in esso c’era solo una sala di un bianco accecante e nel centro stava lei, stesa su un lettino, nuda e con un grande ago pungente che le perforava il ventre per rubarle la sua essenza, la sua eredità, il suo futuro. No, decisamente Scully non voleva addormentarsi. L’ultima volta che l’aveva fatto si era svegliata atterrita dalle sue stesse grida, coperta da un sudore freddo e senza Mulder. Oltre che perduta e sola, si era sentita abbandonata. Abbandonata dall’unica persona al mondo che poteva, in quei momenti, arginare l’ineluttabile avanzata del nulla nel suo destino. Priva di vita. Vuota. Sterile. Fisicamente ed emotivamente. Così è come si era sentita Scully quella notte ed ora si afferrava al braccio di Mulder come un naufrago ad un battello di salvataggio. Temeva che, se si fosse separata da Mulder ancora una volta, si sarebbe perduta nell’oscurità dell’oceano per non ritrovarsi mai più.

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Nemmeno quella notte, come questa, avevano parlato. Scully era arrivata a casa tardi. Dopo il consulto con il dottor Parenti, aveva fatto grandi giri per ritardare il momento di affrontare Mulder. Sapeva che la stava aspettando. Lui voleva accompagnarla, ma aveva rifiutato. Nel bene o nel male voleva ricevere la notizia da sola. Forse era ancora un altro modo di mettere le cose in chiaro con Mulder, di rinforzare i muri invisibili che da anni si erano impegnati ad erigere tra loro. Sì, lei gli aveva chiesto di essere il padre di suo figlio, ma questo non cambiava niente tra loro. Nel caso che avesse funzionato, il figlio sarebbe stato di Scully, ed il ruolo di Mulder sarebbe stato solo del donatore del materiale genetico necessario per scatenare il miracolo della vita. Niente di più. Questo era il messaggio che Scully aveva voluto trasmettere a Mulder con il suo rifiuto di essere accompagnata allo studio del medico quella sera.

Ma quando aveva attraversato la soglia della sua casa e si era incontrata con lo sguardo supplicante del suo compagno, Scully si era sgretolata. Non c’era stato bisogno di parole, solo con uno sguardo complice e sincero perché Mulder si ricordasse perché era agnostico: i miracoli hanno solo spazio nelle pagine dei libri sacri. Nella vita non esiste la giustizia divina: i cattivi non sono sempre puniti né il buoni vedono realizzate le loro suppliche.

-Non ha funzionato, vero?

-Immagino che ci siano state troppe aspettative… Mulder, era la mia ultima possibilità- disse con la voce rotta dal pianto.

- Non smettere mai di credere in un miracolo.

Sì, di tutte le parole che avrebbe potuto impiegare, Mulder aveva scelto precisamente quella: un vocabolo pieno di un significato morale in cui lui, appunto, non credeva per niente. Invece lei sì.

A questa breve conversazione era seguito il silenzio. Non avevano di nuovo scambiato una parola quella notte, già era stato detto tutto. Mulder aveva accompagnato Scully nella sua camera da letto e le aveva dato la buona notte con un dolce e contenuto bacio sulla fronte. Le aveva portato una bicchiere di latte caldo con il valium perché potesse riposare, le aveva detto di cercare di dormire e che se aveva bisogno lui sarebbe stato sul divano. Le aveva mentito. Quando alle quattro del mattino Scully era stata svegliata dalle proprie grida presa da un attacco di panico ed aveva chiamato Mulder, lui non le era venuto incontro. Né quella notte né il mattino successivo. Mulder si era disinteressato di lei. Forse, per la prima volta da quando si conoscevano, aveva captato il messaggio subito: "Questo non è affare tuo, la tua implicazione nel processo è solo circostanziale" Questa era stata la prima cosa che aveva pensato Scully quando aveva aperto gli occhi e non aveva visto Mulder accanto a lei. Anche se la sua razionalità le ripeteva che lui non era di quelli che si arrendono o abbandonano. E meno che mai lei.

E, ancora un volta, la sua razionalità aveva ragione. Semplicemente, Mulder si era sentito immensamente colpevole per esserle venuto meno di nuovo che aveva dovuto fuggire. Abbandonare l’appartamento di Scully come un maledetto vigliacco perché stare vicino a lei era insopportabile. Sentire i suoi singhiozzi nel sonno gli aveva rotto l’anima in mille pezzi ed un crescente sentimento autodistruttivo lo spingeva a colpire con i pugni qualsiasi superficie abbastanza dura da rompergli le nocche. Così che era andato via. Mancava appena qualche minuto alle quattro del mattino quando la porta dell’appartamento di Scully si era chiusa dietro di lui. Era scappato senza lanciare uno sguardo indietro. Ed aveva continuato a scappare dopo essere uscito dal palazzo della sua compagna. Aveva preso la macchina ed aveva guidato come un automa senza ordine né controllo. Finchè, due ore più tardi, si era trovato per strada senza saper dove e senza benzina. E malgrado tutto, la sua mente continuava a scappare da lei. Lontano, doveva allontanarsi da lei. Per sempre. Chiedere un trasferimento forse era la scelta migliore, anche se avesse implicato abbandonare gli Xfiles. Niente aveva abbastanza valore da mettere in pericolo la vita di Scully come aveva fatto fino ad allora: il suo rapimento, la sua sterilità, il suo cancro, l’omicidio di sua sorella, Emily… "Quale altra disgrazia ti deve accadere perché io sia capace di lasciarti andare?" si rimproverava tra grida tormentate mentre si lasciva cadere in ginocchio sull’argine di quella polverosa strada in mezzo al nulla.

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La prima cosa che Scully sentì quando aprì gli occhi fu il confortante abbraccio di Mulder. Quelle braccia forti che in più di un’occasione le avevano dato riparo fino a liquefarle le viscere ora la sostenevano per evitare che cadesse nel pozzo dell’autocommiserazione. Guardò l’orologio, più per abitudine che per necessità. Era sabato. E anche se fosse stato un giorno lavorativo, nemmeno sarebbe importata l’ora. Skinner aveva loro proibito, definitivamente e sotto minaccia di aprire un procedimento disciplinare, di andare in ufficio fino a quando la città non fosse tornata alla normalità. Non voleva la metà dei suoi agenti ricoverati in ospedale per incidenti stradali dovuti alla neve.

"Le tre". Aveva dormito appena un paio d’ore e continuava a sentirsi stanca, terribilmente stanca. In effetti non dormiva bene da giovedì notte, quando si era svegliata madida di sudore gelido e senza Mulder. Il peso delle ore sveglia le stavano consegnando il conto: le sue estremità le facevano male enormemente, la testa sembrava una pentola a pressione sul punto di esplodere, sentiva le labbra secche e gli occhi, per tanto piangere, le bruciavano come se le sue lacrime avessero distillato sale in quantità industriali. Forse, se si muoveva un poco, il flusso sanguigno sarebbe tornato nelle sue gambe atrofizzate e le avrebbero fatto meno male. Fu allora, in un tentativo di cambio di posizione, quando Scully prese coscienza della situazione: era seminuda nel suo letto con un Mulder che, a giudicare per il timido contatto dei loro corpi divideva con lei la stessa scarsità di vestiti. E, per strano che potesse apparire, a Scully non importò. Non quella notte.

Ma il suo tentativo per cambiare posizione allarmò il suo compagno di letto che, da quando l’aveva abbracciata, si era mosso dal suo lato solo per liberarsi dei pantaloni umidi e delle scarpe bagnate dalla neve della strada.

- Ehi, come stai?- le sussurrò timidamente all’orecchio,

- Be…-ma lei stessa si fermò. No, non stava bene e poco sarebbe servito questa volta nasconderlo- Meglio, un poco meglio, Mulder.

Il silenzio s’installò di nuovo tra loro, rotto qualche secondo più tardi da un timido "grazie" di Mulder.

- Grazie? Perché?

- Per non avermi mentito, questa volta, come fai sempre che mi rispondi "sto bene, Mulder"

- Mulder…

- Che in queste occasioni io non ti dica niente non significa che non mi preoccupi, Scully. Ma, sai? Con il tempo ho imparato a rispettare la tua indipendenza ed i tuoi protocolli emotivi.

- Mulder…

-Shtt, su, riposa. Il tuo corpo ti chiede gridando di dormire.

-E tu?

-Io non me ne vado da nessuna parte, te lo prometto- e suggellò la promessa con un bacio sulla tempia mentre intensificava l’abbraccio.

-Grazie, Mulder.

-Perché?

-Per vegliare il mio sonno.

-Non avrei mai dovuto smettere di farlo, Scully- ed una lacrima traditrice gli solcò la guancia fino a morirgli sulle labbra di zucchero.

Non fu necessario guardarlo in faccia per sapere che stava piangendo. Scully era capace di indovinare le emozioni del suo compagno senza guardarlo in faccia: i suoi muscoli si erano tesi, il suo abbraccio s’era fatto più urgente, la peluria si era rizzata e le aveva immerso il viso nei capelli. Sì, Mulder stava piangendo.

Senza dargli il tempo di nascondere le sue emozioni, Scully si girò per fronteggiarlo. Li separavano pochi centimetri. Malgrado le dimensioni generose del letto, i loro corpi si erano cercati alla cieca inconsciamente fino ad incontrarsi nel centro.

Due anime torturate e solitarie che dividevano il letto nelle prime ore del mattino. Il dolore è un motivo. Non è un buon motivo, ma è un motivo valido come qualsiasi atro. E quella notte il dolore fu il motivo che spinse Scully a consumare lo spazio fisico che la separava da Mulder fino a baciarlo. Non fu un bacio da amici, ma nemmeno di due amanti. Non fu il bacio che aveva immaginato con Mulder: non fu umido e passionale, non fu caldo né sexy. Non vide le stelle e nemmeno sentì farfalle che volteggiavano nello stomaco. Fu semplicemente un bacio. Due labbra che si scontrano. Carne contro carne. Niente di più. Ed anche se in altre circostanze questa apatia emozionale le avrebbe rotto l’anima, in quel momento non la preoccupava minimamente perché tra le atre cose, la sua anima era già a pezzi. L’unica cosa che anelava Scully in quell’ora del mattino era dare al suo corpo una buona dose di endorfine. Era medico e sapeva che ne aveva bisogno come non mai. Una dose d’ormoni per riprendersi un poco dal suo penoso stato emotivo. E gli ormoni maschili più vicini che aveva in quel preciso momento erano quelli di Mulder.

Le sarebbe piaciuto che la loro prima volta fosse stata più meta che fisica. Ma mentre gli toglieva la maglietta, Scully prendeva coscienza che niente sarebbe stato come lei l’aveva previsto. Almeno questa prima volta. Perché questa notte solitaria e piena di tormentati fantasmi del passato, l’unica cosa tangibile, l’unica cosa che sembrava reale erano i loro corpi: quello di lei e quello di lui. E Scully aveva bisogno d’ancorarsi alla vita più di altro al mondo e se questo ancoraggio implicava essere penetrata fino a squarciarsi, così sarebbe stato. Se questa notte l’unico che l’ormeggiava alla maledetta realtà era quella massa di carne eretta, Scully si sarebbe immersa in essa fino a fondersi e rinascere di nuovo tra convulsioni e spasmi violenti. Perché solo quando credi di stare ad un passo dall’estinzione l’istinto di sopravvivenza affiora con tutte le sue forze. "Scopare prima di estinguersi". I nostri antenati primitivi già lo sapevano.

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Aveva sempre pensato che il sesso con Scully sarebbe stato diverso. Non sapeva come sarebbe stato questo "diverso", ma senza ombra di dubbio non come stava facendolo. Se questa notte avesse voluto compagnia, l’ultimo posto in cui Mulder l’avrebbe cercata era nel letto di Scully, dove stava ora precisamente seminudo ed eccitato.

Per Mulder il sesso non era mai stato un problema: o lo praticava o non lo praticava. E ora si era arenato nella seconda fase. Concretamente da cinque anni, con qualche disonorevole eccezione. Da qui, durante questo periodo, aveva appreso ad autosoddisfarsi con una maestria alla quale la maggior parte di incontri sessuali di una notte non si sarebbe mai avvicinata nemmeno lontanamente. E per questo che, tempo addietro, aveva dichiarato senza nessun rossore la Repubblica Indipendente Orgasmica di Mulder: bastava a sé stesso per somministrarsi gli orgasmi settimanali necessari per sopravvivere senza avere l’imperiosa necessità di ammazzare qualcuno come valvola per liberare la tensione. Ma c’erano poche volte in cui il piacere fisico si trasformava in qualcosa di secondario: poteva passare tutta la notte a masturbarsi fino a spellarlo che con ogni eiaculazione si sentiva sempre più frustrato.

Era in queste occasioni quando Mulder pagava per il sesso. Non sapeva niente della ragazza in questione e nemmeno voleva saperlo, forse non la desiderava, non gli importava la sua età, i suoi problemi nè i suoi desideri. E neanche le sue attitudini sessuali, perché in questi incontri fugaci Mulder pagava più per il contatto fisico che per il sesso in sé stesso. Non cercava particolari prestazioni orali da sogno né pinze birmane, ma solo un altro corpo ed un’altra pelle che lo riconciliasse con la natura umana. E questo corpo era sempre, senza alcuna eccezione, quella di una sconosciuta. Fino a questa notte, quando era il corpo di Scully che stava imprigionato sotto il suo peso.

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Dolore. Con la prima spinta di Mulder, Scully sentì un dolore così acuto che, per alcuni secondi, tornò a sentirsi una donna completa: "una cosa simile devono sentire le madri nel partorire", pensò. Nemmeno la sua prima volta era stata così dolorosamente lacerante. Sentiva come il sesso di Mulder si faceva strada nella sua stretta intimità in un modo travolgente trasformando le sue pareti vaginali in una cavità minuscola ed ipersensibile. Dicono i libri di testo che la frontiera tra il dolore ed il piacere è molto sottile. Allora Scully, quella notte, l’aveva attraversata completamente. Mentre sentiva come Mulder s’immergeva sempre di più nel suo essere, con spinte lunghe e profonde che le bruciavano le viscere fino a farle diventare cenere, Scully prendeva le distanze, poco a poco, da tutto. Perfino dall’uomo che, come se in quello ne andava della vita, la penetrava con disperazione fino a spargersi in lei con spasmi violenti.

"Una valanga di vita in un campo sterile". E con questo patetico pensiero Mulder uscì lentamente da lei, più per abitudine che per rispetto verso Scully: cercare di non farle del male ora che l’aveva penetrata con una violenza inusuale in lui sembrava un gesto troppo vile ed ipocrita. Non si dette il tempo nemmeno di riprendere fiato. Abbandonò il letto con la stessa rapidità con cui c’era entrato. Non passò nemmeno per il bagno. Voleva uscire dall’appartamento prima possibile. Come faceva sempre in quelle occasioni. Anche se questa volta era Scully che stava nuda nel letto e non una sconosciuta con un biglietto di 100 dollari sul comodino di un lercio motel che affittava le stanze ad ore. Per caso era stato diverso? Sì, questa volta era venuto senza barriere fisiche, inondandola con la sua essenza fino a traboccare. E risentiva ancora più vile se è possibile per questo.

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Il rumore della porta che si chiudeva tirò fuori Scully dal suo stato ipnotico. Da alcuni minuti era sconnessa dalla realtà. Concretamente da quando aveva sentito lo spesso calore di Mulder che gli bagnava l’anima. Questo era stato molto dopo il primo orgasmo, e poco prima dell’ultimo.

"Puttana". Il peso dell’educazione cattolica tornava a scuotere il suo maltrattato codice morale. Le dottrine del cattolicesimo erano chiare in materia sessuale: il sesso si deve fare solo per scopi riproduttivi ed il piacere era solo un gratificante "effetto secondario". Sempre e quando il tuo partner è un buon amante, chiaro. E senza ombra di dubbio, Mulder lo era. Accidenti, se lo era. Di questo Scully non aveva il minimo dubbio, come neanche dubitava della sua appena acquisita condizione di peccatrice, perché sebbene da questo inaspettato incontro sessuale avrebbero potuto derivare molte cose, la procreazione era l’unica che in anticipo non era contemplata.

Una peccatrice ed una manipolatrice, perché il suo atteggiamento era stato moralmente riprovevole: scappare non era una soluzione. Anche se la fuga implica fare un passo avanti e trascini con questo tutto al tuo passaggio. E scopare con Mulder era una fuga, una fuga verso il nulla. Lo sapeva, come sapeva che un dolore annulla un altro dolore e che un sentimento maggiore eclissa uno minore. Bene allora, Scully quella notte aveva deciso di annullare il dolore per la sua riaffermata sterilità usando Mulder come valvola di sicurezza: solo lui poteva riempire i buchi che la vita aveva lasciato nel suo corpo e nella sua anima durante quegli anni. Di questo, Scully era colpevole. Colpevole di aver messo Mulder ad un incrocio dove non c’era scelta possibile: rifiutarla non era un’opzione. E lui non l’aveva delusa, sotto nessun aspetto.

E mentre pensava a tutto questo, vide, in qualità di spettatrice passiva, come Mulder usciva lentamente dal suo sesso, come senza guardarla usciva dal letto, come senza sollevare lo sguardo da terra raccoglieva i vestiti sparsi per la stanza e si vestiva frettolosamente nel salotto. Aveva tanta fretta che non legò nemmeno i lacci delle scarpe. E dopo questo rituale, andò via. Afferrò con forza il pomo della porta e, e dopo aver aspettato un secondo per riprendere fiato e normalizzare il battito cardiaco, chiuse la porta dietro di sé senza girarsi nemmeno un momento a guardarla.

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Il colpo secco rimbombò in tutto il salotto di Scully, e con esso tornò alla normalità. "Mulder". Sì, ancora una volta l’aveva lasciata sola. Ancora una volta aveva mentito. Si alzò dal letto con difficoltà, e all’inclemente mal di testa si univa ora il dolore derivato dal sesso. Le bruciava. Ed, invece, si sentiva più viva che mai: scopata ed abbandonata. E malgrado tutto, pateticamente viva. Coprì la sua tremante nudità con l’accappatoio, con passi lenti, si diresse alla porta. L’aprì senza dubitare: e lui stava lì. Seduto per terra, con le scarpe in mano e il capo chino.

- Mulder…

Si prese il suo tempo prima di reagire e, dopo alcuni secondi che diventarono eterni e facendo mostra di un’agilità invidiabile per la sua età e per lo sforzo fisico appena realizzato, Mulder si alzò e affrontò lo sguardo cristallino della sua compagna. Per la prima volta quella notte, i suoi cangianti occhi scuri si riflessero nello sguardo oceanico di Scully. E la vide. Dopo due giorni d’incertezze, riconobbe la sua Scully, la forte ed autosufficiente Scully di sempre. Forse, dopo tutto, ne era valsa la pena. E senza dirle una parola e dopo averle scostato una ciocca dal viso, ora bagnato da una timida sudorazione e tinto dalla porpora pigmentazione post orgasmo, accompagnò Scully dentro l’appartamento.

Fu Mulder che chiuse dietro di lui la porta simbolica che, ora prima e in maniera fisica, lui stesso aveva aperto.

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