Le fanfic di X-Files

Neanche la pioggia

Quando ciò in cui crediamo ci abbandona, quale è il posto della fede?
Autore: Irati
Pubblicata il: 23/09/2009
Tradotta da: Angelita
Rating: G, per tutti
Genere: ANGST, MRS/RSM
Sommario: Quando ciò in cui crediamo ci abbandona, quale è il posto della fede?
Note sulla fanfic: "Neanche la pioggia" incominciò come una piccola "Vignetta" che analizzava i sentimenti di Scully nello stesso universo di "Debí" (Avrei dovuto).Però in qualche modo lo shoccante "The red and The Black" mi girava nel cervello ed è uscito questo. Poiché l’episodio è scuro e criptico, anche questo lo è. Qualcuno ricorda come Mulder aveva smesso di credere negli alieni ecc… a partire da Redux e invece, dopo il suo incontro con Cassandra Spender, Scully incomincia a credere che il suo rapimento non fu così umano come aveva creduto? Bene, ho cercato di indagare un poco su quest'inversione di ruoli. Mi sono chiesta perchè Scully incominciava a credere alle "MulderStorie" e perché Mulder si ostinava - come sempre - a credere il contrario. Perché non c'inganniamo, Mulder si afferra ad ogni nuovo credo alla cieca. Scritto principalmente dal punto di vista di Scully (anche se in terza persona).

Archiviazione:
Altre note:
Disclaimer: Gli scritti pubblicati in questo sito sono di esclusiva proprietà degli autori. Beyondthesea.it non è in alcun modo responsabile degli scritti suddetti e dei loro contenuti. Gli autori, pubblicando le loro opere, si assumono ogni responsabilità sulle stesse. Tutto il materiale presente sul sito non può essere riprodotto in mancanza del consenso del proprietario dello stesso. Questo sito non ha fini di lucro. I personaggi presenti nelle storie pubblicate sono di proprietà dei rispettivi autori e dei titolari del copyright.

Mulder: "E se ti dimostrassi che basare la mia fede su cose in cui ho creduto per molto tempo è stato un errore?"
Scully: "E' questo che vuoi veramente?"

The Red and The Black

Ombre danzanti di oscurità notturna e lampi intermittenti di luce scivolano sui suoi forti lineamenti mentre lei guida. Dorme. E nel sonno la sua bellezza risplende fluttuante, incandescente e irraggiungibile.
L'autostrada è una linea interminabile di lunghi fanali e rare macchine che sono lucciole danzanti. Avanzano rapide per la corsia di sorpasso, vite fugaci e sconosciute che passano da lontano.
Un cartellone familiare indica i metri verso un'uscita familiare e un appartamento scuro mentre le luci dell'alba spruzzano d'azzurro grigiastro la cavità stellata della notte.
Al volante, è facile sentire il controllo e lasciarsi cullare dal suo abbraccio confortante. Da tanto che le sfugge il controllo, il suo angelo custode, il suo più fiero alleato, la sua stessa identità che sfugge per le fenditure di non si sa dove. Guida con sicurezza di chi conosce le curve e gli svincoli e con la prudenza di quelli che comprendono che niente si conosce mai abbastanza. E' un'altra cosa che ha appreso. E' una difficile lezione ma tutte le sono. Le più importanti lo sono.
A pochi isolati dell'appartamento una luce rossa la obbliga a fermarsi. Il rumore della benzina e delle candele del motore è la prima cosa che sente ma presto il ruggito delle macchine svanisce per lasciarle sentire il respiro leggero di Mulder. E' impercettibile. Quasi. Lo percorre dentro e lo alimenta e poi esce. Un poco più caldo. Si disfa in milioni di particelle e lei allora le respira. Atomi condivisi ad un semaforo.
La luce verde indica via libera ma lei si afferra all'intimità di una macchina che ruggisce a bassa voce e ad aria condivisa. C'è qualcosa nella notte, nella solitudine immensa delle strade, nella comodità ed elettricità dell'auto che l'assale e le fa un nodo nello stomaco con un colpo allo stesso tempo comodo e teso. Intimo. Tutto tra loro è diventato così intimo in questi ultimi mesi. E giorni, sopratutto negli ultimi giorni.
Frammenti d'interrogatori con i militari le vengono in mente in lampi veloci mentre mette in moto la macchina e gira a destra. Una notte di domande- minacciose, invadenti, false- e un'eternità senza risposte- schive, ingannevoli, sfuggenti-. Cerca di chiarire nella sua testa ordinata quello che è accaduto dalla convenzione di Boston e l'incontro con Cassandra Spender- così familiare , così spaventosamente familiare-. Ricorda una voce, una presenza estranea e riconoscibile dentro di lei, e poi niente, niente fino a svegliarsi in un ospedale, senza la nozione del tempo, confusa e con bruciature di primo grado che non riusciva a spiegare. Tutto confuso, così confuso.
Che è dio mio? Che cosa devo credere?
Ricorda la sensazione di star vivendo uno scherzo del destino, un'inversione di ruoli più tragica che comica.
Incominciavo ad affrontare le mie paure, Mulder, incominciavo ad affrontare quello che mi era accaduto e tu credevi d'avermi contagiato un pericoloso delirio, una fede malata e falsa. Sei cambiato così velocemente nel credere, Mulder, quando non puoi credere veementemente negli alieni, credi con forza nel contrario. Ma mai valuti o dubiti, credi sempre.
I militari li avevano lasciati andar via finalmente alle cinque del mattino. Scully nemmeno si era presa il disturbo di scoprire come. Una stanchezza assordante e voglia di andarsene a casa. Questo era tutto ciò che sentiva e negli occhi di Mulder- occhi in passato danzanti e brillanti di Mulder - aveva visto solo riflessi della sua stessa immensa fatica. Così che erano andati via senza spiegazioni e senza spiegazioni avevano preso una sola macchina e una sola direzione.
Alle sei meno un quarto, l'ombra allungata dell'appartamento di Mulder li salutò. Scully fermò la macchina di fronte e per la mancanza di rumore e movimento, il sonno abbandonò Mulder.

"Siamo arrivati" fu tutto ciò che disse Scully.

Uscirono insieme dalla macchina senza altre parole, con un lieve assenso da parte di Mulder, che lottava ancora con gli ultimi brandelli di un sonno breve e intenso.
Non ci furono altre parole.
Non c'erano mai.

****

Né ci furono domande quando Scully salì ad un appartamento che non era il suo, o quando entrò aprendo con la propria chiave o quando mise la teiera sul fuoco con gesti abituali e facili. Non ci fu meraviglia ma la comprensione incosciente che quello era naturale. Tornare a casa soli non era un'opzione così non passò per le loro coscienze.
Sui fornelli della cucina l'acqua incominciò a riscaldarsi e con un movimento pesante e definitivo Mulder si lasciò cadere sul divano senza disturbarsi nemmeno a togliersi il cappotto.
Le bustine del té stavano quasi dimenticate in uno degli armadi della cucina. Scully li trovò con facilità, sole in un armadio semi vuoto, con solo una scatolette di acciughe, in barattolo di insetticida e due pacchetti di dorito. Come un fantasma imprevisto, un sorriso le scappò dalle labbra e si meravigliò, come sempre, del perfettamente Mulder che poteva essere Mulder a volte. Tante, tante volte.
Té all'arancia, lesse sullo scatolino verde e arancione da cui le sorridevano due bambini dal viso rotondo.

"L'ho comprato da alcuni scouts"

La voce di Mulder, con la sua cadenza lenta e l'eco di un mezzo sorriso, ruppe il silenzio come una folata di velluto. Solo allora Scully si rese conto che erano le prime parole che le diceva da quando era tornato, scortato dai militari, ad una macchina con protezione ufficiale, con lo sguardo perduto e confuso. Le prime parole per lei da quando qualcosa lo aveva immerso di nuovo in una trance quasi ipnotica dalla quale era uscito solo a metà per rispondere con ostilità e poche parole alle domande dell'esercito.
Il fischio acuto dell'acqua che bolliva stridette nella cucina. Scully preparò il té e lo portò a Mulder in una tazza dai colori sgargianti e dai disegni di omini con enormi antenne e occhi sporgenti.
Al porgergli la tazza, le loro dita si sfiorarono lievemente per il tempo di un pensiero, meno, un riconoscimento intimo, fugace. Sono qui, sentimi.
Il primo sorso scese nei loro corpi quasi all'unisono, caldo, dolcemente caldo. E si espanse per il loro petti aumentando la temperatura della stanza e dell'aria tra loro.
E per qualche motivo la dolcezza del liquido provocò in Scully una sensazione terrificante, diafana. Un desiderio nudo che non sentiva ragioni e che le fece tremare le ginocchia.
Più vicino, ho bisogno che stiamo più vicini.

Ho bisogno di pelle, Mulder.
Ho bisogno di respiro, Mulder.
Ne ho bisogno, Mulder.

Fu la voce scura, grave del suo compagno quello che le impedì di scoppiare a piangere, oppressa dalle sue sensazioni e spaventata dallo loro chiarezza.

"Non ricordo quello che ho visto"

All'inizio le costò fatica capire il senso delle parole, da dove venivano, a cosa si riferivano. Ma a poco a poco si ritrovò tra i battiti del suo cuore e il fischio delle orecchie e il calore del té e incominciò a ricomporsi. Non era una cosa abituale che Mulder volesse parlare di se stesso o di ciò che era successo loro, non abbastanza abituale da trascurarlo.
Mulder continuò con il suo mormorio basso, con gli occhi chiusi, semi affondato nel divano di pelle nera.

"Ricordo una luce e questo è tutto"

Sempre una luce, vero Mulder? Un novembre di venticinque anni fa, giorni fa sul ponte, tre anni prima sulla cima di una montagna, sempre abbiamo una luce, Mulder, ma non illumina, ci acceca.
Scully soffiò nella tazza che incominciava a riscaldarle le mani. Continuava a stare in piedi, di fronte al divano, incapace di fare un passo e sedersi. Troppa vicinanza. Troppo poco controllo.

"Che cosa credi che sia accaduto?" domandò guardandolo e ammirando l'armonia dei suoi tratti tra le ombra dell'appartamento. Dimmi cosa credi che sia accaduto, Mulder e forse lo crederò anch'io.

"Non so cosa credere" Non furono le parole, ma la vulnerabilità infantile che emanavano in ogni accento quello che scosse Scully come un brivido.

Dio, Mulder, se non lo sai...dove stiamo andando...vado...ma...
Con rispetto un paio di occhi di gatto timoroso si fecero strada nell'oscurità ora tinta d'azzurro dell'alba e uno sguardo opaco si incontrò con gli occhi supplicanti di Scully.

"Non so in che cosa voglio credere"

Si guardarono senza sapere cosa fare. Come se cinque anni di ricerche e domande, di accordi e disaccordi, avanzamenti e regressi , si fossero dissolti improvvisamente in un momento senza tempo. In un appartamento disordinato, in un'alba incerta. Senza principio, né fine.

Avanziamo in cerchi...un passo avanti...due indietro...

Per qualsiasi essere umano, non so in cosa credere sarebbe stato una frase come un'altra, ma a Dana Scully fecero venire le lacrime agli occhi mentre sosteneva lo sguardo, perché per Mulder erano un'affermazione grandissima. perché dallo stesso giorno in cui lo conobbe una qualità l'aveva distinto dal resto del mondo creando uno spazio di pazzia propria in cui lei era andata scivolando in punta di piedi, perché nel centro stesso della sua identità c'era una luce onesta che accecava tutti gli altri e tingeva di bellezza infantile tutti gli atti di Mulder e perché queste parole significavano un terremoto nel posto dove viveva tutto ciò che era Fox Mulder.
La sua fede.
La sua stessa anima scritta in caratteri di stampa sulla parete del suo ufficio, sfidando il mondo come una dichiarazione di principi: Voglio credere.
E ora?
Scully distolse lo sguardo con asprezza mal dissimulata, per non permettere a Mulder di vedere le lacrime che le facevano un nodo in gola. Non per lei, non per non mostrare debolezza, ma per lui, per non supplicarlo.
Recuperala, Mulder, cercala, Mulder, credi, Mulder. Abbi fede.
L'ironia della situazione le si presentò davanti improvvisamente come un'apparizione . Lei, la scienziata, quella che obbligava sempre Mulder a soppesare, razionalizzare, a valutare e osservare, quella che non smetteva di criticarlo per tuffarsi in un mondo di credenze senza prove, era sul punto di mettersi a piangere perché Mulder aveva deciso di riconoscere la fragilità della sua fede.
Se non fosse stato per il peso che sentiva nell'anima, avrebbe potuto mettersi a ridere e fragorosamente. Invece, si accontentò di trattenere le lacrime con uno sforzo sovrumano.

"Perché non vuoi credere nella mia regressione ipnotica, o nella tua o...?" Il resto della frase le si confuse nella gola. O negli alieni che portarono via tua sorella e sequestrarono me, nelle cospirazioni interstellari, che c'era un alieno in quel camion...in questo Mulder, in tutto quello in cui credevi e ti dava forza. In quello in cui io incominciavo a credere e volevo dividere con te e tu improvvisamente ti rifiuti di credere, in questo, Mulder. La domanda perseverò nella testa di Scully, perché non vuoi credere, Mulder? Ora che incomincio ad accettarlo nella mia razionalità, perché?

La risposta tardò ad arrivare. Dovette passare tra i complessi e le paure di Mulder, scavare tra le deviazioni intricate delle sue colpe e i suoi traumi fino ad arrivare alla sua gola e trovare le parole adeguate. E finalmente, queste trovarono l'uscita e distrussero tutto ciò che rimaneva del controllo che definiva Dana Scully.

"Perché?" mormorò insicuro all'inizio. "Perché avresti potuto essere morta, Scully"

La sua voce roca, chiusa nella gola con una fitta di dolore. A Scully tremarono le ginocchia.

"Perché sono andato in ospedale quella notte, dopo aver parlato con il Fumatore e ti ho vista legata a quelle macchine. E ho dovuto riconoscerlo."

Una lacrima enorme e salata dondolava negli occhi azzurri e perfetti della sua compagna.

"T'inocularono la malattia per colpa mia, per farmi credere in una menzogna. E quanto più credevo, più ti condannavo. E' stata la mia fede quella che è stata sul punto di distruggerti e per questo non voglio credere".

Scully ingoiò aria e saliva con dolore mentre rimaneva in piedi, guardando la calma nelle parole di Mulder, opponendosi al dolore con una facilità acquisita. E non potè nemmeno esprimere orrore davanti a ciò che aveva ascoltato. Mulder che rinunciava alla sua stessa anima per lei.

"E' questo ciò che credi?" disse, incredula, tremante.

"E' quello che mi disse Kritschgau, che le cose nelle quali credevo erano solo una copertura, che sono stato uno strumento come tanti altri e mi dette le prove, Scully. Il chip, lo aveva costruito il governo, il tuo cancro, il tuo rapimento...tutto conduce al governo" Mulder rispondeva con dolore, sì, ma con rassegnazione, quasi, con ostilità e Scully capì che non era nemmeno quello in cui voleva credere, ma che si sentiva obbligato a farlo.

Per lei.
Perché era stata sul punto di morire.
Ma la sua fede...
Volle protestare ma lui la interruppe prima che continuasse.

"Ma quello che è successo in questi giorni, nella base, non sono nemmeno sicuro che indietro ci sia il governo, non so se ha senso e so che non posso avere fiducia in Krycek ma quello che ha detto..." Aveva senso, pensò Scully finendo la frase di lui nella sua mente, con la familiarità di chi ha comunicato più volte senza parole che con esse. Voglio credere, voglio credere ancora.

Mulder fece un mezzo sorriso.

"Non vedi come è divertente? Se credo come prima, nell'esistenza della vita extraterrestre posso star collaborando in una copertura per nascondere cospirazioni del governo e se credo che non esistono codesti extraterrestri posso anche star facendo quello che il sindacato vuole che faccia".

Altre ironie, ne abbiamo molte, eh Mulder? Come non poter rinunciare a ciò che siamo-intuizione/scienza- e aver bisogno disperatamente di ciò che è l'altro. Come impegnarci a dedicare la nostra vita alla ricerca della verità e rifiutare di godere dell'unica che conosciamo: venir insieme a casa, bere un té, essere , esistere.
Mulder terminò con un gesto afflitto."Non so in cosa credere" E questo ti divide in due, capitano, cacciatore di balene bianche, pensò lei.
La luce elettrica dell'alba formò disegni azzurri attraverso le persiane della finestra del salotto bagnando con forme ballerine la figura piccola e ferma di Scully.
Come dirglielo? Come dirgli che rinunciare a voler credere avrebbe finito per ucciderlo come una termite ostinata e silenziosa.Come dirgli che la sua fede non l'aveva distrutta, che, di fatto, era l'unica cosa che l'aveva salvata. Che nella più buia delle sue ore, l'impossibile fede di Mulder le aveva dato la forza che il suo corpo e la sua mente le negavano.
Veramente era possibile che non glielo aveva mai detto? Ricordo le sue parole " ...quando dipendo da lui, dalla sua passione..." ma non l'aveva detto a lui, ma ad una assistente sociale e a se stessa. Forse era arrivata l'ora.
In pochi passi, Scully era seduta di fronte al tavolo del salotto, di fronte alla figura allungata del suo compagno. Mulder aveva lo sguardo abbassato, come se aspettasse un castigo per aver messo le mani nel vaso dei biscotti. Un'andata d'amore nudo inondò Scully davanti a questa visione di un bambino di dodici anni fuso in qualche modo con la stanchezza di milioni di anni in un'anima adulta.
Mulder...
Parole non dette per cinque anni, sono troppe parole. Dana Scully lo capì finalmente. Allungò la mano per afferrare i palmi e le lunghe dita di Mulder e cercò di trovare il modo di dire... che cosa?

"Ho bisogno che tu creda, Mulder"

La verità.
Le parole colsero di sorpresa Mulder e un milione di domande corsero per un momento sulle sue labbra senza arrivare a pronunciarle. E si meravigliò per la milionesima volta di quanto fosse straordinaria quella piccola spia che il destino gli aveva mandato solo Dio sa per quale motivo. perché di tutte le parole possibili, la più lontana, la più dura, la più terribile nel vocabolario di Dana Scully era ho bisogno. Ma stava lì "ho bisogno che tu creda".
Perché? In che?
Mulder si afferrò con più forza alla morbida mano di Scully, aggrappandosi alla sua vita, sentendola. Il suo tocco era una preghiera, dimmelo, perdonami, liberami.

"E' stata la tua fede quella che ha dato impulso agli XFiles, Mulder. Quello che ci ha portato fin qui..."

Un soffio di colpevolezza si rigirò nello sguardo di Mulder al pensare a tutto quello che aveva dovuto succedere per arrivare fin lì. Scully lo vide e senti tanto desiderio di cancellarlo che tremò per lo sforzo.

"Siamo qui, vivi" Insieme, pensò, ma non lo disse. "E abbiamo gli XFiles. So che hai fede in questo, so che credi che la verità sta là fuori e so che vuoi credere che devi cercarla"

Un solo pensiero invase Mulder: Grazie,per perdonarmi, anche se credo che non c'è niente da perdonare. Grazie per aver bisogno di me, mia scienza luminosa e liberatrice.

"La scienza illumina il cammino, Mulder ma camminare è sempre un atto di fede"

E sorrise quando lo disse, un sorriso con echi di ghiaccio e Alaska, un sorriso che sciolse tutte le barriere di Mulder in una scintilla liquida , un sorriso che illuminò i resti delle ombre della notte e abbracciò Mulder come una carezza redentrice, un graal da adorare.
E contagiato dalla sua luce anche Mulder sorrise, sentendo solo con le sue parole quel calore, quella energia prima inesauribile che veniva da quel punto dentro di lui contro cui aveva lottato tutti quei giorni, la sua fede. E si rese conto che non l'aveva mai perduta per quanto lottasse per tacitarla, convito della sua falsità, per quanto si ribellasse, lui era fede ed intuizione. Il metodo e le prove erano per il suo angelo custode.
Con un gesto fermo e caldo attrasse Scully verso di lui e in qualche modo lei s'incastrò insieme a lui, nelle cavità di pelle del divano, aggrappata alla sua mano e appoggiata al suo petto.
I primi raggi di luce sospirarono contro le persiane mentre la luna enorme e biancastra cominciava ad essere ingoiata dai raggi del sole.
Può darsi che non sappiamo che sia la verità, Mulder. Ma continuiamo ad avere fede.
L'uno sull'altro, rimasero in silenzio per il resto dell'alba, fino alle prime ore del mattino, lasciandosi esistere nella presenza dell'altro, completamente contenti della consapevolezza liberatrice che loro due erano importanti nella loro individualità ma che insieme erano più che la somma di due, erano una realtà diversa e nuova, un miscuglio di scienza e fede, devozione ed impegno che sembrava trascendere le loro rispettive solitudini e le loro paure.
Insieme, erano il destino.
Questa era la loro verità.
E questa era la loro fede.
Torna all'inizio Sfoglia l'archivio