Le fanfic di X-Files

Bolla

Prime volte
Autore: Rain
Pubblicata il: 25/09/2009
Tradotta da: Angelita
Rating: NC-17, vietata ai minori di 17 anni
Genere: MRS/RSM
Sommario: Prime volte
Note sulla fanfic: la ff è fatta di POV -Scully e POV- Mulder e flasback. I pensieri dei due personaggi sono in corsivo. I Flashback sono preceduti da **** e sono in corsivo.

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Altre note:
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quién teme... quién teme di...

si yo me pierdo

"Como un lobo" Miguel Bosé.

Dana Scully non si era mai appassionata alle "prime volte", addirittura le provocava un certo rifiuto quest’idea generalizzata che la prima volta che si vedeva il mare, che si baciava qualcuno, che si otteneva un lavoro, che si vedeva la persona di cui si finiva per innamorarsi, si faceva un viaggio da soli, si faceva l’amore, ecc…ecc…, costituisse un momento grandioso ed indimenticabile e che quello stesso fatto non si sarebbe ripetuto mai più con la stessa intensità. Pensava che il tocco di " è la prima volta" apportava solo un nervosismo esasperante. A volte pensava con fastidio che questo rifiuto si sosteneva su un’invidia mascherata da cinismo, che in realtà lei aveva avuto sfortuna in molti di questi momenti "segna-vita" e che il resto dei mortali adoravano quest’idea che "Non c’era niente come la prima volta" perché realmente l’avevano goduta con una passione, un’innocenza, un’ansia di scoprire irraggiungibili per lei.

Non ricordava la prima volta che aveva visto il mare, era troppo piccola. Il suo primo bacio, il primo che le avevano dato, lo ricordava, ma aveva passato il tempo a cercare di dimenticarlo, poiché non aveva sentito niente e questa cosa l’aveva condizionata sommamente durante i mesi successivi, facendole dubitare di troppe cose, finché tornò a baciare( questa volta era lei che aveva baciato) e decise che la sua seconda volta era, come minimo, degna di essere ricordata. Le prime vacanze senza i suoi genitori, in un campeggio estivo, erano finite in un ospedale: gastroenterite.

Il suo primo lavoro era stato una schifezza, il ricordo più nitido che ne aveva era del grasso sulle mani che non riusciva mai a pulire completamente finché non arrivavano i suoi cinque minuti di riposo ed andava in bagno a lavarsi con quel sapone che odorava di mela. Il primo lavoro le ricordava un’altra cosa: la seconda volta che aveva fatto l’amore. La prima volta era passata alla storia come una specie di tornado confuso in cui volteggiavano vari " mi dispiace" "mi fa male" " non hai sentito?" "aspetta" " non posso"…Non è che era stata traumatica, ma senz’altro nemmeno degna di essere ricordata.

In quel fast food lavorava un altro ragazzo di due anni più grande di lei che aveva finito il suo penultimo anno di università ed aveva una borsa di studio per fare l’ultimo all’estero. Dublino. "Dublino". "Andrò via a settembre" ed un sorriso. "Josh" una stretta di mano sicura e quel sorriso. Ancora non poteva evitare di sorridere quando pensava a quel ragazzo. Era timido ma sicuro, leggeva in maniera compulsiva Truman Capote." E’ solo una fase, mi successe la stessa cosa con Hemingway" e la faceva stare bene. Semplicemente. Per mesi negò a se stessa, con una forza soprannaturale, fino a che punto lo desiderasse. A volte rimaneva ipnotizzata a guardarlo, come se ogni piccolo movimento che lui faceva nascondesse un significato profondo che lei doveva decifrare.

Ma non lo attribuiva mai ad un sentimento sessuale ma…ad un’altra cosa, ora non ricordava più a quale o quali. Fino ad una notte alla fine d’agosto in cui dovettero rimanere a riordinare il magazzino dopo la chiusura. Faceva caldo, un caldo insopportabile, desiderava finire quanto prima possibile per poter tornare a casa, fare una doccia e coricarsi in un letto davanti alla finestra aperta. Si appoggiò contro il muro, esausta, tra una cassa di ketchup ed uno scaffale pieno di barattoli, e chiuse gli occhi.

Quando li aprì di nuovo Josh stava mettendo delle bottiglie sullo scaffale superiore in modo da tagliarle la strada. La guardò e sorrise spensieratamente " Aspetta che finisco e ti lascio passare, va bene?" Ma Dana non voleva che finisse perché dubitava di potersi muovere. Le bruciava la testa, le bruciava lo stomaco. Sentiva che la stanza girava ed una meravigliosa forza centrifuga la schiacciava contro il muro mentre una opposta la trascinava verso Josh e sembrava che le sue mani, avevano deciso di dar retta alla seconda perché già le aveva quasi tese verso di lui in una posizione abbastanza innaturale che lui interpretò come" ha le vertigini e vuole aggrapparsi a qualcosa" così cercò do prendergliele ma lei le nascose dietro la schiena imbarazzata per quella che era stata un’evidente mancanza di controllo.

Al vedere la situazione, ancora più ridicola, che aveva provocato, Dana riprese parte del controllo sui suoi muscoli, abbastanza per prendere la mano di Josh e in tono amichevole pronunciare un" è stato un piccolo capogiro", per togliere importanza all’accaduto, ma proprio in quel momento uno dei barattoli scivolò dallo scaffale e Josh per riflesso, lo acchiappò sollevando il braccio e girandosi in modo che quello con cui si scontrò la mano di Dana fu il suo ventre e non poté muoverla di lì, non finché Josh non sistemò il barattolo assicurandosi che non sarebbe caduto di nuovo, guardò gravemente la mano che impregnava di un calore insopportabile una zona molto più ampia di quella che copriva, l’accarezzò con la sua e la trascinò lentamente fino al suo petto mentre diceva " Andrò via a settembre", " Ma stiamo ad agosto" disse lei.

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A Fox Mulder piaceva ripetere la frase" Non potrò sopportarlo" . Non è che la dicesse molto spesso, la diceva a sé stesso spesso. Lo tranquillizzava perché lo divertiva come suonava ridicola. Considerava un fatto indiscutibile che quella frase, che in qualsiasi momento preso a caso poteva attraversare la mente di milioni di persone in tutto il mondo, molte poche volte era indovinata. In realtà, la capacità degli esseri umani di sopportare quasi tutto, era qualcosa che lo meravigliava ed era superato solo per un punto dalla capacità di pensare costantemente che qualsiasi piccola svolta avesse la vita sarebbe risultata insuperabile. Così che quando affrontava qualcosa che lo spaventava, gli bastava dire che non l’avrebbe sopportato per sapere che avrebbe potuto, come era successo tante volte nella sua vita.

Aprì gli occhi e guardò il telefono sul tavolo. Aveva suonato cinque minuti prima con lo squillo della sveglia. Avrebbe dovuto alzarsi ed andare a lavorare. E disse a se stesso che non l’avrebbe sopportato per farsi coraggio. La frase aveva un neo, una piccola macchia d’inchiostro che faceva si che non la si potesse leggere se non con una certa difficoltà, senza un piccolo dubbio. E se esisteva qualcosa che veramente non poteva sopportare? Mentre pensava come era assurdo a questo punto, con la vita che aveva vissuto, con tutto quello che era accaduto, che precisamente "questo" potesse considerarsi insopportabile, ancora più assurdo, che lui, l’esperto nel risolvere casi impossibili, non trovasse una soluzione, un ricordo gli tornò in mente.

Per un certo tempo, Samantha e lui avevano avuto uno strano gioco privato che consisteva nel mettere un nome proprio a tutti gli oggetti che esistevano in casa. Sua madre era solita rimproverarli, un poco preoccupata, pensando che questi John, Sylvia, Tess, Walter , ecc…di cui parlavano fossero amici immaginari. Ma questo li divertiva ancora di più.

Con lo sguardo fisso sul telefono pensò che Scully avrebbe dovuto chiamarlo. Nelle ultime settimane non passavano più di cinque minuti senza verificare, malgrado sapesse perfettamente che il volume era abbastanza alto per sentirlo, se avesse suonato, se lei l’avesse chiamato, era triste, patetico, ridicolo, pensò, ma mentre lo pensava, pur sapendo che l’avrebbe vista di lì a qualche ora in ufficio, desiderò che quel maledetto telefono suonasse e fosse lei. Non per dirle che aveva un extraterrestre chiuso in frigorifero disposto a rilasciare una dichiarazione sulla cospirazione del governo e a rispondere a tutte le domande che lui volesse fargli ma per dirgli di andare a casa sua e che era disposta a spiegargli tutto, a rispondere a tutte le domande. Si sentì colpevole al pensiero: Scully non aveva nessun motivo d’avere la risposta, andiamo, non aveva motivo per sentirsi in colpa. Lo sapeva, lo sapeva perfettamente, era scritto a lettere maiuscole nei suoi occhi sempre più sfuggenti, che anche lei era perduta e che non trovava una spiegazione, ancor meno scientifica, a quello che stava succedendo.

"La cosa brutta non è essersi persi" pensò " la cosa brutta e non sapere dove sta il Nord. Stiamo girando intorno al niente, morendo per uscirne fuori, ma senza sapere in che direzione dobbiamo camminare. Se lo sapessimo, non importerebbe lo sforzo, non importerebbe la distanza, ci riusciremmo insieme. La cosa peggiore è che incominciamo a stancarci di questa situazione e ormai stiamo cercando separatamente."

Questo piccolo dettaglio, era precisamente quello che dubitava di poter sopportare.

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La prima volta che aveva fatto l’amore con Mulder non era stata meravigliosa almeno dal punto di vista esclusivamente sessuale. Chiaro che il punto di vista che Scully aveva al rispetto era tutto altro che esclusivamente sessuale. In effetti aveva cento punti di vista, qualcosa come uno per minuto o uno per secondo perfino per quelle ore che aveva diviso con Mulder nel suo letto e dintorni. Odiava ricordare il giorno esatto. Odiava ricordare d’aver lavato le lenzuola ma non le federe dei cuscini. Odiava aver lasciato sul comodino su cui lui l’aveva messo, il libro che aveva tolto dallo scaffale. Odiava ricordare perfettamente, poter quasi sentire, la tensione nella voce di lui ogni volta che si sedeva sul divano. Perché era stato molto nervoso e molto eccitato " finchè era passato ad essere solo una delle due cose" pensò Scully mentre guidava, con più lentezza del solito, verso il lavoro. Cercò di dare un tono burlone alla frase nella sua mente, ma non potè.

Il libro era, stranamente, "Un albero di notte" di Truman Capote. Quel mattino, come tutti da allora, l’aveva visto sul comodino, e aveva pensato di rimetterlo a posto, e non l’aveva fatto. Ed aveva ricordato Josh e aveva riflettuto ancora una volta sulla sua opinione sulle prime volte ma sapeva che ogni volta avrebbe finito per pensare ad una sola. Una prima volta che credeva di dover già accettare come "unica volta".

Il semaforo rosso tardava a cambiare e c’era un parcheggio libero lì vicino, cosa così incredibile che sembrava un segno. Allora vide il negozio ed entrò. Sapeva che doveva lasciar perdere, doveva lasciar perdere, non poteva cascarci e prenderla come un’abitudine, era così…stupidamente tipico.

Anche lei era stata nervosa ed eccitata. Così nervosa, che la prima volta che aveva sentito la sua mano sfiorarle la pelle, seguendo la curva delle costole, aveva avuto un brivido così forte che non aveva potuto evitare di allontanarsi. Così eccitata che era stata sul punto di avere un orgasmo con il solo sfiorare della gamba di lui tra le sue. " Non puoi pensare a queste cose mentre cammini, Dana" Settimane dopo continuava a sorprendersi di come qualsiasi immagine legata a quella notte poteva trasformare le sue ginocchia in gelatina, il ventre in uno scontro di nubi tempestose cariche di elettricità ed il viso in un falò.

Non era stato perfetto, nemmeno lontanamente, non lo sarebbe stato neanche eliminando il dettaglio di una defaillance iniziale: troppi nervi, troppa attenzione, troppa stanchezza…era stato solamente prezioso, bello, infinitamente…reale, suo, vicino, caldo, pieno di significato.

Ricordava il suo sguardo sfuggente ed un inizio di scuse. L’aveva baciato prima che potesse dire qualcosa e l’aveva guardato intensamente." Che non ti passi per la mente di preoccuparti di un simile sciocchezza!" Suonava a minaccia ed era una minaccia. Così che lui le aveva dato ascolto, e l’aveva abbracciata. E poi l’aveva toccata, un poco veloce in verità, ma bene per tutto il resto, d’accordo, molto bene. D’accordo, così bene da farle perdere il controllo sui suoi movimenti, e poi avevano ricominciato. E si erano addormentati e lei si era svegliata sentendo i baci sulle costole, un leggero morso sul fianco, ed aveva allungato le mani e aveva esplorato il corpo di lui, il suo corpo…il suo corpo ovunque, il suo corpo intorno, sopra, sotto, dentro. Il suo corpo, uno strumento che aveva voluto suonare alla perfezione perché lui ne ascoltasse la musica, l’aveva affascinata il modo in cui si lasciava andare, guardandola negli occhi, allungando le dita, le accarezzava le labbra, molto dolcemente, ad un certo punto aveva pensato che era la prima volta che lo vedeva in pace, troppa responsabilità. La sua pelle era stata solo un mezzo per parlargli, per farlo star bene, per fargli dimenticare, e ricordare, per dirgli, per dargli tutto, ogni leggero bacio, ogni profondo graffio, erano stati messaggi scritti nel linguaggio "sesso".

Quello che risultava più bruciante, come un coltello incandescente che si piantava nello stomaco, era l’assoluta…sicurezza con cui era successo, come se non ci fosse bisogno di decidere, come se fosse successo cento altre volte, come se fosse solo un ballo e bastasse lasciarsi portare dalla musica. La cosa che bruciava di più era che quelle stesse due persone che avevano fatto l’amore senza smettere di guardarsi negli occhi nemmeno per un istante da tre maledette settimane si stavano allontanando lentamente, senza essere capaci di comunicare ed evitando di guardarsi.

Scully colpì il bancone dei cioccolatini in uno scatto di rabbia ed impotenza. La commessa la guardò.

- Mi dispiace è che…non avete la mia marca- Mentì.

-Qual è? Tra tante è facile non vederne una- Rispose con la maggior amabilità possibile ed un tocco di compassione- " Avrà le regole" pensò.

"Sicuramente crede che io abbia le regole" pensò Scully.

- Non si preoccupi, non fa niente- disse tentando di sorridere.

La commessa sistemava uno strano walkie-talkies a forma di alieno accanto a loro. Scully sorrise senza sapere bene che cosa trovava di divertente in quella situazione.

- E’ il tuo primo lavoro? -domandò improvvisamente.

- Perché lo chiede- rispose la ragazza con una certa apprensione.

-Semplice curiosità- sorrise Scully.

- Il secondo- rispose la ragazza dandole il resto- Non è una meraviglia ma molto meglio di quello di prima. Ma è qualcosa di temporaneo.

Scully la guardava soprappensiero, in un certo modo pensava che chiunque, compresa questa ragazza che aveva davanti, sarebbe stato capace di capire che cavolo succedeva tra lei e Mulder da quella prima, ultima, unica o qualsiasi cosa fosse, volta.

- La vita dovrebbe andare meglio, vero?

La ragazza la guardò con una certa preoccupazione. Quella donna a cui non avrebbe dato più di 30 anni sembrava più vecchia mentre pronunciava quest’ultima frase.

- Bene- rispose stringendosi nelle spalle- almeno tentare.

- Già- rispose Scully ormai di spalle.

#######

"La cosa inesorabile sono le immagini" pensò Mulder cercando di tornare a respirare normalmente dopo

" Scully si alza a prendere l’acqua, si ferma al centro della stanza, torna indietro con grandi falcate ( Dio è bellissima) mi bacia come se dovesse finire il mondo e cammina scuotendo la testa verso la porta" che ha appena attraversato la sua mente. Le immagini ti assalgono in qualsiasi momento, in qualsiasi posto, come una di quelle piogge d’estate istantanee che ti lasciano inzuppato minuti dopo sotto il cielo azzurro, domandandoti cosa diavolo è successo. Ma la verità era che l’immagine gli aveva portato il bacio, troppo chiaro, troppo fisico, troppo tattile e, prima di tutto, carico di sapore. Odiava l’idea che poteva arrivare a dimenticare quel sapore. E lo faceva impazzire il fatto che quel sapore gli sembrasse il più bello del mondo. Capiva l’odore, era logico, era normale, era nello stile di Scully, qualcosa con una spiegazione scientifica. L’odore ha chiare funzioni: sessuali, di riconoscimento…Era normale che l’odore di Scully lo facesse sentire a casa, questo accadeva da anni, erano anni che, a volte, non poteva evitare di voler immergere il naso nei suoi capelli, nel suo collo, nel suo petto, ed inspirare come se quella donna fosse una mascherina d’ossigeno in un mondo senz’aria. Ma il sapore della sua saliva era un’altra storia, una storia su cui avrebbe potuto scrivere una tesi tanto che ci aveva pensato. Era come quelle immagini, lo assaliva, un bacio, il sapore, l’umidità, beveva.

Cercò di concentrarsi. Pensò che qualcuno poteva entrare in ufficio. E che lui non avrebbe potuto alzarsi. Quel maledetto faceva sempre lo stupido.

- In un altro momento quando ho bisogno di te, maledetto. Vediamo se stiamo attenti. Letto uguale su, ufficio uguale giù.

Non poteva crederci che gli fosse accaduto e, allo stesso tempo, gli sembrava normale, per vari motivi :

Il primo si basava sulla legge di Murphy e consisteva nel fatto che se muori dalla voglia di fare l’amore con una persona e la desideri tanto che arrivi perfino a preoccuparti d’entrare a fare parte di quella ristretta schiera di casi reali di combustione umana spontanea e sei così eccitato che preghi gli dei a cui non credi che ti permettano di resistere perché davanti ai fatti è necessaria una fede cieca per credere che resisterai, la cosa normale è che tutto vada male.

Il secondo si basa sulla Legge di azione e reazione di Newton: una forza ti spinge ad accarezzare il corpo di una persona fino a farle ballare i denti, a morderla, graffiarla, stringere i fianchi fino a conoscere ogni cavità delle sue ossa, penetrarla fino a sentirti così parte di lei che tutte le storie sulla trasmigrazione delle anime sembrano barzellette. Un’altra forza di uguale intensità ti spinge ad accarezzarla come se fosse l’essere più fragile del mondo, a baciarla con tanta attenzione che la sfiori appena e che possa sentire solo la carezza del tuo alito avvolgendola tra le braccia e cullarla e proteggerla e dirle che mai più le accadrà qualcosa di brutto mentre le sistemi le ciocche dei capelli e senti che sei nudo solo per darle più calore e guardi quegli occhi bellissimi in attesa di una richiesta, un lamento, un sorriso che attraversi il suo sguardo per farti sentire che realmente ti accetta accanto a lei. Ebbene, come è logico, lo scontro di entrambe le forze di pari intensità provocherà l’immobilità assoluta dell’oggetto.

Il terzo si basava su quella che potrebbe essere chiamata la Legge di Mulder secondo la quale quando Scully emette il più lieve lamento che può essere considerato di dolore, il mondo intero cade giù…e a dire il mondo intero ci riferiamo a tutto, tutto, tutto.

"Maledizione" "Per fortuna che mi ha dato una seconda opportunità, va bene, varie" " Peccato che siano state le ultime" "Maledizione"

In quell’istante Scully entrò nell’ufficio, con il capo chino, le spalle abbassate ed un aspetto generale di chi veniva a fare i lavori forzati nel peggior carcere del mondo.

Si avvicinò piano alla scrivania e lasciò cadere la borsa sulla sedia come se non potesse sopportarne il peso ancora un istante.

- Ciao, Mulder.

-Ciao, Scully, come stai?

" Magnificamente, non si vede? Raggiante davanti all’idea di trascorrere la giornata con un uomo che prima era capace di accarezzarmi con una sola parola e che da quando ha osato farlo con due mani utilizza frasi che sempre più sembrano prese da un manuale veloce di conversazione"

Si girò verso l’attaccapanni togliendosi la giacca. Sentiva che improvvisamente faceva un caldo insopportabile.

- Bene, e tu?

- Bene.

Si lasciò cadere sulla sedia allo stesso modo della borsa e, infatti, ci cadde su infilandosi la chiusura nella schiena.

Sospirò lentamente e fece uno sforzo per guardare Mulder, che l’osservava tra divertito e preoccupato e… quasi speranzoso. Tuttavia non potè evitare di distogliere lo sguardo quando si incrociò con il suo.

- Qualcosa di nuovo?

- No.

Il tono era quello di sempre, sottile, dolce, quasi diligente, il colmo dell’amabilità, un monumento alla neutralità. Mulder non lo ricordava ma avrebbe messo la mano sul fuoco che dopo la prima settimana che avevano lavorato insieme si trattavano già con meno distanza, con meno distacco, con più …complicità. Ma, malgrado che il tono, le parole, la mancanza di conversazione seguivano il modello" sempre più distanti vediamo fin dove possiamo arrivare"degli ultimi tempi, quest’atteggiamento trascurato di Scully era qualcosa di nuovo, vicino, almeno diverso, almeno una possibilità. Tentò la sorte.

- Hai dormito male?-bene, forse non era una gran frase…-sembri stanca- " Sicuramente per lei sarà un insulto. Forse è’ meglio che stia zitto."

- No. E sì- tornò a sospirare- Sono stanca.

Si sentiva in parte colpevole per averlo detto, come se fosse un ricatto psicologico, ma era vero era stanca, tanto da non poter sopportare la borsa, la giacca, il calore, il compagno-amico-persona più importante della mia vita-quasi-amante che l’osservava solo quando non guardava l’altro lato del tavolo a chilometri di distanza.

Si alzò e andò verso la lavagna di sughero dei ritagli di giornali, lentamente, come se stesse attraversando il deserto. Mulder fece uno sforzo per togliere dalla sua mente l’immagine che gli ricordava. Lei cominciò a guardare tra i ritagli, come se cercasse qualcosa, forse una risposta, in quell’ufficio si erano trovate risposte a domande impossibili.

- Che ne pensi se vado via per qualche giorno?- disse improvvisamente, senza un motivo, solo perché i suoi occhi si erano fermati su una mappa dello stato di Washington, le era sempre parsa una bella zona ed, inoltre stava all’altra parte del paese. Quest’ultimo dettaglio aveva un’immensa importanza, anche se non capiva esattamente perché.

Mulder sentì come se la pressione dell’aria fosse aumentata di un paio di atmosfere.

- Certo, se credi che ti farà bene…-rispose come un automa.

E’ tutto finito, pensò, tutto, non era una questione di come sarebbero state le cose…è che le cose non sarebbero state più. Lei cercava un’uscita da quell’assurdo labirinto, sola. Il suo Nord-Ovest.

" Ti farà bene" attraversò Scully come un proiettile. "Veramente erano arrivati alla frase " se credi che ti farà bene"? Che cavolo era quello il libro decimonono?" Si girò di scatto e lo guardò fissamente ma lui guardava verso la porta, con uno sguardo perduto. E nella mente di Scully si disegnarono, letteralmente le vide, le parole" Non gli importa di perderti" E forse fu precisamente questa visualizzazione quello che rese palese la loro assoluta mancanza di significato. Si avvicinò alla sedia, come trascinata da una forza inarrestabile che incominciava a sorgere da qualche parte intorno ai suoi polmoni, si sedette e si mise di fronte a lui, nel suo campo visivo guardandolo negli occhi.

- Che cazzo sta succedendo, Mulder?

Dopo aver pronunciato il suo nome si rese conto che lui aveva gli occhi pieni di lacrime. Poteva essere un’irritazione, raffreddore, pensò, ma non ci credette del tutto.

- Scully- rispose lui con un sorriso troppo aperto per essere triste e troppo stanco per essere allegro- hai detto cazzo?

Li aveva appena salvati e lo sapeva. Non c’era più problema perché ora c’era una domanda. E aveva bisogno della battuta, tutti e due ne avevano bisogno.

Scully sentì di doverlo prendere a schiaffi, ma lo pensò solamente, non l’avvertì veramente, si rese conto solo che si designava sul suo viso un sorriso che faceva coppia con quello di lui.

Il telefono suonò. Mulder strinse i denti e lo guardò con odio. Scully inarcò le sopracciglia e fece la faccia di" Normale, era scritto"

Tornarono a guardarsi con ciò che nessuno dei due avrebbe riconosciuto in quel momento come desiderio, anticipazione, brama.

- Rispondi, dunque…-disse lei con un accenno d’ironia.

Mulder lo puntò con l’indice.

- Ti ho sentito- prese il telefono- Mulder.

La guardò mentre parlava, era incapace di concentrarsi, afferrò solamente l’idea di base. "Skinner-ufficio-andare" Adorava quella donna, la adorava. Ancora non sapeva come sarebbero state le cose, ma ora era sicuro che sarebbe state. Tardò a rendersi conto che Skinner aveva riattaccato.

-Skinner, ufficio, andare.

Scully ripeté il suo solito gesto. Si alzarono. Lui la raggiunse e le mise la mano sulla schiena, come aveva fatto migliaia di volte, ma non negli ultimi giorni, mentre le apriva la porta.

- So quando la palla sta nella mia zona- sussurrò quasi con solennità.

La colonna vertebrale di Scully bruciava sotto la pelle. Mentre saliva in ascensore, nel silenzio meno scomodo degli ultimi tempi, pensò che forse la vita non sarebbe stata migliore, però senz’altro aveva smesso di cadere in picchiata.

#######

"Sesso con Mulder" erano tre parole: due nomi, di cui uno proprio ed una preposizione. Indubbiamente, malgrado non costituissero una frase, la combinazione di queste tre parole implicava un significato…ma nessuno avrebbe potuto dare a queste parole il significato che dava loro Dana. Per lei erano arrivate ad essere negli ultimi tempi un mantra, una specie di ninna nanna, una citazione di un libro che si tiene sul comodino, un ritornello di una canzone calmante. Curiosamente, ricordava con esattezza sorprendente il momento in cui queste parole erano apparse nella sua mente la prima volta nel loro pieno significato. Era un giorno qualsiasi e pioveva, una pioggia forte, battente, d’estate. Camminavano per una strada di Baltimora raccogliendo testimonianze su un caso. In una via a quattro isolati da lì, c’era una macchina parcheggiata e nella macchina l’ombrello che qualcuno aveva detto non necessario malgrado le nubi grigie ed il profondo odore di piaggia che appesantiva l’aria. Erano bagnati e avevano corso attraversando la strada per rifugiarsi sotto la tenda di una caffetteria ad aspettare che la pioggia cessasse. Lei cercava di sentirsi infastidita, ma faceva fatica. Correre sotto la pioggia l’aveva fatta sentire bene, come un atto infantile di ribellione, liberatore. Quando si erano fermati sotto la tenda, ancora con il respiro corto, l’aveva guardato con ironia cercando di non sorridere.

-Così che sei capace di predire la pioggia. Non hai futuro come meteorologo.

Lui aveva sorriso facendo tremare un poco il mento come un bambino rimproverato che sta per piangere.

- Nessuno è perfetto, dottoressa Scully.

E allora l’aveva guardata con affetto, un poco sornione, con calore. Ed aveva realizzato una vera manovra da prestigiatore che lei non avrebbe mai più dimenticato e di cui, per quanto la ripetesse a rallentatore, non era mai arrivata a capire il trucco che non la facesse pensare alla magia: aveva allungato le mani sulle sue spalle e aveva scostato dolcemente con i pollici i capelli appiccicati al collo per l’acqua raccogliendoli indietro e lasciandoli sgocciolare dolcemente, si era scrollato l’acqua dalle mani, e con gli indici aveva percorso la sua mascella fino al mento trascinando con se le gocce e l’aveva colpita dolcemente con una nocca. Allora aveva sollevato le sopracciglia ed aveva detto " Un caffè?" e si era diretto alla porta della caffetteria senza aspettare risposta. Mentre lo seguiva con il mento che le solleticava e tremava si erano formate quelle parole nella sua mente: Sesso con Mulder. Non era un desiderio, né un progetto, quasi non era nemmeno un’idea, non c’erano immagini associate, non era minimamente eccitata. Era un concetto, una sensazione, era avere coscienza che quell’uomo esisteva ed era un uomo. Un uomo che aveva esitato leggermente alla fine del percorso per la sua pelle, che aveva guardato senza volere la sua camicia bagnata e volendo aveva distolto lo sguardo. Non si era fermata a pensare se sarebbe arrivata a fare "Sesso con Mulder", nemmeno se sarebbe arrivata a desiderarlo. Solo lo aveva capito, con la stessa sensazione con cui avrebbe dovuto sentirsi infastidita ma in realtà era sollevata d’aver ricevuto la pioggia, che nella biblioteca "Mulder" c’era un libro che fin’ora non aveva incontrato intitolato "sesso con Mulder". Forse non avrebbe mai voluto leggerlo, forse lui non gliel’avrebbe mai permesso, ma esisteva.

#######

In macchina, di ritorno dall’Alabama, due menti iperattive giravano come giostre. E come giostre facevano sempre lo stesso percorso: "Non so quale sia il problema, non so cosa gli/le dirò, non voglio fargli/le del male, cosa è successo esattamente? Qualsiasi cosa , meno fargli/le del male"

Fuori doveva fare un caldo asfissiante. Scully guidava, Mulder guardava dal finestrino e sul sedile posteriore una carpetta conteneva tutti i dati del caso raccolti fino a quel momento. Avevano deciso di partire immediatamente per arrivare in tempo per studiare il caso, parlare del "tema" e tornare alla normalità, anche se quest’ultimo non era stato nominato

****

- Quante volte siamo stati qui?- aveva sentito la tensione nella sua voce, il respiro profondo e qualcosa di accelerato che poteva avvertire sotto i palmi delle sue mani.

Aveva capito a cosa si riferiva, ma aveva scherzato, forse solo per farla ridere.

- Non so, molte, soprattutto tu, visto che è il tuo appartamento.

La contrazione della sua risata sotto le mani, quante sensazioni di lei poteva arrivare a sentire sotto le mani?

- Sai che non…

- Già, so che non ti riferisci a questo- aveva sospirato- Qualche altra volta…

Le immagini gli avevano attraversato la mente, corridoi, corridoi con quasi bacio, corridoi con bacio, corridoi con abbracci, corridoi con grandi parole, corridoi con " A domani" che suonava come un " Fa quello che vuoi ma non andartene". Sguardi che si allungavano eternamente, sì, d’accordo, solo per un paio di secondi, ma in questi secondi sembrava entrare tutta una maledetta vita. Avevano dormito insieme, varie volte…

-…molte per essere contate, non abbastanza per non ricordarle tutte.

…avevano dormito in macchina, si erano addormentati mentre lavoravano…poi c’erano le altre volte, un bosco, una canzone, divano, spalla e giorni tristi, motel -" fa molto freddo per arrivare fino alla mia stanza, è molto tardi, lasciami dormire qui"- sorriso pieno di tenerezza. A volte troppo teneri per pensare al sesso, troppo teneri per non pensarci.

Ma mai erano stati davanti a queste domande.

- Abbastanza per prendere in considerazione se fosse meglio l’altra opzione?

Tutto era iniziato forse con un massaggio, poco prima, in un universo parallelo in cui un uomo aveva accompagnato la sua compagna a casa dopo aver percorso cinquecento chilometri in macchina da un paese perduto con prove perdute o rubate, senza niente, assonnati, stanchi, doloranti dopo aver dormito per l’ennesima volta in macchina, e lui era salito solo per un libro, ma era rimasto a cena e si erano addormentati vedendo un film, e la sirena della polizia li aveva svegliati e lei aveva detto con voce piena di sonno " Ti odio, ho la spalla distrutta e tutta colpa tua" e lui aveva detto " Ti farò un massaggio" e le aveva fatto un massaggio, ma, ad un certo punto, le sue mani avevano deciso di accarezzare, semplicemente. All’inizio era stata una differenza troppo sottile, forse fino al momento in cui il cervello aveva deciso di unirsi alla festa( a cui era già arrivato quasi tutto il resto del corpo) facendosi domande del tipo " Inarcherà la schiena se percorro con i pollici entrambi i lati della colonna vertebrale? Sopravvivrò se la prendo per la vita e le accarezzo in fondo alla schiena? E se ora faccio salire le mani lentamente lungo le costole?"

- Vuoi che mi fermi?- aveva detto allora, con una voce che avrebbe desiderato che suonasse meno disperata.

Aveva tardato a rispondere, un paio di secondi, un’eternità.

- Quante volte siamo stati qui?

Senza dubbio abbastanza per scegliere l’altra opzione.

L’aveva abbracciata per la vita e attratta a lui. Voleva sentire quella schiena contro il suo petto, voleva immergere il viso nel suo collo, voleva che lei lo sentisse ma, prima di tutto, voleva averla vicino, molto vicino, il più vicino possibile.

- Ho paura- aveva riso sentendo simili parole uscire della sua bocca. Non poteva credere che le avesse dette. In parte era vero ed, in parte, era così sicuro di tutto che risultava più che ridicolo temere qualcosa.

Lei aveva sorriso di nuovo e gli aveva baciato le dita con dolcezza.

- E chi non ne ha?

****

- Di perderti- sussurrò improvvisamente..

Le lo guardò per un istante. Erano due ore che viaggiavano senza parlare.

- Cosa?

- Avevo paura di perderti, Scully. Ti ho perduta?

Lei fermò la macchina, bruscamente, nella corsia d’emergenza. Lo guardò negli occhi.

- No, naturalmente no.

Sostennero lo sguardo per un minuto, in silenzio, con forza, con coraggio, con orgoglio, con tristezza.

- Sai?- disse lui- Ho cercato di decidere se è stato un errore. E, credo che lo sia stato ma nello stesso tempo non sono capace di pentirmene. La cosa è una poco strana- sorrise.

A lei sembrò che fosse, passata un’eternità tra " è stato un errore" e " non sono capace di pentirmene". Respirò profondamente, voleva di più, voleva molto di più, non voleva parlare, solo ascoltare, ascoltare una ragione, una spiegazione a tutto, e prima di ogni altra cosa, una soluzione. Qualcosa le diceva che lui si aspettava la stessa cosa da lei…

- Ci ha allontanati, questo implica chiaramente che è stato un errore. Ma allo stesso tempo…

Chiuse gli occhi con forza. Non voleva dirlo. Non voleva dire tutto, metterla in una situazione ancora più difficile, avevano troppo da chiarire in questo momento.

- Tu cosa ne pensi, Scully? O rimarrai zitta per sempre?

Si sorrisero. A volte sembrava di sì, a volte come ora, si erano guardati e sorrisi per un momento e era sembrato loro che tutto ciò che intuivano dovesse esistere. Ma erano istanti, troppo pochi per entrambi, il resto era fuga. Niente compensava questa fuga.

- Posso?

- Puoi fare ciò che vuoi.

Quello fu sufficiente. Doveva parlare, meglio ancora, doveva dire, ma " cosa"?

- Si può volere tutto con una persona e , anche così, non sapere cosa fare con lei?

Affilato, tagliente, limone sulla ferita e bacio. Era chiaro ed era ambiguo, era adorabile ed odiosa, era la verità mascherata da domanda. Era una dichiarazione d’amore, di guerra, d’intenzioni. E lui non sapeva se temeva di più la prima parte o la seconda. Inoltre non sapeva cosa rispondere…l’unica risposta era ovvia, era insita nella domanda.

Tutto. Era arrivato ad essere tutto. Passo dopo passo, come piccole gocce di pioggia che diventano una piena e trascinano tutto. Tutto. Senza esserlo in realtà. Lei aveva una famiglia, credeva di ricordava di avere qualche amica, che rispondeva alle loro telefonate anche se lo faceva con mesi di ritardo, aveva la sua casa, un pezzetto di mondo conosciuto in cui rifugiarsi e le sue cose. Aveva una vita. Ma lui la riempiva. Aveva una vita impregnata da lui.

Ed era stato tutto, passo per passo, uno dopo l’altro. Era stato il superiore impossibile, ironico, esigente al massimo, che la guardava dall’alto in basso. Era stato il compagno coraggioso, appassionato e ammirevole. Qualcuno che non poteva spiare, qualcuno per cui valeva la pena rischiare. Sapeva, ancora lo ricordava in qualche posto nascosto della sua mente, che aveva pensato a lui in modo poco professionale in quei primi mesi. Ma ora sembrava una barzelletta il fatto d’aver fantasticato su di lui. Non aveva significato. Poi era stato un amico, un buon amico, di quelli che rischiano per te, di quelli che ti rispettano, di quelli che ti spingono ad essere migliore, di quelli che ti appoggiano quando ne hai bisogno, anche solo un poco, con uno sguardo, con una parola buttata lì. Poi, ad un certo punto le cose erano cambiate. Poi erano passati ad esistere l’uno per l’altro.

Veramente l’unica persona in cui poteva aver fiducia, veramente l’unica in cui credeva, veramente l’unica che poteva capirla. La cosa grave non era questa, questo era solo un fatto. La cosa grave era che questa vicinanza l’aveva riempita in modo tale, che in realtà non era dispiaciuta che lui fosse tutto. Le dispiaceva il cammino, si, era dispiaciuta per tutti i fatti terribili che li avevano portati lì, ma nient’altro. Lui era tutto. Il suo protettore, per disgrazia, poiché arrivava ad essere così insopportabile…; il suo protetto, per disgrazia, poiché c’erano varie cose da cui proteggerlo, perché ingannarsi; il suo superiore, per disgrazia, poiché le chiedeva tutto; il suo compagno per fortuna e per disgrazia, poiché era brillante, intuitivo, delicato, collaboratore, ma assolutamente testardo, più che testardo, a volte pensava che il concetto di testardo era stato scritto per la prima volta mentre qualche antenato di Mulder cercava di convincere i suoi concittadini che si poteva attraversare l’Atlantico camminando sul fondo del mare; suo amico, per fortuna, per fortuna a lettere maiuscole, FOR-TU-NA, attento, scrupoloso, rispettoso, tenero, parlava più che domandava ma ascoltava sempre ( per quello che si riferiva a questioni non professionali, chiaramente), accettava i cattivi momenti anche meglio dei buoni, attraversava il mondo per venirti a salvare la vita…questo non era lavoro, e nemmeno un forte sentimento di colpa, né responsabilità, né bisogno, questo era amare…

E così, amando, era arrivato ad essere il suo amante. Così, senza volerlo ma volendo, era arrivato ad occupare la sua mente, la sua vita. Così, senza volere, era arrivata ad amarlo senza parole, senza definizioni. Quel maledetto testardo, credulone, intelligente, egoista, appassionato, bisognoso e disposto a dare tutto. Lui. Fox Mulder, quello di " Persino i miei genitori mi chiamano Mulder" quello di " Ti amo e te lo mollo qui e ora, e vediamo come ti arrangi", quello di " Tu eri la mia amica e mi dicevi la verità, malgrado che il mondo stava crollando tu eri la mia costante e la mia pietra di paragone". Quello con il suo complesso miscuglio di tenerezza e durezza, carezza e morso, pioggia e braci.

La questione era che anche lei era tutto per lui, forse anche di più. La questione era che lui aveva incominciato rischiando un poco, poi un altro poco, poi ancora un altro poco,…il suo lavoro, il suo sogno, la sua vita, per lei. La questione era che lei sapeva perfettamente che lui dimenticava i suoi omini grigi, gli esseri umani, che era a sua volta solo un essere umano e di conseguenza mortale e, in generale, tutto il maledetto mondo quando lei diceva "ahi".

La questione era che questo non era tutto, la questione era che stavano così vicini, così uniti, così connessi, così intrecciati che nessuno dei due avrebbe potuto vivere senza l’atro, sopravvivere sì, senz’altro, sopravvivere quella cosa che consiste nel tuo cuore che batte e nei tuoi polmoni che inspirano ed espirano e nel resto dei tuoi organi che fanno quello che si suppone che ognuno deve fare. Sopravvivere. Perfino rispondere agli impulsi esterni, dire " Salve" a chi ti dice "Salve", lavorare, ridere di una battuta, sopravvivere. Non vivere.

E quest’idea sopravvalutata fino all’indicibile dai romantici, non era un’idea che piacesse a Dana Scully. Per niente.

Lui aspettò. Cercò di analizzare le parole. Per lui, il significato era chiaro, l’amava e voleva che fosse molto chiaro, l’amava, sarebbe sempre stata sua amica, sempre era stato così in realtà. Lei si era sempre tirata indietro, l’aveva considerata precauzione, paura, perfino, ma era chiaro che non lo era: era un dolce ma costante rifiuto, era ovvio, per lui.

- Le cose non hanno un motivo di essere di una determinata maniera-non poteva guardarla, le accarezzò dolcemente la mano- lascia almeno che siano come prima, d’accordo? Mi dispiace molto, veramente, mi dispiace per quello che è successo. Non posso ancora pentirmi ma prometto che finirò per pentirmene, quando me ne dimenticherò, un poco.

- Cosa? Io non ho voluto dire…

Improvvisamente tutta la comprensione di un inizio crollò facendo strada all’ira, forse un ira dolce, forse priva di forza, ma sì, era arrabbiato, poteva essere arrabbiato, aveva diritto di essere arrabbiato. Una cosa era rifiutare e un’altra mentire.

- Dio perché non mi hai fermato? No, lascia perdere, non voglio sapere perché non mi hai fermato. Perché non me l’hai detto in quel momento, il giorno dopo? Perché ti sei allontanata invece di essere, non so, …onesta? Credo che almeno questo me lo meritavo.

Lei non ci poteva credere, non poteva credere a quello che significava, non poteva credere che quell’uomo fosse così…cieco.

- Dunque…perché non volevo- cercò d’incontrare il suo sguardo, ma non potè - Non volevo fermarti e non volevo fermarmi. Sono stata onesta e, Dio!, non mi sono allontanata! O almeno non sono stata l’unica…o no?

Continuava a non guardarla. Continuava a non capirla, ma lei non sapeva che dire. Le faceva male quel silenzio, così che ripeté.

- Sono stata onesta. E, credimi, se avessi avuto qualcosa da dire, se avessi voluto smettere, se avessi trovato una minuscola buona ragione per quello, l’avrei fatto. - Con la coda dell’occhio, vide una leggera variazione nel suo atteggiamento, così che ci provò, sorrise:- Ha avuto ore per farlo e in alcuni momenti era perfino capace di articolare parole.

Lui rise, dolcemente. Vari momenti attraversarono la sua mente, uno si fermò…

****

Le sue dita calde, bagnate, andava troppo veloce, sicuramente andava molto veloce.

- Dimmi quello che vuoi, voglio sentirlo.

- Nooonnn…posso…

Ansimava, rideva, si muoveva senza sosta.

-Dimmelo, ho bisogno di sentirlo.

Non stava ferma, gli stava risultando difficile, non poteva mantenere il ritmo quando l’ "obiettivo" cambiava continuamente posizione.

-Contiiinuuua

-Come vuoi che continui?

- Continua solamente.

Un sussurro, quasi impercettibile, quasi immaginato. L’aveva baciata, con forza. Lei aveva smesso di muoversi e poi aveva incominciato a contrarsi, lentamente, molto lentamente, e gli aveva preso la testa con le mani e gli aveva restituito il bacio, ancora con più forza.

Sapeva che qualche volta, in un altro momento della sua vita,l’avevano baciato così…e lui aveva sentito qualcosa di simile. Lo sapeva ma non ricordava, non ne era cosciente, non lo sentiva, non era reale. Mai un bacio era stato così prima.

Quando era stato capace di aprire gli occhi lei lo guardava con un miscuglio di malizia, piena felicità e divertimento.

- Ma cosa diavolo volevi che ti dicessi ?

- Quello che volevi.

Lei rise di nuovo.

- A volte, quando hai quello che vuoi non puoi dirlo, sai?- l’aveva abbracciato e circondato con le gambe, aveva incominciato a baciargli il petto, quasi non poteva sentirla- non trovi le parole, non trovi la voce…

****

- Non ridere - lo rimproverò.

L’aveva detto solo per questo, per far sì che lui sorridesse, ed in parte per restituirgli quei momenti. Perché vedesse quello che era ovvio.

- Non sto ridendo.

La guardava di nuovo, fisso, con quello sguardo, con quel cocktail esplosivo di sentimenti: passione e dolcezza, protezione e sfida, cameratismo e sesso, che in qualsiasi altra persona sarebbero risultati contraddittori…in lui no.

- Sì, stai ridendo-Sospirò- Senti, non incominciare a trarre conclusioni affrettate da ogni cosa che dico, va bene?

- Va bene. Nessuna conclusione. Ti ascolto.

Il tempo necessario, il resto della sua vita. Questo voleva: ascoltarla per il resto della sua vita. Anche se aveva paura, paura di tutto, paura di lei, paura di se stesso, paura che qualche strano avvenimento rendesse impossibile…qualsiasi cosa volessero, qualsiasi cosa volessero insieme. Quel "tutto" che lei aveva nominato. Lui voleva tutto. TUTTO a lettere maiuscole, tutto con lei. In un certo senso, pensò, si poteva quasi dire che aveva avuto tutto con lei, ma era sicuro che rimanevano migliaia di cose e, se non ce n’erano, non importava: voleva ripeterle, c’erano cose che non si sarebbe mai stancato di ripetere, non si sarebbe mai stancato di vedere il proprio riflesso in quei bellissimi occhi blu, non si sarebbe mai stancato d’addormentarsi nelle sue braccia, non si sarebbe mai stancato della sua voce addormentata all’altro lato del telefono, né di vederla entrare dalla porta, quando entrava in una stanza la riempiva, l’aveva notato il primo giorno che l’aveva vista, una piccola ragazzetta saputella che riempiva ogni posto in cui entrava. Avevano iniziato quasi come nemici, erano stati compagni, erano stati amici, erano stati amanti….Ma la cosa più importante era che da tempo erano altro, una cosa che non c’era nei dizionari, una cosa che doveva essere così poco abituale, così facile da confondere con altre situazioni e altri sentimenti che semplicemente per tutta la storia dell’umanità era stata chiamata in maniera sbagliata. Quello che erano lui e Scully. Era sicuro che non erano i primi della storia, la probabilità è la probabilità, il fatto era che già da tempo aveva considerato impossibile l’idea di definire ciò che Scully era per lui. In generale, davanti agli altri, diceva " lei è l’agente Scully", "la mia collega", "la dottoressa Scully", parole; davanti a lei la chiamava Scully, e la definiva amica, generalmente, sostegno, pietra di paragone, unica tra sei miliardi…ma, davanti a sé se stesso, quando parlava con se stesso, era Scully, un nome proprio, e quel semplice nome, implicava tutto, tutto quello che sentiva. Per lui, Scully, era il nome di un sentimento che cambiava e cresceva. Perché quello che sentiva per Scully, a questo punto, era incomparabile, unico, come un’entità con vita propria, con un nome proprio.

- Non mi dispiace, né posso pentirmene. E’ solo che …E’ solo che…non me lo aspettavo.

- Cooooosaaaaaaaaaaa?????????!!!!!!!!

"Caspita, questo è grave; è la prima volta che vedo Mulder con una vera espressione d’incredulità" fu la prima cosa che pensò Scully quando si riprese dallo spavento. Poi cercò di pensare alle possibili implicazioni di quello che aveva detto. E decise che era grave.

Lui cercava solo di pensare con chiarezza, o pensare semplicemente, che cos’era quello che non si aspettava. In dieci minuti aveva cambiato idea troppe volte sull’idea che lei aveva dei fatti e non sapeva più cosa pensare. Ma aveva detto che l’avrebbe ascoltata, ora non gli sembrava più così facile ma l’avrebbe fatto.

- Mulder, credo che tu non mi abbia capito.

- Lo credo anch’io. Accidenti, Scully, spero che non mi dirai che era troppo presto.

- Mulder!

- Va bene, disse lui tranquillo- senza conclusioni, ascolto.

- E, perché diavolo devo essere io a parlare?

Era infastidita. Da primo momento aveva avuto la sensazione che lui aveva assegnato i ruoli del poliziotto buono e del poliziotto cattivo nella rappresentazione ed a lei era toccato aver senso comune, porsi dei problemi, prendersi la colpa di tutto quello che era andato male mentre lui recitava il ruolo del pover-uomo-sensibile.

- Perché sei stata tu che non hai risposto.

Si pentì appena l’aveva detto. Si penti prima di finire di dirlo.

Anche lei si era pentita, le faceva male ma era più forte il sentimento di pena. Lui l’aveva detto senza rabbia, era solo un’immensa domanda, e rispose senza rabbia.

- Ho finito per rispondere.

- Alla quarta telefonata, sapendo che sarei venuto da te, perché non mi muovessi.

- E perché doveva essere così importante che io non rispondevo? Perché dovevi prenderla così a cuore?

Non poteva credere a quel che sentiva, nemmeno poteva immaginare che lei potesse credere a quello che diceva.

- E’ stato sempre importante quando non rispondi, e me la sono sempre presa a cuore. E credimi che questo non cambierà.

- Dio- affondò il viso nelle mani- Dimentica quello che ho detto. Dimenticalo, per favore, non posso credere che ho detto una cosa simile.

- D’accordo.

Era addolorato, ma troppo confuso per essere arrabbiato. Insistette.

- Perché non l’hai fatto? perché non mi hai chiamato di nuovo? Questo non sarebbe stato cambiare le cose, sarebbe stato non cambiarle.

Lei stava piangendo, aveva ancora il viso coperto dalle mani ma lo poté notare.

- Scully, faceva male. Ho esagerato? Forse. So che….hai cercato di spiegarlo e che non te l’ho lasciato fare. Senti, che ne pensi se rimaniamo che lo stare distanti tutto questo tempo è stato colpa di tutti e due e ci concentriamo su ciò che è importate?

- Va bene- mormorò lei.

Voleva accarezzarle la spalla, solo un poco, solo per consolarla, solo perché sapesse che stava ancora accanto a lei. Ma non lo fece.

- Maledizione, che cos’era quello che non ti aspettavi?

- Non lo capisci, vero Mulder?

Lo fissò. Aveva ancora gli occhi pieni di lacrime ma non piangeva più. Sapeva che non doveva dirlo, sapeva che non lo avrebbe potuto comprendere, che lo avrebbe mal interpretato, che l’avrebbe odiata per questo…Ed allora vide tutto chiaramente: precisamente per questo doveva dirglielo. Essere onesta, completamente onesta, squarciare, tagliare, ricucire? Forse. Lui la guardava, attento, in attesa. Sospirò.

- Non mi aspettavo che fosse…in mancanza di una parola migliore…perfetto.

- Non è stato perfetto- replicò lui senza pensare, un poco confuso.

- Bene, Mulder, molte grazie- rispose lei con un sorriso triste, con la speranza che lui comprendesse.

- Non ti riferisci a quello.

Incominciava a capire, non voleva capire, non poteva capire ma incominciava a farlo.

- No, non mi riferisco alla perfezione che si rompe per i nervi, per una defaillance, perché una…che io sappia non è capace di muovere un muscolo in un determinato momento, perché non ha idea delle preferenze sessuali dell’altro, per la stanchezza, per paura di dire o fare qualcosa che possa risultare eccessivo per l’altro ecc…mi riferisco ad un’altra perfezione, che, almeno per me, c’è stata.

- Anche per me- sussurrò immediatamente. Non sapeva dove questo andava a parare, ma non poteva lasciarla avere dubbi in merito.

- Questa perfezione che nasce dal fatto che le imperfezioni non hanno importanza. Questa certezza, questa sensazione che accada ciò che accada o non accada quello che deve accadere non importa, perché…

-…siamo insieme.

- Siamo insieme e….Maledizione era come se tutto il resto…come se…

-…potessimo fare fisicamente ciò che stiamo facendo emozionalmente da anni.

Scully potè solamente sorridere con una certa ironia. Quella frase le aveva appena dato una tale scarica elettrica alla bocca dello stomaco che le faceva male respirare." Giusto, come se potessi finire le mie frasi, come se potessi leggermi nella mente, come se fossi parte di me, ed io parte di te. La semplice e maledetta rappresentazione grafica dell’incredibile" Ora, finalmente, capiva cosa l’aveva spaventata: era solo un simbolo, era sono un confrontarsi nello specchio, era solo una prova fisica, una prova di qualcosa che sapeva da tempo.

- Scully, veramente non te l’aspettavi?

Lui se l’era aspettato, con speranza ed attesa, era tempo che se lo aspettava, quando? Troppo, vari anni forse, non sapeva esattamente quando, però già da tempo aveva la certezza che un giorno, prima o poi, avrebbe fatto l’amore con lei. E che sarebbe stato imperfettamente perfetto. Sarebbero stati lui e lei, uniti, legati, scomponendosi e ricomponendosi, distruggendosi e arrendendosi, scappando dal mondo reale e trovando il mondo reale. Andiamo, se lo aspettava, lo desiderava, lo bramava, lo immaginava, lo visualizzava, e ciò che era ancora peggio o meglio, semplice ed inevitabile era che lo sentiva come se realmente già stesse accadendo.

Lei fece di no con la testa. Per un momento si sentì come una bambina rimproverata per aver fatto qualcosa di veramente stupido. Veramente non ti sei resa conto che se avvicinavi il fiammifero alle tende queste prendevano fuoco?

- Non te l’aspettavi!

Non se l’aspettava. Sì se l’aspettava, lo sapeva ma…sperava di essersi sbagliata, questo era il problema. Si aspettava che fosse qualcosa di comune anche se in fondo sapeva che non sarebbe stato così, in realtà temeva e allo stesso tempo era sollevata al pensare che sarebbe stato un errore, che si sarebbero resi conto che erano solo amici e che il sesso non aveva un vero significato in quella relazione. Era un’idea stupida e lo sapeva, ma…ora ne aveva la prova. Non era stato sesso tra amici, nemmeno buon sesso tra amici. Ora sapeva che quello che sentiva non era una somma d’amicizia più desiderio più affetto più atteggiamento materno più un milione di altri sentimenti. Non era la somma ma una miscela che dava qualcosa di diverso. Amore, forse, solo che le sembrava una parola troppo ambigua, inesatta, eterea per definire qualcosa di così esatto, chiaro, reale.

- E cosa diavolo ti aspettavi, Scully? Solo sesso?

- Certamente no. Maledizione, Mulder, non è così semplice.

- Sì che lo è, Scully. Vuoi o non vuoi, desideri o non desideri…

Scosse la testa. Non sapeva esattamente cosa gli desse tanto fastidio. Forse questa mancanza di unione. Forse il fatto che lei non avesse sofferto come lui, aspettando, dubitando, era semplicemente arrivata ad una notte ed aveva agito.

- Ho bisogno di uscire da qui, sarà solo per un momento.

Uscì dalla macchina, fuori faceva un caldo insopportabile ma malgrado questo l’aria era meno pesante che all’interno.

Scully stava davanti ad uno di quei piccoli particolari di Mulder che non poteva sopportare e che l’avevano portata a temere ciò che già era un fatto: che lui fosse tutto per lei. Il "Mulder abbandonato"; qualsiasi rifiuto era per lui un caso di alto tradimento, e la soluzione era andar via, girare le spalle, prima sentirsi in colpa e poi domandare, o non domandare mai, scappare, nascondersi, raggomitolarsi sul suo divano e piangere il suo " come-sono-solo-nessuno-mi-ama-nessuno-mi-comprende" . Esigeva tutto. Sempre esigeva tutto, in tutti i sensi. E sempre si sentiva abbandonato se non l’otteneva.

Apri la porta e gridò.

- Non è così semplice, Mulder, e lo sai.

Lui stava di spalle, ovviamente di spalle, con la testa china, mordendosi il labbro inferiore. Pensando. Pensando che era codarda. Incredibile. Di tutte le cose che poteva aver pensato che sarebbe arrivato a considerare Scully, codarda era indubbiamente l’ultima. Ma in questo era codarda, non nell’affrontare pazzi, assassini, o mostri o la sua stessa morte, solo nell’ affrontare il fatto che lo amava, che forse lo amava, o che almeno lo desiderava o qualsiasi altra cosa sentisse per lui. Solo per questo era codarda, la qualcosa sembrava dire abbastanza di lei.

- Lo è Scully. E’ un sì o un no- disse senza voltarsi.

- Accidenti!

Uscì dalla macchina, chiuse la porta e gli si avvicinò, rimanendo a qualche passo da lui.

- Lo sarebbe se fossimo due adolescenti che cercano di decidere se andranno insieme al ballo di fine anno. - desiderò che non fosse suonato così sprezzante, ma era arrabbiata, addolorata e non le importava più molto- Ma siamo due maledetti adulti a solo un passo dal decidere…

Si girò. Lei stava di nuovo sul punto di piangere. Di nuovo non trovava la parola ma questa volta si sentiva incapace di finire quella frase per lei. In effetti desiderò che nessuno la finisse mai.

-…di perdersi per sempre, voglio dire, perdersi insieme. Perderci insieme. Perderci l’uno nell’altro. E può sembrare bellissimo, Mulder, ma è semplicemente una pazzia.

- Lo so, io mi sono perso con te tempo fa.

Ora non potè più trattenere le lacrime. Si sedette sul motore della macchina. Si sentiva incapace di tenersi in piedi.

- Per questo, per questo io devo mantenermi, per questo non posso non pensare, lasciarmi andare, per questo in parte speravo…desideravo che andasse male, per non chiudere il cerchio di questa bolla nella quale stiamo. Per non poter essere tutto.

Lui si avvicinò di vari passi. Rimase accanto a lei, sentendo un vuoto profondo, un dolore profondo, e comprendendo, finalmente, tutto. L’assoluta identità di sentimenti, ed il profondo coraggio di quel…soldo di cacio rosso dagli occhi immensi.

- Mi hanno utilizzato tante volte per farti del male, e mi hanno fatto tanto male in ognuna di esse…

Scoppiò a piangere. Lui l’abbraccio dolcemente, quasi senza toccarla. Improvvisamente gli sembrava tremendamente fragile.

- E’ stato come una prova, sai?- continuò quando si calmò il pianto- Va bene, sappiamo che esistono gli extraterresti ma non ne abbiamo uno, vero? So che è stupido ma per me è stata la prova che confermava quello che aveva sempre pensato- Sollevò gli occhi e lo guardò, sorridendo con tristezza- Chiaro che me l’ aspettavo, stupido.

Lui le sfiorò le labbra dolcemente, un bacio in armonia con l’abbraccio.

- Da anni che so che questo non ha una via d’uscita. Il sesso era il meno, d’accordo, ma era l’unica cosa che rimaneva.

Lui sorrise e annuì.

- Ti amavo prima, ti amavo durante e ti amo dopo, stupido. E non so se è un errore, ma non sono capace di pentirmene.

Lo abbracciò in vita e immerse il viso nel suo petto.

- Anch’io ti amo.- Le appoggiò le labbra sui capelli e continuò in un sussurro- E giuro che farò il possibile perché tu non debba mai pentirtene, ma non so se basterà. L’unica verità è che non lo so.

Avevano chiuso la bolla.

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