Le fanfic di X-Files

Inferni Prodeunt

Autore: Paperclip
Pubblicata il: 30/09/2009
Tradotta da: Angelita
Rating: PG, da leggere con i genitori
Genere: ANGST, MRS/RSM, CASE FILE
Sommario:
Note sulla fanfic: E' la mia prima ff, così che attenetevi alle conseguenze. Uomo avvisato mezzo salvato. Forse ci sono date e luoghi sbagliati, sorry, anche se perfino all'onnipotente CC sfuggono questi dettagli. La mitologia è come io l'ho intesa, così che non vi spaventate per qualche sciocchezza

Archiviazione:
Altre note: Paperclip Dixit Dio, credevo che non sarebbe mai finito. (ndt: pure io!) E’ stato come un virus che ho incubato per molto tempo. Inferni Prodeunt è nato che avevo 16 anni. Ora ne ho 22, così che immaginate che ha supposto per me. Non so se ho fatto bene o male, ma la verità è che avevo bisogno disperatamente di scriverlo. Ho appreso molte cose. Ho appreso che una storia può rivoltarsi contro l’autore, che scrivere libera ma allo stesso tempo schiavizza. Quando tornai dal cinema il giorno della prima di FTF, la mia testa era un ribollire d’idee che minacciavano di scoppiare come una pentola a pressione. Quella stessa notte, senza sapere cosa fosse una ff ed ancora con la convinzione che internet fosse solo fantascienza, mi sedetti al pc e scrissi la scena dell’Università di New York, quando Mulder è avvicinato da Hannah. Annotai anche un paio d’idee confuse che non sono arrivata mai a sviluppare e abbozzai vari dialoghi. Non ho mai pensato che questa scena potesse vedere la luce, che arrivassi a dividerla con tanta gente, che le mie idee potessero viaggiare a migliaia di chilometri di distanza. Si tratta del mio primo racconto, o meglio il primo che inizio e riesco a finire, unendolo con un minimo di coerenza (almeno spero) e a mio giudizio è - a volte- un guazzabuglio d’idee di alcuni luoghi comuni e forse in qualche momento di sorprendente lucidità( sono abbastanza orgogliosa di alcuni capitoli), ma è mio e l’ho fatto con piacere, per questo vi chiedo di non essere molto duri con me. E’ anche la prima volta che creo un personaggio come Hannah, complesso, con sfumature, imprevedibile, cioè con una personalità. Forse in questo stesso momento vi starete sbellicando dal ridere perché Hannah vi sembra più semplice del meccanismo di un ciuccio, ma per me questa giovanetta saputella e contestataria è stata una sfida, una prova da superare. Mai avevo creato qualcosa dal nulla ed è stato bello, ma anche molto difficile. Hannah è nata quel 7 agosto del 1998 ed è andata crescendo lungo la storia. Slava è un’altra cosa. E’ nato a misura che scrivevo la ff, nei primi capitoli. All’inizio non pensavo d’implicarlo tanto nella trama né metterlo in relazione con Hannah (io pensavo ad una tensione strana ed indefinibile tra Mulder e Hannah, no tra Hannah ed un altro personaggio secondario) e nemmeno volevo che fosse giovane. Ma immagino che una dei gioielli della fanfiction quel portento chiamato Irati (Ad Noctum) mi avvelenò. Ed il bosniaco impostore acquistò un ruolo da protagonista nella mia testa. Influenze? Molte. Nel fandom la già citata Irati, e anche Cuits, Starbuck, Jane Doe, Viovio, Anne Haynes...al di fuori delle fanfics Perez-Reverte, Espido Freire, Nabokov (che si starà rivoltando nella tomba...) Sono stata molto lenta, lo so. E vi chiedo scusa per questo. I motivi si riassumono in uno solo. È lungo, complicato e personale, così vi dico ancora una volta che mi dispiace. Grazie per aver letto
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Chiavi
" Il Tempo è vicino "
Prologo dall'Apocalisse

Una telefonata è stata l'unica notizia che ho avuto da lui da ancor prima che possa ricordare. Mi parlò una voce strana. Il messaggio fu chiaro e conciso.

"Necrologio"

Lo capii all'istante. Era una decade che aspettavo un segno che mi rivelasse qualcosa dell'uomo che gli anni avevano trasformato in uno sconosciuto per me.
Sta su tutti i giornali locali. L'appuntamento è alle dieci di mattina, martedì. Mi meraviglia che sia qui.
"Giorno di lezione", ho pensato. So che è crudele, ma mi preoccupa molto più mancare ad una lezione. Anche se forse non è crudele e che è giusto quello che si merita.
Che ironia: per dieci anni abbiamo cercato di allontanarci e alla fine ci separavano pochi chilometri. Mi domando se non ci siamo visti qualche volta. Mi domando se mi avrebbe riconosciuta dopo tanto tempo.
In realtà non m'importa. Tanti anni e così pochi ricordi sono capaci di rendere indifferenti le persone.
Sono stanca di segreti e menzogne, di nomi falsi, di vite fasulle. Non so cosa siano le radici né un focolare. Ho passato anni scappando da un posto all'altro. Per la mia sicurezza, mi dicevano. Ma io non lo capivo. E continuo a non capirlo.
Perchè vegliare su di me se il destino stava scendendo a patti prima che io nascessi? Perché cercare di nascondermi se l'armaggedon cadrà  comunque?
Su di me. Su tutti.
E' pericoloso giocare ad essere Dio.

I. CHIAVI

"Non ho raccontato nemmeno la metà di ciò che ho visto"
Marco Polo

C'era poca gente. Appena qualche vicino e le amabili vecchiette che sono solite partecipare sempre che possono per immaginare le proprie esequie in un futuro, come  speravano, lontano. La sua segretaria, giovane, bionda, bella, singhiozzava stropicciando tra le mani un fazzoletto di carta.

Era l'inizio di settembre, il sole di mezzogiorno era attenuato solamente  dalla brezza fresca che soffiava, agitando i capelli dei presenti e il cappellino di una delle vecchiette. La gonna nera della segretaria minacciò di sollevarsi al di sopra delle ginocchia e lei la trattenne con la mano, mentre con l'altra, quella in cui stava ancora prigioniero il fazzoletto bagnato, cercava di chiudersi il sottile jersey, ugualmente nero. Aveva le gambe snelle e conservavano ancora l'abbronzatura che sicuramente aveva preso in estate, forse in vacanza a Cape Cod, con il fidanzato o con le amiche.
Che triste fine, pensava uno dei vicini. Non l'aveva mai visto ricevere visite, e viveva solo, nel piccolo e lussuoso appartamento di Dupont Circle, situato nel suo stesso edificio. E nemmeno l'aveva conosciuto molto, appena un saluto ed un sorriso scambiato quando s'incontravano nell'elegante androne e nel pianerottolo. A volte, quando passeggiava con il suo labrador nero e lo incontrava che andava per la strada, verso la macchina, lo salutava, ed il dottore tardava un poco a rendersi conto che era un suo vicino. Il buon dottore, sempre di fretta, sempre distratto. Accompagnato solo da un pugno di sconosciuti ed una povera ragazza che piangeva sconsolata, forse l'unica persona con cui aveva mantenuto una specie di legame affettivo per molto tempo. Non doveva avere una famiglia, né figli, né nipoti, né fratelli. Sfiorava i settanta e sembrava agile. Ma quel corpo lungo e flessuoso era stato schiantato da una macchina che si era data alla fuga. Osservò come i becchini, giovani e massicci, vestiti con jeans e canottiere, buttavano la terra sulla bara di mogano brillante, senza compassione, quasi senza rispetto, come chi sta rigirando la terra umida e sporca di un orto. La bella segretaria si fece il segno della croce e soffocò un singhiozzo nel fazzoletto sgualcito.
Qualche metro dietro la cerimonia funebre, tra varie lapidi, croci ed angeli di marmo, due figure contemplavano la scena, una era matura, tranquilla, l'altra slanciata e superba. Quando i ragazzi collocarono la pesante lapide sulla terra ancora fresca, le due figure si allontanarono in silenzio, la giovane sotto braccio dell'altra. Anche i vicini cominciarono ad andare via, alcuni parlando tra loro, a voce bassa. Le donne anziane si avvicinarono alla segretaria e le fecero le condoglianze con un buffetto sulla spalla. La ragazza si asciugò le lacrime prima di gettare un'altra occhiata alla lapide di marmo nero, incisa con lettere dorate.
 
ALVIN KURTZWEIL
1932-1998
" Una morte dignitosa può dare gloria ad una vita poco nobile"

 ***

Dupont Circle
Washington D.C.
11:21 am

Conneticut Avenue è deserta a quest'ora del mattino. Tutti i ricchi che vivono qui stanno lavorando negli edifici federali della città.
Ho paura, ma devo farlo. Alvin mi ha incaricato di farlo. Ho paura che mi scoprano, e ancora di più dopo quello che è successo. Ma devo farlo. Per lui. Per me.
Per lei.
E per tutti.
Ho sentito un brivido quando ho attraversato la porta. Tutto sembra irreale, fermo nel tempo, fantasmagorico. Ricordo ancora la notte che si è rifugiato a casa mia, inseguito dalla polizia con la grossolana bugia della pornografia infantile. L'appartamento era rimasto trasformato in un caos di carte, video cassette e cassetti aperti. Un giorno prima che accadesse tutto questo lui aveva pensato di andar via di lì. Quella stessa notte l'avrei dovuto aiutarlo a raccogliere le sue cose.
In cucina ci sono contenitori di cibo cinese. Gli scaffali del salone sono coperti da un sottile strato di polvere. Sulla scrivania della sua stanza c'è una pila di dischetti accanto al computer, il letto è disfatto ed una delle sue cravatte è appesa ancora alla maniglia della porta del bagno.
Devo cercare la sua agenda.
Nel cassetto del comodino non ho trovato nient'altro che una scatola di sonniferi ed uno dei libri di medicina che era solito leggere.
Era solito
Sulla scrivania ci sono solo penne e moduli, ed un paio di edizioni arretrate del Washington Post.
L'armadio.
Rabbrividisco al vedere i suoi vestiti impeccabili appesi li. Sembra che lo stiano aspettando. Sfioro una giacca blu scuro e sento una stilettata in petto. Cerco l'agenda nella tasca interna. Niente. Nemmeno negli altri vestiti.
Vado nel salotto. Nel dirigermi verso il basso tavolo dove sta il telefono vedo il contenitore vuoto di un CD. La messa in Sì minore di Bach. Sorrido. Era sempre stato un erudito. M'inginocchio ed apro il cassetto. La luce della segreteria telefonica lampeggia. C'è un messaggio. Sono io. " Starò lì alle dieci", gli avevo detto. E sono stata ad aspettarlo per tre ore. Ed è stato allora quando la polizia mi ha detto che era stato investito.
C'è un elenco telefonico, un block notes, una penna e un piccolo libro con la copertina verde bottiglia. Lo riconosco subito. Incomincio a scorrere le pagine e cerco un nome falso, diverso dal nome che le misero alla nascita, diverso da quello che ha ora e che le avevano cambiato una decade fa. Sta lì, tra i suoi pazienti e i suoi ristoranti preferiti.
Lei.
Per molto tempo l'ho invidiata. Ora in più la compatisco.
Usare il computer di Alvin è firmare la nostra sentenza di morte. per questo devo andarmene. Mi costa tanto lasciare questa casa. Posso quasi sentire i suoi passi, lunghe falcate smorzate, che venivano dalla cucina con due tazze di caffè appena fatto ed un sorriso pieno, ampio, troppo femmineo per un viso vecchio ed asciutto.
Ma non posso trattenermi oltre.
Il tempo si avvicina.

***

New York City
11:57 am

- Siete ancora lì?- domandò Joe affacciandosi alla sala dei computers.

- E' già suonata la campanella?-Amy guardò il suo orologio  ed sollevò le sopracciglia-Accidenti!

Si alzò con uno scatto e si rivolse alla sua compagna, che continuava ad essere assorta davanti allo schermo.

- Arriveremo tardi un'altra volta.

I suoi occhi castani, grandi, arabi, fissarono Amy.

- Stiamo per battere un record- disse con una smorfia e una voce così sua, sardonica e secca. Si girò per spegnere il computer.

Allora un'icona s’affacciò sul margine inferiore destro dello schermo.

" C'è posta"

Mise la mano, bruna e dalle dita lunghe e snelle, sul mouse e portò il cursore fin lì.

- Che avete ora?-  chiese il ragazzo dalla porta guardando Amy.

-Matematica.

-Io, biologia. L'affascinante mondo degli enzimi. L'avete già fatta?

Amy si strinse nelle spalle.

- Alle otto sto ancora dormendo. La voce del signor Morgan è il miglior sonnifero.

Joe scoppiò a ridere. Amy sentì il click del mouse e si girò, un poco infastidita, un poco divertita.

- Ma vuoi che non ci lascino entrare in classe?

-Aspetta un secondo.

Nella posta c'era un nuovo messaggio. Non appariva l'oggetto. Non conosceva il mittente. Anche se questo in realtà non la meravigliava.
becquer73_12@hotmail.com

- Senti, seriamente- Amy tagliò il filo dei suoi pensieri- Io me ne vado. Non voglio essere punita.

"Aprila" pensò.

Mosse il dito indice dolcemente e il messaggio apparve sullo schermo.
Appena un paio di righi secchi. Un allegato. E un nome che non era una firma, ma un appuntamento per quella stessa sera.

-Hannah?

Amy cercò di guardare da sopra la spalla, ma la sua amica fu più veloce e tolse la connessione al computer. Si girò sulla sedia girevole e la scrutò con quegli occhi di miele.

-Gli integrali ci aspettano- disse mentre si alzava.

Rivelazioni

"Una collettività si inganna sempre meglio di un uomo"
Pío Baroja

Università di New York
Sala dibattiti
9:08 pm

Nel salone della facoltà di Filosofia c'erano più di trecento persone riunite, tra universitari, professori, scienziati e uditori ( appassionati e curiosi), seduti nelle comode poltrone tappezzate, ascoltavano con attenzione i sei invitati che discutevano in maniera ordinata ed educata intorno al tavolo ufficiale che presiedeva il palco.

Un uomo intorno alla sessantina, abbigliato con un vestito marrone e occhiali con la montatura di metallo, parlava con naturalezza facendo in modo che la sua voce suonasse dolce e chiara nel microfono che aveva davanti, insieme ad un bicchiere d'acqua e una targa d'identificazione dove si leggeva : DR.STEVEN K. BOYLE.

- Immagino che conosciate l'equazione del bicchiere d'acqua- disse ai presenti indicando il suo con l’indice- Per quelli che ignorano di cosa si tratta, vi dirò che è un'equazione matematica formulata dal presidente del progetto SETI, il dottor Frank Drake, nel 1961. Per cercare il numero delle civiltà avanzate nell'universo, cioè, il numero dei pianeti abitati,  si dovrebbe fare una moltiplicazione in cui appaiono il numero delle stelle della Via lattea, la frazione di queste stelle con i pianeti, il numero dei pianeti con qualche possibilità di albergare  la vita e un lungo eccetera eccetera  che abbraccerebbe anche una frazione temporale che dura una civilizzazione tecnologica.

Il dottor Boyle stette zitto per alcuni secondi e contemplò i suoi ascoltatori nella penombra del salone, sentendo un filino di sudore che incominciava a cadergli dalle tempie e il caldo bruciante del faro che illuminava il tavolo dal tetto del palco.

- Malgrado che i valori di queste variabili non sono mai arrivati ad essere precisi dovuto al fatto che non si conoscono- prosegui con voce serena- non ci sono dubbi che il risultato è di, letteralmente, milioni di civiltà avanzate che stanno lì fuori- tornò a guardare il salone, in silenzio, e la sua voce ora suonò decisa- Invece, anche se esiste vita fuori dalla nostra atmosfera, è lontano il giorno, quando non impossibile, in cui potremmo stabilire un contatto con altri esseri. Ed è per semplici ragioni fisiche che impediscono completamente questo fatto tanto da parte nostra come da parte di altre creature. Vi farò un esempio: una delle stelle più vicina  alla terra è Barnard. Se ci vogliamo arrivare in meno tempo di quello che dura una vita umana, mettiamo 50 anni, la nave spaziale dovrebbe viaggiare a 130 milioni di chilometri all'ora. Un'altra stella vicina è Alfa Centauri, che sta a 4,3 anni luce. Tenendo in conto che la luce in un anno percorre…

- Mi scusi, professor Boyle, ma non abbiamo bisogno dei suoi calcoli per sapere che le stelle stanno lontano- l'interruppe un giovane dolcemente.

Il pubblico rivolse uno sguardo sorpreso al giovane che era seduto all'altro lato del tavolo. Aveva il viso da ragazzo ed occhi piccoli ed uno sguardo intelligente, capelli castani ed un vestito scuro. Sulla sua targa si leggeva: AGENTE SPECIALE FOX  MULDER, FBI.

-Per noi può risultare impossibile arrivarci ora- sottolineò senza alterare il suo tono di voce-, come all'inizio del secolo era impensabile che un uomo calpestasse la Luna, ma così accadde nel luglio del 69, davanti agli occhi di tutto il pianeta. Nel secolo XV nemmeno ci si aspettava che l'uomo volasse e si tacciò di lunatico Leonardo da Vinci per i suoi bozzetti di ciò che più tardi sarebbero stati aerei. Ma, perché queste supposte civiltà non avrebbero potuto entrare in contatto con noi? Perché devono avere le nostre stesse conoscenze? Non possono per caso essere più vecchie della nostra, più avanzate tecnologicamente, superiori?  Non potrebbero aver risolto quello che per noi ancora oggi è un impedimento per viaggiare verso le altre galassie?

- Agente Mulder- lo bloccò con ironia un'attraente donna dai capelli biondi ondulati, seduta accanto a lui e identificata come la professoressa Rebecca Tillman, dell'Università di Harvard- sta insinuando che i supposti Ufo sono una sorta di messia del XX secolo che vengono per aprirci un'epoca di prosperità tecnologica e comunicazioni interspaziali?

Vari ascoltatori fecero una risata, non troppo esagerata ma abbastanza umiliante. Al tavolo dei conferenzieri ugualmente si sentirono alcune risate che applaudivano l'acutezza della professoressa di Harvard.

Fox Mulder abbozzò un sorriso torvo e si avvicinò al microfono che aveva davanti a lui, senza distogliere lo sguardo dalla donna.

- Insinuo, signorina Tillman, che loro stanno qui da molto tempo, camminando sulla Terra prima dei dinosauri.

Le risatine sardoniche fecero posto ad un mormorio agitato e confuso che percorse il salone.

 - Che cosa vuole dire?-domandò aggrottando la fronte il dottor Boyle.

- Quello che voglio dire è che gli extraterrestri sono qui da milioni di anni, che sono stati i primi abitanti del pianeta e che una parte di loro lo abbandonò durante l'era glaciale, lasciando il resto come un evoluto agente patogeno seppellito sotto terra. Ed ora tornano per ciò che è loro, tornano per colonizzare al terra. Ed il governo, non solo di questo paese, ma di molti altri, è a conoscenza della suddetta colonizzazione e partecipa attivamente ad essa cosciente che tutti, compresi loro stessi, faremo la parte di anfitrioni e spariremo.

Il mormorio salì di tono tra gli astanti, scettici ed indignati, ed alcuni cominciarono ad andar via alzando la voce. Mulder si mosse a disagio sulla sedia.

Era già più tardi delle dieci e mezzo di sera quando finirono. Il resto della gente che era rimasta dopo l'intervento dell'agente dell' FBI usciva dalla porta a due battenti situata in fondo alla sala.

Mulder si attardava al tavolo sul palcoscenico, che tutti i conferenzieri avevano abbandonato, ordinando le sue carte e mettendole senza fretta nella ventiquattrore. Allora avvertì improvvisamente qualcuno alle sue spalle.

Si girò ed inarcò le sopracciglia. Tra il sorpreso e affascinato, al vedere una bella adolescente bruna che l'osservava con introspettivi occhi castani dall'alto delle scale di accesso al palco. Aveva la chioma raccolta in un'alta coda di cavallo ed indossava pantaloni grigi con pences ed un giubbino di pelle nera fatto su misura, sotto si vedeva il collo aperto di una camicia bianca.

Roba cara, valutò Mulder.

- Il suo discorso è stato molto interessante- disse lei con voce tagliente, quasi beffarda.

- Ah, sì? Sei venuta con i ragazzi dell'università o sei la mascotte?

- No, in realtà sono venuta da sola- rispose senza apparire infastidita- Ho letto che  lei era sto invitato al dibattito e mi sono avvicinata per vederla.

- Veramente? Accidenti, che gentilezza.

Si sentì il suono sordo di una delle due porte chiudersi in fondo alla sala. Erano soli tutti e due.

Mulder la guardò con un mezzo sorriso ed avanzò di un paio di passi verso di lei. La ragazza era abbastanza alta e aveva una figura slanciata. Sembrava una di quelle bellezze dalle gambe lunghe e sguardo espressivo che reclutavano le agenzie di modelle. Aveva la pelle tersa e scura. Era forse per il sole? Mulder spostò lo sguardo sul volto, dai tratti brevi e simmetrici che creavano un viso affilato in cui il naso piccolo e diritto e la bocca ampia armonizzavano con gli occhi grandi color miele, incorniciati da lunghe e foltissime ciglia.

C'era qualcosa di vagamente orientale nei suoi occhi. E nei sui tratti. E in quella pelle color del tabacco.

Probabilmente le reminiscenze esotiche la faceva sembrare più grande, anche l'abbigliamento e quella presenza straordinariamente decisa, ma si notava che era ancora una bambina. Quanti anni? Quindici? Sedici? Mulder scosse la testa con scetticismo.

- Senti, anche se pò giovane, potrei essere tuo padre. Perché non torni a casa? Non sei altro che una bambina.

Prese la sua ventiquattr'ore e fece il gesto d'abbandonare il palco, ma la ragazza non si scostò per lasciarlo passare.

-Mi sottovaluta, agente Mulder- disse lei con quella voce, diabolicamente sarcastica, che suonò come quella di una donna dura e fredda come il ghiaccio- Se crede che cerco di sedurla forse l'agente Scully dovrebbe confiscarle i video che conserva nel suo ufficio, mi sembra che alimentino troppo la sua immaginazione.

Mulder aggrottò la fronte e guardò il sorriso della ragazza. Come conosceva la sua compagna?

- Chi sei?- domandò diffidente.

Lei cancellò immediatamente il sorriso dalle labbra e parlò gravemente, sapendo che quell'uomo già l'aveva presa seriamente.

-Mi chiamo Hannah O'Fallon e sono venuta per raccontarle alcune cose. Cose che le interessano su gli uomini che sta cercando da sempre, sopra ciò che progettano, quello che è andato male e come vogliono sistemarlo.

- Tu non sai chi cerco- sibilò lui.

- Sì lo so. Come so tutto il passato, il presente ed il futuro della sua donchisciottesca carriera.

- Cosa vuoi dire?-domandò Mulder con impazienza.

- Uno dei migliori agenti dell'FBI che spreca il suo talento in un seminterrato dell'ufficio centrale, sepolto tra casi non risolti e fantasmi familiari, e contando sull'unico aiuto di un'agente laureata in medicina che lo mantiene a stento con i piedi per terra. Cento volte hanno tentato di uccidervi e cento volte ci proveranno ancora. Il suo destino è segnato, agente Mulder. Da quando era bambino. E non precisamente da Dio, ma da alcuni uomini che giocano ad esserlo.

Parlò con forza e uno strano scintillio nei suoi occhi arabi.

Mulder la guardò con ferocia.

Più di venticinque anni a cercare sua sorella, cercando la verità e scoprendo la pazzia di quella cospirazione fatale. Era stanco di segreti, menzogne e tradimenti, d'informatori che gli apparivano dietro gli angoli, rivelando verità che lo avviluppavano ancora di più in quella diabolica ragnatela.

E non sapeva in chi aver fiducia.

Scostò la ragazza bruscamente e cominciò a scendere le scale.

- Sei in gamba, ma non ho tempo per piccole arpie programmate- disse seccamente dandole le spalle.

- Mio padre ed il suo erano amici- disse a sua volta Hannah alzando la voce in modo trionfale come se avesse tirato fuori un asso dalla manica.

Mulder si girò ed osservò come l'adolescente sorrideva con malizia al vedere la sua espressione perplessa.

- Vuole che mi segga sulle sue ginocchia per rinfrescarle la memoria? Lei stava da tre anni ad Oxford, ma quel Natale si riunirono.  Ed il vecchio amico, a cinquant'anni, aveva avuto una figlia. Forse non lo ricorda, perché probabilmente quel giorno lei arrivò, salutò e se ne andò, come fece mio padre alcuni anni dopo.

- Dove vuoi arrivare?- domandò l'agente senza sapere cosa pensare.

La voce di Hannah suonò come una sentenza.

- Domani ci sarà un incidente sull'Atlantico. Un aereo militare spagnolo esploderà per un cortocircuito del motore sinistro direzione aeroporto internazionale John Foster Dulles di Washington. I suoi tre passeggeri moriranno nell'incidente: un medico russo, un burocrate egiziano ed il pilota delle Forze Aeree Spagnole.

Mulder la guardò intensamente negli occhi.

Eccoci di nuovo. Altre rivelazioni, altri segreti. Ma questa volta non era un vecchio senza nome né un'impiegata dell'ONU.

Era quella ragazzina.

E gli stava raccontando di nuovo una piccola parte della cospirazione.

Ma non poteva crederle. Non voleva farlo. L'ultima volta che l'aveva fatto era stato sul punto di perdere( di nuovo) la sua compagna, in un incubo di sabbia, neve e api. Non era disposto a farlo succedere ancora. Quella era stata l'ultima volta.

Parlò con risentimento.

- Menti.

Hannah sollevò un sopracciglio in un gesto che a Mulder risultò stranamente familiare.

-E' questo che crede?

Mulder si inalberò e, senza controllarsi, avanzò deciso verso la ragazza obbligandola a accostarsi contro la parete. Avvicinò così tanto il suo viso a quello di lei che quasi urtavano. Parlò con durezza e molto velocemente, quasi violento.

- E cosa vuoi che creda? Non sei altro che una bambina che racconta storie che nemmeno capisce.

- Lei lo ha detto, sono solo una bambina. Ho sedici anni- sibilò lei con il respiro agitato dovuto alla inaspettata reazione dell'agente- Mi dica, perché mi sarei inventato tutto questo?

- Dimmelo tu.

- Lei ebbe fiducia in mio padre e scoprì tutta la verità sul cancro nero e la vaccinazione. Ebbe fiducia nel suo assassino e riuscì a salvare Scully. Perché non può aver fiducia in me dopo tutto quello che le ho detto?

Mulder respirò profondamente. Aveva fiducia. Chiaro che aveva fiducia. Ma non voleva farlo. Era già abbastanza. Non poteva rischiare ancora. Non voleva rischiare di perderla di nuovo.

- Come sai tutto questo?- domandò stanco, cercando di mostrarsi scettico, ma senza riuscirci, incastrando con rapidità i pezzi di quel rompicapo, ricordando volti e date.

Hannah inclinò il viso bruno sul suo, e Mulder potè sentire il respiro della bella ragazza quando parlò in un tono caldo e sussurrante che lui non seppe interpretare.

Enigmatico e ambiguo.

Esattamente uguale a lei.

- Io so molte cose, agente Mulder.

E si scostò da lui con dolcezza, sfiorandolo.

I suoi passi suonarono smorzati dalla suola di gomma degli stivali di pelle nera, senza tacchi, che attraversavano la sala e si dirigevano verso la porta a due battenti.

Mulder seguì con lo sguardo quella figura alta e slanciata che si allontanava con falcate fluide ed inquiete, e ne riconobbe un'altra, più alta e più vecchia, che era ricorsa a lui pentita alcune settimane prima.

La porta si chiuse con un rumore sordo, e Mulder sospirò davanti alle poltrone vuote.

***

Piazza de las Cortes
Madrid
8:46 pm

A quell'ora il centro di Madrid era un fiume di affluenti caotici, illuminati dai fari delle macchine che si ammucchiavano in file disordinate, suonando i clacsons nelle rotonde e gli incroci della strada. Tutti uscivano dal lavoro e si dirigevano verso casa, tutti erano irritati per la tempesta che continuava a imperversare, agitandosi nell'aria inquinata che si perdeva in quel cielo plumbeo.

Una BMW nera, con i finestrini oscurati e targa diplomatica, passò davanti al Congresso dei Deputati, l'imponente palazzo la cui scalinata principale era fiancheggiata dalle statue in bronzo di due leoni che posavano la loro zampa su una palla di cannone, immersi nella luce di vari fari.

Ayman Rashwan osservò con i suoi occhi neri le fiere che erano state fuse utilizzando le armi dei nemici della Spagna. Il suo autista guidava la macchina blindata verso Barajas, dove un aereo militare lo aspettava su una pista privata. Rashwan doveva andare a Washington D.C. per ragioni diplomatiche, stringere alcune mani davanti alla stampa e cercare di addolcire la cosa trattando con una coppa di vino bianco tra le mani lontano  dagli occhi dei giornalisti.

Quando si fu seduto nell'aereo delle Forze Aeree, sorrise al suo accompagnatore, un uomo tronfio, abbastanza più vecchio di lui, con le tempie argentate e spessi baffi, che era concentrato sullo schermo del suo pc portatile. Rashwan, facendo mostra delle sue doti di diplomatico, cercò di intavolare con lui una conversazione. Il viaggio prometteva di essere lungo.

- Lei parla inglese?

Quell'uomo immenso distolse lo sguardo dal computer e lo guardò infastidito con degli occhi grigi, quasi trasparenti.

- Sì.

Rashwan gli tese la mano senza cancellare il sorriso dalle sue labbra.

- Ayman Rashwan- si presentò.

L'uomo gli strinse la mano con esitazione.

- Gavrilov, Sergei Gavrilov- disse con un marcato accento russo.

 - Burocrazia?-  domandò con complicità.

- Ricerca scientifica- sibilò seccamente.

E si concentrò di nuovo sul portatile.

Rashwan sospirò mentre si abbottonava la cintura di sicurezza.

Quel viaggio prometteva di essere molto lungo.

Incontri

"Avete percorso la strada che porta dal verme all'uomo, e molte cose in voi continuano ad essere un verme"
Fiedrich W. Nietzsche

Washington Square Hotel
New York
2:06 a.m.

Fox Mulder prese il telefono che stava sul comodino della sua stanza e fece un numero che sapeva a memoria da vari anni. Mentre aspettava, ruppe un seme di girasole tra i denti e sputò il guscio con noncuranza sul piccolo mucchio che si era formato sul suo stomaco, stretto in una maglietta grigia.

Due squilli.

Un altro seme moriva nella sua bocca a forma di onda.

All'inizio del terzo squillo, una voce assonnata rispose.

- Pronto.

- Ti ho svegliato?- domandò mentre sputava il guscio di nuovo su di lui.

- No, stai parlando con il mio subcosciente- gli rispose ironicamente.

- Bene, lui dice sempre la verità. Dimmi una cosa, hai fantasie? Con chi e dove?

Mulder potè immaginare il sorriso leggermente ironico della sua compagna all'altro lato del telefono a vari chilometri di distanza.

- Molto divertente.

Basta così. Quello indicava che gli scherzi insinuanti finivano lì e che non dovevano passare al livello successivo " insinuazioni vere e proprie". A partire da lì, la piega della conversazione doveva cambiare. Tutti e due lo sapevano. Facevano così da più di cinque anni. Questa volta toccava a lui cambiare direzione.

- Cosa hai fatto oggi?-domandò mettendosi un altro seme in bocca.

- Niente di speciale, sparare ai cattivi e salvare la ragazza- la voce di scully suonò chiara e burlona.

- E nel frattempo non ti hanno assegnato nessun caso?

- No. Ma ho buone notizie. Rapporti arretrati. Giovedì sulla scrivania di Skinner senza fallo alle otto di mattina.

- Yehaaa- disse Mulder senza nessun entusiasmo.

- Come è andata la conferenza?

- E' stata molto...-pensò ad Hannah- informativa.

- A che ora parte il tuo aereo?

-Alle sei.

- Bene, allora arriverai puntuale per aiutarmi con l'affascinante lavoro che ci ha assegnato Skinner, vero?

-Certamente, collega.

Mulder riattaccò senza salutare, come sempre. Fissò lo schermo del televisore, senza suono, che emetteva immagini di un film di serie B. Ruppe un altro seme con aria assente.

Tutto continuava uguale.

Gli stessi scherzi allusivi ma controllati, il cameratismo complice, i riferimenti obbligati al lavoro per autoconvincersi che non parlavano nel cuore della notte perché avevano bisogno di sapere che uno pensava all'altro mentre stavano a letto; svegli o fingendo di dormire.

In un'altra epoca gli sarebbe bastato per sentirsi felice e riuscire a dormire almeno un paio di ore di seguito dopo la loro chiacchierata notturna in cui parlavano di tutto e di niente. Ma ora non era così. Chiamarla a quell'ora era un loro rito particolare, così necessario come l'aria che respirava, ma non lo tranquillizzava più, invece faceva girare il suo cervello iperattivo, perché appena pochi giorni prima una conversazione nel corridoio del suo edificio aveva cambiato tutto tra loro. In apparenza non era così, dato che Scully continuava ad essere quella di sempre. Così che lui finse che non era successo niente, e la normalità continuò ad abitare tra loro. Forse non ricordava quel " Mi mantieni onesto" né quel" Non so se voglio fare questo da solo, nemmeno so se posso". Forse nemmeno ricordava il bacio interrotto da quell'ape inopportuna. Ma lui sì ricordava tutto, fino all'ultimo dettaglio: la camicia che le usciva dai pantaloni, in un modo disordinato e stanco atipico in lei, la sua voce abbattuta e sconfitta, l'abbraccio che confortava, il lieve sfiorarsi delle loro labbra prima che lei svenisse e la portassero lontana da lui. Lo ricordava, e questo lo faceva disperare.

Dovevano parlare, dovevano mettere le cose in chiaro. E poi dopo, doveva baciarla una maledetta volta, perché era insopportabile averla vicina tutte le mattine e non poterla toccare.

Mulder cercò il telecomando tra le lenzuola sgualcite del letto, troppo grande per dormire da solo. L'hotel era abbastanza buono, la sua stanza dava su Washington Square, la celebre piazza del Greenwich Village che stava di fronte all'Università di New York, divisa in numerosi edifici. Trovò il telecomando sotto i calzini. Lo puntò verso il televisore ed incominciò a fare zapping. Pubblicità, un film italiano senza sottotitoli, notizie Fuoco e fumo sulla superficie del mare, ed un messaggio che lampeggiava sul margine inferiore dello schermo:INCIDENTE AEREO DAVANTI ALLE COSTE DEL NEW JERSEY. Mulder fece un salto ed alzò il volume.

- ...questa notte- diceva una voce femminile- L'aereo militare era partito da Madrid alle 22:30, ora spagnola. Secondo fonti dell'esercito spagnolo, viaggiavano due passeggeri ed il pilota dell'Aviazione Militare. I passeggeri erano civili, di nazionalità egiziana e russa- Mulder si alzò dal letto. I gusci umidi gli caddero sui jeans e sulla moquette, alcuni rimasero appiccicati alla maglietta- Testimoni oculari assicurano che quando l'aereo è precipitato in mare già era parzialmente avvolto dalle fiamme. Le ricerche ed il recupero inizieranno domattina presto per mancanza di luce, ma il dantesco spettacolo cancella già qualsiasi speranza di trovare qualche sopravvissuto. Come sempre in questo casi, si dovrà aspettare che la scatola nera spieghi l'incidente che, come siamo stati informati, è successo….

Mulder tolse il volume al televisore e prese il telefono, marcò il numero con gli occhi fissi sullo schermo.

-Scully, sono io.

- Mulder, dovresti bere latte caldo prima di andare a letto. Aiuta a conciliare il sonno e così lasci dormire anche me.

- Senti, dovrò prendere un altro aereo, così che arriverò tardi. Dillo Skinner.

- Succede qualcosa?

- Ora non posso spiegartelo.

- Bene, e si può sapere quanto è "tardi"?- domandò lei un poco irritata.

Mulder fece una smorfia. Lo sapeva, lo sapeva. Scully si offendeva quando le nascondeva qualcosa. Lavoravano da più di cinque anni insieme. Erano compagni. Si supponeva che avevano fiducia l'uno nell'altro.

- Non lo so, dipende da quando chiudono Tiffany's- Mulder si sentì tremendamente stronzo. Tipico di lui, togliere importanza alla cosa con battutacce.

Potè avvertire il sorriso amaro che Scully gli dedicava dal suo appartamento da Georgetown.

-Mulder, ti ricordo che non stiamo nella migliore delle situazioni- disse tra i denti- Spero che tu sappia quello che fai.

La donna riattaccò seccata.

Lo sapeva, maledizione, lo sapeva. E lei aveva ragione, come sempre. Il suo ufficio era stato incendiato, gli XFiles chiusi, e, dopo l'odissea che avevano vissuto giorni prima, li avevano riaperti. Mulder doveva guadagnarsi a viva forza che li riassegnassero di nuovo a Scully ed a lui. E questa cosa non sarebbe stata un punto a suo favore. Ma doveva rischiare.

***

103 Jackson Avenue
Queens, New York

7:24 am

Il sole saliva pigro, nascosto dietro le nuvole, e il cielo era una volta grigiastra che si librava sulla strada tranquilla e silenziosa. Case unifamiliari, spaziose e confortevoli, in cui vivevano gli impiegati del Distretto Finanziario, fiancheggiavano Jackson Avenue, larga ed infinita.

Hannah aveva le mani nella giacca a maglia di color granato. Camminava guardandosi i mocassini neri, curva per il peso dello zaino che portava sulle spalle, e la pelle dorata delle gambe si era rizzata li dove non le copriva la gonna grigia dell'uniforme. La cravatta era troppo stretta intorno al collo inamidato della camicia, bianca a maniche lunghe. Detestava quell'uniforme. Portava i capelli pettinati con una fila al centro e fermi con due forcine su entrambi i lati del viso. Sbuffò. Doveva sembrare una bambina.

Man mano che avanzava verso la fermata degli autobus, la sua testa ricordava le nozioni che si erano infilate a forza quella notte. All'inizio del corso e già avevano messo loro un esame a sorpresa di filosofia da un giorno all'altro.

E poi chiedono che senso ha la vita.

"L'eudomonismo aristotelico deriva da una parola greca che significa felicità. Per Aristotele, la finalità del comportamento etico consiste nel raggiungere la felicità, e questa risiede nella virtù"

Un motore ruggiva dietro le sue spalle, qualche metro più indietro.

"Aristotele intende dire che bisogna cercare la perfezione, che si trova nel giusto equilibrio dello sviluppo delle nostre capacità."

La macchina avanzava lentamente dietro di lei seguendola di nascosto.

Hannah non si girò a guardare. Si tese e accelerò il passo. Era da un mese che temeva questo momento.

- Vai ad una scuola privata?

La voce maschile le fece fare un salto. Presto la riconobbe. Continuò a camminare, questa volta più piano, mentre Mulder continuava ad avanzare in prima, accanto a lei e guardandola attraverso il finestrino aperto del copilota.

- Non glielo ho detto, agente Mulder?- domandò Hannah con comica affettazione in quella voce incisiva.- Mio padre passava a mia madre cinque bigliettoni tutti i mesi per sostenere la mia educazione, il mio mantenimento ed altri capricci dell'età. Conserva ancora una buona pensione.

- In cambio di cosa?- domandò lui. Forse era meglio reggerle il gioco.

- Per non vedermi mai più. Per la mia sicurezza, diceva. Che delicatezza, non crede?

Mulder continuava a guidare accanto a lei. Guardò il profilo della ragazza, che aveva gli occhi di miele fissi di fronte a sé.

- Voglio che tu venga con me, Hannah- disse senza giri di parole.

- Agente Mulder, è una proposta?- domandò lei con un sorriso lupesco disegnato sulla bocca ampia, girando la testa verso di lui.

- Andiamo, sai già a cosa mi riferisco.

La ragazza si concentrò sui sampietrini del selciato.

- Devo andare in classe, ho un esame- mormorò

- Tu sapevi che sarebbe accaduto, sapevi che sarebbero morte queste persone. Me lo hai detto-insisteva Mulder- Come lo sapevi, Hannah?

Ma lei continuava a camminare, con le labbra strette e le mani nelle tasche della giacca.

Mulder alzò la voce.

- Era Kurtzweill, vero? Tuo padre era Alvin Kurtweill.

Hannah si fermò bruscamente, come se quel nome avesse azionato una molla.

L'agente verificò sollevato che aveva sortito effetto.

- Te lo ha raccontato lui?

La ragazza gli rivolse uno sguardo cupo che spense lo scintillio dei suoi occhi dal taglio orientale.

- Non so niente di lui da dieci anni.

Per Mulder i pezzi non incastravano.

- Allora come hai saputo tutto questo?

I suoi caldi occhi castani lo guardarono imperturbabili, senza battere ciglio.

- Semplicemente lo sapevo.

Entrambi stettero zitti alcuni istanti. Mulder abbassò la voce, cercando di creare un clima di fiducia, facendo sì che suonasse come una supplica e lei non potesse rifiutarsi. Qualcosa gli diceva che era vicino, molto vicino. L'insicurezza che aveva sentito la notte anteriore, quando l'adolescente gli si era presentata, era scomparsa quando aveva saputo dell'incidente solo alcune ore prima.

-Hannah- pronunciò il suo nome quasi con complicità- mi hai detto che sapevi molte cose. Ed io ho bisogno di saperle- gli occhi da gatto la fissarono- Non puoi lasciare che tutto questo vada avanti.

Si domandò quanti sentimenti passarono in quegli occhi arabi, che continuavano a sembrare impavidi e diffidenti, velati dalle spesse ciglia.

Improvvisamente, Hannah si girò lentamente e lanciò un'occhiata furtiva verso la sua casa, per assicurarsi che sua madre non la guardava dalla finestra della cucina. Allora mise una mano, lunga e bruna, sulla porta del copilota e piegò il viso verso l'interno della macchina.

- Ora non possiamo parlare- sussurrò con la sua cadenza dinamica- domani andrò a Washington con la scuola. Jefferson Memorial, alle dieci in punto.

Mulder annui con la testa e la ragazza riprese a camminare senza salutare, con i suoi passi felini e leggeri.

***

Jefferson Memorial
Washington D.C.

10:02 am

Non so a che gioco sta giocando, ma a volte riesce a darmi su i nervi. E' come uno di quei bambini agitati ed iperattivi: all'inizio ti divertono e ti risultano teneri, ma arriva un momento in cui l'unica cosa che vuoi è appenderli ad un attaccapanni perché ti lascino un attimo di tranquillità.

Quando sono arrivata questa mattina al laboratorio mi sono meravigliata che Mulder non fosse lì. Anche se sono puntuale, lui è solito arrivare al lavoro quasi un'ora prima degli altri. Tempo fa, perché il suo cervello aveva bisogno di essere occupato pensando ed analizzando mucchi e mucchi di casi irrisolti che aveva in quello schedario metallico, perché non ha mai sopportato restarsene a casa, ed evita ad ogni costo di restarci più del necessario. Almeno in quei fogli non c'è spazio per essere assalito dai suoi demoni personali. Ora, invece, tutta la sua energia è diretta a recuperare e ricomporre questi files che qualche mese fa furono vittime delle fiamme e dell'odio di un uomo che non merita tale nome. Ed io dedico ogni mattina ad aiutarlo, per raccogliere prove sufficienti che gli permettano di riavere il suo ufficio.

E' così, il suo ufficio.

C'è stato un tempo che questo mi dava fastidio. Ora non più.

Ora mi da fastidio che mi risponda evasivamente, che vada di fretta e che non voglia affrontare me. E quello che accadde pochi giorni fa.

Ieri abbiamo passato tutto il pomeriggio davanti al computer, a redigere rapporti. Il pomeriggio, sì, perché è arrivato a Washington alle due circa. Ha detto che non aveva trovato il biglietto. E' arrivato con il suo pranzo pieno di colesterolo in un sacchetto di carta unta ed ha preso la metà dei rapporti. Niente. Nemmeno una spiegazione. Mi ha parlato solo per domandare qualcosa circa il lavoro e per dire qualcuna delle sue battute, che ieri sono state particolarmente maliziose.

Quando era a New York mi ha chiamato due volte. La prima è stata la sua solita chiamata di rigore che aspetto sempre sveglia. La seconda è stata quella che mi ha meravigliata.

Ho avvertito urgenza nella sua voce, e anche una contenuta emozione.

Aveva scoperto qualcosa. E, come sempre, mi aveva dato fastidio che non me lo raccontasse. E ancora di più quando è trascorso più di un giorno e ha continuato a non raccontarmi niente.

E' apparso quando Skinner ci stava aspettando da più di mezz'ora lanciando maledizioni su tutta la nostra famiglia. Io mi sono lamentata. Lui mi ha rivolto un sorriso che mi disarma sempre. Mi ha mantenuto la porta ed è andato con me verso l'ascensore. Ha domandato molto educatamente alla segretaria di Skinner se potevamo entrare in ufficio, questa ci ha risposto con tono di rimprovero che il Vicedirettore era uscito da dieci minuti. Stufo di noi due, ho completato io dentro di me.

A volte ti odio profondamente, Mulder.

Lui ha cercato di discolparsi con la sua faccia di cane bastonato. Ci è riuscito, ma io ho finto, come sempre, che con me non la vince.

La verità è che mi piacerebbe essere ribelle come lui, sfidare il sistema che ci sta provocando così sfacciatamente. Questi rapporti sono solo una scusa per farci perdere tempo, per allungare il nostro lavoro con i resti degli XFiles, per complicare la nostra raccolta delle prove. Persino Skinner è una marionetta nelle mani di questi uomini.

Mi piacerebbe avere l'arroganza e l'anticonformismo di Mulder, ma se agiamo in maniera viscerale invece di morderci la lingua e piegarci, le cose andranno peggio. Dobbiamo fare quello che vogliono, o ci renderanno tutto molto più difficile.

Appena un'ora dopo essere arrivato, ha preso la sua giacca dallo schienale della sedia.

"Aspettami al Jefferson Memorial alle dieci".

E se n'è andato voltandomi le spalle.

Ho detto che lo odio?

Non è altro che una delle sue manie paranoiche. Crede che desti sospetti che lasciamo tutti e due l' J Edgar Hoover insieme senza un motivo apparente, potrebbe sembrare che andiamo a incontrare una delle nostre fonti senza nome, o che abbiamo un caso di cui non li abbiamo informati. Per questo esce mezz'ora prima di me. Mi domando quando si renderà conto che l'unica cosa che provochiamo nelle guardie di sicurezza dell'ingresso e negli agenti che entrano è una risata.

Così che sto qui, congelandomi con il mio impeccabile vestito blu mare, troppo leggero per l'autunno che sembra stia arrivando più presto del solito. La statua di Thomas Jefferson posta al centro del pantheon mi guarda con sufficienza.

Hai ragione, Tom. Veramente nemmeno io so che ci faccio qui a quest'ora.

- Che ci fa una ragazza come te in un posto come questo?

La voce suona cupa nel locale di marmo grigio e rosa, e mi giro.

Mulder si avvicina salendo le scale. Mi domando se sa quanto mi colpisce quello che sto vedendo. Ha la giacca grigio cenere sulla spalla sinistra e la mantiene con la mano, lasciando scoperto il suo rolex. La camicia azzurra ha le maniche rimboccate fino al gomito. Ed io morta di freddo. Non so se sarà perché lui misura venti centimetri più di me, ma la cosa sicura è che per quel che riguarda la temperatura ambientale non siamo d'accordo. Sale relativamente rigido e mi guarda intensamente. Dio, sono più di cinque anni che lavoro con lui e ancora non mi sono abituata a quello sguardo. So che non è per me, non è altro che il riflesso del suo cervello che sta macchinando qualcosa da chissà quanto tempo, ma la verità è che anche così questi occhi mi spiazzano e mi fanno fare, incoscientemente, un passo indietro.

- Aspettavo il mio compagno, un tipo tremendamente poco puntuale.

- Va bene, tira fuori la frustra e picchiami.

Potrei approfittare di ciò che hai detto, Mulder, ma dobbiamo cambiare il verso della conversazione. Sono le regole che, incoscientemente, abbiamo creato. Non più di tre insinuazioni al minuto.

- Spero che tu abbia una buona scusa. Temo che Skinner sia abbastanza arrabbiato.

Sento come alcune foglie secche si schiacciano e scricchiolano per terra. Mulder gira la testa verso le scale e dopo mi dedica uno dei suoi sorrisi saccenti, come il secchione della classe che alza la mano quando il professore domanda qualcosa che nessuno sa.

- Scully, ti presento la mia scusa.

Alzo il sopracciglio e vedo quello che appare dietro di lui, mentre sale le scale di freddo marmo con le gambe più lunghe che ho visto in vita mia. Viso spigoloso dagli zigomi alti. Labbra umide. Occhi incredibilmente brillanti ed allungati, di un colore che ho visto solo nel legno più nobile. Pelle bruna. Troppo per quest'epoca dell'anno. Deduco che è il suo tono naturale. Capelli lisci, belli, che le coprono la metà della schiena e scostati dal viso con due forcine. Vestita da studentessa. Stupendo. La fantasia di qualsiasi uomo e l'incubo di qualsiasi moglie.

- Hannah O'Fallon- dice lui.

O cancelli quello stupido sorriso dal tuo viso o ti sparo, Mulder.

- Agente Scully, ero impaziente di conoscerla.

Il mio sopracciglio minaccia di scapparmi dalla fronte. Ad un esame preliminare c'è da aggiungere una voce pungente e sfacciata, senza arrivare ad essere volgare.

Il mio sorriso non è stato mai così forzato.

- Veramente?- dico. Punto gli occhi su Mulder.- Ebbene, Mulder? Vuoi presentarla anche a Skinner insieme ai rapporti che sta aspettando?

Mulder allarga le braccia, come se volesse abbracciare tutte e due.

- Perché non facciamo una passeggiata?

***

Alcune persone in tuta facevano jogging vicino al lago, dove le barche a remi rimanevano ancora legate al piccolo molo di legno. Non c'erano ancora turisti con macchina fotografica. Un paio di studenti ripassavano il loro appunti seduti sul prato, e sorrisero quando videro da lontano quella studentessa. " Un'altra che ha marinato la scuola", pensarono. Dopo si resero conto che stava con i suoi genitori.

Hannah camminava in silenzio tra i due agenti dell' FBI, con le mani infilate nelle tasche di un montgomery di flanella grigio scuro che portava aperto sulla gonna di lana e la camicia bianca. Mulder spiegava i fatti a Scully, che aveva verificato un poco mortificata che, malgrado i sui considerevoli tacchi, alla ragazzina mancava poco per raggiungerla. Santa Vergine, questa bambina doveva misurare un metro e settanta. E doveva ancora crescere. Scosse la testa e prestò attenzione a quello che diceva Mulder.

-... sono morti tutti e tre. Immagino che avrai sentito la notizia.

- Sì- mormorò lei.- I testimoni dicono che l'aereo è precipitato in mare con l'ala sinistra in fiamme. Suppongo a causa del motore. Per quello che stai insinuando, lo avrebbero manomesso, ma hanno dovuto farlo in Spagna - la sua voce suonò dubbiosa.

- E così è stato- intervenne Hannah.

L'agente sembrò sorpresa per la risposta.

-Ma chi? E come?

Hannah disegnò un sorriso lupesco sulla sua bocca carnosa.

- Quelli di sempre, agente Scully. Ci sono collaboratori in tutto il mondo: Francia, Giappone, Venezuela. Un gruppo ridotto, ma molto vario.

- L'incidente è una copertura. Volevano disfarsi di qualcuno- disse Mulder.

- Sergei Gavrilov- intonò quella voce affilata e sarcastica.

Entrambi la guardarono.

- Dopo essere andato in giro per tutta l'Europa facendo conferenze sulla genetica doveva volare fino a Washington per continuare il giro- lei scosse il capo mostrando una finta pena- Che peccato, non credete?

- Genetica?-indagò Scully incastrando i pezzi.

- Le conferenze erano un'altra copertura- continuò lei- Gavrilov apparteneva ad un gruppo di scienziati russi che lavoravano alla vaccinazione. Un viaggio direttamente da Mosca agli Stati Uniti avrebbe dato da pensare al Sindacato. Per questo l'hanno camuffato facendo scalo a Vienna, Monaco, Milano e Madrid. Buona idea, ma non abbastanza per confonderli. Il buon dottore era un'eminenza in genetica, voleva solo…- abbozzò un sorriso torvo- venire a scambiare impressioni.

Dana Scully non credeva a ciò che sentiva.

-Hanno ucciso tre persone per fermare quest' uomo?

Hannah si fermò al sentire la domanda, e gli agenti la imitarono. La sua bella capigliatura si disfaceva in boccoli sul cappuccio del montgomery. Emise una sonora risata, grave e roca, che ad entrambi gli agenti sembrò strana per una ragazza della sua età.

Troppo affettata.

-perché le sembra così incredibile? Questi uomini hanno venduto la loro anima al diavolo- disse con una smorfia che pretendeva essere un sorriso. – Si sono trasformati in quello che saremo tutti quando inizierà la colonizzazione: corpi senza cuore né coscienza. L'unica cosa che li differenziano è che conservano il loro cervello e la loro volontà, mentre noi saremo degli automi schiavi per qualche ora, prima che ci squarcino il torace.

Scully sentì un brivido, non solo per l'immagine profetica che Hannah aveva disegnato dell'immediato futuro, ma per il modo in cui l'aveva detto. Freddo e disincantato.

-Migliaia di anni di evoluzione e in fondo l'essere umano continua ad essere un verme- disse Hannah con ripugnanza.

Mulder, che era rimasto zitto a pensare, sembrò improvvisamente aver capito qualcosa.

- Hanno scoperto qualcosa, vero? – Scully ed Hannah lo guardarono, ma lui era concentrato sulla ragazza- Gli scienziati del Sindacato si sono imbattuti in qualcosa.

Lei lo guardò negli occhi, impassibile. Mulder desiderò fervidamente che gli rispondesse. Ma la ragazza si limitò a fare scivolare lo sguardo fino all'orologio sul polso snello e scuro. Un orologio elegante, al titanio.

Molto caro, osservò Scully.

Come gli orecchini di oro bianco alle orecchie e la scuola come suggerivano la sobria uniforme e i mocassini di pelle.

- Devo andarmene- Disse, e sollevò quegli impressionanti occhi mogano verso gli agenti.- Sarà già mezz'ora che mi cercano.

Fece mezzo giro e si allontanò con la sua maniera di camminare da gatto, sinuosa ed astuta, e Mulder ricordò Kurtweill avvolto nel suo impermeabile che abbandonava il vicolo umido e maleodorante in cui gli aveva rivelato la fine del mondo.

Una fine che quella figura svelta e di cinquant'anni più giovane sembrava conoscere molto bene.

Penombra
"A mio giudizio, sì esiste il crimine perfetto"
Edgar Alan Poe

 

Colonial Village
Arlington, Virginia
10:51 am
 
Non smetteva di piovere, rumorosamente, pesantemente. Nella radio suonava una vecchia canzone dei REM. Il caffè fischiava nella piccola cucina.
Anne Becquer uscì di corsa dal bagno, avvolta solo in un asciugamano e con i capelli corti e biondi che gocciolavano sulla nuca. Spostò la caffettiera dalla piastra ed aprì l'armadietto che stava sul lavello per cercare una tazza.
Aveva ventiquattro anni, un titolo di segretaria internazionale e molta esperienza. Non avrebbe fatto fatica a trovare un nuovo lavoro, ma preferiva andare nel Vermont, dove suo zio aveva bisogno di un'impiegata per la piccola libreria  che aveva appena aperto a Bristol. In altre circostanze, ad Anne sarebbe parso di retrocedere nelle sue aspirazioni, ma la verità era che ora aveva bisogno di andarsene di lì, allontanarsi da tutto, dimenticare tutto.
Aveva già parlato con il padrone di casa, che molto amabilmente non aveva posto nessun impedimento che lei lasciasse la mansarda. Era sempre parso un buon uomo e questa cosa glielo aveva confermato.
Gli occhi chiari si scontrarono con una tazza in ceramica bianca con una stampa dell' Empire State. Sentì che il cuore le faceva una capriola. Alvin gliel'aveva portata dal suo ultimo viaggio a New York. Ricordava ancora l'euforia del vecchio quando era arrivato allo studio quel giorno. L'aveva vista vicino alla scuola, ed era bellissima. Non potè evitare di scoppiare a piangere al ricordare l'immagine della figlia. Era sempre stato così. Parlava di lei con un'adorazione esaltata che finiva in un pianto pieno di colpevolezza.
Anne sentì che le salivano le lacrime agi occhi e presto la sola idea di bere o mangiare qualcosa le diede nausea. Non poteva dimenticare tutto, non mentre aveva ricordi tangibili di lui.  Ma nemmeno se ne poteva liberare, era passato troppo poco tempo. Se sentiva ancora incapace.
Sospirò profondamente mentre guardava il suo piccolo appartamento dal bancone di formica della cucina americana. Il divano verde e il tavolino di cristallo che stava davanti al televisore e la libreria si vedevano enormemente nudi, senza la coperta a quadri né il posacenere pieno di cicche e senza il disordine dei libri e i CD che si ammucchiavano sugli scaffali. Accanto al divano c'erano un paio di scatole chiuse con nastro adesivo in cui aveva conservato le sue cose. Tre valigie l'aspettavano nella stanza, situata vicino al bagno, con il suo confortevole letto di ferro battuto, con il suo armadio con le ante di vetro e i suoi quadri di cavalli a cui era affezionata. Quella mansarda era stata la sua casa negli ultimi due anni. Aveva finito per adorare lo scricchiolio dei listelli di legno del pavimento, il tetto spiovente dipinto color senape, il grandissimo finestrone da  cui vedeva il Potomac, più in là i tetti degli edifici vecchi ed anneriti. Ricordò il giorno in cui era arrivata dal Kentucky, affascinata e perplessa come una bambina in una grande città. Ricordò l'avviso sul giornale, lo studio medico bianco, il colloquio con quel dottore cadaverico con la bocca grande. La cosa più simile ad un genitore che aveva avuto da molto tempo, da quando aveva perso tutti e due a vent'anni.
Scosse la testa e si diresse verso la camera. Si sarebbe vestita, avrebbe caricato il suo bagaglio in macchina e avrebbe preso l'autostrada per Bristol, dove l'aspettavano i suoi zii ed una nuova vita. Doveva farsi coraggio, affrontare la realtà e salvarsi la vita, per quanto fosse doloroso. Alvin così avrebbe voluto.

***

New York City
11:02 am

Il cielo che minacciava pioggia era il motivo per cui aule e corridoi erano intasate di alunni che chiacchieravano, ridevano e mangiavano biscotti e patate fritte. Quattro ragazze erano riunite intorno ad un paio di banchi, situati vicino alla porta di una delle aule.

- Finalmente è venerdì- sospirò Carol, piccolina e con gli occhiali.

-Sì, e senza esami a sorpresa in vista- aggiunse Amy.

-Non cantare vittoria così presto- disse Hannah

-Guastafeste- replicò lei arricciando il naso.

Hannah le restituì la smorfia tirando fuori la lingua.

- Hai ragione- disse Ashley, dagli enormi occhi verdi- Non avete visto come era emozionato ieri il signor Weissmuller? Che cosa scommettete che ci assegnerà un lavoro sul Campidoglio?

-Preferisco che sia sull'FBI, è meno noioso- rispose Carol.

***

Lexington Park, Maryland
11:04 am

Bussarono alla porta un paio di volte. La coppia, vestita di scuro, si trovò davanti una donna vicino ai cinquanta, vestita con una vestaglia di felpa ed una sigaretta accesa tra le dita. Li guardò con sdegno.

-Signora Simmons?- domandò la giovane dai capelli rossi mostrando il suo distintivo- Sono l'agente Scully e lui è il mio compagno, l'agente Mulder. Siamo dell'FBI.

Guardò il distintivo dell'agente e gettò un'occhiata all'uomo alto con una smorfia annoiata che si appoggiava alla ringhiera della veranda. La signora Simmons si scostò dal viso una ciocca di capelli scoloriti e radi e fisso di nuovo la donna dai capelli rossi.

-Ebbene?- chiese grossolanamente.

Scully lanciò uno sguardo furtivo al suo compagno e cercò di fare in modo che la sua voce continuasse a suonare cortese.

- Stiamo investigando su un caso di frode. Crediamo che i truffatori alterino le bollette telefoniche con la pirateria informatica. Ha ricevuto qualche chiamata da un numero sconosciuto?

La donna fece una lunga tirata alla sigaretta e espulse il fumo dal naso, con la bocca chiusa.

-No.

Scully represse la tosse. Mulder sbadigliò alle sue spalle senza nasconderlo.

-Possiamo vedere la bolletta del telefono?- insistette.

La signora Simmons scomparve nell'ingresso. Si sentì un aprire e chiedere di cassetti finchè non tornò alla porta con alcune carte in mano, che allungò a Scully bruscamente.

- Me la paga lei?- la canzonò.

Scully dette un'occhiata ai numeri di telefono. Nessuna traccia del prefisso che utilizzavano i truffatori. Nessuna tariffa fuori della norma. Guardò la signora Simmons e sorrise leggermente.

- Tutto in ordine. Molte grazie e ci scusi per il fastidio- disse restituendole la bolletta.

La donna le tolse di mano le carte bruscamente.

- Ed in questo sprecano il denaro dei contribuenti? Guardare bollette?- disse seccamente.

E seduta stante sbatte loro la porta in faccia.

Scully sbatté le palpebre.

- Mi piace questo lavoro-la voce di Mulder suonò terribilmente cupa ed ironica alle sue spalle.

***

Arlington, Virginia
11:09 am
 
Anne chiuse con forza la porta del bagagliaio della sua piccola macchina sportiva, un modello europeo del 95 blu, ed aprì quella del conducente. Avrebbe trascorso molte ore al volante, per cui portava vestiti comodi: jeans, un grossa giacca di lana e stivali da montagna. Mise la chiave nel contatto, avviò il motore e la voce chiara di Elton John accompagnato dal suo inseparabile piano riempì la macchina.
Parlava di un'Irlanda lontana e maltrattata, crocifissi, sangue e fantasmi.
Anne distolse lo sguardo dei suoi occhi trasparenti dall'edificio coloniale che si alzava, antico e maestoso, affacciato sul Potomac.  Pigiò l'acceleratore.

All I see are dirty faces / rain and wire / and common sense in pieces / but I try to see trough Irish eyes, Belfast

Pioggia e ferro filato nell'isola smeraldo.
Morte e distruzione annunciate in un'Apocalisse orchestrata in anticipo.

***

New York
11:18 am

La conversazione era frivola, ma non innocente. Le ragazze ridevano con malizia e valutavano la mercanzia quasi con lascivia.

- Mi aspettavo qualcosa di più dai federali- disse Amy con finta delusione.

Ashley sorrise sfacciatamente.

- Io credo che ce n'erano di abbastanza "boni".

Le altre risero. Carol si chinò in avanti e parlò sussurrando.

- Chi è “bono” è il nuovo giardiniere- i suoi occhi brillarono birichini dietro le lenti degli occhiali.

Guardarono furtivamente verso il corridoio. Il ragazzo stava sistemando una delle piante che stava vicino alla porta aperta dell'aula, apparentemente concentrato sul suo lavoro. Doveva avere circa venticinque anni e lavorava nella scuola dall'inizio dei corsi. Non era passato inosservato, con quei capelli biondo cenere e quei jeans aderenti che facevano sospirare perfino le insegnanti.
Amy guardò Hannah, che era seduta su una delle panche e faceva dondolare le gambe.

-Tu cosa ne pensi?

Hannah posò gli occhi sul ragazzo e incontrò quelli di lui, di colore azzurro molto scuro. Nessuno dei due trasalì. Hannah curvò le labbra sfacciatamente prima di rispondere.

- Preferisco David Duchovny.

***

Statale 235, Maryland
11:19 am

Mulder guidava con lo sguardo fisso di fronte a sé. Scully ammirò il suo profilo e la smorfia di rabbia e noia, che faceva piegare in maniera buffa quelle labbra a forma di onda.

- Ci rimangono ancora due case, Mulder- disse lei per cercare di addolcire la situazione.

- E poi? Ci manderanno a controllare la produzione del latte del Wisconsin?

- Andiamo Mulder. Hanno chiesto unicamente la nostra collaborazione in questo caso.

- Guardare bollette?- la sua voce, sarcastica e un poco indispettita, fece eco alla signora Simmons- Questo lo fa chi sta alle prime armi, Scully. Non ti rendi conto che ci stanno facendo perdere tempo?

Scully non si alterò.

- Chiaro che me ne rendo conto. Nello stesso modo in cui mi rendo conto che dobbiamo agire come loro vogliono altrimenti tutto sarà molto peggio. Quanti più ostacoli mettiamo loro, ancora di più ne metteranno a noi, e in questo modo non riavremo mai gli XFiles.

La sua voce suonò tagliente ma dolce, razionale, coerente. Molto"Scully".
Mulder continuava a tenere lo sguardo fisso sull'asfalto bagnato. Il silenzio occupò uno spazio tra loro per vari secondi.
Scully potè sentire gli occhi color oliva del suo compagno fissi su di lei. Girò la testa e s'incontrò con uno dei suoi sorrisi ambigui.

- Anche tu adori questo lavoro, vero?- la voce di Mulder era rugosa e sarcastica come quella di un buffone di Corte.

L'agente vide compiaciuto come quegli occhi azzurri gli sorridevano prima di rispondere.

- Ci credo.

***

Autostrada 29, Virginia.
11:20 am
 
Non aveva avuto problemi ad immettersi in autostrada da Colonial Village. Era abbastanza vicina e non aveva incontrato nessun semaforo rosso. A quest' ora tutti erano a lavoro e c'era appena un poco di traffico. Cominciava a piovere un'altra  volta, ma non le importava. Accelerò un poco e sorpassò un camion. Sarebbe arrivata alla frontiera del Vermont nel pomeriggio e prima delle sette sarebbe stata a Bristol.
Erano anni che non passava là le estati. Ricordava appena la casa dei suoi zii, salvo il profumo dei fiori. Si poteva sentire il loro odore dal letto, prima di aprire gli occhi.

***

New York
11:20 am

- Di cosa parlate, ragazze?- domandò Liam, che entrava in classe insieme a Joe.

- Di "boni"- rispose Ashley

- Allora me ne vado, non mi piace essere il tema della conversazione- disse Joe sorridendo.

- Nei tuoi sogni- lo prese in giro Carol.

- Mi dispiace per te, Joe, parliamo di attori.

Amy pensò a quello che aveva appena detto,.

- Perchè non andiamo al cinema stasera?

***

Statale 235, Maryland
11:20 am

- E per cambiare argomento- disse Scully- Ti ha contattato di nuovo la tua giovanissima informatrice?

- Ti punge la curiosità, eh?- domandò lui con un sorriso malizioso.

- La curiosità uccise il gatto. Te l'ho detto già ieri: mi incuriosisce molto questa ragazzina. Non so se ci ha raccontato la verità o se sta giocando con noi.

- A cosa? A predire il futuro? Perchè la storia dell'aereo è stata abbastanza indovinata. Credo che le chiederò di comprarmi un biglietto della lotteria.

Scully scosse dubbiosa la testa con un lieve sorriso. E lui glielo restituì.

- Non so, Mulder. Tutto questo mi sembra un film.

***

In lontananza, davanti a lei, una macchina segnalò di essere in difficoltà. Anne pigiò il pedale del freno per rallentare. Aggrottò la fronte.
Mancava  qualcosa.

***

- E cosa vediamo?- domandò Hannah

- Tutto meno Meg Ryan, per favore- disse Liam.

-Allora cosa? Una di poliziotti d'acciaio che non si spettinano e saltano dirupi con la moto?- propose con ironia Ashley.

- Molto meglio di quelle cose sdolcinate, mi fanno venire il mal di testa- replicò il ragazzo con una smorfia.

***

- Ma è un buon film, Scully. Ho il presentimento che siamo vicini a qualcosa.

***

Tornò spingere con il piede sul pedale. Il freno non rispondeva. Pigiò di nuovo con più forza.

***

- E perchè non vediamo " Il negoziatore"?- suggerì Joe

Amy  alzò il sopracciglio.

- Azione?

- E' il meglio. Tensione e corse contro il tempo.

***

-Un Oscar?- indagò Scully inarcando un sopracciglio.

***

Anne vide come si avvicinava pericolosamente alla macchina davanti. Schiacciò il freno freneticamente.

- Andiamo!

Appena un paio di metri.

***

- E sangue-  completò Hannah.

***

Mulder le rivolse uno sguardo beffardo.

 - Alla migliore sceneggiatura originale.

***

Autostrada 29, Virginia
11:21 am
 
Dette un colpo al volante verso sinistra prima di andare a sbattere contro l'altra macchina. Prese in pieno il guard-rail e l'automobile  saltò per aria.
Fece due giri su se stessa.
Cadde nella corsia opposta. Varie macchine dettero un colpo di freno.
L'autostrada rimase piena di vetri rotti e pezzi di plastica. Si sentiva l'odore di pneumatici bruciati. La pioggia si mischiava con la benzina e l'olio denso. La macchina blu era un ammasso di ferro contorto. Vari guidatori uscirono nervosi dai loro veicoli. Un uomo si avvicinò tremando. Tutti parlavano gridando, tiravano fuori i loro cellulari, e chiamavano i soccorsi.
L'uomo scrutò quell'immagine dantesca. Non vedeva le vittime.
Il tettuccio della macchina era schiacciato sull'asfalto.

***

103, Jackson Avenue
Queens, New York
9:54 pm

- Hannah?

Grace  O'Fallon si affacciò dall'alto delle scale sul suo elegante ingresso, ma da lì riusciva a vedere solo la cassa antica, dove stavano alcune fotografie incorniciate, e l'entrata del salone. Aveva sentito la porta di rovere chiudersi e, anche se erano passati dieci anni, non poteva evitare di rabbrividire.

-Sì, mamma- rispose la ragazza con un tintinnare di chiavi.

Vestita di scuro e con i capelli raccolti in una coda di cavallo, Hannah si avvicinò alle scale, la madre vedendola respirò profondamente. Tanti anni e tutto continuava uguale. Sempre in tensione, sempre all'erta.

- Com'era il  film?- domandò cercando di sorridere.

Sua figlia si strinse nelle spalle.

- Troppo stupido. Spari e testosterone.

Grace la guardò con un’ombra tremolante nelle sue iridi grigie.
A volte per lei era incredibile pensare che era solo un'adolescente. Apparentemente era una ragazza sana di sedici anni, bella e senza preoccupazioni, che studiava ed usciva con gli amici. Ma Grace sapeva che non era altro che una facciata. Che cosa avrebbe dato per averla allontanata dal quell'inferno molto prima d'averne avuto coscienza, per proteggerla da questa pazzia, per darle una vita normale, sicura e confortevole come quella che avevano i suoi compagni di classe, e evitarle gli incubi che assalivano entrambe ogni notte. Così almeno avrebbe sofferto solo lei e non avrebbe dovuto vedere sua figlia disincantata davanti ad un futuro inevitabile.
Hannah sostenne lo sguardo per alcuni secondi. Sempre arabo, intenso ed astuto.
Come una  volpe  acquattata.

"Quando mi dirai cosa ti frulla in testa, vita mia", pensò Grace. "Quando mi lascerai esorcizzare i tuoi demoni". 

- Tesoro, ascolta, io vado a letto- disse con un sospiro-. La cena è in frigo.

E fece per girarsi.

-Stai bene?

L'enigmatica voce di sua figlia le provocò un brivido che le attraversò la schiena. Il tono era affilato e tagliente, come sempre, ma gli occhi color mogano denotavano preoccupazione.
Grace sorrise debolmente per alleggerire la cosa. Sembrava stanca, pallida in contrasto con l'accappatoio marrone, e la chioma che le sfiorava il mento. Come un'apparizione, maestosa e spettrale allo stesso tempo, in alto sulle scale.

- Sì, cara. Mi fa solo male la testa.

La luce di uno dei fanali della strada entrava attraverso la finestra, filtrando tra le stecche di ciliegio delle persiane e bagnando la cucina di luci ed ombre. Senza togliersi la giacca di pelle, aprì il frigo e vide una insalatiera e alcune filetti di vitello in un piatto coperto da una pellicola di plastica trasparente. C'era anche un enorme pezzo di torta al formaggio che era avanzata dal giorno prima. Hannah mise uno dei filetti in un piatto e lo infilò nel microonde, mentre con un cucchiaino provava la torta.
Deliziosa.
Il ronzio costante del microonde vibrava nella cucina, rustica ed ampia, avvolta nella penombra. Si portò un altro pezzo di torta in bocca ed il sapore del formaggio e lo sciroppo di fragole si sciolsero in bocca. Il microonde si fermò e fece suonare il campanello. Hannah stava per lasciare il piatto della torta sul marmo per tirar fuori la cena, ma si fermò.
Un rumore.
Tese l'orecchio. Un grillo gemeva nascosto nel giardino. Lontano nell'altra via, una macchina correva sulla strada bagnata. No, non c'era niente di strano.
Lasciò il piatto sul marmo e si girò per aprire la porta del microonde. Allora spalancò gli occhi e sentì come le si gelava il sangue.
Dei passi. Lenti, attenti.
Qualcuno stava salendo le scale dall'ingresso.
Cercò di stare tranquilla, convincersi che era sua madre. Ma il senso pratico era più forte. Non l'aveva sentita scendere prima. Inoltre, nessuno commina in questo modo in casa propria.
No, no, no.
Quello non era senso pratico. Non era altro che la paranoia che aveva accumulato da quando era bambina. Non c'era nessuno in casa sua, salvo lei e sua madre. Sicuramente Grace aveva dimenticato qualcosa nell'ingresso o nel salone ed era scesa quando il microonde era in funzione. Il ronzio aveva  coperto i suoi passi. Ed ora stava salendo di nuovo. Non era altro che questo. Ma , perché camminava con tanta attenzione, cercando di non far rumore?
Hannah sentì che il polso accelerava e incominciò a respirare agitatamente. Non poteva lasciarsi prendere dal panico. Doveva cercare di pensare con chiarezza.
Se qualche estraneo era entrato avrebbe dovuto sentire come forzava la porta, o al meno lo stridere dei cardini. Nello stesso modo in cui sentiva un passo dietro l'altro, che avanzava per le scale. Non aveva sentito niente di tutto questo. Così che si trattava di sua madre. Ma il microonde aveva potuto coprire anche il suono della porta.
Il cuore pulsava sempre più rapido e la mente di Hannah funzionava agilmente. I suoi sensi a poco a poco si acuirono ancora di più sotto l'effetto dell'adrenalina. Le pupille si dilatarono, e l'udito riuscì a percepire un leggero respiro.
Un coltello. Doveva prendere un coltello per difendersi. No, no. Se si scontrava con l'intruso, questi avrebbe potuto usare il coltello contro di lei. Aveva bisogno di qualcosa di legno, qualcosa per colpirlo. Il matterello ed il mortaio erano nei cassetti.

"Ma mi sentirà aprirli", pensò

Doveva aver sentito anche il microonde in moto. Ma poteva aver pensato che, chiunque stesse sopra, poteva aver qualcosa che si stava riscaldando in cucina. Forse pensava che c'era una sola persona in casa. Ma come sapeva che stava sopra? Se aveva sentito rumore in cucina perché saliva nelle camere da letto?

"Smettila di pensare sciocchezze" si rimproverò. Doveva cercare qualcosa per difendersi, presto. Cercò nella penombra.

La luce.
Sua madre  aveva la luce della stanza accesa. La cucina continuava a stare al buio, illuminata solo dalla luce della strada. Per questo saliva. Era convinto che c'erano loro due soli.
Hannah disse a se stessa che aveva fatto bene. L'intruso non si aspettava che lei gli apparisse dietro, e il semplice fatto di aprire un cassetto avrebbe denunciato la sua presenza. Forse aveva il tempo di chiamare la polizia prima di salire dietro di lui.
Sentì i passi sulla sua testa. Già stava nel corridoio.

"Merda"

Camminò silenziosa fino all'ingresso. Si guardò intorno, pensando in fretta. Qualcosa di grande, qualcosa di grande e pesante.
Lo senti avanzare. La camera di sua madre stava in fondo al corridoio.
Vide l'orribile maschera tribale che era appesa sul baule. Era di legno, massiccio. Sarebbe servita.
La suola di gomma degli stivali smorzava il rumore dei suoi passi sulle scale. Uno scalino scricchiolò sotto i piedi e Hannah trattenne il respiro.
Niente.
L'intruso non l'aveva sentita. Continuava ad avanzare nel corridoio. Forse era già sulla porta della stanza.
Hannah finì di salire, silenziosa ed agile come un gatto, e s'incollò al muro quando raggiunse il secondo piano. Non lo vedeva. Stava dentro.  E chissà da quanto tempo stava lì. Forse abbastanza.
Respirò profondamente e afferrò con forza l'enorme maschera. Si diresse con cautela nella stanza di sua madre. Stretta alla cornice della porta,  si dispose ad entrare tenendo in alto la sua arma improvvisata. 
Niente.
Cercò con lo sguardo qualche ombra che l'aspettasse nascosta, pronta a darle il colpo fatale. Ma vide solo sua madre, coricata nel letto con la luce del comodino accesa. I suoi muscoli si rilassarono immediatamente. Hannah abbassò la maschera ed andò verso il letto.
L'aveva immaginato? Era paranoica?
Si avvicinò alla madre e verificò che non c'era sangue nè ferite. L'osservò dormire. Grace giaceva con un'espressione serena sul viso di porcellana, le morbide spalle nude rassomigliavano alla seta bianca delle bretelle della sua camicia da notte. La ragazza la guardò attentamente, con adorazione, come se fosse un quadro o una statua, l'opera d'arte di un genio. Una madonna. 
Un angelo.
Allungò un braccio e le scostò con attenzione una ciocca bionda dalla fronte. Fu allora che i suoi occhi di mogano si tinsero di nero.
Le labbra di lei non si muovevano, e nemmeno il petto.

- Mamma?- gemette spaventata.

Un'ombra si agitò sulla finestra.
Il suo cuore si fermò. Ebbe solo il tempo per abbassarsi. Quando la porta del terrazzo si aprì, Hannah scivolò sotto il letto della madre.
Attraverso la frangia della coperta poté vedere degli stivali militari che avanzavano piano. Il suo corpo si tese, sentì il battito impazzito sulla tempia sinistra, nei gangli delle tempie. I battiti risuonavano nella sua testa con violenza. Il respiro divenne rumoroso, troppo. Gli occhi si riempirono di lacrime e soffocò un singhiozzo che prometteva di essere molto sonoro. Si portò il pugno alla bocca e strinse i denti, forte, molto forte.
Una lacrima incominciò a scivolarle sulla guancia. Il dolore acuto si stendeva per la mano.
Gli stivali si fermarono, a meno di un metro da lei. Il suo cervello pensò rapidamente. Tutte e due le stanze dividevano il terrazzo. L'intruso aveva sentito rumori ed era uscito per sorprendere la sua successiva vittima dal balcone.
L'aveva sentita. Sapeva che era lì.
Ed ora la stava cercando.
Sua madre giaceva morta sopra di lei e quell'intruso pensava di ucciderla. Non era un furto, né uno stupro. Era un omicidio premeditato. Su commissione.
Quello che entrambe temevano da anni.
Hannah pregò che uscisse dalla camera e che andasse a cercarla nell'altra stanza. Pregò perché le desse il tempo di scappare.
Il cuore le batteva sempre più in fretta e il suo respiro era più violento. Doveva star iperventilando. Continuò a mordersi il pugno con forza e sentì il sapore salato del sangue sotto il palato e sulle labbra. Un filino umido e caldo le scivolò tra le dita man mano che le lacrime le ritornavano negli occhi.
Gli stivali neri si muovevano verso il letto. Hannah spalancò gli occhi, invasi quasi completamente dalle pupille nere.

"Sto per morire"

L'intruso si fermò accanto al letto. La ragazza poteva vedere chiaramente i lacci disuguali degli stivali ed l'orlo sfilacciato dei jeans. Il materasso scricchiolò su di lei e chiuse gli occhi.
Era la fine.
Aspettò che una mano potente la strangolasse o le rompesse il collo. Che un proiettile l'attraversasse il petto o le facesse saltare la testa.
Il materasso torno a stridere, distendendo le molle, e si sentì di nuovo i passi.
Aprì gli occhi cristallini per le lacrime.
Gli stivali si allontanavano dal letto ed andavano verso il corridoio.
Hannah rotolò per terra ed uscì dall'altro lato, vicino alla finestra. Si avvicinò gattoni rapidamente. Affannava. Non poteva evitarlo.
Si mise in piedi al raggiungere la porta di vetro socchiusa ed uscì sul terrazzo. L'aria fredda la ricevette con uno schiaffo che lei gradì. Percorse a grandi passi la distanza che la separava dalla ringhiera e si affacciò.
C'erano più di tre metri d'altezza. Rimase paralizzata, senza sapere cosa fare. Il suo respiro aumentò ancora di più e sentì che tutto crollava davanti a lei. Sua madre era morta. Non aveva vie d'uscita. Sarebbe morta. Aveva sedici anni e sarebbe morta. Se saltava si sarebbe rotta l'osso del collo. Se entrava, l'intruso l'avrebbe fatta fuori. Sua madre era morta, e anche lei lo sarebbe stata. Non aveva scappatoie. Era bloccata.

"Sto per morire" si disse. Ed incominciò a singhiozzare.

-Sto per morire- gemette con disperazione.

Scoppiò a piangere, terrorizzata. Non sentiva niente, solo i suoi gemiti e il suo respiro. E quelle insopportabili pulsazioni che le rimbombavano nel cranio.

- Ti tengo - mormorarono trionfalmente dietro di lei.

Hannah non volle guardare l'intruso. Senza pensarci, appoggiò la mano alla ringhiera di pietra e saltò.

Silenzi
“Affannano la nostra anima, scavano i nostri corpi
La meschinità, la colpa, la stupidità, l'errore,
e, come i mendicanti nutrono i loro pidocchi,
i nostri rimorsi compiacenti nutriamo"
Charles Baudelaire 
 
 
Cadere, galleggiare.
Sentire l'eternità sotto i tuoi piedi.
Sentire, vedere.
Accarezzando l'abisso.
Sfiorando le sue pareti sanguinanti.
L'infinito si apre davanti a me.
Ho le ali spezzate.

***

103, Jackson Avenue
Queens, New York
10:13 pm
 
Il rumore fu sordo, e il colpo secco.
Sentì un dolore acuto alla caviglia, come se le avessero perforato l'osso. Era questo quello che si sentiva quando si attraversava la soglia?
Faceva freddo e poteva sentire l'erba bagnata sotto le mani. Un grillo cantava, alcuni colpi le rimbombavano nel petto.
Il suo cuore.
Si lamentò e fece appello a tutte le sue forze per alzarsi.

"Corri"

Hannah ignorò l'intenso dolore e cominciò a correre per il prato del giardino. Sentì l'intruso bestemmiare affacciato alla ringhiera e affrettarsi verso l'interno. In meno di un minuto l'avrebbe beccata.

"Non fermarti" si disse." Corri"

Il giardino non le era mai apparso così grande. Il cancello d'entrata sembrava stare a chilometri da lei. Hannah correva senza guardare indietro, chiedendosi se il rumore che sentiva lo faceva lei o significava che l'intruso già la stava inseguendo sul prato. I suoi piedi erano più grandi, le sue gambe più lunghe. L'avrebbe raggiunta subito. In appena un paio di secondi. E l'avrebbe uccisa con le sue stesse mani.
Hannah emise un suono gutturale quando andò a sbattere contro il cancello. Mise il piede su una delle sbarre di ferro e si spinse per raggiungere con le mani le punte delle frecce con cui finivano. Ci passò sopra tutte e due le gambe e saltò dall'altro lato. Il contatto secco con il suolo fu un'altra frustata alla caviglia e si sentì incapace di sostenere il suo peso su di essa.
Sentì il prato che si schiacciava sotto gli enormi stivali militari.

"Corri"

Il freddo tagliava il respiro, che continuava ad essere senza controllo, e le passava affilato sulle guance, come coltelli di ghiaccio. Le sue gambe correvano, correvano senza fermarsi.
Sentì un rumore metallico ed un colpo secco. Aveva saltato. Andava dietro di lei, sempre più vicino. E Hannah era sempre più stanca.
Jackson Avenue era deserta. I funzionari e gli impiegati della Borsa erano tranquilli nelle loro case, godendo una cena familiare o vedendo la televisione via cavo. La luce fioca dei lampioni era l'unica testimone della sua corsa contro la morte. 
Lo sentiva affannare alle sue spalle. Gli stivali colpivano il suolo con violenza. Poteva spaccarle il cranio con un calcio. Sentiva quasi l'alito sul collo ed una mano enorme afferrarla con forza. Hannah avvertì una stilettata nello stomaco. Il cuore stava per uscirle dal petto. Ogni volta che appoggiava il piede per terra, aveva voglia di gridare. Lo sentiva sempre più vicino. Non volle guardarsi indietro.

"Più veloce. Corri, più veloce"

Hannah poteva vedere la fine del viale e l'incrocio con la statale 25, che portava a Queensboro Bridge. Lì di solito c'erano dei taxi. Un ultimo sforzo. Solo un altro poco.
L'intruso grugniva quasi. Le sue gambe si muovevano con forza e avanzavano agilmente. Hannah  vide un taxi parcheggiato in fondo alla strada. Il dolore parve diminuire un poco davanti a quella visione. Ancora qualche metro e sarebbe stata in salvo.
I suoi occhi si tinsero di nero. Il taxi si mise in moto e cominciò ad andare verso la statale. Hannah corse ancora di più ed il dolore divenne insopportabile. Un crampo le salì dalla caviglia fino al ginocchio. Sentiva il petto oppresso. Non poteva respirare. Davanti a lei ogni cosa perdeva il suo contorno, come se stesse dietro un vetro appannato o una cortina di acqua. L'ansimare violento dell'intruso suonava come un eco, senza sapere molto bene da dove veniva, lo sentiva di fianco, davanti a lei, vicino al suo orecchio.
Il taxi frenò bruscamente ed i pneumatici stridettero sull'asfalto umido.
Una ragazza era uscita dal niente con le mani tese. Aveva un'espressione terrorizzata sul viso e gli occhi spalancati. Lei si girò e s'infilò nel veicolo.

- Che diavolo ti succede? Non vedi che avrei potuto ucciderti?- domandò l'uomo un poco irritato.

- A Manhattan. Presto.- Disse affannosamente.

Ebbe paura di guardare dal finestrino. Affondò nel sedile e chiuse gli occhi, mentre il tassista mormorava qualcosa a bassa voce ed avanzava verso Queensboro Bridge.
Poteva sentire ancora i suoi passi, che correvano indemoniati dietro di lei.
Il suo cuore rimbombava con violenza e sentì un dolore lacerante nel petto. Non poteva muovere la caviglia senza che lacrime enormi le bagnassero le guance. La testa pulsava, aveva nausea e vertigini.
Ma era viva. Viva.
Fece un profondo respiro e godette dello strappo che senti nel petto e del dolore che pulsava nelle tempie.

"Sono viva"

***

Autostrada 95, New Jersey
oo:17 am

Li separavano quasi 400 chilometri e questo faceva sì che lui si disperasse ancora di più. Aveva avuto la fortuna di non imbattersi in nessun’auto della polizia perché gli avrebbero fatto una multa monumentale. Mancavano poco più di 100 chilometri per arrivare, e ed era partito da Alexandria da appena due ore, da quando aveva riattaccato il telefono.

"L'hanno uccisa" gli aveva detto una voce rotta. "Non so che fare"

Le linee discontinue dell'asfalto sparivano sotto la Ford Taurus, ingoiate dai pneumatici a gran velocità.
Era appena arrivato a casa quando era suonato il telefono, non aveva avuto il tempo nemmeno di sedersi né di cambiarsi il vestito. Senza esitare neanche per un attimo, senza avvertire Scully, aveva preso il cappotto che aveva buttato sul divano ed abbandonato l'appartamento, disposto a guidare fino a New York, da dove Hannah gli aveva telefonato. Ancora non sapeva cosa avrebbe fatto con lei. Nemmeno sapeva cosa diavolo faceva in autostrada, guidando come un pazzo, invece di averle detto di chiamare la polizia e di raccontare loro quello che era successo.

***

Dette piccoli colpi impazienti con i pollici  sul volante.
Non capiva  quello che faceva. Non comprendeva perché lo faceva.
La conosceva appena. Un paio di incontri furtivi e rivelazioni dosate. Allora, cosa diavolo faceva in macchina?
Tre giorni. Tre giorni fa non sapeva dell'esistenza di quella ragazza. E non è che la prima volta gli era piaciuta, per essere precisi. Troppo sfacciata, troppo furbetta. In altri tempi gli sarebbe sembrata divertente, ma in quel momento gli aveva dato su i nervi.
La verità era che l'aveva sorpreso della sua stessa reazione, stringendola contro il muro del palco. Non voleva nemmeno pensare come sarebbe apparsa la scena vista da fuori. E se fosse entrato qualcuno nel salone? Probabilmente, a quest'ora avrebbe avuto una bella denuncia per molestie con intimidazione verso un minore. Perché si era comportato così? Perché era "saltato"? Era solo una bambina. O no?
No, Mulder. Una bambina non si dedica a questi giochetti. Non gioca al so-qualcosa-che-tu-non-sai con uno sconosciuto che ha il doppio della sua età.
E lui era nervoso. Nervoso ed abbattuto dopo l'incendio del suo ufficio, dopo gli avvenimenti di Dallas e di quello che aveva scoperto in Antartide. Dopo questi mesi di tensione accumulata. E perdite. E nuove ed orribili rivelazioni. Troppo disparate e non potevano essere vere.
Ma lo erano, e quello l'aveva fatto sentire fuori posto. E si sentiva ancora così.  
E dopo tutto questo arriva una ragazzina che  gli parla in codice e lui scoppia.
Logico. Normale. Chiunque l'avrebbe fatto.
O no?

"L'hanno uccisa. Non so che fare"

Quelle parole gli tornarono in mente, scuotendolo improvvisamente.
Com’era  suonata diversa. Sempre così astuta, enigmatica e latrice della carta vincente nascosta nella manica. Così intera, così fredda. Così irreale per un'adolescente. Così da film.
L'hanno uccisa. Non so che fare.
Quello sì che era da film.
Era stata l'unica cosa che aveva detto, ma sufficiente perchè a Mulder si gelasse il sangue e sentisse un brivido. Poteva immaginare l'odissea che aveva vissuto, il suo mondo fatto a pezzi in pochi minuti. Aveva potuto dividere la disperazione silenziosa che la ragazzina aveva cercato di nascondere dietro la voce  rotta.
Lui aveva sentito la stessa cosa. Molto tempo prima, quando sua sorella era sparita davanti a lui. Anni dopo, quando Scully gli era stata strappata dagli stessi uomini che gli avevano tolto Samantha. Appena un anno prima, quando delle radiografie gli avevano mostrato la crudele malattia che l'avrebbe minata a poco a poco. La telefonata che l'aveva avvisato che era in ospedale, morendo.  E solo alcuni giorni prima, quando era svenuta tra le sue braccia e l'avevano portata via davanti ai suoi occhi in un inferno di ghiaccio.
Minuti, secondi, istanti in cui ti senti cadere verso un abisso infinito mentre il mondo continua il suo corso, ignaro del tuo dolore.
L'hanno uccisa, non so che fare.
Nemmeno lui lo sapeva.
Mancavano appena 50 chilometri. Tra pochi minuti sarebbe stato con lei. Forse allora lo avrebbe saputo.

***

Dean&Deluca
121 Prince St
Manhattan
1:02 am
 
Non fece fatica a trovare la caffetteria dove gli aveva detto che stava. S'incontrarono molto vicino all'hotel dove era stato, in una delle piccole strade di SoHo, piena di gallerie d'arte ed edifici con facciate di ferro battuto straordinariamente decorate. Quando scorse Haughwort  Building, fatto di porcellana e vetro, capì di essere arrivato. Dean&DeLuca stava dietro, nella strada successiva. 
Un ventenne vestito con una maglietta ed un berretto neri della catena di ristorazione gli rivolse uno sguardo stanco e continuò a passare lo straccio umido lungo il bancone. Dietro di lui si sentivano voci e porte metalliche che si chiudevano, in cucina. Tutte le sedie erano alzate, appoggiate sottosopra sui tavoli.
La trovò in fondo alla caffetteria, immersa in una sedia e con lo sguardo perso più in là della tazza che aveva davanti. Il suo aspetto era impeccabile come sempre. Pantaloni neri a righe e la giacca di pelle su una camicia granata. Si avvicinò a grandi passi.

-Hannah- pronunciò il  suo nome con dolcezza, come se avesse paura che potesse rompersi davanti a lui come vetro.

La ragazza sbatté le palpebre e sollevò lo sguardo, confusa e disorientata, come se si fosse appena svegliata, con la coda di cavallo che le raccoglieva i capelli disfatta. I  suoi occhi si erano anneriti e sembravano più grandi di prima, il viso affilato più piccolo. All'inizio lo guardò sfuggente e paranoica, come un animale spaventato, poi sembrò che l'invadesse una calma improvvisa. 
Mulder faceva scorrere nervoso gli occhi su di lei, cercando contusioni e tagli. Apparentemente  non aveva niente.

- Stai bene?

Hannah distolse lo sguardo ed assentì con la testa. Mulder abbassò una sedia da uno dei tavoli e sedette di fronte a lei. Arrivarono al suo orecchio i mormorii infastiditi del ragazzo, che continuava a passare lo straccio svogliatamente. Lo ignorò e intrecciò le mani, vicino alla tazza di Hannah, che la ragazza sembrava non aver toccato. Aveva il volto asciutto, intatto, senza tracce di lacrime. Nemmeno nei suoi occhi che sembravano due specchi neri velati da spesse ciglia.

-Hai chiamato la polizia?

Sospirò affannosamente e mosse la testa negando.
Mulder le guardò la fronte tersa e bruna, l'attaccatura dei capelli, le sopracciglia sottili e ben disegnate, e le palpebre sotto cui cercava di nascondere gli occhi terrorizzati. Voleva farle tante domande. Cosa era accaduto e chi l'aveva fatto. Come era lei arrivata fin lì. Chi altri lo sapeva. Chi aveva avvertito. Che diavolo faceva lui là, guardandola e domandandolo a se stesso. Ma non poteva. Hannah era morta di paura. Avevano appena ucciso sua madre. Forse davanti ai suoi occhi.
La scrutò, cercando trovare un tremito incontrollato, qualche segno che rivelasse che stava in stato di shock. Non sembrava.
Non ancora.
Voleva allungare la mano per toccarle la pelle delle guance e controllarle la temperatura, ma si contenne. Allora la vide muovere le labbra.

-Ho paura- confessò con un filo di voce.

La ragazza sollevò la testa e Mulder s'incontrò con quegli occhi enormi pieni dell'antracite delle pupille dilatate.

-Non  so in chi avere fiducia.

Mulder sentì il desiderio di prender quel viso piccolo e bruno tra le mani. Comprendeva quell'orribile dolore  che sembrava irradiare dai suoi gesti, dalle sue parole, dalla sua voce soffocata.

- Sai che puoi aver fiducia in me. Per questo mi hai chiamato- la sollecitò lui.

Lei sostenne il suo sguardo con intensità, valutando, dubitando di tutto, di se stessa.

-Scusate- una voce impaziente alle sue spalle fece in modo che Mulder facesse un salto e si girasse. Il ragazzo si era tolto il berretto e portava una giacca di jeans sulla maglietta di Dean&Deluca- Devo chiudere.

- Certo, certo- Mulder si mise in piedi senza vacillare e tirò fuori il portafoglio- A te, e tieni il resto.

Il ragazzo abbozzò un sorriso a vedere il biglietto che quel tizio gli tendeva.
Mulder diresse uno sguardo significativo ad Hannah, aspettando che si alzasse. La ragazza appoggiò entrambe le mani al tavolo e si tirò su, mentre faceva una smorfia di dolore.

-Che ti succede, Hannah?- Mulder si affrettò a prenderla per un braccio- Ti fa male qualcosa?

Lei fece di no con la testa e strinse il braccio di Mulder impacciata. E quando fu in piedi, si sfilò con abilità e delicatezza. Il primo contatto fisico che quei due sconosciuti avevano avuto in tre giorni era durato appena due secondi.
Tre giorni.
Erano tre giorni che la conosceva ed ora l'aveva nelle sue mani. Dipendeva da lui. Così aveva voluto lei. Aveva chiamato solamente lui.
Perchè avevano ucciso sua madre e non sapeva cosa fare.
Perchè aveva fiducia in lui.
O no?
Sentiva ancora la pelle nera della giacca sotto la mano. E la mano di lei, ossuta e lunga, dalle dita tese, che si afferrava a lui con una forza che gli sembrò enorme per un'adolescente.
Paura? Puro istinto? Si sarebbe afferrata nello stesso modo al ragazzo che era rimasto incantato  dalla sua mancia? O al tavolo?
Le luci cominciavano a spegnersi.
Aveva fiducia in  lui? Cosa si aspettava che succedesse ora? Dove pretendeva andare? Che voleva fare?
Alcune voci riempirono la caffetteria al buio. Due ragazze uscivano in strada ed aspettavano il loro compagno chiacchierando tra loro.

"Non so che fare"

Mulder si incontrò nel buio con lo sguardo inquisitore del ragazzo, che rimaneva in piedi vicino alla porta aperta. Hannah prese ad andare davanti a lui, zoppicando.
La seguì e vide brillare davanti a lui i suoi capelli, illuminati dalla pallida luce della luna che entrava attraverso le persiane. Da  vicino sembravano più chiari, di un  colore simile al legno di mogano, brillati e segosi, allentati intorno all'elastico che li sosteneva.

***

L'autunno si avvicinava a passi da gigante. Faceva freddo. I tre impiegati di Dean&Deluca andarono via parlando lungo Prince Street senza nemmeno salutare quei due clienti nottambuli. Una quindicenne che sembrava aver visto un fantasma e un uomo che era andata a cercarla ma con il quale sembrava avere poco familiarità. Avevano parlato appena, si erano toccati appena.
Che gente strana c'era a New York.

"E che tipi affascinanti" pensarono le due ragazze guardando quello estraneo con la coda dell'occhio mentre il loro compagno si lamentava del padrone.

Hannah sembrava rannicchiarsi contro il muro della caffetteria. Aveva le mani nascoste nelle tasche della giacca di pelle, che si confondeva nell'oscurità con il vestito nero di Mulder.
Mulder cercava di pensare. Con gli occhi fissi su quella gazzella scura e spaventata.
Quello che doveva fare era chiaro. Portarla alla polizia, denunciare l'omicidio della madre, investigare, metterla sotto protezione. Questo era quello che doveva fare come cittadino, come agente del FBI, come persona razionale e sensata.
Era quello che doveva fare, ma non quello voleva fare. Per un semplice motivo.
Non voleva che Hannah morisse.
Far bene le cose a priori avrebbe fatto in modo che si complicassero a posteriori. Rendere pubblico l'omicidio della madre e la minaccia che pesava su Hannan era un errore. Già lo era che fosse scappata. Denunciarlo sarebbe stato come metterle un’insegna a neon sulla testa con la scritta:" Sto qui. Sparami". Doveva stare nascosta. Anche se lui stesso dovesse incaricarsi di scortarla notte e giorno, anche se fosse diventato la sua ombra, se lo faceva sotto "l'ufficialità" del FBI avrebbe potuto contare sulle dita di una mano le ore che Hannah sarebbe vissuta. Sarebbe arrivato alle orecchie degli assassini della madre. Sempre succedeva. Per questo doveva fare tutto a modo suo.
Mulder allungò un braccio verso di lei, volendo prenderla per le spalle per guidarla. Ma non lo fece. L'invitò a camminare con il palmo della mano aperta.

-Andiamo.

***

Piazza Lincoln Center
Manhattan
1:42 am
L'intruso bestemmiava.
L'aveva persa.
La figlia di puttana correva a tutto spiano. E lui aveva perso del tempo prezioso contemplando incredulo come si alzava dal prato, dopo aver saltato quando l'aveva sorpresa sulla terrazza. 
Da dove cazzo era uscita? Chi era? Un maledetto fantasma che  camminava senza far rumore? Perché non era rimasta a piagnucolare accanto al cadavere di sua madre?
Era sveglia. Molto sveglia.
Salvarsi il culo invece che arrendersi a sentimentalismi che non portano da nessuna parte.
Morta. E finita. Voltiamo pagina. Bisogna continuare il gioco.
Quella ragazza sapeva giocare.
Ed anche correre. Con quelle gambe chilometriche che sembravano crescere continuamente.
Da lontano, l'aveva vista fermare un taxi ed infilarsi dentro. Non aveva potuto raggiungerlo. E Manhattan è molto grande.
Il piano era semplice. Uccidere la madre, rapire la figlia, farla confessare, liberarsene. Quattro passi facili. Aveva sbagliato il secondo.
Ci sono giochi in cui non è permesso sbagliare.

***

Mount's Motel
Autostrada 1
Lawrenceville,  New Jersey
2:07 am
 
Il motel era piccolo e di aspetto meschino. Addirittura miserabile. Meglio così. La poca clientela che aveva non ci avrebbe prestato attenzione.
Avevo paura di andare al mio appartamento. Chi sa quanti uomini c'erano lì intorno. Non desideravo scoprirlo.
Non ha detto niente per tutto il viaggio. Si è mossa appena, con lo sguardo perso in qualche punto dell'autostrada  buia e deserta che si apriva davanti a noi. Il suo silenzio, invece, sembrava gridare il dolore insopportabile che sente. Lo vedo nei suoi occhi, nella sue labbra strette.
A volte il silenzio può fare più rumore del tuono più rabbioso.
Giro intorno alla macchina e le apro la porta. Si sostiene al freddo metallo e cerca di mettere il piede destro per terra. Facile. Appoggiare il sinistro sarà peggio. Mi fa male vedere la faccia che fa. Stringe i denti e lancia un debole gemito. Allora mi metto accanto a lei e le passo un braccio intorno alla vita. Ha una corporatura molto sottile. Sotto la stoffa della camicia, sento i fianchi appena formati e  il morbido muscolo che le copre appena le ossa. Si appoggia alla mia spalla con la mano magra e  tesa. Fa un paio di saltelli in avanti appoggiandosi al piede destro, per permettermi di chiudere la porta.
Non mi dice niente del motel. Le sembrerà bene? Le sembrarà male? O sperava che facessi qualche altra cosa? Voleva andare alla polizia? O voleva che io decidessi per lei?
Suppongo che se non ha detto niente è perchè ha fiducia in me. Se non fosse cosi, avrebbe domandato dove stavamo andando quando siamo usciti da New York, o mi avrebbe lanciato quello sguardo atterrito che non l'ha abbandonata per tutta la notte. Ma era rimasta in silenzio, guardando avanti, ed io l'ho preso come un buon segno nella gravità del fatto. Credo che abbia fiducia in me. E almeno questo è già qualcosa.

***

Il padrone del motel è un tipo sciatto, grasso e pelato, che adocchia con noia la sezione sportiva del giornale. Un ragazzo ed una ragazza belli e muscolosi fanno la reclame ad un attrezzo per fare addominali dallo schermo del televisore portatile che ha sulla mensola della reception.
Mi guarda con occhietti neri ed insolenti, quasi viziosi. Si posano sfacciati sulla mia  mano sinistra, che si affaccia sotto la giacca di Hannah. Torna a guardarmi ed aggrotta la fronte.
Forse lo farei anch'io se vedessi entrare nel mio motel alle due del mattino un quarantenne che sorreggeva un 'adolescente, si potrebbe dire perfino" lascivamente” se lo si vedeva dal di fuori.
Ora è quando nasce il dilemma. Quante stanze chiedo? Se ne chiedo una, questo tipo s'insospettisce ancora di più. Chissà potrebbe addirittura chiamare la polizia. Anche se sono convinto che in questo motel ha visto cose peggiori. Se ne chiedo due, Hannah sarà fuori del mio controllo. E non posso rischiare. Non voglio. Nel tempo che tarderei a sentire le sue grida o la finestra rompersi e abbattere la porta potrei scontrarmi con un'immagine che non credo mi piacerebbe molto. O un letto vuoto o un corpo insanguinato. No. Almeno questa notte dobbiamo stare insieme. Perchè lei possa riposare tranquilla per alcune ore e la mia paura di essere colpevole della sua morte diminuisca un poco. Ho bisogno di pensare con calma, analizzare che cosa farò con lei. E non posso farlo sapendola sola all'altro lato della parete. Ma, e se vuole stare sola? Forse le da fastidio se chiedo una sola stanza. Forse lei da per scontato che ne chiederò due. Andiamo, su, in effetti questa cosa che importanza ha? 
Sento un solletico. Gli occhi incisivi del padrone stanno fissi su di me.

- Buonanotte- grugnisce.

Cazzo, Mulder. Chiaro che ha importanza. Ti prenderà per un pedofilo. Tutti e due lo faranno.

- Buonanotte- cerco di fare in modo che la mia voce sia la più serena ed educata possibile.- Una stanza, per favore.

Bene, fatto. Senza esitazione, con decisione. Diritto al punto.
Hannah non sembra reagire in nessun modo. Il tipo mi guarda con odio contenuto, ma non mi preoccupa più. A  lei non è sembrato importarle.
Si gira e toglie una chiave dalla mensola. Apre un cassetto e tira fuori un registro. Lo apre sul banco e fa segno su di esso con una biro economica.

 -Firmi qui.

Senza lasciarla, prendo la penna e firmo.
Lui gira il libro e cerca di decifrarla sfacciatamente

- Fox Mulder?-legge. E mi guarda con disprezzo- Volpe, eh? Mi sembrava.

Sento la voglia di schiacciargli la testa contro il banco, ma invece prendo la chiave e guido Hannah verso la nostra stanza. Puzza di rancido e il lampadario ha due lampadine fulminate. Ma le lenzuola sembrano pulite, malgrado siano giallastre per la liscivia.
Vedo con rabbia e stupore che c'è solo un letto matrimoniale. Sarò stupido. Hannah continua a non dire niente, si dirige solo verso il letto zoppicando e si siede con attenzione sul bordo. Non emette nessun suono, non mi guarda. Ma so cosa sta aspettando. Chiudo la porta alle mie spalle e mi avvicino, accovacciandomi davanti a lei. Le sollevo un poco il piede sinistro e lei fa una smorfia. Le tolgo lo stivale facendo attenzione e mi trovo davanti un simpatico calzino di Garfield. Reprimo un sorriso. Quando le tolgo il calzino  aggrotto la fronte. Ha la caviglia gonfia e arrossata. Non ha un buon aspetto.

- Oh signore...-mormoro a bassa voce.

-Sono saltata dalla terrazza-la sua voce, roca e rotta, sulla mia testa inclinata mi sorprende.

Non oso toccarle l'osso che sembra essere aumentato il triplo della sua normale grandezza. Poggio il piede con delicatezza sulla sudicia moquette ed esco dalla stanza.
Si sentono gemiti per la televisione. Quando mi affaccio, il grassone cambia rapidamente canale.
Ah.
Ti ho beccato.

- Ha del ghiaccio? Mia figlia si è storta una caviglia.

Si gira e mi scruta con disprezzo.

-Sua figlia- ripete. E la sua schifosa bocca si torce in un sorriso. –Certo.

Se gli sparo qualcuno ne sentirà la mancanza?
Fruga sotto il banco in un frigorifero da camping dove ci sono varie bottiglie di birra a raffreddarsi. Credo che i bordi rosicchiati del bancone da cui si vedono le schegge incomincino ad essere ripugnanti. Quando si raddrizza, solleva una borsa di ghiaccio come chi solleva un pesce pescato in un lago.
La prendo e vedo come quegl'occhietti lascivi vibrano. Vediamo cosa dice ora, perché sono preparato a stampagli la borsa sul viso rotondo.
Evvai.
Non dice niente.

- Grazie- sibilo io seccamente.

***

Hannah aspetta seduta sul letto, con gli occhi vitrei e le labbra iniettate di sangue. Avrà la febbre? Se così fosse dovrei chiamare Scully.
Merda.
Pensare a lei mi rimorde la coscienza. Voglio raccontarle cosa è successo, che la madre di Hannah è stata assassinata e che la stanno inseguendo, che sta con me a mezza strada tra New York e Washington. Ma so che se lo faccio si arrabbierà per essere stato così incredibilmente stupido, perché tutta la polizia di New York la starà cercando per essere scomparsa dalla sua casa, in cui, per di più, hanno trovato la madre morta. Questa gente è diabolicamente sveglia, l'avranno fatto in modo che sembri un incidente. Ma quello di Hannah sembrerà un sequestro. E chi sta in mezzo a tutto questo? Il brillante e stronzo Fox Mulder, a cui non viene in mente altra  cosa che prendere la ragazza e scappare.
Bravo.
Grande sceneggiatura.
Posso sentire la voce di Scully attraverso il cellulare." Ti rendi conto di quello che stai facendo, Mulder?"
Sì, sì, certo che mi rendo conto. Dio, questo è stato un delicato conflitto d'interessi. Fare bene le cose o condannare a morte Hannah. Salvarmi il culo o essere accusato di sequestro.
Quando avvicino la borsa alla caviglia, chiude gli occhi. Premo un poco di più il ghiaccio e geme tra i denti. Credo che sia un dolore piacevole. Subito arriverà il sollievo. Poi il freddo addormenterà la zona per un poco.
Si è sciolta i capelli, scuri e lunghi, che cadono sulle spalle e sulla schiena. Mi fa ricordare due trecce. Il colore scuro contrasta con la giacca nera. Mentre sostengo il ghiaccio contro la caviglia, la guardo e riaccolgono quegli occhi enormi che non so più se sono di mogano o di ebano. Ricordo uno sguardo infantile e spaventato che a volte mi grida nella notte:" Fox, ho paura"
Una bambina che mi strapparono quasi trent'anni fa e che mi chiamava Fox.
Fox.
Ho paura.
Non so di chi fidarmi.
L'hanno uccisa. Non so che fare.
Frasi che interrompono il suo silenzio a coltellate come semplici riflessi di un dolore che non si può misurare.
Desidero abbracciare Hannah e  sentire contro il mio petto quella bambina che giocava con me davanti ad una scacchiera. Voglio accarezzare questa chioma che s'intrecciava continuamente e che sto vedendo ora, lunga e setosa, davanti a me. Voglio quello che mi hanno tolto, e mi piacerebbe sognare che l'ho davanti a me.

- Agente Mulder- pronuncia il mio nome e la mia carica per la prima volta nella notte, e la sua voce stanca trattiene il tragitto della mia mano, che andava diritta verso la sua guancia.

Ancora mi sembra strano che suoni così diversa da quell'altra, saccente, addirittura caustica.

-Dove dormirò?

Non è innocente, nè infantile.Non è un'ironia con cui dare ad intendere che è ancora capace di scherzare, come faccio io nei momenti meno opportuni. E una domanda diretta e fervente di chi sta crollando e solo anela lasciarsi vincere dal sonno, forse nella speranza di poter tornare ad una realtà più semplice aprendo gli occhi e vedere con piacere che è stato tutto un incubo.
Incubo di madri che muoiono e silenzi che gridano.

- Mettiti a letto- le dico alzandomi.

Mentre incomincio a scostare le lenzuola sento che gira la testa e batte le palpebre perplessa.

-E lei?

- Non mi si addice troppo dormire.

I suoi occhi spaventati sembrano riacquistare per un secondo lo scintillio dinamico ed intenso che avevano tre giorni fa. Posso indovinare che curva leggermente la sua bocca grande, e mi sento così soddisfatto  come se m'avesse dedicato uno dei suoi sorrisi grandi ed affilati da lupo.
Si toglie la giacca e incomincia a togliere lo stivaletto destro. L'aiuto a mettersi tra le lenzuola e lascio che si copra da sola, raggomitolata, con i capelli arruffati sul cuscino e le mani abbracciate intorno a sè. 
Dormire le farà bene. Credo che sarà meglio parlare con Scully domani. So che si arrabbierà con me per essere stato così imbecille, ma so anche che portare via Hannah è stata la cosa migliore che potessi fare. O no? Non lo so.
Dio, sono così stanco.
Mi seggo sulla sedia accanto alla finestra, da dove si vede l'autostrada e le pianure piene di cespugli che la fiancheggiano. All'altro lato del corridoio si sentono le voci di due uomini che discutono mentre Hannah soccombe poco a poco alla stanchezza.
A volte ottengo che le grida di mia sorella diminuiscano un poco nella mia testa ed allora l'orribile sentimento di colpa opprime meno il mio cuore. Ma desidererei poterli zittire completamente, per poter così riposare e sentire che cado in un abisso, languido ed infinito, in cui poter soffocare i miei rimorsi.
Fughe

 

"Sento il colpo del suo zoccolo, il suo galoppo
l'oscuro cavaliere viene verso di me"
Heinrich Heine

 

Cado, galleggio.
Sotto i miei piedi l'eternità, davanti a me l'infinito.
Sono morta o addormentato?
La luce mi brucia le palpebre ed un esercito di formiche mi nascono nel piede e percorrono la gamba su e giù.
Su, svegliati. Stai ancora dormendo.
Ho sognato mia madre morta ed una persecuzione che non finiva mai. Sempre a correre, sempre all'erta. Così come sono stata allevata. Come stavamo vivendo da una decina di anni.
Apro gli occhi e mi meravigliano le pareti nude, la mancanza di mobili, dove sta il letto. Giro la testa e lo vedo guardare dalla finestra, in piedi vicino alla sedia.
L'incubo è vero. Non piangere. Accettalo, affrontalo.
Devi continuare a correre.

"Ha passato lì la notte?"

***

Seagram Building
Park Avenue
Manhattan
8:58 am
 
Odorava di tabacco. Un odore denso, razziale, che fluttuava nell'aria nebbiosa per il fumo. I raggi mattutini che filtravano attraverso le fessure delle persiane illuminavano la danza orgiastica delle particelle di polvere.
New York ruggiva dietro le persiane, come un gigante che si stiracchiava davanti al nuovo giorno, mentre nell'ufficio il fumo, la semioscurità e il silenzio invitava il tempo a fermarsi in un'ignoranza minuziosa, isolata, così diversa da quell'altra che invadeva i poveri sciocchi che investivano nel loro futuro e in quello dei loro figli.  
Al di là dei vetri oscurati tutto era diverso, molto diverso. Tutto era fretta, sogni, piani ed incoscienza. Lì dentro, invece, imperava la certezza. Certezza del destino, della fine. Dell'orrore. Del tempo che era vicino. Più di quello che avevano creduto.

-Ci hanno preceduto.

-Lo so.

La voce era opaca e plumbea, come le colonne di fumo che salivano e si intrecciavano.

- Già sappiamo dove si trovano?

Lasciò scappare il fumo tra le labbra prima di rispondere.

- Ancora no, ma il nostro uomo è sulle loro tracce.

-Chi è l'altro?

La nuova domanda fece si che quegli gelidi occhi azzurri sorridessero con sufficienza.

- Mi creda, è meglio che lei non lo sappia- disse spegnendo una Morley fumata a metà.

***

Ufficio Centrale del FBI
Washington D.C.
9:42 am
 
Dana Scully batteva impazientemente i tacchi guardando l'orologio. Arrivava tardi e non aveva telefonato. A cosa diavolo pensava? Lo stavano aspettando per la riunione per quello stupido caso della truffa in cui avevano collaborato.  Non che a lei piacesse in particolar modo, ma si giocavano il posto. Era una gimcana in cui li stavano mettendo alla prova.  Non riusciva a capirlo? Non poteva per una volta piegare il suo orgoglio?
L'ufficio dell'agente Ulman, che aveva la responsabilità del caso, sembrava incombere su di lei. I sei agenti la guardavano in maniera inquisitoria.

- Starà per arrivare- annunciò Scully con amabilità.

Alcuni sorrisero scetticamente, altri la ignorarono concentrandosi sui propri rapporti. L'agente Ulman, appena trentenne ed ingegnere in telecomunicazioni, sperava  di essere promosso per la scoperta dei truffatori ed abbandonare per sempre i casi per agenti di prima nomina, ma per colpa dei signori Spettrale  non ci sarebbe riuscito. Accese con rabbia il televisore e si concentrò sullo schermo.
"Egoista", pensò Scully addolorata.
Aveva tanto da perdere e da guadagnare quanto Mulder. La ricerca della verità era diventata un fatto che riguardava tutti e due e lui non sembrava rendersene conto. Narcisista. Sono Fox Mulder, l'ombelico del mondo,  e della carriera della mia compagna non m'importa un accidenti.
" Dana, non esagerare" si disse. Avevano lavorato fino a tardi e questo non era una cosa buona per l'insonnia di Mulder. Ingarbugliava ancor di più i suoi caotici  orari. Lei era riuscita ad addormentarsi intorno alle undici, ma lui forse non c'era riuscito fino a qualche ora fa.
Sicuramente si era addormentato. Ed ora si stava vestendo mortificato e a tutta velocità, o stava guidando come un matto verso Washington.
Doveva dargli un poco di fiducia.
Tirò fuori il suo cellulare per chiamarlo. No. Forse questo gli avrebbe fatto perdere altro tempo o l'avrebbe fatto innervosire ancora di più. Però, e se continuava a dormire come un angioletto, ignorando che il suo posto era appeso ad un filo a vari chilometri di distanza?

-...da New York- diceva il reporter- A quanto sembra è morta per inalazione di monossido di carbonio dovuto ad un cattivo funzionamento della stufa.

Questo era imbarazzante. Era circondata di agenti alle prime armi che la guardavano dall'alto in basso e la ignoravano. La ciliegina sulla torta  sarebbe stato chiamare Mulder e dirgli " Sai che stiamo in riunione da quaranta minuti?". Un poco di dignità, Dana. Almeno chiamalo dal corridoio.

-Grace O'Fallon è stata trovata nel suo letto senza segni di violenza, per cui l'ipotesi diventa plausibile- continuava la televisione – Forse è morta mentre dormiva. Per questo la chiamano "la dolce morte".

Scully sollevò un sopracciglio quando un campanello suonò nel suo cervello. Quel cognome le risultava familiare. Sullo schermo, una folla di curiosi si accalcava intorno ad un'enorme casa unifamiliare bianca e graziosa di un quartiere ricco,  circondata da macchine della polizia e da due ambulanze.

- Ma la cosa più inquietante è la sparizione della figlia di sedici anni, Hannah O'Fallon, di cui non c'è traccia in casa. La polizia non sa se la notte scorsa è arrivata a casa sua nel Queens dopo aver lasciato i suoi amici…

Gli occhi azzurri si spalancarono e uscì dall'ufficio di Ulman senza dire niente. Premette il tasto del cellulare dove era memorizzato il numero di Mulder e sentì come le incominciava a ribollire il sangue mentre il suo cervello faceva connessioni e pensava che il suo compagno era incredibilmente stupido.
Due squilli e rispose.

-Mulder.

- Si può sapere a cosa diavolo stai pensando?

- Accidenti, la riunione- disse lui come se se ne fosse appena reso conto-. Scully, ascolta, è successo qualcosa…

- So già cosa è successo, Mulder- tagliò corto lei mentre camminava frettolosamente nel corridoio, cercando la solitudine di un bagno o di un ascensore- E lascia che ti dica che è stata una sovrana sciocchezza. Hai idea di quanti poliziotti ci sono in questo momento a casa di questa ragazza?

- Le hanno assassinato la madre- cercò di giustificarsi lui- Mi ha chiamato perchè non sapeva cosa fare. Non capisco nemmeno come sia potuta scappare.

- Avresti dovuto portarla alla stazione di polizia.

-Se l'avessi fatto, stai sicura che oggi non si parlerebbe solo di una O'Fallon morta.

Scully entrò nell'ascensore, dove due agenti la guardarono di traverso.

-Dimmi dove sei.

- Al Mount's Motel, a Lawrenceville, nel New Jersey.

-Non muoverti di lì.

Riattaccò cercando di fare in modo che le mani non tremassero di rabbia. Sentì sulla nuca lo sguardo carico di sufficienza che le rivolgevano i due agenti e si sentì a disagio e imbarazzata.
Schiacciò il bottone del seminterrato.
Evvai, la Spettrale andava nel garage senza la sua volpe per compagnia.

***

Mount's Motel
Autostrada 1
Lawrenceville, New Jersey
9:40 am

- Ha passato lì la notte?

Mulder ebbe un sussulto e si girò. Hannah era seduta sul letto e aveva lo sguardo non a fuoco di chi si è appena svegliato. La sua voce era stata come uno schiaffo.

-Come stai? –le domandò  senza rispondere.

Lei scostò le lenzuola e tirò le gambe dal letto. Si osservò i piedi, uno nudo, l'atro con un calzino. Mosse le dita e il disegno di Garfield si agitò vigorosamente.

-Ho fame- rispose- Ci sarà qualcosa di commestibile in questo tugurio?

Mulder le  rivolse uno strano sorriso. Era incredibile. La notte precedente sembrava una bambola rotta ed invece si era svegliata tanto sfacciata come il giorno che l'aveva abbordato all'università.

- Mah...credo di sì. Venti dollari a notte meritano bene una buona colazione- disse lui con sarcasmo.

Osservò affascinato come lei si alzava in piedi e camminava per la stanza sbottonandosi la camicia color granata. Non zoppicava più.

- Come va il piede?

- Perfettamente- lasciò cadere la camicia sul letto disfatto. Sotto portava una maglietta bianca con le bretelline, in lycra- Vado a fare una doccia.

E chiuse la porta del bagno alle sue spalle.
Non ci poteva credere. Era la stessa persona o l'avevano cambiata durante la notte senza che lui se ne rendesse conto?
Il suo cellulare incominciò a suonare nella tasca della giacca nera e sgualcita, appesa allo schienale della sedia.

- Mulder-rispose.

-Si può sapere a cosa diavolo stai pensando?

Fece una smorfia a sentire la sua voce. Avevano una riunione sul caso della truffa alle nove e Scully doveva aver inventato Dio solo sa quante scuse per coprirlo. Cazzo.

- Accidenti, la riunione- disse mordendosi il labbro inferiore. Troppo tardi, ma ora o mai più – Scully, ascolta, è successo qualcosa…

-So già cosa è successo, Mulder.

La sentì camminare, nervosa ed arrabbiata.
" Stronzo" si disse.
Certo che lo sapeva. A questo punto lo sapevano fino in California. La morte della madre di Hannah e la sparizione della ragazza doveva essere su tutti i canali televisivi.

- E lascia che ti dico che è stata una sovrana sciocchezza. Hai idea di quanti poliziotti ci sono in questo momento a casa di questa ragazza?

- Le hanno assassinato la madre. Mi ha chiamato perchè non sapeva cosa fare. Non capisco nemmeno come sia potuta scappare.- sapeva che non sarebbe servito. L'errore era stato commesso. Era stato un idiota a scappare con Hannah, ma si era comportato come un vero farabutto non avvisando la sua compagna.

- Avresti dovuto portarla alla stazione di polizia.

Eccolo. Il raziocino di Scully davanti alla sua impulsività. Stazione di polizia? Ci aveva pensato, sì, ma non aveva voluto farlo. Non era troppo "Mulder". No, lui aveva bisogno di trovarsi tra l'incudine ed il martello, sfidare il sistema, fare le cose male.

-Se l'avessi fatto, stai sicura che oggi non si parlerebbe solo di una O'Fallon morta.- lo disse più per cercare  di convincere se stesso che lei, come stava facendo per tutta la notte.

Voleva credere d'aver fatto la cosa giusta. Non sapeva ancora se era così.

-Dimmi dove sei- Mulder valutò che Scully aveva smesso di camminare. Non c'era campo. Doveva stare in ascensore.

- Al Mount's Motel, a Lawrenceville, nel New Jersey.

-Non muoverti di lì.

" Certo che no" pensò quando lei riattaccò.

L’idiota non voleva commettere altre sciocchezze.

*** 

Mout's Motel
Autostrada 1
Lawrenceville, New Jersey
11:21 am
 
Quel tale Fox Mulder passeggiava inquieto nell'ingresso del motel. Il grassone non gli toglieva gli occhi da dosso mentre fingeva di pulire il lurido bancone dietro il quale riceveva la clientela.
Il vestito nero e la cravatta non lo giustificavano dall'essersi registrato in una stanza con quel bocconcino. Sua figlia. Sì, sicuro. Il bocconcino non doveva avere più di quindici anni e gli occhi spalancati di chi è spaventato e disorientato. Questo la rendeva ancor più sexy, se era passibile. Perché il tipo che la sosteneva per la vita la notte prima doveva essere così maledettamente perfetto? Una macchina costosa parcheggiata sul selciato, un vestito da dirigente, un rolex. Non un capello bianco, non un dente storto, non un cuscinetto di grasso in quel metro e ottanta di statura. Era disgustoso. Immaginò che era questo che attraeva le ragazzine, chissà le faceva sentire come Julia Roberts in Pretty Woman e credere che la stanza del motel fosse una suite di lusso di Beverly Hill presa da Richard Gere. La verità era che quel tipo gli rassomigliava un poco, gli stessi occhi piccoli e la stessa maledetta aria di divo del cinema. Chiaro che la ragazza non sembrava una di quelle puttanelle che erano solite entrare nel suo motel. Troppo ben vestita, i capelli troppo ben curati. Inoltre non aveva sentito nessun rumore per tutta la notte, tranne la discussione di quei due tipi che erano arrivati nella notte. E quel tale Mulder non sembrava che avesse bisogno di pagare qualcuno, sicuramente aveva ragazze a palate con quell'aspetto impeccabile e la Taurus argento.
Si sentì il rumore di una frenata e passi che camminavano affrettati sul selciato. Una donna di bassa statura, elegante e attraente, entrò nel Mount's Motel. Si domandò come diavolo non sudava con quel cappotto nero, quasi identico a quello che il tizio del rolex portava la notte precedente. E si chiese se quello che stava sotto era così spettacolare come quel viso che sembrava fatto di porcellana nel quale splendevano gli occhi come due acquamarine, incorniciati da una chioma di color fuoco e fissi sullo spilungone seduttore-di-bocconcini, che aveva smesso il suo via vai da orso e la guardava. 

- Hai sentito la mia mancanza, amore?- domandò lui con un tintinnio allo stesso tempo burlone ed afflitto.

Lei sorrise con affettazione.

-Non sai quanto.

"Fottiti. Tua moglie ti ha beccato", pensò trionfalmente, passando il panno con più energia sulla superficie del bancone.

***

- Hannah?

Mulder dette un paio di colpetti sulla porta della stanza con le nocche ed entrò senza aspettare risposta. Si sentì lo scarico del bagno e in quel momento la ragazza uscì sistemandosi i pantaloni alla vita, con la chioma sciolta sulla maglietta di lycra. Guardò Mulder senza allarmarsi.

- Devo parlare con l'agente Scully, perchè non vai a mangiare qualcosa?

Lei socchiuse gli occhi.

- Sta qui?

- Si, è così.

Hannah vide affacciarsi l'agente al di sopra della spalla di Mulder e sorriderle debolmente.

- Qualche altro sa che sono qui?

Scully fece un passo fino a mettersi accanto al suo compagno.

- No, Hannah. Ma la polizia ti sta cercando- rispose lei.

- Per questo dobbiamo parlare- aggiunse Mulder.

- E la bambina deve andare via per non disturbare, va bene, ho capito l'antifona- sibilò la ragazza mentre si metteva la camicia- Ma la verità è che non capisco perché non posso ascoltare quello che dite se il tema della conversazione sono io, immagino che i federali siano riservati perfino in una situazione come questa. Comunque, ho bisogno di fare colazione.

Scully contemplò assorta come metteva la mano in una delle tasche della giacca di pelle che era sul letto e tirava fuori un portafoglio piccolo e rosso. La sorprendevano i suoi gesti, flessuosi e svelti, senza traccia di dubbi, e la sua voce, così sfacciatamente ironica come due giorni prima. Avevano appena ucciso sua madre e andava avanti come se non fosse successo. Hannah attraversò la porta aperta e prese ad andare per il corridoio. 

- Mi dispiace per tua madre- disse Scully.

Sperava che la sua voce fosse suonata sincera. Perlomeno il sentimento lo era.
La ragazza si fermò e parlò senza rivolgerle lo sguardo.

- Sì, già, bene. Sono al bar.

Si sarebbe potuto giurare che con la prima sillaba la sua voce si era quasi spezzata per un millesimo di secondo.
Mulder invitò Scully ad entrare nella stanza spingendola dolcemente e chiudendo poi la porta alle sue spalle.

- Ieri sembrava un cucciolo abbandonato ed invece oggi…hai visto- la voce di Mulder pretendeva di essere conciliante.

La sua compagna lo guardò senza battere ciglio.

- Immagino che ci siano molti modi di affrontare le disgrazie. Continuare ad andare avanti è uno di essi- continuò a dire.

- Mulder, non so cosa pretendi- tagliò corto lei.

L'agente la fissò.

- Cosa vuoi dire?

- Questa sera la sparizione sarà ufficiale e tutta la polizia di New York incomincerà a cercarla. In poche ore la ricerca si estenderà agli stati circostanti. Ci saranno testimoni, qualcuno vi avrà visti, senza contare il tipo del motel- la sua voce denunciava un tono di tensione, di leggera rabbia davanti l'atteggiamento di Mulder.

- E che cosa volevi che facessi? Lasciarla in mano della polizia?

- Se l'avessi detto a Skinner almeno potresti...

- Cosa, Scully?- Mulder parlava con impazienza- Tenerla sotto protezione? Far fare un turno ogni sei ore ad un agente fuori ad una stanza di un hotel? Andiamo non mi avrebbe prestato la minima attenzione, scommetto che la morte di sua madre è sembrata un incidente.

- Intossicazione da monossido di carbonio.

- Lo vedi?- aprì le braccia e allungò i palmi delle mani,  come se stesse mostrando qualcosa.

Qualcosa che risultava molto ovvio.

- Ascolta, Mulder. Non so quello che Hannah ha visto o sentito questa notte a casa sua, ma non puoi agire alle spalle della legge e ancor meno essendo un agente federale.- questo era il discorso scullista che lui aveva immaginato, cercava sempre di convincerlo, cercava sempre di legarlo a terra e alla sue regole- Ti sei fermato a pensare cosa succederà se ti trovano con lei? E’ una minore e non hai informato nessuno di dove si trovava, Mulder, ti rendi conto che stiamo parlando di sequestro?

Lui sollevò le sopraciglia sorpreso e si avvicinò a Scully.

- Da quando cercare di salvare la vita ad una persona è un sequestro?- le  domandò con voce tesa, a meno di un palmo da lei.

Scully  guardò i suoi occhi scintillanti e l'incipiente barba sulle guance.

- Da quando non puoi spiegare cosa ci fai con un'adolescente che è sparita. Cosa pensi di raccontare? Che è la figlia di un membro di una cospirazione segreta su scala mondiale,  che hanno ugualmente assassinato? Che la morte di sua madre non è stato un incidente? Che la successiva vittima sarà lei perché sa la data e l'ora della fin del mondo?

Quelle domande che non avevano bisogno di risposta gli prendevano a schiaffi l'ego, come facevano gli occhi accesi che tremavano più in là delle sue iridi azzurre e quelle labbra carnose che aveva sfiorato nel corridoio e che si stringevano impotenti davanti alla testardaggine di lui.

***

Il bar dell'hotel offriva uno spettacolo desolato come il Mount's Motel. Un tizio ingurgitava solo la sua birra, ad uno dei tavoli, e Hannah arricciò il naso domandandosi come diavolo qualcuno poteva far colazione con una cosa simile. Chiaro che, pensò mentre guardava il suo elegante orologio di titanio, non era precisamente l'ora di fare colazione.
Era seduta con le gambe incrociate su un alto sgabello e davanti a lei un bicchiere di frullato di vainilla ( o almeno così sperava) opaco e rigato. Aveva chiesto al cameriere una cannuccia quando aveva visto con ripugnanza l'impronta di labbra sul bordo del bicchiere. Hannah sorbiva trionfante il liquido dolce e denso. Il ragazzo, sfiorava i vent'anni, aveva i capelli rasati e la barba di chi da un paio di giorni che non si rade, forse con l'intenzione di farsi crescere il pizzetto. L'orecchino all'orecchio e la maglietta con le maniche tagliate male lo collocavano nel genere di ragazzi che lei sapeva disarmare con un semplice sorriso torvo e astuto. Si trattava di una semplice combinazione: testosterone e intelligenza in parti inversamente proporzionali. Facili da convincere per realizzare i suoi propositi a breve scadenza.
Dette un altro morso al sandwich di prosciutto che sosteneva con entrambe le mani e il suo stomaco le fu grato con un dolce ruggito. Fece scorrere lo sguardo per il bar fino a fermarlo sul televisore acceso.

***

Scully lo guardava con un'ombra scura negli occhi, un miscuglio di rabbia e ammirazione. Ammirazione, perché quello che Mulder aveva detto non irradiava inettitudine , né testardaggine. Solo logica schiacciante. E anche se lei aveva enunciato il suo eloquente discorso su " perché dobbiamo fare bene le cose", la verità era che sembrava essersi rivoltato contro di lei e dare ancora di più ragione a Mulder. Qualcuno voleva togliere Hannah di mezzo perché sapeva troppe cose, e se Mulder avesse chiamato la polizia o l'FBI, probabilmente in quest'istante la ragazza sarebbe già morta.
Scully vide che Mulder faceva un passo fino a rimanere a pochi centimetri da lei con quello sguardo intenso ed ipnotico che faceva sì che si sentisse accerchiata come una lepre in una battuta di caccia. Un'ondata di calore l'attraversò dalla testa i piedi e cercò di fare un passo indietro, ma si vide bloccata dal letto. Detestava che Mulder invadesse il suo spazio personale quando non era strettamente necessario. Odiava averlo così vicino tanto da poter sentire l'odore del suo after shave senza che ci fossero di mezzo lacrime o sofferenza. Si permettevano "questa" intimità solo quando uno dei due aveva bisogno di essere consolato, allora il dolore mitigava in qualche modo l'elettricità che circolava violentemente tra loro. Quella vicinanza la rimandò ad alcuni giorni prima, al corridoio di Mulder, alle sue mani che le prendevano il viso.
Desiderò che lo facesse,  che riprendesse da quel giorno, da quel momento, da quella carezza furtiva che un insetto aveva interrotto. Desiderò che lo facesse, ma pregò che si scostasse da lei e lasciasse respirare.

- Alle nove saranno ventiquattr'ore e daranno l'ordine per la ricerca- disse lei.

Aspettò che lo scintillio di quegl' occhi da gatto si cancellasse ora che la sua voce aveva rotto l'incantesimo. Fine dalla storia. Bisognava spegnere l'interruttore.
Ma no era così. Poteva sentire la corrente elettrica davanti a lei che la spingeva in avanti, come una strana forza d'attrazione. Gli occhi di lui continuavano ad essere fissi nei suoi, venti centimetri più su.

- Allora diventeremo fuggiaschi del FBI.

Suonò come uno scherzo di un ufficio scuro e mal ventilato, come un sussurro inatteso detto nella penombra di una camera da letto, come una telefonata di mezzanotte, come semi di girasole, insonnia, strade e divani di pelle.
La tua voce dovrebbe essere proibita, Mulder.

***

Hannah aveva finito il sandwich in pochi bocconi e sorbiva con la cannuccia quello che rimaneva del frullato. Sentiva lo sguardo del cameriere fisso sulle sue cosce, strette nei pantaloni con la riga diplomatica, ma l'ignorò, annoiata e rassegnata all'abitudine di essere osservata.
La presentatrice della CNN smise di parlare della borsa e si collegò con un reporter che stava a Manhattan. Il volume della televisione era basso, e Hannah non riusciva a sentire quello che diceva. Si strozzò quasi quando si vide sullo schermo, sorridente su una sfondo azzurro di una fotografia.

- Merda- mormorò sottovoce.

Si affrettò a tirar fuori un biglietto da cinque dollari dal portafoglio e lo lasciò sul bancone. Prese ad andare assicurandosi che nessuno nel bar aveva visto quello che aveva trasmesso per televisione. Mentre arrivava alla porta sentì un brivido quando il cameriere richiamò la sua attenzione.

- Ehi! Senta!

Hannah uscì correndo verso la porta del motel, sulla destra.

- Tenga il resto!

***

Non lasciarti ingannare, Dana. E' facile raggirarti con quello sguardo intenso e la sua presenza che t’invade, e lui lo sa.

- "Noi", Mulder?-  disse lei facendosi di lato e girandogli intorno fino a fermarsi alle sue spalle. – Cosa pretendi? Continuare a fuggire con lei e che io ti segua?

-Scully, per favore. So che sei arrabbiata e lo comprendo. Sono stato uno stupido per non averti avvisato e per averti tenuto da parte.

- Tu l'hai detto.

- Sì, e mi dispiace veramente, ma ora la nostra priorità è Hannah. Non possiamo permettere che la trovino.

- E come vuoi farlo?- Scully si girò e lo guardò infuriata- Nascondendoti nei motel di infimo ordine? Guidando fino a rimanere senza benzina?

Scully e la retorica. Brutto affare.
La volpe- Mulder sentiva odore di collera, e di quelle grandi. Doveva spegnere il fuoco prima che si estendesse.

- Sentì ...-incominciò a dire, conciliante.

-No, sentimi tu- Scully tagliò corto con uno schiaffo invisibile che usciva fuori dalla sua voce- Metterai questa ragazza in macchina e verrai con me a Washington. Mi sono stancata di seguirti ovunque tu vada.

Mulder aprì la bocca per replicare giusto quando qualcuno irruppe nella stanza come un uragano.

- Dobbiamo andar via- disse Hannah mentre si dirigeva rapida verso il letto e prendeva la sua giacca- la mia foto  in tutti i notiziari.

***

Autostrada 81, Pennsylvania
8:29 pm
 
Tensione.
Non posso pensare ad un'altra parola.
L'aria nella macchina sembra la corda più acuta di un violino sul punto di saltare dalla bischeriera e rompersi.
Non hanno detto niente da quando siamo usciti dal motel questa mattina.
Bugia.
Hanno grugnito.

" Ci rimane poca benzina"

Grugnito.

"Possiamo mangiare lì"

Grugnito.
L'uno o l'altro, indistintamente.
Questi due mi sconcertano.
La prima volta che li vidi insieme, al Jefferson Memorial, pensai che erano qualcosa di più che colleghi di lavoro. I loro sguardi erano ancora più insinuanti delle facili battute con cui si salutarono. Inoltre, a lei non piacqui. Lo capii fin dall'inizio, quando mi percorse da capo a piedi con gli occhi carichi di gelosia. Anche se non è qualcosa che mi meravigli. Non sono solita piacere alla gente, e tanto meno alle donne.
Immagino che sono troppo....impertinente?
Non posso evitarlo, mi offende la semplicità e l'idealismo degli altri, l'ignoranza in cui vivono, l'innocenza con cui fanno il loro lavoro e fanno polizze sulla vita, pianificano viaggi, hanno figli e organizzano barbecue.
In realtà, non credo che mi offenda.
Piuttosto mi fanno invidia.
Sento un sospiro nervoso e vedo che si muove sul suo sedile, cambiando posizione varie volte.
E' inquieta. E’ arrabbiata. Come lui.
Quando sono entrata nella stanza questa mattina, giuro che stavano sul punto di saltarsi addosso e azzuffarsi come due gatti. E questa sensazione mi ha accompagnato per tutto il giorno.
E' ovvio che hanno discusso, e scommetterei qualsiasi cosa che il tema della discussione sono stata io. Non credo che abbia aiutato il fatto che l'agente Scully si sia vista obbligata a lasciare la sua macchina al motel. E non ha fatto una bella faccia quando mi sono affrettata a dire all'agente Mulder che doveva dirigersi verso l'Ovest. Lei l'ha guardato con gli occhi socchiusi e lui ha preso lo svincolo della statale per la Pennsylvania senza scomporsi. Allora la rossa ha fissato lo sguardo sul suo finestrino sbuffando.
Bugia.
Grugnendo.
Sono sicura che voleva portarmi a New York, o forse a Washington, per trattare tutto questo in maniera "ufficiale", con l'indagine dell’FBI e le scorte giorno e notte fiori della mia stanza fino alla soluzione del caso. Solo che il caso non ha soluzione, non ci sono colpevoli da mettere in carcere e nemmeno scorte che possono proteggermi da chi mi vuole liquidare.
Non gliene faccio una colpa, so che lei crede che sia la cosa migliore. In verità, non so a chi dare ragione. Al ribelle eroico o all'incrollabile esecutrice del dovere.
Mi sento colpevole. Due federali in fuga con una minorenne scomparsa. Devo spiegare loro dove andiamo e perché. Ma questo non è il momento. Non voglio che mi mordano.
La tensione provoca uno scomodo silenzio. Ma quando la "festa" non è completamente tua- hanno discusso su di te, ma non "con te"- provoca anche una noia mortale, così che m'intrattengo osservando le loro facce.
Sono seduta dietro il sedile del conducente, dove sta lui, per cui ho una buona panoramica dei suoi tratti nello specchio retrovisore, oltre al profilo di lei, sedutagli accanto.
Fox Mulder e Dana Scully.
Per settimane ho cercato di immaginarmi i visi che si nascondevano dietro a questi due nomi.
Sorrido al rendermi conto che non mi sono avvicinata nemmeno un poco.
Gli occhi dell'agente Mulder sono socchiusi per il sole, che tramonta all'orizzonte, davanti a noi, riempiendo tutto di sangue ed aprendo per noi le porte dell'inferno.
Quando lo riconobbi dietro la targa all'Università di New York, pensai che avrebbe potuto essere un presentatore , o addirittura un attore. E' bello.Non è Brad Pitt, ma ha un fascino enigmatico. La verità è che non mi è mai piaciuto Brad Pitt. Troppa perfezione. L'agente Mulder è alto, atletico, ha il naso grande e le labbra inconsuete e nei suoi tratti creano un insieme incantevole. Ha occhi piccoli e cangianti che lo fanno rassomigliare ad una volpe. Il suo nome è strano, sì, ma gli sta bene.
Un piccolo salto sul sedile del copilota attira la mia attenzione su di lei. Suppongo che si era addormentata. Sicuro che il ronfare del motore ed il sole al tramonto che ci acceca sono soporiferi.
Confesso che l'agente Scully mi ha sorpreso ancora di più. Tanti titoli accademici ed il suo posto nel FBI mi facevano pensare ad una secchiona un poco mascolinizzata. Crasso errore, lo so, quello di lasciarsi influenzare dai pregiudizi e dagli stereotipi. Come quella di lui, la sua bellezza è inusuale. Non è una bionda ossigenata dalle gambe lunghe. E' più piccola di me, ha un viso dolce e pallido ed occhi enormi di un blu cristallino. Ed è dannatamente rossa. Avrà origini scozzesi? Irlandesi?
Questo mi fa ricordare il caffè irlandese che ho preso qualche ora fa, quando ci siamo fermati per mangiare in uno di questi bar lungo la strada pieno di camionisti e viaggiatori che, come noi , nascondono segreti. Bene, più che caffè quello sembrava benzina con panna acida, ma è meglio non entrare in dettagli o incomincerò a vomitare, dal primo piatto.
Quando sono andata in bagno ho sperimentato di nuovo quella sensazione che mi rende acuti i sensi e mi tende i muscoli. Un solletichio sulla nuca, occhi nascosti nell'oscurità. Un cattivo presentimento. Rapidamente, mi sono messa a cercare tra la clientela qualcuno che mi stesse osservando, ma so che non sono altro che mie ossessioni. Dieci anni scappando da un posto all'altro, cambiando città, stato, nome, hanno fatto di me un animale spaventato. Da quando ero bambina ho vissuto credendo che mi spiassero, che mi seguissero per la strada, aspettando il momento migliore per darmi il colpo fatale. Ieri ci furono quasi. Credo che la mia paranoia sia giustificata, no?
Ieri.
Penso alla morte di mia madre.
So che è qualcosa di reale, ma faccio ancora fatica a crederci. Sembra che sia successo in un'altra epoca, in un altro mondo, e che quando questa fuga sarà finita tornerò a casa e lei sarà lì, a domandarmi angosciata dove sono stata tutto questo tempo, con le valigie preparate per scappare di nuovo.
Ma è finita, Hannah. Tua madre è morta. Come tuo padre.
Ed ora cercano te.
Devi continuare a correre.

- Hannah, posso farti una domanda?

La sua voce, grave e salata, mi tira fuori dai miei pensieri.
Il sole è quasi scomparso. E l'ocra ha lasciato posto al violaceo e Venere annuncia l'arrivo delle stelle, brillando sulle nostre teste.
So cosa mi domanderà.

- Certo- rispondo alle sue spalle.

Andiamo verso il tramonto, agente Mulder. Verso il tramonto che ci aspetta tutti.

- Da chi hai ereditati questi lineamenti?

Sorrido dentro di me. Devo riconoscere che la domanda mi ha colto di sorpresa. Suppongo che il buon agente vuole solo addolcire l'atmosfera, intavolare una conversazione distesa e casuale.

- Mia nonna era araba.

- Kurtzweill è un cognome arabo?-  suona scettico, o forse sorpreso.

- Ebreo- correggo senza darci molta importanza. – Mio nonno era israelita.

- Un giudeo ed una mussulmana? Dovette essere scandalo.- mi dice con un poco d'ironia.

Gliela restituirò. Anch'io voglio che l'atmosfera si rilassi un poco. Sono state molte ore di tensione accumulata.

- Lo è stato. Per questo emigrarono negli Stati Uniti. Non era qualcosa di molto usuale in quell'epoca, ma la mia famiglia non è mai stata ciò che si dice "normale".

L'agente Scully non apre bocca. Continua ad avere lo sguardo fisso sul finestrino, dietro il quale si vede sempre meno chiaramente.

- Te lo ha raccontato tuo padre?- mi domanda lui di nuovo.

Sorrido come un lupo. Lo faccio sempre quando penso a quel vecchio sconosciuto e magro da cui ho ereditato le labbra.

- Quando ero piccola odiavo il mio aspetto- incomincio a dire- Non rassomigliavo assolutamente a mia madre e a volte ho pensato perfino che era il motivo per cui mio padre mi aveva abbandonato. Per questo mia madre mi spiegò che la mia famiglia paterna veniva dall'Arabia Saudita e Israele. Suppongo che l'eredità genetica salti alcune generazioni e compare quando meno te lo aspetti.

Per qualche secondo tutti e tre rimaniamo in silenzio di nuovo. Allora l'agente Mulder mi guarda attraverso lo specchio con occhi magnetici.

- A me piace il tuo aspetto. Ti rende diversa.

Sono grata alla notte che ha invaso la macchina e che non può vedere che sono diventata rossa come un pomodoro. E sono grata anche che concentri di nuovo il suo sguardo sull'autostrada. So che è una sciocchezza, ma non ho potuto evitare di diventare rossa fino ai capelli.
Credo che  siamo stati di nuovo in silenzio per quasi un minuto. Ancora una volta, è stato lui che ha incominciato a parlare.

- Dana è un nome ebraico, mi sbaglio?

La guardo di traverso, e anche se la macchina è al buio so che ora è lei che è arrossita. Per quello che ne so, non è solito dire il suo nome spesso.

- Sì, è ebraico- rispondo reprimendo un sorriso divertito.

- Sai cosa significa?

E' una domanda retorica?
Oso sperare di no.

- Colei che giudica.

E l'agente Mulder lancia uno sguardo eloquente alla sua compagna e dopo mi fa l'occhiolino attraverso lo specchietto retrovisore. Ora non arrossisco, ma devo trattenere la voglia di ridere sonoramente.
Lei si muove inquieta fino a sistemarsi di nuovo con la vista il più lontano possibile da quegli occhi di volpe.
E sbuffa.
Bugia.
Grugnisce.

***

Knights Inn Greensburg Motel
1215 South Main Street
Greensburg, Pennsylvania
9:12 pm
 
Non era il Plaza, ma senz'altro superava abbondantemente quello della notte precedente. Settantotto stanze, piscina e televisore via cavo. Peccato che non avesse il costume e che fosse pieno settembre. Perlomeno non aveva piovuto per tutto il giorno. Si poteva perfino dire che in mattinata aveva fatto caldo. Forse l'autunno non si stava anticipando, dopo tutto.
Stesa sul letto, la ragazza dava un'occhiata al cruciverba del The Tribune Review che aveva preso nella reception, e una voce fece sì che sollevasse gli occhi.

- Hannah, vado a comprare qualcosa per cena. Sai già che l'agente Mulder sta nella stanza qui di lato- disse Scully uscendo dal bagno e indicando con la testa la porta che metteva in comunicazione le due stanze- Se hai bisogno di qualcosa, o se preferisci stare con lui finchè non torno…

- Non  si preoccupi- rispose Hannah – vado a fare una doccia, sono molto stanca.

Scully annuì  e prese il cappotto da uno dei due letti gemelli.

- Va bene. Non farò tardi.

La ragazza rimase a guardare la porta color spinaci da cui era uscita l'agente federale.
Sull'unica cosa che sembrava che fossero stati d'accordo quei due era che Hannah non doveva dormire sola, per cui Scully avrebbe passato la notte con lei. E anche, immaginò la ragazza, le altre notti. Non è che l'importava dividere la stanza, ma le dava fastidio la super protezione che implicava. Forse perché faceva sì che il pericolo fosse ancor più tangibile.

***

L'acqua calda cadeva sul suo corpo snello e flessuoso e l'avvolse in una nube di vapore che si alzò sopra la cortina della doccia e si condensò sullo specchio del lavandino. Volesse il cielo che tutti i problemi potessero andar via nello stesso modo, ascendendo sulle persone e allontanandosi. O meglio sparendo per lo scarico, trascinati dall'acqua.
Hannah buttò la testa indietro e chiuse gli occhi, mentre l'acqua la colpiva sul cuoio capelluto e percorreva la lunga chioma, schiacciandola contro la schiena e sciacquando la schiuma dello shampoo economico del motel.
Fu allora quando un rumore causò in lei la stessa reazione di sempre. Tensione, allarme. Aprì gli occhi di colpo ed acuì l'udito.
Più in là della densa cortina d'acqua, non si sentiva niente.
Era la sua immaginazione.
Nessuno li aveva seguiti. Nessuno li aveva osservati mentre mangiavano. E l'agente Mulder era nella stanza accanto, attento a qualsiasi rumore strano.

"Non essere paranoica"

Finì di sciacquarsi e chiuse il rubinetto. Sentì un brivido e si affrettò ad avvolgersi in uno degli accappatoi bianchi che erano appesi vicino alla vasca. In altre circostanze sarebbe stato per lei repellente far uso di qualcosa che aveva usato Dio sa quanta gente diversa, ma ora lo gradiva.
Scalza, con i capelli che gocciolavano sul tessuto di spugna, tolse il tappo al lavandino e strizzò gli indumenti che aveva lasciato in ammollo.
Allora lo sentì di nuovo.
Un respirare sommesso.

- Agente Scully?- domandò Hannah lasciando la roba bagnata sul piano del lavandino. Aprì la porta e la luce tenue del bagno illuminò un angolo della stanza buia. – E' lei?

Non c'era nessuno.
Fece un sospiro di sollievo. Doveva fare il possibile per smettere di ossessionarsi in questo modo. Questa cosa non poteva essere sana.
Stava per girarsi di nuovo verso il lavandino quando scorse qualcosa di strano. Rimane ferma, accanto alla porta, e socchiuse gli occhi.
Le tende si agitavano fantasmagoricamente.
La finestra era aperta.
E prima non lo era.
Sentì che le gambe non la sostenevano e diventò di nuovo preda del panico. Gli avvenimenti della notte precedente sembravano ripetersi. In un diverso scenario, ma con lo stesso macabro significato.
Doveva mantenere la calma. Non era altro che una paura irrazionale. Scully poteva essere tornata mentre lei stava in bagno ed aver aperto la finestra. In realtà, non le importava. Non era sola. A pochi metri c'era Mulder. Doveva solo attraversare la stanza e bussare alla porta.
Solo qualche metro.
Hannah uscì decisa dal bagno e sentì l'impatto duro e freddo delle mattonelle sotto la pianta dei piedi nudi, che avanzavano verso l'altro lato della stanza in penombra.
E sentì anche come quegli stessi piedi camminavano all'indietro quando una mano le circondò la vita da dietro e un'altra tacitava un grido d'orrore.
Schiena contro stomaco. Anche se presa da una sensazione di schifo, Hannah desiderò fervidamente che la durezza che sentiva contro la parte di dietro della coscia destra, attraverso la stoffa dell'accappatoio e dei pantaloni del suo aggressore, fosse qualsiasi cosa tranne un coltello o una pistola.

- Ssssssssh- le sussurrarono vicino all'orecchio.

L'immagine di sua madre morta nel letto quasi 24 ore prima le ritornò alla mente. Ed immediatamente dopo, il nervo ottico riprodusse il film della sua vita a tutta velocità.

Mostri
" Sono un uomo. E pertanto
ho dentro di me tutti i demoni"
Gilbert K. Chesterton
Il corpo cade, e l'anima galleggia.
Sarà la morte un abisso?
Sento che sto per rompermi tra le sue mani.
Sento che è la fine, che il cielo mi perdoni per quello che ho fatto.
E per quello che non ho detto.
***

East Pittsburg Street
Greensburg, Pennsylvania
9:19 pm

A volte la vita si alza davanti a noi come un mostro colossale, fatto senza dubbio di piccole cose che sembrano ridere di noi dalla loro semplicità.
Il forte odore di spezie che emanavano i sacchetti di carta del Hunan Wok le ricordavano beffardamente che quella sera non avrebbe mangiato niente che rassomigliasse ad una salutare insalata, ma cibo grasso, troppo condito e di dubbiosa provenienza.
Scully sospirò mentre abbassava il finestrino della Ford Taurus.
L'avrebbero messa sotto inchiesta. Quella mattina, senza spiegazioni, aveva abbandonato una riunione straordinaria che non era nemmeno iniziata. Si trovava a vari chilometri da Washington, e la cosa più probabile era che si allontanasse sempre di più, in direzione Ovest. Il lunedì non sarebbe comparsa all’FBI e temeva molto che nemmeno l'avrebbe fatto il martedì, né il mercoledì, né il giovedì.
L'avrebbero denunciata. Stava in Pennsylvania con una minorenne che era scomparsa da 24 ore. Il giorno seguente, la fuga sarebbe continuata e si sarebbe allontanata sempre di più con l'adolescente, che tutto lo stato di New York stava cercando. Era un’agente federale che violava la legge, che si supponeva, dovesse difendere. Aveva violato chi sa quante norme, ognuna delle quali più grave e inammissibile.
Avrebbe perso il lavoro. Tutta la sua carriera sarebbe stata gettata al vento. Tutta. I suoi anni alla facoltà, il suo curriculum universitario, il suo dottorato, la sua preparazione a Quantico. Aveva lasciato passare grandi opportunità che le avrebbero permesso di arrivare molto in alto, facendo quello che le dettava la sua coscienza e il suo cervello. E anche, malgrado le costava ammetterlo, anche il suo cuore. Aveva fatto ciò che reputava giusto. Leale. Aveva sacrificato tutto per lui. Ed ora lui sarebbe stato l'unico colpevole del fallimento in cui sarebbe sprofondata.
Sbuffò con la vista fissa sulla strada e la mano sinistra sul volante, mentre con la destra accendeva la radio per evitare di pensare, almeno fino al suo arrivo al motel e l'avesse rivisto.

- I Lakers giocano domani a Chicago- annunciò una dinamica voce maschile.
Dana fece una smorfia. Tipico di Mulder. Tripla X nel video e basket nella radio. Non aveva bisogno di frugare nella vano portaoggetti per sapere che avrebbe trovato i greatest hits di Elvis. Lo conosceva molto bene.
Questo era il problema. Che si conoscevano troppo bene. E Mulder sapeva che, qualsiasi cosa le avesse chiesto, lei avrebbe finito per cedere. Non sapeva se per il suo benedetto senso di lealtà o perché, semplicemente, era una stupida incapace di resistere a quegli occhi glauchi ed ipnotici che sembravano attraversarle l'anima.
Spense la radio e afferrò il volante con entrambe le mani. Senza rendersene conto, incominciò a canticchiare Joy to the World. Le era sempre piaciuta questa canzone. L'aiutava a smettere di pensare. Quando era bambina e giocava a nascondino con i suoi fratelli, spesso Bill la chiudeva nell'enorme baule che c'era nella camera dei suoi genitori perchè Charles la cercasse. Non passava molto tempo chiusa lì dentro, forse dieci minuti, ma per lei era un'eternità. Sentiva i suoi fratelli correre al pian terreno e pensava che si fossero intrattenuti con un altro gioco e che si fossero dimenticati di lei, che sarebbe rimasta lì dentro, sola e che sarebbe soffocata o morta di fame. Per questo si era abituata a cantare quella canzone. Anche se sentiva ripugnanza per i rospi, Jeremiah le piaceva. Almeno le faceva compagnia mentre aspettava accoccolata nel baule, che odorava di pino e naftalina. Charles la trovava sempre in poco tempo attratto dalla sua voce, Bill si arrabbiava con lei perché non era stata zitta e finivano per giocare ad un'altra cosa. Immaginava Jeremiah come un rospo goffo nel parlare, con occhi a palla e simpatici.
Alla sua mente vennero immediatamente altri occhi.
Piccoli e curiosi.
Come quelli di una volpe.
Come quelli di Mulder.
"Stupida" si disse.
Ancora ricordava quello che le aveva detto quella stessa mattina:" Mi sono stancata di seguirti ovunque tu vada"
Chiaro, certamente.
Per questo ora stava in Pennsylvania, con cibo cinese per tre sul sedile posteriore della macchina.
No, pensò, lui non aveva colpa se perdeva il suo distintivo. La colpa l'aveva lei, per essere così maledettamente fedele come un cagnolino, per lasciarsi trascinare, per non resistere. Per seguirlo ovunque. L'unica cosa che sapeva fare era rattristarsi come una bambina dispiaciuta che fa capricci.
Diavolo, in realtà non le importava nemmeno più del maledetto distintivo.
Forse all'inizio, appena assegnata agli XFiles, quando tutto sembrava avere una risposta razionale e le paranoiche idee di Mulder non erano altro che paranoie, quando il suo compagno era solo Mulder lo Spettrale e non l'uomo che la faceva tremare chiamandola con voce rugosa per cognome. L'uomo che elevava la sua temperatura corporea a limiti insospettabili quando mollava qualcuna della sue insinuazioni, complici e confuse, e che le chiedeva disperato di non andare via, che era lei che lo manteneva onesto. L'uomo che solo alcuni giorni prima era stato sul punto di baciarla.
No. Quello che le dava fastidio non era aver lasciato passare delle opportunità d'oro, nè essere sotto la mira dell'OIP, nemmeno d'aver abbandonato la riunione. Quello che le dava fastidio era che Mulder l'aveva trascinata fin lì senza nemmeno chiederglielo. E, soprattutto, che lei non era nemmeno capace di fiatare, perché quell'uomo le provocava vertigini al solo guardarla, come se fosse una ragazzina.
" Mi sono stancata di seguirti ovunque tu vada"
Già. E Hannibal Lecter è vegetariano.
Venti metri, le luci a neon del Knights Inn le dettero il benvenuto mentre continuava a dedicare a se stessa una litania d'insulti. Mise la freccia a sinistra e si diresse al parcheggio.
Stupida, stupida, stupida.

***

Knights Inn Greensburg Motel
Stanza 16
9:22 pm
-Ssssssh

I battiti impazziti le scuotevano il petto e le tempie. Le sue pupille, dilatate cercavano di orientarsi disperate nel buio. L'aveva trascinata fino al muro, allontanandola dal tratto illuminato dalla luce del bagno. Con la bocca imprigionata sotto sua grande mano, Hannah respirava con il naso avidamente, comprendendo che aveva perso.
L'aveva catturata.
Il mostro che temeva tanto da quando era bambina stringeva la sua vita possessivamente, circondandole il ventre con un braccio grande e poderoso. Il sussurro vicino al suo orecchio le aveva chiesto silenzio in maniera trionfale, giubilante per la sua vittoria, come il cacciatore che esibisce la sua preziosa preda davanti alla folla.
Ma doveva continuare a vivere. Non poteva arrendersi, doveva tentare. Quella fuga non poteva essere stata vana.
Aveva ancora un'opportunità. A pochi metri c'era l'uomo che l'aveva portata fin lì. Doveva riuscire a far accorrere l'agente Mulder in suo aiuto. Era l'unica speranza. Forse se faceva arrabbiare il suo aggressore, questo avrebbe alzato la voce e avrebbe messo Mulder in allarme. Forse cercando si scappare, o solo cercando di liberare la bocca per chiedere aiuto.
Le gambe dell'uomo scivolarono tra quelle di lei. Alcune lacrime affiorarono negli occhi di miele quando Hannah sentì di nuovo la presenza di quella durezza sulle sue cosce.
Crollò.

"Dio mio" pensò rabbrividendo. "Uccidimi ora, per favore".

Perchè non le sparava subito? Perché voleva farla soffrire? Forse si sarebbe vendicato di lei prima di eliminarla? Era questo di cui l'avevano incaricato? Umiliarla, farle del male, strapparle lacrime e grida prima di toglierle la vita?
In pochi secondi si rese conto che quello che stava facendo il suo aggressore era d'incitarla a camminare, conducendola verso la finestra, su cui le tende continuavano a dondolarsi, macabre e lascive, come la tunica di una fata presuntuosa che rideva di lei.
Mentre entrambi avanzavano- i corpi vicini, le mani che la stringevano ancora con fermezza- Hannah lanciò un'occhiata di sfuggita alla porta dietro la quale Mulder ignorava cosa stava accadendo lì, che colei che doveva proteggere sarebbe morta a pochi metri dalla sua stanza, dalla sua arma, dal suo affanno per fuggire e metterla in salvo. Terrorizzata, spacciata e senza speranze. Con la certezza che la morte l'attendeva brandendo la sua falce senza pietà.
Hannah sentì un brivido ed una lacrima le scese sulla guancia, lenta e dolorosa come quella agonica passeggiata fino alla fine, per rompersi sulla mano che imprigionava la sua bocca.
Il contatto umido e salato fece sì che lui si fermasse improvvisamente, forse sorpreso, forse infastidito. La ragazza chiuse gli occhi con forza aspettando un sibilo nel suo orecchio che esigesse di nuovo silenzio, uno scossone che la obbligasse a smettere di piangere o uno sparo inaspettato che l'attraversasse la colonna vertebrale e mettesse fine per sempre a quell'incertezza e a quel terrore che le stringevano i muscoli e le liquefacevano il cervello.
Fu allora che un tintinnio, uno scricchiolio e una voce presero forma.
Angelica e umana.
Salvatrice.

***

Knights Inn Greensburg Motel

Stanza 17
9:21 pm

Per lo meno c'era la televisione via cavo. Questa notte avrebbe potuto distrarre la sua insonnia con il canale Playboy.
Mulder si liberò con un calcio delle scarpe, che atterrarono vicino alla giacca. Il suo stomaco grugniva, implacabile, ed automaticamente pensò alla cena che stava sul punto di arrivare. Fece una smorfia ad immaginare fiocchi d'avena e coni di riso con il latte che avrebbe portato per vendetta.
Così era Dana Scully, una donna capace di gelare lo stesso inferno con uno sguardo ed obbligare a pentirsi chiunque la contraddiceva, o peggio ancora, incitarla ad agire contro la sua volontà.
L'elenco era pericolosamente lungo: aveva abbandonato una riunione straordinaria senza una parola, sarebbe mancata al lavoro per chissà quanti giorni e stava in Pennsylvania con il suo compagno ed una minorenne scomparsa. E tutto questo sotto il patrocinio del brillante ed inopportuno Fox Mulder, esperto nel rovinare la vita degli altri.
"Stupido", si disse.
Non solo quella di lei. A volte sentiva di aver rovinato anche la sua. Venticinque anni a cercare sua sorella, per cosa? Aveva portato qualcosa alla luce? Qualche pista concludente? Aveva scoperto che la sua scomparsa non era opera della mano degli uomini, ma chi gli garantiva che questi ricordi erano veri? E se erano un'illusione, una visione distorta della realtà? O una verità inventata per fargliela credere? A volte pensava che tutto era una gran perdita di tempo e che forse stava cercando un fantasma.
Fantasmi.
Mostri.
Demoni.
Quelli che non lo lasciavano dormire. Quelli che si materializzavano davanti a lui nel buio delle notti insonni, indicandolo con un dito accusatore.
Stava per caso rovinando in qualche modo anche la vita di Hannah? Forse Scully aveva ragione e la cosa migliore sarebbe stata consegnare la ragazza alla polizia. Lei non gli aveva chiesto di scappare. Fino a che punto la stava proteggendo così? La ragazza aveva appena perso la madre. Probabilmente la cosa più indovinata sarebbe stata che le autorità si facessero carico di lei e le risparmiassero altre sofferenze, che la consegnassero a qualche familiare e che avesse finalmente l'intimità e il tempo necessario per piangere i suoi morti.
Non l'aveva vista piangere ancora.
Ad Oxford gli avevano insegnato che quando una persona perde una persona che ama inizia una fase di lutto che dura circa sei mesi, in cui regna solo l'insonnia, l'inappetenza, disgusto e sdegno.
Il dolore, le lacrime e il desiderio incontenibile di morire. Lui conosceva molto bene questa fase, l'aveva sperimentata a solo dodici anni, quando era uguale per lui mangiare e non farlo, essere vivo o essere morto. Allora come poteva questa bambina non mostrare nessun sintomo? Forse non era ancora pienamente cosciente di quello che era accaduto? O forse la vita l'aveva colpita così duramente che aveva imparato a contemplare le sue disgrazie con freddezza e concentrare tutte le sue forze nel cercare di raggiungere lo scalino successivo?
Mulder fissò la porta che metteva in comunicazione con l'altra stanza e sentì un brivido.
Aveva fatto male? Aveva ragione Scully? O aveva preso la decisione più saggia? Perché la sua compagna l'aveva seguito senza fiatare in un silenzio sepolcrale e accusatore e il suo sguardo di ghiaccio? Forse perché sapeva che l'idea non era stata così strampalata dopo tutto ma si rifiutava di riconoscerlo? O forse l'irritazione che l'invadeva le impediva di fargli cambiare opinione perché lui si rendesse conto che stava facendo una sciocchezza grandissima, un qualcosa degno e terribilmente tipico di Fox Mulder?

" Stupido" si disse di nuovo.
Passi familiari risuonarono con forza nel corridoio. Scarpe misura 37. Nere. Che sostenevano due gambe ferme e piccole che avanzavano con decisione e coperte da pantaloni anch'essi neri. Come il suo cappotto. Con le pupille dilatate e piene d'ira che avevano i suoi occhi oceanici. Quelli che gli davano il benvenuto alla vita in un letto d'ospedale, quelli che ridevano in silenzio alle sue battute maliziose, quelli che gli dicevano che non ne aveva mai avuto bisogno di lei e che era stata solo un ostacolo.
Stupido, stupido, stupido.
Un tintinnio ed uno scricchiolio gli dissero che era arrivata.
La sua voce gli rivelò che qualcosa andava male.

***
La chiave cercò la serratura tintinnando contro il portachiavi di latta. La porta scricchiolò nell'aprirsi, lasciando che la luce giallastra del corridoio invadesse l'angolo luminoso che proveniva dal bagno. La voce le uscì chiara ed autoritaria, nello stesso istante in cui si portava la mano alla vita cercando la sua arma mentre lo sconosciuto si girava verso di lei.

-Fermo! FBI!
Con il viso ancora nascosto nell'ombra, la figura si girò completamente imprigionando tra le sue braccia la ragazzina, i cui occhi splendevano di paura come due diamanti nell'oscurità.
Hannah faceva da scudo, e l'aggressore sapeva che questo impediva a Scully di sparare.
Il cervello della federale soppesava rapidamente tutte le opzioni possibili.
La finestra era aperta a meno di un metro tra loro. Erano al primo piano. Poteva saltare perfettamente e portare la ragazza con sé.
Non c'era niente da fare.
Gli occhi terrorizzati della ragazza supplicavano in silenzio l'agente, che sentiva quello sguardo impaurito come aghi sulla pelle. Era lì, a pochi metri da lei, e non poteva fare niente.
Niente.
Un'ombra familiare si affacciò all'improvviso a quell'incontro macabro. Si sentì uno schiocco metallico.
La canna di una Smith & Wesson 1079 si appoggiò alla tempia dello sconosciuto.
Touchè.

-Lasciala- disse Mulder.

Lo fece.
Hannah sentì che la pressione esercitata sulla sua bocca e sul ventre svaniva. Gli scivolò tra le mani e si rifugiò lontano da lui, mettendosi accanto a Scully, che senza lasciare la pistola cercò l'interruttore della luce.
Allora gli occhi della ragazza si spalancarono con un miscuglio d'ira, paura ed indignazione quando riconobbe il suo aggressore, che Mulder continuava a tenere sotto tiro con la sua arma puntando direttamente alla testa

- Tu- mormorò incredula.

***

Knights Inn Greensburg Motel
Stanza 16
9:23 pm

Spesso la vita si rivela a noi come un mostro che dobbiamo affrontare, e con fortuna lo vinciamo con un colpo di pietra. Ma non sempre possiamo vederlo. La maggior parte delle volte i nostri mostri giacciono nascosti dove meno immaginiamo.
Senza abbassare la pistola, Mulder guardò Hannah mentre Scully avanzava verso di loro e perquisiva l'aggressore cercando un'eventuale arma. Gli sollevò il pullover grigio scuro vide il calcio di una Sig Sauer che usciva dai jeans .Gliela tolse.

- Mani dietro la schiena- disse l'agente con dolce determinazione.

- Lo conosci?- domandò Mulder a Hannah.

Capelli sottili e paglierini, guance pallide e quegli occhi colore del mare in burrasca che lei trapassava con un odio scettico.
Sì, lo conosceva senz'altro.

-Lavora nella mia scuola- rispose la ragazza con un tono di risentimento nella voce- E' il giardiniere.

Scully fini di ammanettarlo e , dopo un breve scambio di sguardi, Mulder abbassò la sua pistola.
L'aggressore mosse le labbra per la prima volta.

- Lasciate che vi spieghi.

Mulder l'obbligò a sedersi bruscamente su uno dei due letti.

- Che persona amabile- disse con disprezzo- Ma non disturbarti. Io credo che sia tutto chiaro.

Prese la pistola con la mano libra e l'esaminò con un rapido sguardo. P228. Un modello solido, ideale per lavori sporchi e veloci fatti in qualche angolo buio. Sentì il desiderio di svuotargli il caricatore tra gli occhi.

-Ti hanno contattato per seguirla e ucciderla- continuò a dire diabolicamente sarcastico mentre fissava i suoi occhi dispotici di gatto su di lui e lanciava la Sig Sauer sul comò- Per caso manca qualcosa?

- Vi sbagliate- insistette lui.

La sua voce era giovane. Mulder gli diede venti e tanti anni. Senza troppi "tanti".

- Certo, che stupido sono, è ovvio che stavi ballando con lei- Mulder inarcò le sopracciglia con sufficienza- Cos'era? La lambada?

- Hai ucciso tu mia madre?- l'inattesa voce della ragazza tagliò l'aria come una ghigliottina.

Uno scuro velo di dolore e rabbia contenuta le copriva gli occhi, fissi sul suo aggressore, e stringeva la mascella per frenare il tremito che la spingeva irrimediabilmente a piangere.
Gli occhi scuri e marini del ragazzo sostennero il suo sguardo, e quei tratti nordici con cui fantasticavano le sue compagne di classe si ammorbidirono in qualcosa di dolce e comodo. In un accenno d'empatia
I secondi che seguirono fino alla risposta si allungarono come una gomma.

-No- disse con fermezza- E' quello che intento dire. Non sono qui per ucciderti, ma per proteggerti.

Hannah non potè evitare di sorprendersi, non sapeva se per il sollievo o per la paura.
Era ovvio che non le avrebbe detto con le buone:" Ciao, vengo per piantarti una pallottola nel petto", ma quello che la ragazza non si aspettava era tanta sicurezza in quell'affermazione, presumibilmente falsa, che non era venuto per ucciderla, ma per proteggerla.
Senza dubbi, senza tentennare.
Tagliente come una verità assoluta.
Mulder fece una smorfia d’astio. Veramente credeva che c'avrebbero creduto? Indovinando la tensione in quella forte mascella, Scully decise di prendere le redini prima che Mulder liberasse la sua impulsività senza controllo.
L'agente fissò il giovane e aggrottò la fronte.

- Chi sei?

Lui respirò profondamente rima di rispondere.

- Mi chiamo Slava. Mi hanno contattato mesi fa per proteggere Hannah e portarla in un posto sicuro.

La sua voce, gioviale e metallica, si accompagnava ad uno strano sibilo forzato, un accento ambiguo e quasi impercettibile.

- Che razza di nome è Slava?- domandò Mulder.

-E che razza di nome è Fox?- rispose il ragazzo con fare dispotico.

Sfacciato e molto ben informato, sottolineò l'agente tra sé. Forse aveva più anni di quelli che dimostrava. Forse aveva perfino venduto la sua anima al diavolo in cambio di un biglietto aereo per la terra delle opportunità.

-Sei straniero?- chiese di nuovo.

Il ragazzo si strinse nelle spalle.

- Lo ero.

Mulder socchiuse gli occhi prima di domandare di nuovo.

-Russo?

Scully saltò come una molla a quella parola e si dispose a continuare con le sue domande. Se lasciava che il suo compagno dirigesse l'interrogatorio aveva molta paura che le cose si sarebbero complicate ancora di più. Uno scambio di sguardi bastò per avvertirlo che non doveva proseguire per quella strada.

- Chi ti ha contattato?-domandò lei

Slava spostò gli occhi verso la ragazza, ancora protetta nel suo angolo e piena di confusione.

- Suo padre- quelle parole caddero su Hannah come un vaso d'acqua fredda. Il ragazzo socchiuse gli occhi e parlò dolcemente, direttamente a lei- Kurtzweill sapeva che prima o poi sarebbe stato eliminato e che probabilmente tua madre non avrebbe tardato a cadere, ma non voleva che tu seguissi la sua stessa sorte. Per questo ha lasciato tutto preparato: un nuovo nome, una famiglia inventata, un posto in un collegio di Dublino finchè non compi diciotto anni e potrai vivere per conto tuo in qualsiasi città all'estero.

L'adolescente si sentiva le gambe venir meno e in debole sibilo nell'orecchio. La sua vista incominciò a annebbiarsi. L'invase un'improvvisa vertigine.
Tutta quella storia era una pazzia senza senso.

- Perchè vogliono ucciderla?- domandò Scully-Perché Kurzweill aveva saputo fin dall'inizio che sarebbe diventata una minaccia? Hannah non si è messa in contatto con noi se non dopo la morte di suo padre.

- Perchè sapeva che l'avrebbe fatto e cercò di fermarla prima che accadesse. Ma questa ragazzina è maledettamente veloce.

Hannah si era seduta sull'altro letto, dandogli le spalle ed evitando i suoi occhi, che la guardavano con un’ostinazione tale che credette che le avrebbero perforato la nuca. I capelli, umidi e scuri, cadevano sulla stoffa bianca dell'accappatoio, e si agitò quando lei fece di no insistentemente con la testa, come cercasse di scuotersi di dosso quella realtà sconvolgente

Slava teneva gli occhi fissi su di lei, in un punto perduta tra il tessuto di spugna, la chioma bagnata e il segmento nudo del collo che restava scoperto.

- Devi venire con me- disse lui con un sussurro ferreo.

Ipnotico, quasi complice. Come se esistessero solo loro due nella stanza.
La voce di Scully ruppe il silenzio che seguì.

- Dove?- volle sapere.

Slava scambiò uno sguardo azzurro con Scully.

- All'aeroporto di Camp Dawson, Virginia. Lì, l'aspettano un passaporto falso e un aereo militare che l'allontaneranno da qui e la porteranno in Irlanda. Questo è l'unico modo per metterla in salvo.

- No- ripetè la ragazza con voce roca.

Tutti e tre si voltarono. Hannah aveva girato la testa mostrando il suo profilo greco ed una goccia d'acqua che scendeva lungo il volto color tabacco, dall'attaccatura dei capelli fino al collo morbido e bruno.

-Sono stufa di queste vite fittizie. Non so nemmeno se quello che lui dice è vero. Come faccio a sapere che non sta qui con l'intenzione di uccidermi?

-Devi credermi.

Mulder si era stancato di essere così accondiscendente.

- Maledetto disgraziato, allora perchè l'hai assalita? E' così che proteggi le persone che ti sono affidate? Cingendole da dietro e tappando loro la bocca?

- Non avevo altra scelta- disse socchiudendo gli occhi.

Si senti il leggero stridio di un caricatore che girava.
L'agente alzò la mano che reggeva ancora la Smith & Wesson e mirò direttamente tra gli occhi do Slava.

- Dammi una spiegazione migliore se non vuoi che ti faccia saltare le cervella.

- Mulder!- esclamò Scully.

Era diventato pazzo? Il cervello di Scully le diceva che cercava solo di spaventarlo, ma in qualche angolo lontano si accendeva una piccola luce che illuminava la possibilità che il suo compagno parlasse seriamente. Mulder detestava i bugiardi. Li odiava. E se si trattava di rettili- assassini – di –bambine- che –gli-ricordavano- Samantha, l'odio cresceva violentemente e lo rendeva irriflessivo, impulsivo.
100% Mulder.

- Ho dovuto farlo- gridò il ragazzo quando vide la canna di nove millimetri a meno di un palmo dalla sua faccia- Che altra alternativa avevo? Non potevo bussare alla porta e dirle: "Ciao, Hannah. Potresti accompagnarmi? Così ci risparmiamo di andare al tuo funerale?". Lei mi conosceva, lavoro nella sua scuola. Non mi avrebbe creduto, si sarebbe messa sulla difensiva e voi avreste agito nell'identico modo in cui state agendo ora.

- Sembra che tutte le strade conducono a Roma, no ragazzo?- disse Mulder stringendo le labbra in quello che sembrava un sorriso torvo, senza abbassare la pistola.

Un lampo improvviso d’ostilità solcò gli occhi scuri di Slava, fissandolo.
Scully era nervosa.
Doveva cercare di far tornare la calma nella stanza. O almeno, la ragione.

- Che pretendevi di fare- domandò- Rapirla e spiegarglielo lungo la strada?

Accidenti. Era suonata ironica e non era la su intenzione. Dio, voleva solo vedere un poco di luce in questa confusione.
Due agenti federali fuggitivi in una stanza di un motel con una minorenne scomparsa e tenendo sotto tiro con una pistola uno sconosciuto ammanettato. Perché non facevano popcorn ed invitavano gli altri ospiti alla rappresentazione?
Abbassa la pistola, Mulder. Dimenticati del ragazzo e andiamo via di qui.
Lei sapeva che l’integra e cerebrale dottoressa Scully non l'avrebbe mai fatto. Ma quel pensiero le attraversò la mente un attimo, e dovette riconoscere che l'idea le sembrò attraente. Scappare. Lasciare tutto indietro.

- Immagino di sì. Comunque, sarebbe stato meglio di questo, non crede?- sbottò Slava.

Le molle del letto contiguo stridettero quando Hannah si alzò improvvisamente. I suoi piedi scalzi avanzarono con forza verso di lui, producendo un rumore sordo sulla ceramica fredda.

- Come diavolo pretendi che io creda a tutto questo? – la ragazza, con gli occhi arabi socchiusi e carichi di disprezzo, sembrò sputare- Tutta la mia vita ho aspettato che mi sparassero alle spalle, ed oggi entri nella mia stanza come un delinquente e mi assali. Ieri c'era qualcuno in casa mia e mi ha inseguito per tutta la strada come se fossi un miserabile animale da cacciare. E mi stai dicendo che non eri tu?! Mi stai dicendo che non hai ucciso mi madre?!

La voce si ruppe quando gridò quest'ultima domanda a pochi centimetri dal viso del ragazzo, Mulder capì che avrebbe ceduto al pianto che si era negata dalla tragedia che aveva vissuto la notte precedente e la paura che doveva aver sperimentato solo pochi minuti prima.
Ma non lo fece.
Hannah respirava agitatamente e gli occhi scintillavano di rancore, aspettando una risposta che , se non la consolava, almeno l'avrebbe sollevata al sapere che finalmente stava di fronte al sicario inviato ad ucciderla.
Slava parlò con determinazione, sostenendo lo sguardo di quei pezzi di antracite infuriati.

- Io non l'ho fatto, te lo giuro.

- Dimostramelo!

- Non posso!

Con una velocità spaventosa, come se si trattasse di una violenta metamorfosi, il dolore ed il risentimento degli occhi della ragazza si trasformarono improvvisamente in un'ombra che fece rabbrividire tutti e tre: quella che fa vedere il mostro che non sappiamo che si annida nel più profondo della nostra anima.
Senza un accenno di dubbio, con un movimento rapido e preciso s'impossessò della Sig Sauer che Mulder aveva lasciato sul cassettone e la poggiò sulla tempia sinistra di Slava.

- Hannah, che fai?!- gridò Scully non potendo credere alla scena dantesca di cui era testimone.

La voce dell'adolescente, sempre mordace ed incisiva, suonò ora sepolcrale, venendo fuori dalle sue labbra in forma di una macabra promessa che gelò loro il sangue.

- Allora sarò io quella che ti sparerà.

Lacrime
"Mostraci, Spirito o Uccello
quali dolci pensieri sono i tuoi."
P.B.Shelley

L'abisso si apre davanti a me, e desidero caderci dentro.
Mi osservo da fuori e mi terrorizza quello che vedo. Il mio corpo agisce senza controllo mentre una voce cerca di farsi strada nella mia mente. Ma non può.
Sento che galleggio.
Il suolo traballa sotto i miei piedi e le orecchie pulsano. Tutto si distorce come un vetro opaco. Ho vertigini. Ma la mia mano resta ferma.
Non so quel  che faccio. Non capisco perché lo faccio.
Le mie labbra si muovono contro la mia volontà.
E emettono una sentenza.
Saro io quella che ti sparerà.
" Lascia quella pistola, Hannah"

****

Knights Inn Greensburg Motel
Stanza 16
9:28 pm

- Lascia quella pistola, Hannah.

La voce di Mulder la riportò indietro, come una violenta scarica elettrica. Gli occhi della ragazza misero a fuoco l'impostore che stava tenendo sotto tiro con la stessa arma destinata a liquidarla.
Scully si avvicinò piano verso di lei, cercando di non renderla ancora più nervosa.

- Non fare sciocchezze- Scully parlò con la più grande dolcezza di cui era capace. Allungò la mano verso la ragazza e cercò i suoi occhi, che continuavano a fissare Slava, feroci e scuri come un'apparizione demoniaca- Andiamo, dammi la pistola.

Il respiro agitato di Hannah rassomigliava al soffio di un animale. Scully poteva quasi sentire il suo polso impazzito che le mandava sangue violentemente a tutti i muscoli, tendendo la mano, flettendo il dito sul grilletto della Sig Sauer che continuava a reggere con una determinazione ossessiva.
Slava chiuse gli occhi al sentire il debole cigolio del caricatore che incominciava a girare. Senza scostare la pistola dal suo obiettivo, Mulder diresse lo sguardo verso Hannah, il cui viso distorto tremava fino quasi a battere i denti.

- Hannah, per favore. Non farlo- disse lui.

Scully ingoiò con difficoltà e aspettò che l'adolescente si decidesse a mettere fine a quell’orrenda scena e le tendesse l'arma sul palmo della mano.
La voce sussurrante e complice di Mulder cercò di nuovo di convincerla.

-Lasciala.

Hannah poteva appena vedere, con gli occhi di mogano sull'orlo delle lacrime. Di panico, d'odio. Di dolore.
L'agente girò la testa per guardare il suo compagno.

- Abbassa l'arma, Mulder.

Lui inarcò le sopraciglia sorpreso, lei gli fece cenno con lo sguardo.
Predicare con l'esempio.
Era una cosa basilare ed efficace. Almeno, la maggioranza delle volte.
Mulder obbedì e lasciò cadere la mano che sosteneva la Smith & Wesson.  Una sola canna ora era puntata sul ragazzo, appoggiata sui capelli paglierini che gli coprivano le tempie Scully piegò le ginocchia e si accovacciò accanto ad Hannah, che rimaneva ieratica, come se si trovasse lontana da lì, accecata dal suo rancore e dalla sua paura. Immersa nell'abisso infinito della desolazione.

- Non ne vale la pena- la voce di Scully sembrava volerla cullare con un ritmo dolce- So che lo sai.

Un sussurro vittorioso rimbombava senza pietà nella testa della ragazza.
" Ti tengo"
Aveva voglia di piangere e di premere il grilletto per finire con quel pesante scherzo.
Non voleva continuare a correre. Voleva solo stringersi al corpo ancora caldo di sua madre che aveva contemplato credendo che fosse viva. Sistemarsi nel suo grembo. E dormire. Dormire per smettere di pensare e di correre. Di aver paura, del futuro incerto, del passato tormentato. E del presente che si mostrava davanti a lei sotto forma di una pistola automatica ed una sola decisione.
Il frenetico pompare del suo cuore le rimbombava in testa e credette di diventare sorda.

- So che non vuoi farlo, Hannah.

Dio, aveva tanta voglia di piangere che pensò che se avesse iniziato non avrebbe più smesso.
Mulder avvertì che la ragazza rilassava la mascella, e subito dopo abbassava il braccio con un gesto lento e timoroso per consegnare l'arma a Scully, che continuava a stare accovacciata accanto a lei con la mano tesa. Tutti e due gli agenti lasciarono scappare immediatamente l'aria che avevano trattenuto.

***

Archivio Nazionale
Constitution Avenue
Washington D.C.
9:29 pm
 
La notte era straordinariamente chiara, tanto che si potevano distinguere le sette figlie di Atlante nel cumulo stellare delle Pleiadi, e anche Perseo. Orione, invece, non sarebbe stato visibile fino all'arrivo dell'inverno.
Il telefono ruppe il silenzio.
Pigramente seduto su una poltrona ergonomica, distante e avvolto nel suo eterno alone di fumo, prese la cornetta prima che finisse di suonare il primo squillo.

- Si sa qualcosa?- disse con voce opaca.

- Ancora no- gli risposero all'altro lato della linea.

- Questa bambina si muove molto bene Vedo che il buon dottore ha saputo addestrarla malgrado la lontananza. Spero che le abbia insegnato anche a dosare le informazioni.

- Perchè lo dice?

- Kurtzweill sapeva quando doveva parlare e quanto doveva raccontare. Finchè non la troviamo sarà l'unico modo di preservare il progetto.

- Capisco.

- Mi tenga informato.

- Senz'altro, signore.

Riattaccò e fece una profonda boccata alla Morley che aveva tra le dita, mentre fissava con occhi gelidi e arroganti il cielo notturno tempestato di lacrime tremolanti, al di là dei finestroni oscurati dell'ufficio.

"Non fidarti di nessuno, Hannah. Dacci un altro poco di tempo".

***

Knights Inn Greensburg Motel
Stanza 16
9:30 pm

Ho sempre odiato il cibo cinese. Troppo piccante, è grasso e la carne è così ripugnantemente gelatinosa che ti fa pensare ai gatti, ai colombi e ai ratti delle fogne.
Credo che a partire da questo momento il mio odio si trasformerà in fobia patologica.
I sacchetti di Hunan Wok stanno per terra, accanto alla porta, e non avrei mai pensato che la visione di riso fritto sparso e mischiato a verdure al Ba-Bao sulla moquette polverosa di una stanza di un motel potesse darmi nausea.
Il ragazzo apre gli occhi quando sente sparire il freddo contatto del metallo sulla pelle, e indovino il sollievo nella sua espressione nel verificare che la Sig Sauer è nelle mie mani e che Mulder a smesso di tenere la sua testa sotto tiro.
E' molto alto. Scommetto che misura come Mulder. E' apparentemente snello, ma ho scoperto una decisa forza nervosa quando gli ho tolto l'arma. La sua pelle è pallida ed ha tratti europei. Forse è russo, come aveva predetto Mulder. Almeno dal nome lo sembra. Ha gli occhi a mandorla e azzurri come zaffiri astiosi, e i capelli lisci, molto biondi, che cadono disordinatamente sulla fronte. Veste con un maglione grigio e jeans consumati, e fa sfoggio di una smorfia anticonformista e abbastanza anarchica che  non inacidisce il suo viso. E' bello. Ed una grandissima canaglia, ma è bello. 
Non credo che passasse inosservato nella scuola di Hannah.
Sembra giovane. Forse ventiquattro o venticinque anni. Si muove con agilità e pensa rapidamente. E' ostile. Suppongo che è per questo che lo pagano. E non sembra avere scrupoli. Ha dimostrato molto sangue freddo nel mentire senza battere ciglio e nel vedere come lo avevano sotto tiro due pistole contemporaneamente.
Cerca la ragazza con lo sguardo. Sta raggomitolata come un animale spaventato ad un paio di metri da lui, con gli occhi trasformati in due opali neri, enormi e sfocati.

- Immagino che ti sia passata la voglia di mentire.

La voce di Mulder è come un improvviso colpo di frusta carico di sarcasmo. Posso vedere l'astio con cui Slava lo fissa con occhi furibondi.

- Vi ho detto la verità.

Mulder incrocia le braccia e si appoggia al cassettone con un gesto tremendamente altezzoso, una posa allo stesso tempo studiata e naturale che usa per intimidire chi interroga, facendo loro vedere che in quell'occasione è lui che comanda.
Ma non solo a tipi ammanettati e con tutto da perdere.
Anche a me, ad una donna con ormoni e con gli occhi sulla fronte che si vede obbligata a dividere un seminterrato buio, stretto e isolato con il paranoico e affascinante Mulder lo Spettrale, intimidisce anche me. E fa sì che il mio battito cardiaco diventi insano.
Dio, è difficile concentrarsi sulla stravagante situazione che ho davanti a me quando l'uomo che alcuni giorni fa è stato sul punto di rompere tutte le norme del FBI nel corridoio della sua casa fa parte di detta situazione. Se inoltre diventa lascivamente arrogante, risulta impossibile mantenere la testa fredda.
Una bambina con istinti psicotici a cui ho appena tolto un'automatica con cui pretendeva di mandare il suo aggressore all'altro mondo.
E’ solo questo, Dana.

- Hai già verificato a tue spese che a nessuno di noi due importata fare un budino con le tue cervella, così che è meglio per te che non ci prendi in giro, ragazzo.

Annuso il disprezzo e la violenza contenuta di Mulder che emanano da tutti i pori in maniera intossicante. 
Ho bisogno di un camion di pompieri. E' logico, dopo quello che è accaduto in questa stanza.
Mi tolgo il cappotto e sento Slava replicare con tintinnio arrabbiato.

- Glielo ripeterò di nuovo, giacchè sembra che lei sia sordo. Alvin Kurtzweill mi ha contattato un mese fa per proteggere sua figlia e portarla fuori dal paese quando lui fosse morto.

- Sembra che a lei non abbia fatto il minino piacere la tua visita a sorpresa- dice Mulder curvando le labbra cinicamente.

Accidenti.
Mulder e le sue accuse ironiche con sorriso incluso. Senza dimenticare la camicia con le maniche arrotolate e l'inesistente cravatta, la postura passivo-aggressiva delle braccia incrociate, i piedi enormi infilati solo in calzini da impiegato del governo e la barba lunga.
Come può fare così caldo?
Questa stanza sembra l'inferno. Mi domando se laggiù anche si sentirà l'odore di nauseabonde specialità cinesi sparse per terra.

- Non mi crede?- gli occhi scuri e cerulei del ragazzo scintillano di odio verso Mulder – Molto bene, come vuole. Prenda il giornale e veda cosa è accaduto alla segretaria di Kurtzweill ieri mattina.

Movimento. Implicazione. Reagisci, Dana.
Prendo una copia del The Tribune Review che Hannah stava leggendo sul letto. Credo di trovare la notizia nella sezione nazionale e mi schiarisco la gola per leggere ad alta voce.

- " Giovane segretaria di 24 anni muore in un incidente stradale"

La fotografia mostra completamente il sinistro.

- Un bel sandwich di ferro e carne umana- dichiara Slava.

La verità è che il suo accento sibilante da i brividi.

- " Anne Becquer, segretaria del dottor Alvin Kurtweill, recentemente scomparso, è morta quando per cause che ancora non si conoscono la sua macchina ha saltato lo spartitraffico e si è schiantata nella corsia opposta senza che nell'incidente fosse implicato nessun altro veicolo".

Gli indizi sono chiari.

- Hanno manipolato i freni – deduco guardando il ragazzo.

La tensione nella mascella del mio compagno mi dice che non sa se mettersi a ridere o stampare un sinistro sul viso di questo tipo.

- Cosa dimostri con questo, Slava? Avresti potuto essere stato tu. In effetti, scommetto qualsiasi cosa che sei stato tu.

Pronuncia il suo nome come chi sputa un sorso di latte acido bevuto per errore.
Slava lo guarda con un ghigno insolente.

- Niente, in realtà. Non  conoscevo nemmeno l'esistenza di questa ragazza. L'ho sentito per radio mentre lavoravo nella scuola, e ho capito che non sarebbe sopravvissuta a quella notte- lancia uno sguardo ad Hannah e storce la bocca mentre guarda di nuovo Mulder- Ma la signorina ha avuto la felice idea di andare a cinema con i suoi amici e l'ho persa di vista. S'immagina quanti adolescenti passeggiano di sera per il centro commerciale?

- Continui a non dimostrare niente- l'accusa Mulder.

- Ma nemmeno lei può dimostrare che sono venuto per ucciderla – il ragazzo abbozza un sorriso pretenzioso- Tutti sono innocenti finchè non si dimostra il contrario.

Ha ragione. Entrambi ce l'hanno. La verità è che la scusa del ragazzo è suonata abbastanza coerente.
Scusa? Ma come sei ingenua. Non è una scusa.
Era venuto a sapere che la segretaria di Kurtzweill era morta ed aveva immaginato che le successive sarebbero state Hannah e la madre. Ma l'aveva persa e non aveva potuto fare niente per evitare l'omicidio di Grace O'Fallon né la fuga della ragazza.
Bene, sì, è una scusa. La sua missione era proteggerla e non l'aveva fatto.
Proteggerla? Per caso credi che sia questo per cui è venuto questo straniero?
Diavolo, Dana. Il calore ti ha rammollito il cervello.

- Supponiamo che sia la verità quella che stai dicendo. -interviene Mulder accigliato- toglimi un dubbio, perché vogliono uccidere Hannah?

Slava rivolge lo sguardo verso la ragazza, che sta accanto a Mulder.

- Perchè non lo domanda direttamente a lei?

Durante quella lotta verbale nessuno ha prestato attenzione all'adolescente, che sembra che stia per scomparire nell'accappatoio da un momento all'altro. Con gli occhi vuoti come due caverne scure ed un'espressione ineffabile sul viso rimpicciolito, la vedo muovere le labbra mentre traballa leggermente.
Sta per svenire. Forse è un calo di pressione, o è malata. O forse i suoi nervi distrutti non reggono più.
Istintivamente, mi avvicino a lei con le braccia distese, ma Mulder si anticipa.

- Non mi sento bene- riesce a dire con voce timorosa prima che le gambe si rifiutino di sostenere il suo peso.

L'ha presa prima che crollasse. Il suo corpo è diventato flaccido come quello di una bambola di stoffa, ma lui la sostiene come se fosse leggera come una piuma.

- Stendila sul letto- dico con voce serena.

Mulder la prende in braccio fino al letto vuoto ed io mi chino sul suo volto bianco. E' strano vedere i suoi lineamenti arabi così pallidi. Le sollevo una palpebra per esaminarle la pupilla.

- Hannah, puoi sentirmi?- domando.

Un brivido percorre il corpo della ragazza e le si rizzano i peli. Distesa sembra che riesca a mettere a fuoco poco a poco la vista.

- Sì, sto....Ho avuto solo un capogiro.

Sbatte le palpebre varie volte finchè fissa i suoi occhi nei miei. Le tocco la fronte. E' coperta di sudore freddo, e i capelli gocciolano ancora sul copriletto.
Dio, è fradicia.

- Prenderai una polmonite- dico.

Tutti sembriamo renderci conto improvvisamente che il tessuto umido del accappatoio è l'unica barriera tra la sua nudità e l'esterno.
Tutti?
No. Credo che qualcuno se n'era già accorto prima che le accuse di Mulder gli impedissero di continuare a concentrarsi sull'esame visivo di questa giovinetta.
Incomincia a battere i denti.
Deve togliersi questa vestaglia e mettersi qualcosa d'asciutto.
Guardo Mulder e lui annuisce.

- Immagino che la cosa migliore sia che andiamo tutti a riposare- dice- Le cose si vedono più chiare alla luce del giorno.

Guarda Slava e gli fa segno d'alzarsi.

- Andiamo.

Il ragazzo si mette in piedi e le manette dietro la sua schiena sbattono tra loro.

- Non pensa di togliermi questo?

Mulder distorce la bocca con un sorriso malevolo.
Dio.

- Temo di no. Faranno coppia con il bavaglio.

Questo calore è asfissiante.
Slava inarca le sopracciglia. Sono bionde quasi come i capelli lisci che gli cadono sulla fronte e gli occhi offesi.

- Immagino che dormirò nel corridoio legato al pomo della sua porta, no?- dice con sarcasmo.

Aiuto Hannah a sollevarsi sul letto e Mulder si avvicina alla porta che conduce alla sua stanza. Con un movimento brusco prende il braccio del ragazzo per spingerlo dentro, mentre dice con voce grave e mordace:

- Non darmi idee.

***

Knights Inn Greensburg Motel
7:04 am
 
Il liquido torbido ed amaro percorreva il suo sangue come fiumiciattoli di caffeina.
Hannah lasciò che il calore che emanava il bicchiere di plastica le accarezzasse le dita mentre aspettava all'interno della macchina che Mulder pagasse alla reception. Attraverso lo specchietto retrovisore vide Scully che soffocava un enorme sbadiglio sul sedile del conducente.
L'afa del giorno precedente  stava per vendicarsi sotto forma di acqua. Fuori, il cielo plumbeo minacciava pioggia, la stessa pioggia gelida e densa di New York. Forse più pulita, ma ugualmente fredda. 
Tornò a soffiare sul caffè della Guerra di Secessione e fece un altro sorso.
Un giornale gettatole in grembo attraverso la portiera aperta fu sul punto di farle versare il caffè bollente sui pantaloni.

- Sei molto fotogenica- disse Slava sedendosi accanto a lei.

Hannah lo guardò senza nascondere il suo disprezzo.
Il portiere non si aspettava un quarto ospite che facesse parte di quel trio dai vestiti scuri e dagli sguardi sfuggenti, per cui il ragazzo era uscito dalla finestra mentre loro si dirigevano alla reception, non prima di essersi visto libero dalle manette.
Mulder non si fidava minimamente di lui, ma nemmeno voleva sollevare ancora più sospetti portandolo in giro ammanettato.
Sarebbe stato l'ombra di Hannah. Scully avrebbe dormito con lei.
Non c'era niente da temere.

- Se tenti di fare qualcosa- gli aveva detto mentre metteva la minuscola chiave nella serratura delle manette- ti spedisco a prendere il tè con Jimmy Hendrix e Che Guevara, d'accordo?

Hannah contemplò il Daily News che Slava le aveva gettato sulle ginocchia. Con attenzione, mise il bicchiere sul pavimento della Taurus argentata e gettò uno sguardo ai titoli.
"MINORENNE SCOMPARSA A NEW YORK"
Cercò la pagina del reportage e vide se stessa nella fotografia che era uscita per televisione, presa nella scuola appena due settimane prima, con i capelli pettinati da un lato e la cravatta ben stretta sotto la giacca granata.

- Bene, tutti sono andati in bagno, vero?- disse Mulder entrando in macchina e sorridendo alla sua compagna con flemma- Parti quando vuoi, mamma.

Scully fece girare la chiave del contatto e il motore ruggì dolcemente. Slava prese il caffè che Hannah aveva lasciato a terra e lo provò.

- Che schifo – farfugliò con una smorfia. Abbassò il finestrino e lo gettò fuori.

-Ehi!- sibilò Mulder girandosi mentre Scully incominciava a tirarli fuori dal parcheggio.- E' proibito gettare cose dal finestrino. Allacciati la cintura di sicurezza e cerca di fare tutto il viaggio senza muovere un solo muscolo se non vuoi che io torni ad ammanettarti.

Il ragazzo incominciò a mettersi la cintura infastidito. Hannah, invece, continuava ad essere assorta a guardare il giornale, con gli occhi abbandonati sulla fotografia che mostrava sua madre che la circondava con il braccio le spalle nude, abbigliate con vestiti da spiaggia e sorridenti davanti alla costa dell'Est Hampton, quella stessa estate.

" Hannah e sua madre, Grace O'Fallon, che è morta per intossicazione di monossido di carbonio la notte della scomparsa".

***

10:03 pm 

Faceva freddo. Quel genere di freddo che s'infila fino al midollo e ti fa tremare come una povera foglia. Il buio era totale, per cui avanzava alla cieca allungando le mani di fronte a lei. Avvertì un odore di rancido e metallico. Benzina? No, sembrava gas. Butano? Forse.
Ebbe la stessa sensazione di sempre. Occhi fissi sulla sua nuca, un sesto senso che tendeva i suoi muscoli e l'incitava a mettersi a correre.
Un sussurro familiare passò vicino al suo orecchio in mezzo alla penombra, e non potè evitare di girarsi al riconoscerlo.

- Scappa, Hannah. Devi continuare a correre.

-Mamma!

Hannah si svegliò con un salto, chissà forse spaventata per il suono della sua stessa voce.
Si guardò assonnata intorno cercando di rendersi conto di ciò che vedeva, ancora confusa dopo essere ritornata così improvvisamente dalle braccia di Morfeo.
Era sola, raggomitolata sul sedile posteriore della macchina, e qualcuno l'aveva coperta fino al mento con un cappotto nero. Da uomo. Il cappotto di Mulder. La luce biancastra dei lampioni attraversava i vetri umidi dei finestrini. L'aria odorava di benzina ed asfalto bagnato.
Cominciò  battere i denti e si raggomitolò ancora di più sotto il cappotto.
Dovevano star facendo rifornimento in qualche stazione di servizio. Da quando tempo erano per strada? Lanciò uno sguardo all’orologio e calcolò quattordici o quindici ore, anche se avevano fatto almeno quattro soste per andare al bagno e mangiare qualcosa. Nel pomeriggio aveva comprato due pacchetti di Doritos a cui Scully aveva lanciato uno sguardo di rimprovero. Dopo si doveva essere addormentata. L’ultima cosa che ricordava era una vecchia canzone che suonava alla radio, qualcosa dei Bee Gees, e Slava che discuteva con Mulder per l’ennesima volta a causa della cintura di sicurezza.
Improvvisamente una spaventosa idea le passò per la testa, rifiutandosi assolutamente di accettarla. E se quel giardiniere impostore era riuscito a disfarsi dei federali? E se l’aveva rapita?
L’idea di stare alla mercè di questo ragazzo era veramente sinistra. Perchè la voleva? Se la sua intenzione era toglierla di mezzo, non lo avrebbe già fatto?
Si domandò dove stavano Mulder e Scully. Li aveva ammanettati al lavabo di qualche ripugnante bar lungo la strada? O li aveva obbligati a scendere dalla macchina minacciandoli con la pistola, abbandonandoli in un fossato? Supponendo, era chiaro, che li avesse lasciati vivi.
Sentì un brivido. Non doveva lasciar volare l’immaginazione. Non era mai stata una buona cosa anticipare gli avvenimenti.
In ogni caso, se veramente era in possesso di Sava, il fastidio che si era preso ad avvolgerla come un neonato nel cappotto di Mulder le sembrava un particolare surreale, perfino un poco macabro. E surrealista o no,  la verità era che era sola all’interno della macchina e non c’era traccia degli altri. La possibilità che Slava l’avesse sequestrata non sembrava così assurda, dopo tutto. O sì?
L’aria umida e condensata della Taurus incominciò a darle nausea, per cui apri la portiera ed uscì dalla macchina con l’enorme cappotto sulle spalle. Una folata di vento gelido la ricevette con violenza. Davanti a lei c’era solo una fila di distributori. Più in là, l’autostrada deserta e bagnata.
Quella era una pazzia. Era uguale che Mulder e Scully continuassero avere il comando o che al contrario Slava l’avesse in suo potere. Perchè l’avevano lasciata sola? Bella protezione, penso offesa.
Allora, si rese conto di una cosa:se veramente era stata sequestrata, ora era l’unica opportunità che avrebbe avuto di scappare.
Guardò l’interminabile autostrada che si apriva davanti a lei. Poteva attraversarla e cercare di nascondersi negli enormi arbusti che distingueva da lì. Forse poteva perfino allontanarsi correndo e fare l’autostop.

” Andiamo. Hannah” si disse. Non sarebbe arrivata lontana se si metteva a correre. E faceva tanto freddo, se passava la notte nascosta non l’avrebbe sopportato con i vestiti così leggeri che portava. E anche se fosse riuscita a scappare, cosa avrebbe fatto poi? Dove poteva trovare Mulder e Scully? Forse no erano nemmeno vivi.

Poteva, pensò, chiamare l’FBI e cercare di scoprire dove stavano  fingendo di essere un’altra persona. Era qualcosa che le era riuscito sempre molto bene.  Cambiare nome, indirizzo, numero della tessera sanitaria. Aveva avuto così tante identità differenti che non le sarebbe costato inventarsene un’altra.
Ma no. Le istruzioni che aveva ricevuto prima di contattare Mulder erano state chiare. Nessuno tranne loro due potevano sapere della sua esistenza. A nessuno, tranne che a loro, doveva rivelare la verità.
Se era vero, se Slava si era liberato di loro e l’aveva catturata, era finito tutto.

” Forse non era successo niente” pensò. Forse erano sue fantasie Era solamente una persona paranoica a forza di anni di tensione accumulata.

Aspirò profondamente chiudendo gli occhi e per un secondo godette del freddo che aveva portato con sè la pioggia, cercando d’ignorare per un istante i suoi pensieri ed il nauseante odore di benzina che prima si era intrufolato impudentemente nel suo sogno.
Quel sogno…Quel sogno in cui le chiedeva di fuggire, di continuare a correre. Dio, era così stanca di scappare che a volte desiderava che la prendessero perché tutto terminasse. Forse non era così brutto che Slava se la fosse portata via. Forse finalmente avrebbe smesso di correre.
Sembrava che erano passati mesi da quando aveva scoperto quell’intruso in casa sua ed era scappata fino a Manhattan, dove Mulder era andato a cercarla per finire a centinaia di chilometri di distanza. Sembrava che la separassero anni dall’immagine di sua madre che la contemplava dall’alto della scala, trapassandola con i suoi occhi grigio cenere cercando di leggere i suoi pensieri. E da quell’altra immagine che la sua retina aveva congelato allo stesso tempo bella e lugubre, del suo aspetto pallido sul cuscino. Morta ed addormentata, come un angelo di marmo. Il ricordo era così lontano, ma così vivido...
Erano passati solo due giorni.
Due giorni e faceva ancora fatica a credere che non l’avrebbe rivista, né toccata. Cercò di unire nella sua mente i pezzi di sua madre fino a comporla completamente, ma fu incapace. Ricordava il suo sorriso languido, i capelli chiari, gli occhi malinconici, ma era tutto frammentato. Non poteva vederla tutt’insieme. Era già incominciato a sparire il suo corpo sotto la terra del cimitero?
La ragazza rabbrividì e tornò a sentire quella sgradevole vertigine che faceva sì che il mondo traballasse e un suono acuto le perforasse i timpani.
Pianse in silenzio, senza singhiozzi, con lacrime lente e brucianti che incominciarono a disegnare solchi di sale sulle sue guance.
Si appoggiò alla macchina e nascose il mento e il naso nel cappotto di Mulder Odorò uno strano e gradevole miscuglio di after shave e semi di girasole.
Quei due giorni erano stati come il principio senza senso che divideva la sua vita in due. Le sembrava di star vivendo la vita di un’altra persona, come se la sua anima si fosse confusa con il corpo ed ora fluttuasse perduta in un posto qualsiasi incapace di tornare. A volte si sentiva sul bordo di un abisso che l’attraeva e la respingeva in qual misura e voleva solo caderci dentro. A volte  il tempo sembrava fermarsi davanti a lei e sentiva l’eternità che la reclamava, ed era allora quando desiderava fervidamente che qualcuno premesse il grilletto.

- Un penny per i tuoi pensieri.

Hannah si girò con un sussulto al sentire quella voce grave e misurata.
Mulder si trovava a meno di quattro o cinque metri da lei, con entrambe le mani nelle tasche dei pantaloni ed appoggiato ad uno dei blocchi che impedivano il passaggio alle macchine all’entrata del motel a cui Hannah aveva dato le spalle senza saperlo.
La ragazza non potè evitare di sorridere ampiamente. Non l’avevano lasciata sola. L’agente doveva stare lì da tempo, come un cane da guardia che concentrava tutti i suoi sensi su un solo oggetto.
Mulder ricevette con sorpresa quel sorriso dolce e diafano.
Straordinario.
Dopo tutto quello che le era successo, i sorrisi di Hannah erano anche più preziosi di quelli di Scully.
In un gesto appena percettibile aggrottò la fronte al vedere gli occhi vitrei della ragazza.

- Stavi piangendo?

Lei si affrettò ad asciugarsi il viso con la punta delle dita, rigide come lastre.

- No, è per il freddo- disse con una smorfia per sminuire l’importanza della cosa.

Mulder la guardò con tristezza ed usò un tono complice ed intenerito.

- Piangere è una cosa buona, Hannah.

Lei negò con la testa abbozzando un sorriso lontano.

- Le lacrime non sono altro che un simbolo di debolezza-rispose la ragazza con voce opaca.

Mulder sentì che qualcosa si rompeva dentro di lui. Hannah sembrava un uccellino indifeso ed intirizzito dal freddo che si nascondeva sotto il suo cappotto, con occhi vitrei e l’aspetto vecchio ed incantatore di chi ha appreso a soffrire.
Si avvicinò e le passò leggermente un braccio sulle spalle a mò di guida.

- Andiamo, Scully sta prendendo le stanze.

E dopo aver chiuso la macchina si girarono verso il motel, un edificio bianco con il tetto dipinto di verde che si estendeva a forma di U.
A vari metri di distanza, una figura nascosta osservava l’uomo e l’adolescente che si dirigevano verso l’entrata laterale. Inveì contro il maledetto federale, che non aveva tolto occhio da dosso alla ragazza da quando la rossa ed il ragazzo erano entrati nel motel. Darle la caccia non sarebbe stato facile. Almeno, si disse, già l’aveva trovata.
Tirò fuori il cellulare e si dispose ad informare.
Solo qualche minuto dopo, un messaggio appariva sul computer di un ufficio buio.

”Obiettivo trovato a Zanesville, Ohio.”

Peccati

"Gli stendardi del re degli inferi avanzano
Dante Alighieri

Super 8 Motel
2440 National Road
Zanesville, Ohio
Stanza 31
5:09 am

Le notti si trasformavano in un autentica sfida per Fox Mulder.
Aveva provato tutto: valeriana, sonniferi, perfino dibattiti politici per radio. Ma la stanchezza del suo corpo era incapace di corrispondere alla costante ebollizione della sua mente.
Di notte, l’oscurità gli acuiva i sensi e faceva sì che i ricordi diventassero più nitidi. Gli errori che aveva fatto durante la sua vita gli sfilavano davanti agli occhi con machiavellica processione, e Samantha gridava ogni volta più forte chiedendo aiuto al fratello.
Spesso pensava a Dio. E a come Scully depositava una fede inusitata in Lui. Era forse giusto un essere che permetteva le atrocità che entrambi avevano visto? Era forse giusto che gli avevano tolto sua sorella?
Doveva aver fatto qualcosa di brutto. Nelle notti in bianco cercava risposte al modo in cui stava espiando i suoi peccati. Aveva passato metà della vita lontano dal padre, aveva rimproverato a sua madre la perdita di Samantha, aveva portato Scully a perdere tanto o più di lui.
Aveva fatto molte cose brutte. Ma non poteva ricordare che aveva fatto di male quando aveva dodici anni.
Cosa aveva fatto di male Hannah?
Probabilmente la stessa sua cosa.
Niente.
La pioggia cadeva spessa e pesante, e faceva in modo che grosse gocce picchiettassero contro le finestre. Allora tutto gli sembrò assurdamente irreale.
A cosa diavolo stava giocando? Trattenendo un impostore venuto chissà da dove e con chissà quali propositi e scappando con una bambina che aveva conosciuto appena cinque giorni prima?
Hannah. Era questo il suo vero nome? Era chi diceva di essere?
Ne disegnò nella sua mente i tratti affilati, la bocca ampia e la figura slanciata, e vide il viso scarno di Alvin Kurtzweill. Ricordò il vicolo puzzolente a Dupont Circe e la voce fanatica del vecchio.

” La piaga che metterà fine a tutte le piaghe, agente Mulder. Un’arma silenziosa per una guerra silenziosa. La liberazione sistematica di un organismo per cui gli uomini non hanno ancora la cura”

L’Apocalisse pianificata, era questo che sapeva Hannah? Il giorno e l’ora? Forse conosceva il modo di evitarla?

“ Ci hanno utilizzato come anfitrioni. Contro questo non abbiamo difesa. Niente, salvo una debole vaccinazione.”

Le parole dell’assassino di Kurtzweill gli martellavano nella testa. Sua sorella era stata consegnata per poter sopravvivere. E lui era rimasto per lottare contro il futuro. Ma, esisteva un futuro? O le carte già erano state distribuite? Valeva la pena continuare a restare in piedi per scoprirlo?
La notte esauriva i suoi muscoli, e voleva solo riposare.
Era Dio colui che ordinava che, mentre il resto del mondo dormiva, Fox Mulder pagasse i suoi debiti con gli interessi?
***

Super 8 Motel
stanza 32
5:10 am
Nei sogni, persa in un bosco frondoso e labirintico, Hannah scappava spaventata. Le sue gambe non smettevano di correre, ma lei sentiva che non avanzava, stordita da un odore insopportabile. Il silenzio si era trasformato in un ritmo frenetico che si ripercuoteva intorno a lei. Il suo cuore.
Correva. Correva senza pensare, senza guardarsi indietro. Senza nemmeno vedere cosa avesse avanti. Il suo corpo si muoveva automaticamente. Prima una gamba, poi l’altra. Sempre più velocemente.
Si fermò bruscamente allo scontrarsi con un uomo alto e magro che la strinse contro di lui. Hannah sollevo la testa e lo guardò.
Suo padre.

- Ti tengo- mormorò lui.
Ed allora si svegliò.
Apri gli occhi di colpo e fece una profonda boccata d’aria, come se l’avessero appena tirata fuori dall’acqua ed i suoi polmoni desiderassero ossigeno con disperazione. Il selvaggio rimbombare del cuore si perse tra le gocce di pioggia che si schiantavano contro la finestra e l’asfalto, plumbee e costanti, mescolandosi alla benzina e producendo quel nauseante odore.
Alla sua sinistra, Scully sembrava immensa in un placido sonno, inerte, raggomitolata nel letto accanto al suo. L’invidiò. Ad Hannah faceva male la testa, come se una gigantesca chiave inglese esercitasse una pressione sulle sue tempie, per farle scoppiare il cranio in mille pezzi.
L’adolescente si liberò delle lenzuola e si mise in piedi, con i pantaloni sgualciti, la maglietta con le bretelle sudate ed i capelli arruffati. Si avvicinò alla finestra ed appoggiò la fronte sul vetro. Una rinfrescante sensazione si estese per la sua pelle, e ne godette chiudendo gli occhi ed immaginando che il freddo pulito e gelato del vetro si facesse strada tra i meandri del suo cervello e alleggeriva il dolore.
Era esausta, stanca di sognare e cercare di analizzare gli strani messaggi che da qualche giorno le mandava la sua mente quando le riusciva di dormire. Le immagini che l’avevano appena svegliata bruscamente si ammassavano di nuovo davanti a lei. Suo padre che fermava la sua disperata fuga, trattenendola per le spalle con fermezza, guardandola con i suoi stessi occhi arabi e parlandole con la sua stessa bocca larga.
Soffocò un singhiozzo.
Non aveva mai sentito l’abbraccio sicuro e ferreo di un uomo. Suo padre se n’era andato quando lei era ancora così piccola che le mancavano i ricordi. Era stata solo cosciente delle dimostrazioni d’affetto della madre: i suoi baci eterei, il modo in cui le accarezzava i capelli, i battiti del suo cuore quando avvicinava l’orecchio mentre lei la stringeva al petto. Ma era incapace di ricordare la sensazione di braccia maschili e protettrici che l’avvolgevano. L’aveva fatto lui qualche volta?
Sentiva ancora le dita ossute e lunghe di Kurtzweill sulle sue spalle. Una carezza furtiva ed onirica. Irreale.
Abbracciò se stessa, stringendo le mani gelate contro la pelle nuda delle braccia e cercando d’immaginare per un istante che quelle mani non erano le sue, ma di suo padre.
L’odiava.
L’aveva sempre odiato. Da prima che poteva ricordare. Perché se n’era andato? Perché l’aveva condannata in questo modo? Aveva la morte alle calcagna ed era rimasta sola. Completamente sola. E non sembrava importare a nessuno. Nemmeno a Dio. Come poteva importagli, se era stato Lui che aveva permesso tutto quello?

”Ti odio” pensò.

Li odiava tutti e due. Suo padre, per averla abbandonata senza pensare che sarebbe arrivato il giorno in cui sarebbe cresciuta e si sarebbe fatta delle domande, per non averle lasciato ricordi, per non stare lì in quel momento, aprendole le braccia e cullandola. Ed odiava Dio per aver permesso a suo padre di andar via, per aver consentito che uccidessero sua madre e per aver lasciato che lei nascesse. Perché, per che cosa era nata? Per perdere tutto e rimanere sola?
Il desiderio di sciogliersi in lacrime si rifletteva in un dolore pungente e insopportabile nel petto. Scaricò un pugno sul vetro ed un crampo acuto le arrivò fino al gomito.

- Ti odio- piagnucolò con un debole filo di voce.

Non lo capiva. Che aveva fatto di male? Che peccati doveva emendare? E perché doveva pagarli in quel modo?

***
Interstatale 70
Ohio
10:03 am

Era lunedì. Erano esattamente due ore e trenta minuti che avrebbe dovuto essere in laboratorio, a recuperare documenti ridotti in cenere. O meglio nell’ufficio del suo superiore, dando una spiegazione convincente circa il perché aveva abbandonato una riunione straordinaria senza dir niente.
Ma non era così.
Era lunedì, e l’agente speciale del FBI Dana Scully stava in silenzio sul sedile del copilota della macchina del suo compagno, dividendo l’aria e lo spazio con un giardiniere bugiardo, una minore scomparsa ed un federale che non teneva minimamente in considerazione il regolamento.
Slava guidava, con le mani poste svogliatamente sul volante. Mulder cercava di dormire senza troppo successo sul sedile posteriore, e accanto a lui Hannah contemplava il paesaggio attraverso la cortina d’acqua che cadeva dietro i finestrini. Per ennesima volta in tre giorni , nella radio suonava “ Born to be wild”. Scully si strinse nel cappotto nero ed incrociò le braccia sullo stomaco. Non erano ancora a metà settembre, come poteva fare così freddo? Il sabato aveva brillato uno splendido sole e si era perfino lamentata di indossare pantaloni al posto della gonna e portare con se il cappotto, cosa di cui ora era grata. Anche se, per essere precisi, sabato stava nella luminosa e calda capitale del paese, non attraversando lo stato dell’Ohio in direzione Ovest.
Ovest.
Perché Ovest?
Perché era tipico di Fox Mulder perdersi dietro alla prima persona che gli offrisse risposte, anche se a rate e con gli interessi.
“ Dovrebbe essere oggetto di studio” pensò Scully. Mulder agiva per un classico condizionamento: facevano suonare la campana della Verità e lui incominciava a salivare come il cane di Paulov pensando alla sua bistecca.
A volte, la passione straripante di Mulder sfiorava la patologia psichiatrica.
Sapeva che stava esagerando, che era crudele, ingiusta e senza pietà. Ma aveva freddo, erano tre giorni che non si cambiava d’abito e si trovava nel cuore dell’Ohio, così che aveva perfettamente il diritto d’insultarlo. Anche se solo mentalmente.
Dio, perché doveva essere così irritabilmente impulsivo? Perché nel cervello di Mulder imperava la legge “ sei hai un presentimento, ignora il resto del mondo e fidati di esso” E perché diavolo non ripassava il protocollo del FBI più spesso?
Scully immaginò che tra non molto avrebbe dovuto organizzare maratone di sessioni di studio per Mulder come quando andava all’università.
Domanda: Significa la sigla FBI agente Federale che Investiga a suo Piacimento?(ndt non si può rendere in italiano la battuta spagnola)
Risposta: No, significa Bureau Federale d’Investigazione.
“ Non essere ironica, Dana: non è il tuo stile” disse una vocina impertinente nella sua testa.
Borbottò mentre Liza Minnelli sostituiva Mars Bonfire ed incominciava a cantare che la vita è un cabaret.
“Lo sarà per te”, pensò con astio l’agente” per me è andare in zonzo per strade che portano da Nessuna Parte in cerca di una verità fantasma”
In quest’occasione verso l’Ovest.
Perché?
”Perché se una quindicenne dice che bisogna andare verso questo benedetto punto cardinale, Mulder gira il volante verso quella direzione senza tentennare. Va bene, come vuoi. Godiamo di una comunicazione tra compagni eccezionale. Ricca e fluida. Perfettamente compenetrata. La qual cosa ci porta a prendere decisioni sagge basate sull’opinione di entrambi”
Doveva respirare profondamente. Doveva respirare profondamente e contare fino a dieci o avrebbe tirato fuori la sua Smith e Wessan e avrebbe svuotato il caricatore sul primo oggetto mobile che avessero captato i suoi occhi.
Perché dava retta a tutti tranne che a lei? Dio, era offensivo. E frustrante. Come star seduta accanto a quell’impostore straniero andando in direzione Ovest.
Ovest.
Perché Ovest?
Hannah non aveva ancora aperto bocca. Entrambi gli agenti continuavano a non sapere da chi scappavano, per quanto tempo, dove andavano e cosa li aspettava all’arrivo. Erano già da tre giorni per strada, che cosa aspettava?
Scully riconobbe, che quando l’aveva vista la prima volta, con l’uniforme e quel sorriso pretenzioso, non le era piaciuta per niente. Le era sembrato che le piacesse giocare alla “femme fatale” di un film di spie, e le aveva dato fastidio che Mulder non se ne rendesse conto. Ma quell’impressione era durata appena un minuto. Quando aveva incominciato a raccontare dell’incidente aereo e del medico russo, automaticamente l’aveva guardata negli occhi. L’aveva sorpresa il suo cinismo. E la maniera disincantata in cui aveva mostrato loro una piccola parte di quello che sapeva. Quanto le rimaneva ancora da rivelare?
L’agente guardò il riflesso irregolare di Hannah sul suo finestrino. La ragazza aveva un’espressione rilassata ed assente, assorta nel paesaggio. Scully si sorprese anche della sua assenza, del modo con cui aveva dosato le informazioni. All’inizio, quando Hannah poteva ancora controllare la situazione e sua madre era viva, era stato un modo intelligente di guardarsi le spalle. Ora invece, sola e minacciata, forse aveva paura di rivelare il resto. O non aveva fiducia in nessuno.
Ma allora perché aveva affidato loro la sua vita?
Ancora ricordava gli occhi supplicanti e pieni di speranza con cui l’aveva guardata quando Slava la circondava con le braccia e Scully lo teneva sotto tiro con la sua pistola senza sapere cosa fare. Hannah l’aveva guardata con fiducia. Sapendo che le avrebbe salvato la vita.
Sì. Era stata Hannah che si era rivolta a Mulder quando avevano ucciso sua madre. Forse invogliata dalla credenza logica che FBI significava protezione.
Tre giorni fa. E continuavano in direzione Ovest, senza sapere nient’altro. Forse, pensò Dana, non aveva fiducia in Slava. Forse non trovava il momento opportuno per parlare.
Ma no, non era questo. Di notte dividevano la stanza, perché non lo raccontava a lei?
La prima notte, dopo aver letto quella preghiera nei suoi occhi terrorizzati e che Mulder avesse risolto la situazione, Scully aveva creduto di guadagnare la fiducia dell’adolescente quando la scena aveva dato un giro di 180 gradi ed era riuscita a farle abbassare l’automatica con cui aveva sotto tiro Slava. Ed anche quando la tensione accumulata e la paura senza controllo avevano presentato il conto ad Hannah ed era crollata, e Scully l’aveva aiutata a coricarsi mentre lei la ringraziava con un sorriso breve e franco, prima di arrendersi al sonno. Ma non le aveva raccontato niente. La notte successiva, quando l’agente era uscita dalla doccia, aveva trovato la ragazzina accoccolata sul letto con gli occhi chiusi. Chissà se stava fingendo di dormire per evitare di parlare. Forse perché non aveva fiducia nemmeno in lei. Forse aveva fiducia solo in Mulder.
Non glielo rimproverava. Era facile avere fiducia in Mulder. Fox Mulder ti guardava con occhi cangianti e tu gli davi la tua vita, completamente sicuro che l’avrebbe protetta come se fosse la propria. Potevi essere perduto e girare in tondo come volevi, girare e girare come una trottola senza paura di perdere l’equilibrio, perché sapevi che quella volpe sinistra era il tuo punto fisso, la tua pietra di paragone che rimaneva immobile, qualsiasi cosa poteva succedere.
Sì, era molto facile aver fiducia in Mulder. Ma quando la tua pietra di paragone ignora completamente i tuoi avvertimenti, la fiducia passa ad essere una completa mancanza della stessa e tutto diventa un’offesa personale. E nessun” se tu abbandoni, loro vincono” né nessun bacio di cui- oh sorpresa- non si sarebbe parlato di nuovo potevano cancellare questo.
“ Tu mi hai salvato. Per quanto complicato e frustrante sia stato in molti momenti, il tuo esacerbato razionalismo e la tua scienza mi hanno salvato milioni di volte”.
Già.
Per questo andavano in gita verso l’Ovest con uno sconosciuto che poteva essere un killer ed una bambina di cui si parlava nei notiziari.
“ Non essere orgogliosa”canticchio maliziosamente quella vocina impicciona” Sei stata tu che l’hai seguito fin qui senza fiatare”
Orgogliosa. Questo è ciò che era Dana Scully: una permalosa, suscettibile e altezzosa vittima del suo orgoglio. Una sciocca incapace di imporsi e far sì che, per una volta, Fox Mulder agisse secondo i dettami della ragione che diceva che lei gli aveva salvato. Ed un’egoista che incolpava di tutto il suo compagno senza assumere lei stessa una parte molto importante di colpa. Come poteva pensare che faceva caso a tutti meno che a lei? Come poteva credere anche per un momento che la testardaggine di Mulder davanti ai suoi avvertimenti facesse sparire la fiducia tra loro? Era stata lei. Sì. Lei era quella che lo seguiva ovunque. E malgrado sapesse che non era così, una parte di sé temeva di star alimentando l’anticonformismo del suo compagno, come se le facesse vedere, che in fondo, la sua costante disobbedienza alle regole era giusta e logica.
Forse era questo che le dava fastidio veramente. E le causava brividi. L’idea che accompagnarlo in tutte le sue affrettate decisioni significava che lei era ugualmente impulsiva e anticonformista. Che la disubbidienza di Mulder avesse vinto la sua razionalità. Leggi, norme. Quelle della scienza e quelle della logica. Senza di esse, Scully si sentiva persa. Vulnerabile. E questa era una sensazione che odiava profondamente.
Lì stava di nuovo. Puntuale ed indomabile. L’eterno compagno che alzava intorno a lei una corazza di forza degna di un titano. Orgoglio, orgoglio, orgoglio.
Scully aggrottò la fronte, furiosa con se stessa e perse lo sguardo nel monotono paesaggio.
Se doveva essere condannata per qualche peccato, senza dubbio sarebbe stato per il suo ambiguo orgoglio irlandese. Un orgoglio che la faceva imbronciare come una bambina per torturare Mulder ma che allo stesso tempo le impediva di rifiutargli qualsiasi cosa quando lui le chiedeva di rimanere.
E lei, come un truciolo di metallo catturato nella sua poderosa onda magnetica, lo seguiva ovunque.
A volte, l’inesplicabile dipendenza di Scully sfiorava la patologia psichiatrica.

***

Ufficio centrale del FBI
Washington D.C.
10:23 am
Qualcuno bussò alla porta ed una voce forte invitò a passare.
Walter Skinner, enorme come un armadio a muro, girò la testa dal suo posto e vide la segretaria affacciarsi nell’ufficio.

- Signore, nessuno dei due risponde al telefono. Partono le segreterie telefoniche e hanno i cellulari spenti- disse la donna, vestita con un abito blu marino.

Indovinò la tensione nei muscoli del viso quadrato del ex marine. A volte pensava che poteva spaccare la sua scrivania con le mani, e quello le dava i brividi e l’affascinava in parti uguali.

- Va bene, Kimberly. Provi più tardi- disse con rassegnazione Skinner.

- Senz’altro, signore.

- Grazie.

Kimberly chiuse la porta alle sue spalle e Skinner lasciò cadere pesantemente la schiena contro lo spalliera della poltrona. Si tolse gli occhiali e si massaggiò il setto nasale con l’indice ed il pollice.
La riunione sul caso di truffa era ridicola, lui era il primo a riconoscerlo. Lavoro da pivelli. Ma così avevano ordinato i capi, e Mulder e Scully l’avevano fatto grossa ignorando quell’ordine. Il sabato, Ulman era rimasto basito quando aveva visto Scully andar via improvvisamente. Nessuno dei due aveva dato segno di vita per tutto il giorno. E le spiegazioni l’avevano chieste al loro diretto superiore, come era logico. Erano tre giorni che Skinner cercava di contattare i suoi agenti, ma era come cercare un ago in un pagliaio.
Quel giorno non erano andati a lavorare. Si stavano scavando la fossa. E la cosa peggiore era che la terra smossa schizzava in pieno sul vice direttore. In questo modo, ancora più impossibile dare loro qualche aiuto. Cassidy l’aveva convocato nell’Ufficio di Ispezione del Personale alle undici in punto, e Skinner temeva molto che si sarebbe presentato a mani vuote.
Si mise gli occhiali e scaricò un collerico pugno sulla scrivania.
Quale idea geniale era venuta in mente questa volta a Mulder?

***

Interstatale 70
Ohio
10:25 am

Il comportamento di quell’emittente radiofonica era ancora più strano dei casi che affascinavano l’agente Mulder. Dopo di Liza Minnelli era arrivato il turno di Tom Jones, e quando la trigre del Galles aveva finito di rimpiangere “ The green green grass of home”, Tori Amos irrompeva con le sue parole ambigue e poetiche. Mescolava gli U2 con The mamas & The papas e Celine Dion con i Supremes. Mery Wells aveva strappato un sorriso ad Hannah cantando “My Guy” e la potente voce di Ella Fitzgerald le aveva fatto ricordare vagamente, senza sapere il perché, la vigilia di Natale con “ Dream A Little Dream Of Me”.
Canticchiava ancora l’ultima strofa quando la chitarra elettrica le aveva fatto riconoscere in un paio di secondi Mars Bonfire.
Get your motor running / Head out on the highway / Looking for adventure...
Hannah non poteva crederci.
Un’altra volta “Born to be wild”? Che cos’era? Una cospirazione in modulazione di frequenza?
Davanti a lei, Scully sbuffò chiaramente irritata, e la ragazza gliene fu grata. L’agente cambiò emittente senza dire niente e immediatamente il suono folgorante di un pianoforte inondò la macchina con un lugubre accordo in Sol minore. La melodia si distese verso il basso con pesantezza e disperazione e dai toni gravi della tastiera sorse, denso e scuro, un quartetto d’archi.

- Il quintetto di Shostakovich- riconobbe Scully a mezza voce.

Hannah fece un breve salto quando sentì la federale e sorrise appena, contenta di poter chiacchierare di qualcosa.

- Sa che mi piace Shostakovich? Che nelle sue opere riflette sempre la lotta per vincere l’invasore, come avevano fatto i russi prima dell’attacco di Hitler- disse la ragazza animatamente, con semplicità.

- “Leningrado”?- domandò Scully con complicità.

La giovane fece un sorriso lupesco

- La mia sinfonia preferita – rispose, e lasciò che la musica da camera occupasse l’interno dell’auto per alcuni secondi- “ Ho voluto evocare la battaglia dell’uomo contro il destino e celebrare la vittoria della mente” – disse Hannah citando il compositore sovietico-. Ci è riuscito, senz’altro.

L’accento impreciso di Slava sibilò con disprezzo.

- Cosa sei? Un’enciclopedia?

La ragazza fece schioccare la lingua e decise d’ignorarlo. Il percuotere dell’archetto sulle corde del violoncello risuonò al di sopra dei violini e la viola.

- Ti piace la musica classica, Hannah- chiese Scully.

- Mia madre era un’accanita melomane- disse la ragazza con un sorriso di nostalgia che poteva sentirsi nella sua voce- S’incaponì che dovevo suonare il violino e mi iscrisse alla Juilliard, ma durò solo tre anni. Non ho un buon orecchio.

Per un breve istante, Scully e lei condivisero una dolce risata.

- Finì per piacermi. Sa come si dice, di quello che ti nutri cresci.

Accanto alla ragazza, Mulder si stiracchiò, incapace di dormire.

- Scully è un’altra melomane senza rimedio- scherzò con gli occhi verdi opachi per la stanchezza. – Il Concert Hall di Washington è la sua seconda casa.

- Sì, soprattutto per la quantità di tempo libero che ho grazie al lavoro- replicò l’agente seccamente.

Mulder fece una smorfia. Un colpo basso. Molto basso.

- La Juillard non è una di quelle scuole per figli di papà?- chiese Slava senza nascondere il suo disprezzo.

- La Juillard è la migliore scuola di musica di tutto il paese e una delle più prestigiose del mondo- replicò Hannah con rabbia- Lì si sono formati alcuni dei più grandi concertisti del secolo, e la maggioranza che accedono ad essa sono stranieri, con borse di studio e premi. Giovani promesse.

- Quello che io dicevo- si vantò di nuovo il ragazzo con un sorriso vanitoso- Una scuola di figli di papà.

Mentre lo diceva, Slava fece sì che per una frazione di secondo i suoi occhi indaco e allungati incrociassero quelli di Hannah nello specchietto retrovisore.
L’adolescente sentì che il rossore le arrivava alle orecchie.
Rabbia, disse a se stessa.
Con il suo tono fosco, la viola accompagnava austeramente il piano, il cui tono basso ed ostinato faceva pensare ad Hannah ai fiocchi di neve.
Immaginò i boschi bianchi della Russia, infiniti e solitari, e con la coda dell’occhio esaminò il profilo di Slava, domandandosi se quegli alberi erano quelli che l’avevano visto nascere.
Ricordò gli occhi scintillanti di Carol che brillavano maliziosi dietro gli occhiali .“ Chi è “bono” è il nuovo giardiniere”. Quante volte avevano percorso con lo sguardo quei jeans stretti e consumati quando lo vedevano passare il tagliaerba sul prato del patio posteriore che si intravedeva dall’aula. Amy e Adhley andavano pazze per la frangetta sottile e paglierina che copriva i notevoli occhi azzurri quando piegava la testa. Quasi sbavavano. E Hannah rideva sempre degli ormoni senza controllo delle sue amiche.
Avvolta in quel groviglio di bei ricordi, la ragazza osservò assorta le grandi mani di Slava, strette sul volante. La sua mente evocò la sensazione di quelle stesse mani intorno al suo corpo, stringendola sull’addome, ed il ricordo dei battiti vicini che rimbombavano nel petto di Slava e le attraversavano la schiena.
“ Chi è “ bono” è il nuovo giardiniere”.
Senza dubbio che lo era. Non sai quanto Carol.
Pensò alla faccia che avrebbero fatto se avessero visto quella scena e sorrise tra sé soddisfatta.
Un momento.
Soddisfatta?
Soddisfatta di cosa, si poteva sapere? Di quell’impostore che l’aveva sorpresa da dietro e l’aveva spaventata a morte, e chissà che altro ancora se non fosse stato per la miracolosa apparizione di Mulder e Scully?
Per l’amor di Dio, a cosa stava pensando? Quel farabutto l’aveva assalita, forse l’aveva già dimenticato?

- Deve essere fantastico avere un dono- sospirò Scully improvvisamente.

L’agente tirò fuori Hannah dai suoi pensieri.

-Un dono?- riprese senza capire.

- Si, avere talento- continuò Scully- Sapere che c’è qualcosa in cui sei speciale, in cui emergi e che gli altri ti riconoscono- gli occhi da gatto di Mulder brillarono sentendo la sua compagna.- Come i ragazzi di cui parli.

Hannah stette zitta per un istante, meditando sulle parole di Scully.

-Credo di sì- ammise la ragazza.

Un caos di voci sincopate spinsero il piano ad esplodere in ottave titaniche che emergevano dal registro cupo, mentre gli archi gemevano con violenza dalle loro posizioni più rischiose e discendevano, all’unisono, per cedere alla tastiera la tesa melodia iniziale.

- E’ strano il modo che abbiamo tutti di sognare, come se facessimo a turno o qualcosa di simile- riflettè Hannah con un tono dolce e lontano, quasi ingenuo- desideriamo quello che hanno gli altri, e loro quello che abbiamo noi. Alcuni vogliono un cane, una casa con il giardino ed un lavoro dalle otto alle cinque, altri vogliono abbandonare la loro routine e vivere un poco più di avventura, con meno sicurezza. Alcuni desiderano trovare l’anima gemella ed altri invece ucciderebbero per essere soli. C’è gente che sogna di nuotare nel denaro e gioielli, mentre altri anelano salire sulle scene e mettere il pubblico in piedi, come questi ragazzi

- E tu cosa desideri? – chiese Mulder con un amabile sorriso.

Ma il sorriso dell’agente si cancellò al vedere che gli occhi della ragazza si oscuravano leggermente alla domanda. Hannah battè le palpebre languidamente e sospirò.

- Mi piacerebbe poter compiere diciassette anni- mormorò

E si perse a guardare i vetri bagnati.
Gli archi ed il piano continuavano a lottare contro il destino, impregnando l’aria con i loro suoni cupi e desolati, mentre il paesaggio svaniva, irraggiungibile, dietro ai finestrini.
Mulder abbassò lo sguardo, commosso dalla risposta e sentendo vergogna per la domanda. Scully strinse le labbra, e accanto a lei Slava rimase con gli occhi fissi sulla strada che si apriva davanti a lui. Impassibile. O almeno ci provava.
Qualcosa di vecchio, strano, perduto nei ricordi della sua fanciullezza e l’odore di sangue e umidità, si mosse dentro di lui per una frazione di secondi.
Compassione?
No. Sicuramente, aveva solo freddo.

***
Ufficio Centrale del FBI
Washington D.C.
11:02 am

Gli occhi di Jana Cassidy sembravano gemme impassibili forgiate sotto il ghiaccio dell’Antartide. Azzurri e distanti, trafiggevano con durezza l’uomo quadrato, calvo e con gli occhiali che era seduto davanti a lei.

-…da tre giorni- diceva la donna- E’ cosciente della gravità del fatto, direttore Skinner?

-Sì.

- Suppongo che sarà d’accordo con me che la cosa migliore per tutti è scoprire dove si trovano gli agenti Mulder e Scully.

L’ex marine annuì brevemente con la testa. Gli occhi glaciali di Cassidy divennero severi, e Skinner sentì una strana e lontana empatia con Scully, seduta sulla stessa sedia solo qualche giorno prima. In questa occasione, invece, non ci stavano il resto dei vicedirettori, e la solitaria presenza della Cassidy intimidiva ancora di più. Perfino un uomo come Skinner. E il fatto era che Jana Cassidy, minuta, anziana e severa, possedeva il potere di muovere fili a cui lui non aveva accesso.

-Ho avuto già abbastanza telefonate di avvertimento, e francamente, l’atteggiamento dei suoi agenti mi sembra assolutamente irrispettoso: verso l’FBI, verso di me e anche verso di lei, direttore Skinner.

I muscoli inespressivi del suo viso lottavano contro la rabbia che gli bolliva nelle vene. Skinner aveva visto come Mulder e Scully si schiantavano continuamente contro il rigido muro che formava il regolamento del FBI, ed era stanco di fustigarsi con l’impotenza di non poterli aiutare. Si odiò per star seduto su quella sedia senza risposte da offrire per proteggerli, senza bugie ben costruite né alibi previamente pianificati. E insultò Mulder per la sua maledetta abitudine di non informare, fare delle sciocchezze e trascinare Scully nei suoi presuntuosi spropositi.
Cassidy lo squadrò mentre stringeva le labbra e Skinner potè intravedere il temuto ultimatum della donna prima che questa lo sentenziasse.

- Ha quarantotto ore per sapere dove si trovano i due agenti- disse Cassidy con espressione neutra- in caso contrario Fox Mulder e Dana Scully saranno licenziati senza possibilità di riassunzione.

***
Da qualche parte ad ovest dell’ Ohio.
3:10 pm
Le chiese sono santuari del silenzio, sepolcri dei peccati che l’umanità commette contro se stessa mentre si rifugia ipocritamente nelle preghiere della sua stessa meschinità, credendo di purgare così il nido di demoni che grugnisce nella nostra mente.
Solo qualche minuto fa abbiamo finito gli hamburgers del McDonald’s dell’interstatale verso l’Indiana che siamo venuti a mangiare qui, tra un Posto Qualsiasi e il Nessun Luogo. La rossa aveva preso il mio posto al volante quando siamo usciti dal ristorante, aveva girato a destra e aveva guidato per vari metri attraverso gli alberi.
In altre circostanze sarebbe stato un bel picnic familiare.
Non ha fatto quasi rumore per tutta la mattina. Si è alzata in piedi come un gatto, ed i federali non se ne sono accorti, impegnati in una discussione che è cominciata con una stupida insalata di cavoli.
Allora, da lontano, l’ho vista entrare in una piccola chiesa.
E l’ho seguita.
E’ qui, a pochi metri da me, languida e snella come una statua di ebano, con questi due pezzi di mogano fissi sull’austero crocifisso di un tempio di legno nascosto tra gli alberi. Abbattuta, persa e senza sapere quale sia il successivo passo che deve fare.
Sorrido soddisfatto al pensare al poco che rimane dell’adolescente sfacciata e furbetta che passeggiava per i corridoi di quella scuola per ricchi, e allo stesso tempo riconosco che quell’aria di sufficienza mi piaceva. Faceva sì che, con i suoi sedici anni, sembrasse incomprensibile e dannatamente sexy
Credo di essere un feticista.
Questa strana voce dinamica e burlona era arrivata ad ossessionarmi, come i suoi gesti abili e flessuosi e la chioma scura e interminabile che sfiorava la cintura della gonna della sua uniforme. E anche quella bocca larga ed umida con cui mi aveva sorriso senza vergogna mentre le sue amiche bisbigliavano su di me e che ora si lecca, nervosa, lasciando scappare un impercettibile sospiro desolato.

- Pensavo che fossi ebrea.

La mia voce le fa fare un lieve sussulto e vedo come i suoi muscoli si tendono per un secondo. Gli anni le hanno insegnato a reagire rapidamente. Giuro che è stata sul punto di mettersi a correre come una gazzella minacciata.

- Hai pensato male-replica senza guardarmi.

Il suo tintinnio ironico rimbomba tra le tavole di legno del tetto.

- Tu padre lo era.

Si gira e fissa i suoi occhi arabi nei miei.

- Era anche vecchio, ginecologo e un traditore. Invece, il sogno della mia vita non è fare mammografie e prescrivere contraccettivi.

Evvai, è tornata ad essere la linguacciuta giovinetta della scuola di figli di papà.

- E’ questo che credi che era tuo padre? Un traditore?- le domando avvicinandomi poco a poco a lei.

- Mi ha abbandonato. Mi ha tradito- dice come se si trattasse di una semplice regola.

Alla fine ho annullato la distanza e mi metto accanto a lei. E’ alta. Molto alta. C’è appena qualche centimetro di differenza. Mi chiedo se crescerà ancora.

- Forse l’ha fatto per il tuo bene.

Fa schioccare la lingua e scuote la testa, facendo in modo che la lunga coda con cui ha raccolto i capelli si agiti vigorosamente da un lato all’altro.

- Questo racconto già lo conosco. Dovrai raccontamene un altro.

- Bene, mi pagò perché non ti succedesse niente di male, non è questo un punto a suo favore?

Mi guarda con gli occhi socchiusi come un felino sospettoso.

- Veramente sei venuto per questo? Per proteggermi?

- Non mi credi?

Si stringe nelle spalle con noncuranza. Se ha paura di me, lo nasconde molto bene.

- La mia opinione importa poco, non ti sembra? Sono in custodia di due agenti del FBI a cui non piaci per niente. Sarà meglio che cerchi di convincere loro.

E mi sorride con insolenza come quel giorno nella scuola, quando dondolava le sue gambe chilometriche e seminude sotto la gonna, seduta su una panca, e diceva che preferiva un attore nasuto a me.

- Credo che tu abbia ragione- ammetto- Anche se te la sai cavare molto bene da sola. L’altra notte mi facesti prendere un bello spavento.

Torna a stringersi nella spalle. La verità è che tanta indifferenza incomincia a darmi fastidio.

- Occhio per occhio- risponde semplicemente.

-Non hai detto che non sei ebrea?

- La Legge del Taglione è universale.

Dio, ma ha una risposta per tutto?

- E funziona?- le domando.

Sostiene il mio sguardo senza battere ciglio. Sembra un gatto.

- Dimmelo tu.

Un gatto impertinente.
Sorrido appena ma non rispondo. Invece, continuo il gioco da un’altra parte.

-Sai chi mi ricordi? Holden Caulfield. Puoi vedere il pericolo che noi altri, coperti dalla segale, non possiamo scorgere.

Il suo viso si stringe in una smorfia che fa sì che sembri bella e despota, infantile e seducente come una ninfa addormentata.

- Holden cosa?- ripete.

Faccio in modo che le mie sopraciglia si inarchino con sufficienza. Ho trovato un difetto nella signorina so tutto? Bingo.

- “ The catcher in the rye” (n.d.t. titolo it. “Il giovane Holden”)- rispondo con una teatrale meraviglia davanti alla sua palese ignoranza -Una delle opere salienti della letteratura nordamericana. JD Salinger, 1945. Un classico.- la guardo con incredulità prima di finire il mio discorso- Dio, cosa insegnano nella tua scuola?

Lei alza un sopraciglio sottile e scuro ed i suoi occhi diventano ancora più irresistibili se è possibile. Lungi dal vergognarsi per quello che ho detto, mi sorprende ancora una volta.

- Che cosa sei? Un’enciclopedia?

Cazzo.
Riconosco che questa volta ha vinto. Non so cosa rispondere.
In un accenno a dimenticare questo strano duello, dirigo lo sguardo verso il Cristo ammuffito che sta davanti a noi. Mi ricorda i templi in rovina del mio paese. Il sangue conserva ancora uno scintillio sotto la corona di spine. Rosso, denso, palpitante. Posso quasi sentirne l’odore. Sangue e pioggia. Polvere da sparo e cadaveri che si decompongono sotto le rovine di qualche ponte. E’ un odore che mi perseguita.
Ai piedi del crocifisso, l’altare abbandonato mostra un'iscrizione rozza ed ancora visibile.

- Inferni prodeunt- leggo ad alta voce.

- Gli inferi avanzano- mi traduce Hannah in un improvviso sussurro.
La guardo sorpreso. Sa anche il latino?
Sto sul punto di farmi beffe di questo. Forse riesco a vincere una volta per tutte la colorita partita che abbiamo iniziato.
Qualcosa mi frena. I suoi occhi sono persi sulla vetusta espressione latina. Ho freddo. Un freddo strano e repentino. Come se la temperatura fosse scesa in picchiata.

- Il tempo è vicino- sentenzia enigmatica.

E con un gesto automatico, incrocia le braccia rabbrividendo leggermente, come se una corrente d’aria gelida avesse attraversato la sua schiena dalla testa ai piedi.
Quello che più mi spaventa è che anch’io l’ho sentita.

- Hannah?

Ci giriamo e vediamo l’agente Scully che si affaccia alla porta coperta d’edera. Abilmente, rimette nella fondina che le pende dalla vita la sua pistola regolamentare
La rossa a soccorso. Fantastico.

- Vi stavamo cercando- dice con un certo nervosismo mal dissimulato nella voce- Andiamo.

Hannah si avvicina a lei con falcate elastiche e attenuate. Non mi rendo conto che l’odioso Signor Sarcastico mi sta aspettando all’entrata della chiesa finche non mi ferma appoggiando la mano sulla cornice della porta sbarrandomi il passo.

- Spero che sia l’ultima volta che resti solo con lei.

Sorrido con sufficienza.

- Mi sta minacciando?

Scoppia a ridere.
Dio, detesto quest’uomo. E’ ancora più orgoglioso di me.

- No, non mi hai capito. Vedi, non è una minaccia, e nemmeno un avvertimento- il sorriso si cancella, ed i suoi tratti diventano così seri ed ufficiali che sento l’impulso di spaccargli la perfetta faccia di funzionario del Governo. – E’ una realtà: la prossima volta, farai il resto del viaggio ammanettato al tubo di scappamento.

E se ne va tranquillamente dietro i passi della sua compagna. Mi mordo la lingua e mi trattengo dal replicare. Ad ogni modo, non ho niente da dire. Un’altra cosa monopolizza la mia attenzione.
Hannah cammina al suo fianco senza guardare indietro, ed io non posso evitare di pensare a quello che mi ha appena detto. Gli inferi avanzano. Il tempo è vicino. E lei è l’unica a vedere il precipizio che si apre oltre la segale.
Le chiese sono santuari del silenzio che conservano segreti inconfessabili, sepolcri di peccati che pazzi e savi cercano di purgare invano.
Quali sono i tuoi segreti Hannah?
Quanto tempo tarderai a raccontarmeli?
Domande

La vita è una partita e bisogna viverla secondo le regole del gioco
J. D. Salinger

Da qualche parte ad Ovest dell’Ohio
3:04 pm

In quasi sei anni che si conoscevano, Mulder non ricordava d’averla mai vista in una situazione così. Vestita con un tailleur, tacchi e mangiando una di quelle insalatine minuscole del McDonald’s, seduta su un tronco caduto coperto di muschio e circondata dalla spessa vegetazione dei boschi dell’Ohio
Vestiti o scenario. Qualcosa non quadrava.
Vedendola, immaginò se stesso con la cravatta e le scarpe italiane, divorando il suo quarto di libbra gigante appoggiato contro un albero, e si sentì fuori posto.
Di fronte a loro, Slava alternava rapidamente morsi al suo McNuggets con lunghi e sonori sorsi alla bibita, arrampicato sulla parte più alta di un macigno che gli offriva una visione privilegiata del gruppo. Vicino alla macchina, senza sfuggire al radar del ragazzo, Hannah mordicchiava assente una patatina fritta, seduta per terra con le gambe incrociate, come una bella principessa indiana. Mulder fece scorrere gli occhi su entrambi i ragazzi, fino a fermarsi su Scully, che sembrava concentrata sulla sua forchetta di plastica. Stringendola come se stesse ad una cena di gala, prese una foglia di lattuga ed un pezzo di cetriolino e li portò alla bocca con lentezza. Con quella meticolosità così Scully, con misura e razionalità. Zero manie, zero impulsi. Conservando prudentemente la compostezza.
Era solito prenderla in giro per quello. Ma ultimamente non era mai il momento buono. E Mulder temeva che era per colpa sua.
Aveva appena aperto bocca in qui tre giorni. E non c’era da meravigliarsi. Anche lui avrebbe avuto un umore da cani se avesse dovuto trovarsi in una brutta situazione abbandonando una riunione per andare a cercare il suo stupido compagno in un altro stato, perché questi aveva avuto la brillante idea di accogliere nel suo materno seno un’adolescente che ore dopo la polizia avrebbe incominciato a cercare. E se, per colmare la misura, avesse proposto intelligentemente di andare a Washington e consegnare la ragazza alle autorità e il suo compagno l’avesse ignorato completamente organizzando un improvvisato viaggio per la strada, l’unica voglia che avrebbe avuto sarebbe stata quella di assassinarlo.
Ah, che meraviglia. Istinti omicidi.
L’apparizione di Slava in tutto questo road-movie non aveva niente a che vedere con Mulder. Lui lo sapeva. Ma non rimproverava a Scully il fatto che, dentro di lei, gli dava la colpa anche di questo. Una specie di “ danno collaterale” per essere cosi assolutamente cocciuto e di non fare caso ai suoi avvertimenti.
“ Non puoi agire alle spalle della legge e ancor meno essendo un agente federale”
Lo sapeva, lo sapeva.
“ Ti sei fermato a pensare cosa potrebbe accadere se ti trovano con lei? Ti rendi conto che stiamo parlando di sequestro?”. Scully l’aveva avvertito continuamente in quell’infima pensione del New Jersey in cui aveva passato la notte con Hannah. Un sequestro. Dio. E l’accusato non sarebbe stato lui: sarebbero stati tutti e due.
La stessa cantilena di sempre. Lui faceva una sciocchezza, lei gli copriva le spalle, lei pagava le conseguenze, tutte le conseguenze. Era rapita, perdeva una sorella e si ammalava. Ed invece, lo ringraziava con occhi placidi ed infiniti per essere viva.
Sei un porco, Mulder. Un porco egoista, arrogante e narcisista.
Ricordò il giorno dopo l’attentato di Dallas. Era arrivato tardi alla riunione e aveva lasciato Scully da sola di fronte al gelido interrogatorio del vicedirettore Cassidy. Cazzo, era un inetto ed egolatra che non serviva nemmeno per arrivare puntuale ad una riunione ed evitare la ghigliottina alla sua compagna.
“ Se vogliono un capro espiatorio che scelgano me, lei non se lo merita” aveva detto Mulder a Skinner mentre Scully testimoniava. “Scully lì dentro sta dicendola stessa cosa di lei” aveva risposto il vicedirettore.
Merda. Lui non aveva rispettato il protocollo. Lui, non Scully. Perché doveva pagare lei per i suoi errori?
Perché doveva essere sempre lei?
Sempre la stessa cantilena.
“ Ti rendi conto che stiamo parlando di sequestro?”
Non poteva continuare così ancora per molto tempo. Quella pazzia sarebbe finita prima o poi e la scena si sarebbe ripetuta identica ai giorni precedenti. La OIP, quei volti rigidi, lui che faceva stronzate, lei che gli salvava il culo. E pagandone le conseguenze, come sempre.
“ No, ascoltami tu. Metterai questa ragazza in macchina e verrai con me a Washington. Mi sono stancata di seguirti ovunque tu vada.”
Avrebbe dovuto darle ascolto. Smettere d’interpretare il suo ruolo di eroe anticonformista e fare le cose secondo le regole del gioco. Tutto era appeso ad un filo, e quella storia li avrebbe gettati a capofitto nell’abisso. Scully e lui.
“Mi sono stancata di seguirti ovunque tu vada “
Aveva sempre saputo che sarebbe arrivato il momento in cui questa farse sarebbe uscita dalla sua bocca. Detta in un modo o nell’altro, questo era la cosa meno importante. Il messaggio sarebbe stato sempre lo stesso, una rivelazione che lo spaventava come un bambino. Sapere che Scully era stufa di essere il suo avvocato del diavolo. Che si era stancata di lui.
Avrebbe dovuto lasciare che andasse via quando gli aveva detto che abbandonava. “ Non ho più motivi per rimanere”, gli aveva detto abbattuta. Li separavano e la toglievano dagli XFiles, e Mulder si sentì terribilmente colpevole per averla assorbita tanto che l’unico laccio che la legava ora all’FBI era quello costituito da quei casi non classificati. Non rimaneva più niente in lei di ciò che l’aveva spinta quando era appena laureata ed era entrata a Quantico desiderosa di servire la legge. Senza XFiles, senza Mulder, non vedeva più nessuna ragione per rimanere. E lungi dal sentirsi lusingato, si odiò, come quando ricordava il modo in cui le aveva chiesto di rimanere. Il corridoio vuoto, l’afa notturna, il suoi occhi sconfitti e le sue labbra umide. E tutto trasformato in un ricordo confuso di cui non avevano più parlato.
Mulder diresse lo sguardo verso la bocca di Scully, che masticava piano. Una bocca piena, grande, bagnata. La stessa che sorrideva impercettibilmente alle sue battute impertinenti e che recitava teorie scientifiche.

- Merda- biascicò lei tra i denti.

Con un sussulto, il federale battè le palpebre varie volte, tornando alla realtà. La forchetta di plastica era a terra con un piccolo pezzo di cavolo. Dana la sollevò con schifo e Mulder vide che c’erano piccoli rami appiccicati sulla polvere brunastra e tracce di fango.
Scully incominciò a palparsi le tasche del vestito alla ricerca di un fazzoletto.

- Vuoi un poco di hamburger?- domandò Mulder con un sorriso amichevole tendendole ciò che rimaneva del suo enorme quarto di libra.

Lei continuava a cercare senza esito un fazzoletto.

- No, Mulder, non voglio hamburger, grazie- rispose tirata, girando gli occhi verso di lui con espressione furibonda- voglio solo finire la mia insalata di cavoli.

E passò alle tasche della giacca. Niente. Nemmeno un Kleenex usato.

- Cazzo- mormorò la donna in un sussurro appena percettibile.

Scully che diceva due parolacce in meno di un minuto? Brutto affare, doveva essere arrabbiata.

-Su, Scully. Prendi il mio hamburger e dimenticati di questa mini-insalata- insistette Mulder con tono conciliante.

Lei si mise in piedi e lasciò il piccolo contenitore precariamente appoggiato sul tronco.

- Anche se potessi finirla, non credo che ti farà passare la fame- continuò lui. Ma Scully sembrava ignorarlo mentre cercava nelle tasche del pantalone- E così…mini- disse sorridendo e facendo sì che i suoi occhi si rimpicciolissero ancora di più.

- Ti ho detto che non voglio, Mulder- replicò tirando fuori finalmente un fazzoletto dalla tasca- Cosa c’è non posso nemmeno mangiare un’insalata a mio piacimento?

E l’indicò dando enfasi alla sua frase carica di frustrazione gastronomica.
Troppa enfasi.
Invece d’indicarla, le assestò una manata accidentale che la sparse al suolo.

- Maledizione! –esclamò irritata.

Mulder e lei contemplarono la piccola scodella macchiata di fango e i resti del cavolo, lattuga e carota tritata che si mescolavano con foglie secche e piccoli rami. Sorrise con compassione.

- Continui a preferire la tu insalata?-scherzò Mulder con voce amabile e complice.

Sapeva che sarebbe scoppiata a ridere e che la tensione sarebbe svanita come la fiamma di un cerino. Era sempre così.

- Non è divertente- sbuffò l’agente con astio.

Ehi, un momento. Cos’era quello s scintillio irato negli occhi di Scully? Che cos’era quella contrazione seria e tesa del mento? Non era arrabbiata, era molto arrabbiata. Furiosa. Sul punto di sparare a qualcuno.
Istinti omicidi. Mulder ingoiò a vuoto.

- Mi dispiace- disse timidamente, come un bambino messo in castigo.

- No, non dispiacerti- tagliò brusca- la colpa è solo mia. Solo a me viene in mente di comprare un’insalata e venirla a mangiare in un posto dimenticato da Dio.

Scully sedette di nuovo sul tronco e dette un piccolo calcio al recipiente di plastica. Mulder la fissò attentamente. Aveva i pantaloni spiegazzati e il suo perfetto viso sembrava spento, vittima della stanchezza e la frustrazione che si portava dietro da tre giorni.
Esattamente dalla mattina del sabato, in quel motel del New Jersey
La colpevolezza bussò ancora una volta alla porta di Mulder.
“ Avanti, Scully. Dimmelo“ pensò abbattuto.“ Dimmi che è tutto per colpa mia. Che non seguo le regole e che sono un idealista. Che ti trascino da uno sproposito ad un altro ancora più grande. Dimmi che ti sei stancata di me.”

-Sì- disse lui- e solo a te viene in mente di seguirmi ovunque io vada, vero?

Scully sollevò lo sguardo e Mulder lesse le domande che ballavano in quegli occhi oceanici. Lo rimproverava a lei? O lo rimproverava a se stesso?

- Credi che sia per colpa mia - continuò a dire- Non lo dici, ma è quello che pensi. Siamo qui per colpa mia, non è così?

Vide come lei si leccava lentamente le labbra prima di rispondere. Era nervosa. Cercava di trattenere la rabbia, e quello la rendeva nervosa.

- Bene, non è stata una mia decisione ignorare la legge e lasciarci manipolare da una quindicenne.- disse Scully seccamente.

Bingo.
Con una retorica prudente ed eufemistica, Dana Katherine Scully gli aveva appena addossato la colpa di quella situazione. Sì signore. Fantastico. Sono Fox Mulder, il grandissimo figlio di puttana all’ascolto. Già glielo aveva detto il fratello di Scully appena un anno prima. E come tutti i buoni figli di puttana che si rispettano, una parte di Mulder aveva bisogno di difendersi.

- Ma venir come me quella sì che è stata una tua decisione- sottolineò lui.

In meno di un secondo si pentì di quello che aveva detto. Come poteva dare la colpa a Scully?

“ Perché se non fosse venuta, l’avresti incolpata ancora di più” si disse. L’avrebbe tacciata di traditrice. L’avrebbe accusata di mancanza di lealtà. Lealtà verso chi? Verso di lui, naturalmente. L’ombelico del mondo. Mulder, il porco narcisista.

Scully lo guardava con un sopracciglio inarcato che lo faceva sentire un essere indesiderato. I suoi occhi azzurri erano diventati scuri nel trattenere l’ira che tingeva le sue guance. La voce tremò leggermente, ma fu tagliente.

- Ti ricordo che sei stato tu che mi hai supplicato di non abbandonarti. Se nel tuo megalomane linguaggio personale questo significa che ho il permesso per non doverti accompagnare nelle tue fughe per le strade verso non-si-sa-dove, ti sarei grata se la prossima volta mi facessi notare questo dettaglio. Così saprò che posso rimanere a casa invece di seguirti ovunque tu vada.

Mulder sopportò con stoicismo quello schiaffo silenzioso. Sostenne lo sguardo dell’agente senza battere ciglio e fece un profondo sospiro. Lei attendeva una risposta- o meglio delle scuse- con le braccia incrociate e gli occhi addolorati e vibranti. Lui scosse la testa, pensando.
Fu allora quando si rese conto che non c’era traccia dell’adolescente. E cosa peggiore anche Slava era scomparso.

-Dove è Hannah?- domandò Mulder improvvisamente, con inquietudine.

***

Autostrada 121
Indiana
8:15 pm

Ho pochi ricordi dei miei genitori insieme. Ed ancor meno di quelli in cui sono con loro.
Ricordo una casa in campagna, risate infantili, l’odore della brace, chiacchiere a mezza voce. Ricordo mio padre che parlava con altri uomini, e mia madre che mi teneva in braccio. Ricordo le sue labbra sui miei capelli e l’invito di una bambina d’andare a giocare a nascondino.
Ricordo anche un dolore acuto nella tempia, la rigidità del collo, la sensazione febbrile. Ricordo camici bianchi e voci concitate. E la puntura che mi perforava la schiena, tra le vertebre. Ricordo di aver aperto gli occhi e di aver visto mio padre in piedi che mi guardava vicino allo stipite di una porta che non riconoscevo, e mia madre seduta accanto a me, che singhiozzava e rendeva grazia al cielo.
L’ultima cosa che ricordo è la loro discussione nella veranda, a voce bassa accompagnati dal ritmare di un grillo. “ E’ la cosa migliore” sentii dire a mio padre. Credo che sentii un bacio sulla guancia quando mi stavo addormentando ed una mano grande e dura scostarmi i capelli dalla fronte, credo che sentii dei passi familiari che se ne andavano per sempre, scendendo le scale. Credo, ma non ricordo bene.
Un piano solitario canta una melodia semplice e malinconica. Mi sembra che sia Satie. Io ho scelto questo canale. Ero stanca di sentire i Beach Boys. Slava e l’agente Mulder si sono addormentati sul sedile posteriore in un dormiveglia inquieto. Accanto a me l’agente Scully guida con lo sguardo perso da un’ora.
Hanno discusso di nuovo. L’ho capito quando sono venuti a cercarci in chiesa, evitando di guardarsi. La tensione è palpabile tra loro. La presenza di Slava non aiuta. Ed io nemmeno, nascondendo loro la verità che avevo l’incarico di rivelare.
Il cielo è rosaceo e selvaggio, ed il silenzio ha fatto sì che io mi sentissi improvvisamente sola. Per questo mi sono ricordata dei miei genitori.
A volte non posso evitare di pensare che se non ho ricordi è perché io stessa li ho cancellati. Che se non conservo niente di mio padre è perché ho imparato a dimenticarlo nello stesso modo in cui ho appreso ad odiarlo. Ed anche se non capisco il motivo, mi manca non poterlo ricordare.

- Agente Scully- la mia voce fa sussultare perfino me al rompere il lungo silenzio della macchina.- Posso farle una domanda?

Risponde senza distogliere gli occhi dalla strada.

- Certamente.

- Lei amava suo padre?

Il debole movimento delle sue sopracciglia mi mostra la sua sorpresa. So che domande come queste sono dolorose, ma lo sono meno se te la fa qualcuno che sta nella tua stessa situazione. E’ una specie di complicità catartica.
Ed anche lei lo sa, perché mi sorride con franchezza e la sua voce è dolce.

- Con tutta la mia anima.

Stringo le labbra e guardo davanti a me. Il cielo sembra la tela caotica di un genio senza musa. Pennellate ocra e colleriche si mescolano con altre, purpuree e disperate, cercando l’ispirazione nelle stelle appena spuntate.

- Io avevo sei anni quando mio padre andò via- incomincio a dire senza nemmeno rendermene conto- prima di questo, i ricordi sono confusi. Suppongo che lo accettai senza dir niente. Ma uno o due anni dopo incominciai a farmi domande, e mia madre mi rispondeva solo a metà. Traslocavamo ogni sei mesi. Era un inferno: dovevo memorizzare nuovi dettagli su vite inventate e cambiare cognome. Ho vissuto nel Dakota del Nord, Utah, Missuri, Idaho, Nebraska e Alabama. Mi sono chiamata McCallister, Thompson, Leavitt, Arroway, Burton, Swanwick, e il mio passato è variopinto: sono stata figlia di un imprenditore morto in un viaggio d’affari nella Corea del Nord, di un professore di matematica vittima del cancro al colon e di un affabile agente di borsa che si schiantò con la sua jeep tornando a casa. Dopo mezza vita scappando, mia madre decise quando ho compiuto tredici anni di rimanere definitivamente a New York, almeno per qualche tempo. Siamo diventate O’Fallon e mio padre un avvocato divorzista che avevamo perso per un infarto.

Sto zitta per qualche secondo e i miei occhi si ubriacano a guardare le sottilissime righe dei miei pantaloni.

- Lei crede che ho motivo per odiarlo?-domando.

Scully inclina un poco la testa.

-Questo non è qualcosa che io debba giudicare.

Chiunque avrebbe detto che vuole essere diplomatica. Ma la sua voce, dolce come caramello liquido, mi garantisce che mi risponde con sincerità, perfino con compassione.

- Crede che io sia cattiva per odiarlo?

I suoi occhi, enormi e tranquilli, mi attraversano con qualcosa che mi stringe il cuore e di cui sento terribilmente nostalgia da solo qualche giorno.

- Non pensarlo mai, Hannah. Tu non sei cattiva. Non hai la colpa del modo in cui hai vissuto la tua infanzia- sostiene il mio sguardo per qualche secondo e torna a contrarsi sulla strada. Allora muove le labbra ancora una volta e mi regala il perdono che per molti anni ho reclamato in silenzio- Non hai colpa di niente.

L’eco delle sue parole sembra rimbalzare all’interno della macchina, esercitando su di me un effetto balsamico. Sento che le lacrime affiorano ai miei occhi e mi mordo il labbro per trattenerle.
Quando ero piccola, spesso m’incolpavo dell’abbandono di mio padre. Mi dicevo che dovevo aver fatto qualcosa di male perché lui avesse deciso di andar via e lasciarci sole. Scoppiavo a piangere e mia madre accorreva allarmata per i miei singhiozzi. E senza domandarmi cosa mi succedeva, mi stringeva contro di lei ed io credevo che l’unico suono che esisteva al mondo era il dolce pulsare del suo cuore.

- Ieri ho letto sul giornale che mia madre è morta per intossicazione di monossido di carbonio.

L’agente mi guarda brevemente e aspetta che io continui a parlare.

- So che è inodore e che per questo non mi sono resa conto che c’era una fuga, ma quello che non capisco è perché lei è morta ed io non ho avuto nemmeno un capogiro.

Sa quello che sto chiedendo.

- Possono averle procurato un arresto cardiaco iniettandole aria nelle vene- mi risponde- E’ probabile che hanno aperto il gas dopo che eri scappata.

Qualcosa mi opprime il petto e mi stringe la gola.

- Ha sofferto?- riesco a dire soffocata dal pianto che lotta per venir fuori.

- No, se era addormentata. E lo era, Hannah- mi assicura con dolcezza- Non c’erano segni di lotta.
Non posso evitare di singhiozzare quando lo dice. Le credo. Le credo fervidamente. Ed è un sollievo.
Voglio continuare, finirla una volta per tutte e raccontarle tutto, ma qualcuno si muove sul sedile posteriore e un accento sibilante penetra nel mio orecchio.

- Ho bisogno di andare in bagno- dice Slava stiracchiandosi-. E ho fame.

***

Dunes Den Bar & Grill
5440 Autostrada 20
Portage, Indiana
8:48 pm

Sempre le stesse facce.
Camionisti diversi ogni giorno ma con la stessa espressione stanca e scura sui volti abbronzati. Il solitario di turno che leggeva in un angolo del bancone. E l’eterna clientela di rudi motociclisti. Falchi della strada. Pelle, catene e Harleys parcheggiate male che li aspettavano sul selciato.
Sempre le stesse facce e lo stesso odore di prosciutto bruciacchiato e birra che si mescolavano nell’aria, plumbea per il fumo della cucina e delle sigarette.
Per questo quei quattro estranei non passarono inosservati ad Harriet, la cameriera del Dunes Den.
I due adulti erano troppo giovani per essere i genitori, i ragazzi troppo diversi per essere fratelli. Salvo il ragazzo, tutti indossavano vestiti per cui qualsiasi persona che era in quel bar in quel momento avrebbe dovuto impegnare, al meno, un occhio.
Erano belli. Incredibilmente attraenti. Ognuno in modo speciale.
La donna era minuta e rossa, con un viso dolce e perfetto che degli occhi azzurri ed infiniti occupavano quasi completamente. L’uomo sembrava uscito da un catalogo di Armani, con quell’imponente statura, le insolite ed appetibili labbra e lo sguardo verde ed ipnotico. La ragazza era come un felino esotico, un miscuglio di pantera e lince, con una chioma interminabile raccolta in una coda, la pelle color tabacco e occhi allungati ed immensi color miele. Il ragazzo doveva essere più grande di lei, e malgrado che i suoi vestiti non fossero eleganti come quelli dei suoi accompagnatori aveva qualcosa di altero e magnetico, forse i suoi tratti europei o forse i capelli biondo cenere che cadevano sulla fronte e dietro i quali si indovinavano due zaffiri intensi.
Si avvicinarono al bancone con passi studiati e anche camminando sembravano esseri irreali e perfetti. La rossa camminava serena e decisa e contrastava con le falcate inquiete dell’uomo. Il ragazzo era furtivo ed agile, un cacciatore in agguato. Ma chi la sorprese di più fu la ragazza. Flessuosa e silenziosa. Come un gatto.

- Buonasera- disse il modello di Armani con voce profonda ed educata- ha cibo da poter portar via?

Harriet ordinò al suo sistema nervoso che non le facesse perdere l’equilibrio e potesse rispondere con un minimo di coerenza.
Tese loro uno dei menù che era poggiato contro il portatovaglioli.
Bene, non aveva risposto a parole ma aveva agito. Era pur sempre qualcosa, pensò.
Mentre loro davano un’occhiata al menù macchiato d’olio, sentì un sonoro rutto di uno degli squisiti clienti abituali e arricciò il naso. Allora notò lo sguardo profondo e castano della ragazza.

- Un hamburger speciale con patate e Coca Cola- disse con una voce strana: dinamica, sardonica e tagliente.

Malgrado che fosse molto alta, i vestiti cari e quella voce, si notava che era ancora un’adolescente. Forse i suoi tratti affilati ma infantili, o per quell’aura ambigua che emanava, forte e vulnerabile allo stesso tempo.

- Lo stesso anche per me- intervenne il ragazzo.

- Ed anche per me- aggiunse l’uomo.

- Un sandwich vegetale senza maionese e acqua minerale, per favore- chiese la donna con voce amabile e ben modulata.

Era così che otteneva quella pelle così bianca e tersa? Bevendo acqua imbottigliata ed eliminando la maionese? Forse avrebbe dovuto prendere esempio, pensò Harriet mentre riempiva i coni di carta di patate fritte ancora calde.
Con la coda dell’occhio vide che la bella rossa sembrava improvvisamente inquieta e che richiamava l’attenzione dell’uomo ben vestito, che s’inclinò tanto su di lei che Harriet desiderò ardentemente essere nei suoi panni.

- Aspetteremo fuori- sussurrò la donna con un tintinnio nervoso.

E subito dopo, prese la mano della ragazza e s’incamminò verso la porta aperta.
Era comprensibile, si disse la cameriera vedendole scivolare tra i tavoli e cercando d’ignorare gli sguardi lascivi dei suoi robusti e maleducati avventori. Le poverine dovevano essersi spaventate con tanti suoni gutturali.
Tese le quattro borse di carta ai due uomini e godette degli occhietti verdi e curiosi di Mister After Shave.

- C’è qualche motel qui vicino?- domandò lui

Harriet fu felice di fare qualcosa per quell’esemplare in via d’estinzione e parlò con il maggior fascino di cui fu capace.

- Sì, il Days Inn. Sta ad un paio di chilometri verso Nord-Ovest. Non può sbagliarsi.

Quando lui sorrise, credette che si sarebbe sciolta. Che cavolo faceva quell’uomo in un bar per motociclisti?

- Molte grazie-disse lasciando un paio di banconote sul bancone- E tanga il resto.

Nel momento in cui si stava per girarsi e offrire ad Harriet una fantastica panoramica posteriore, il ragazzo lo sorprese tendendogli le altre due borse.

- Vado in bagno- disse semplicemente.

La donna sentì la reclame ambulate di vestiti italiani borbottare qualcosa tra i denti e gli dette un bel dieci e lode quando lo vide di spalle, direzione la porta. Taglio di capelli impeccabile sulla nuca, spalle larghe, sedere sodo.

- Bambola, portaci un’altra birra, vuoi?!- strillò Stan dal tavolo del biliardo, tozzo e barbuto come il tipo che strofinava la sua stacca con il gesso e come il resto dei clienti che occupavano i tavoli del bar tutte le notti.

Harriet sospirò con rassegnazione e prese un boccale, avvicinandosi al rubinetto della birra. Il solitario al bancone dimenticò la copia dell’Indianapolis Star su di esso e si diresse alla porta principale, lasciando allo scoperto un titolo a cui nessuno sembrava restare attenzione.

***

Parcheggio del Dunes Den Bar & Grill
8:49

Scully era inquieta. Quando aveva visto l’arcifamosa fotografia scolastica di Hannah in prima pagina sul giornale che leggeva quel tipo del bancone, aveva di rimanere senz’aria.
Dannazione, quella cosa incominciava ad essere più rischiosa della roulette russa.
Doveva finire immediatamente. Avrebbe parlato con Mulder, lo avrebbe convinto e sarebbero tornati a Washington con Hannah prima che fosse troppo tardi. Questa misura non li avrebbe liberati da una sonora lavata di capo da parte di Skinner né dalla vessazione di rimanere sepolti sotto rapporti arretrati per mesi. Lo sapeva perfettamente. Ma sapeva anche che il castigo sarebbe stato molto meno leggero se, invece di mettere la coda tra le gambe e consegnarsi facendosi carico del gigantesco errore che avevano commesso, li trovavano in piena fuga e senza nessun sintomo di pentimento. Le faceva sentir panico il pensare alle conseguenze. Ricordò l’OPI e lo sguardo glaciale di Cassidy, e come quasi sei anni di lavoro potevano sparire completamente con un semplice schioccare delle sue dita.

- Cosa succede?- domandò Hannah.

La ragazza sembrava avere un gran punto interrogativo che le fluttuava sulla testa.
Scully stava per rispondere quando Mulder uscì dal bar portando le quattro borse di carta, guardando il contenuto di una di esse con un’espressione curiosa.

- Chi ha chiesto delle frittelle? –chiese l’agente.

- Mulder, dobbiamo andar via di qui- tagliò corto lei.

L’uomo aggrottò la fronte e la guardò.

-perché cosa succede?

- Che Hannah sta su tutti i giornali locali, questo è quello che succede.

Mulder tentennò mentre guardava alternativamente Hannah e la sua compagna.

- Bene…ad un paio di chilometri da qui c’è un motel- cominciò a dire lui- Potremmo…

- Hannah, ti dispiace aspettare in macchina?- interruppe di nuovo la federale con un tono teso.

La ragazza abbassò la testa come se si vergognasse, e obbedì, aprendo la portiera della Taurus e sedendosi sul sedile posteriore.
Scully respirò profondamente, cercando di sentire lo scambio di ossigeno e anidride carbonica nelle sue vene e allungando l’espulsione dell’aria per calmare l’irritazione che sembrava darle gomitate con insistenza. Vedere Mulder piantato lì, con quelle borse unte, la barba incipiente, il vestito sgualcito e la confusione pietrificata sul viso non aiutava assolutamente. Per un secondo le sembrò di stare guardando un bambino ripreso per una birichinata che non aveva commesso. Ed invece, nello stesso istante si disse che Mulder non era per niente innocente, e che per quante facce “ di non aver rotto il piatto” facesse non poteva lasciarsi ingannare. “ Sta qui, parlando di frittelle, mentre tu stai pianificando di rischiare il tutto per tutto per non finire agli arresti domiciliari per sequestro di minore. Tu pensi per due e lui pensa solo a se stesso. Egoista. Lo è sempre stato.”
L’aria le tagliò la trachea nel cercare di respirare, e qualcosa dentro di lei la incitò a pensare, a castigarsi per i suoi pensieri e filtrare quel rancore irrazionale che incominciava ad asfissiarla.

- Quanto durerà ancora questo, Mulder?- domandò alla fine incrociando le braccia.

Voleva lasciarla lì, una domanda retorica che fluttuava nell’aria e che obbligasse Mulder a portare la conversazione a suo piacimento, rispondendo oppure no. Ma il cocktail inopportuno di stupore quasi inebetito del suo compagno ed il risentimento incomprensibile che lei sentiva gliela tirò dalla lingua e la fece tuffare di testa nelle sabbie mobili.

-Fin quanto pensi di continuare a scappare?- tornò a domandare lei.

Un secondo dopo di averlo detto, si pentì d’averlo fatto e bruciò dal desiderio di darsi con la testa contro il muro. Perché? Perché doveva succedere sempre la stessa cosa? “ Cosa facciamo qui Mulder?” L’eterna cantilena, la stessa domanda impertinente e ripetitiva che lei lasciava cadere per mortificarlo. Più che una domanda, era un’accusa. Un mezzo comodo e crudele di cui servirsi quando la frustrazione riusciva a vincerla. Perché mi trascini fin qui? Perché non mi fai partecipe dei tuoi impulsi?
Vittimizzarsi. Questo era quello che meglio sapevano fare entrambi. Auto flagellarsi con colpe che non appartenevano a loro e alzare con orgoglio i loro stendardi di martiri. Dio, era malsano. Tanto che riusciva a pensare ad autentiche sciocchezze come quelle che il suo cervello stava elucubrando in questo momento.
Martiri? Ma cosa dici Dana?

- Fino a scoprire che cosa sta succedendo- dichiarò lui con un poco di noia e un poco di superbia, come se la risposta fosse ovvia e l’indignasse che gli facesse perdere tempo in quel modo; come se Mulder lo Spettrale avesse la chiave di ogni enigma dell’universo in quel momento, in una di quelle quattro borse di carta.

Fino a che? Che cosa?Di cosa parlava? Perduta nella ragnatela della sue riflessioni, la voce di Mulder l’aveva schiaffeggiata e per un secondo non sapeva nemmeno che cosa le stava rispondendo.
L’ira pulsava nelle sue vene e faceva sì che il sangue bollisse. Non capiva perché era così furiosa, e quello la faceva arrabbiare ancora di più. Non sapeva quale era il motivo per cui quella rabbia inspiegabile che stava accumulando da giorni incominciava a sciogliere la sua corazza di ghiaccio. Scoprire cosa stava succedendo? Ebbe voglia di rompere qualcosa. E Mulder avrebbe fatto queste scoperte guidando fino ad arrivare sul Pacifico? O per caso pretendeva raggiungere la ragione ultima delle cose piantato lì imbambolato con quelle maledette borse?

- Non sappiamo nemmeno dove andiamo- farfugliò, frustrata ed infastidita.

Fu allora che Mulder fece qualcosa di odioso e intollerabile: si strinse nelle spalle.
Un gesto così semplice come quello si era appena convertito per merito di Fox Mulder nel maggior insulto che Scully potesse ricevere. Il suo compagno lasciò le borse sul cofano della macchina e la guardò.

- Domandaglielo- sbottò con indifferenza.

Sbatté le palpebre. Una, due volte. Perplessa ed offesa. Domandaglielo. Che grande conclusione. Dana temeva che, da sola, non ci sarebbe mai arrivata nemmeno in un milione di anni. Represse il desiderio di battersi una mano sulla fronte e ricorrere all’ironia e scelse la sincerità, la più nuda, meno bruciante ma ugualmente reale.

- Domandaglielo tu- replicò- Lei è venuta da te, non da me. E’ in te che ha fiducia.

Lo sconcerto invase il viso di Mulder, e Scully quasi riuscì a vedere il funzionamento degli ingranaggi del suo cervello che analizzava quello che lei aveva appena detto e facendogli tendere la mascella in un gesto pensieroso e sospettoso.
Un lungo e sonoro sospiro precedette la deduzione a cui era arrivato.

- Così che è questo ciò che ti succede- disse con voce neutra, soddisfatto per aver risolto i suoi dubbi ma inflessibile davanti all’irritazione della sua compagna.

Dana sentì un’assurda voglia di mettersi a ridere.” Tutto questo perché? Perché non ti ho messo una scrivania?” era esasperante il modo quasi infantile in cui Mulder traeva conclusioni quando si trattava della loro relazione, No, nemmeno esasperante. Era assurdo. Come quella conversazione. Per questo lo guardò con incredulità e la sua bocca si torse in una smorfia schiva mentre rispondeva.

- Dio. No, Mulder. Non capisci niente.

Braccia incrociate, passi decisi che accorciavano le distanze ed invadevano il suo spazio personale più dello stretto necessario. Erano i sintomi chiari che l’invidiabile sicurezza di Mulder era capace di ridurla a niente in pochi secondi. Furono solo questi gesti ed un paio di falcate, ma lei poteva intuirlo. Sarebbe crollata. Sarebbe sparita sotto il suo sguardo glauco ed incisivo.

- Allora spiegamelo, Scully. Voglio capire. Voglio sapere cosa ti succede.

Una brocca d’acqua fredda. Questo è quello che le gettarono addosso quelle parole. Scully si sentì minuscola ed insignificante come una formica sepolta in una foresta di zampe d’elefante, minacciandola come rulli compressori. Spiegarglielo? Come l’avrebbe potuto fare? “Voglio sapere cosa ti succede?” Non lo sapeva nemmeno lei. Perché era arrabbiata? Era perché avevano portato via Hannah senza pensare alle conseguenze?

- Che sei cieco, Mulder- rispose Scully con fermezza- Tutto questo ci sta sfuggendo di mano. Dimmi, per quanto tempo potrai continuare a nasconderla? La cerca l’FBI, sta su tutti i mezzi di comunicazione. Siamo una preda facile, Mulder. Si stanno avvicinando sempre di più. Non puoi continuare ad agire a tuo piacimento, ha solo sedici anni ed è in pericolo; il nostro lavoro è proteggerla seguendo il protocollo. Dobbiamo giocare secondo le regole del gioco.
Gli occhi di Mulder divennero opachi e un tintinnio accusatore risuonò nella sua gola quando parlò.

-Sai perfettamente che se così fosse già sarebbe morta.

Eccolo. Mulder, l’eterno eroe anticonformista che risolveva le cose a modo suo. Era irritante. E lo era perché aveva ragione e lei lo sapeva, ma si sentiva incapace di riconoscerlo.
Esplose. Senza sapere molto bene perché, l’impazienza e la furia trattenuta traboccarono e abbatterono il muro che la circondava e manteneva a freno i suoi impulsi, facendola parlare contro la sua volontà.

- Mulder non puoi ignorare il sistema! Per l’amor di Dio, togliti la benda dagli occhi. Non ti rendi conto? Ci prenderanno prima o poi. Come pretendi di aiutarla se ci tolgono il distintivo? Come lotterai contro quello che abbiamo visto se dai loro motivo di impedircelo?

Era questo ciò che le dava fastidio? La sua ostinazione? Il modo in cui si faceva scudo con le sue nobili intenzioni per giustificare le sue azioni? O era tutto più complicato?
Scully si faceva domande mentre la sua lingua sputava quegli argomenti ripetitivi sulle norme ed ancora norme. Si domandò a cosa risaliva tutta quell’ira. Ad un’agente dell’FBI di cui il suo compagno non le aveva parlato in circa cinque anni? Forse. Mulder non aveva nemmeno avuto il coraggio di dirglielo una volta che tutte due si erano conosciute. No, aveva dovuto dedurlo da sola dopo essersi sentita fuori posto ed infima come un volgare animale unicellulare. “ Già sai quello che devi fare , Diana”. Vigliacco. Perché non gliel’aveva detto? E perché quella frase era suonata così odiosamente complice, come se Mulder si vantasse di qualcosa che a lei non avrebbe dovuto minimamente riguardare?
Odioso. Oltraggioso, insopportabile, intollerabile. Scully detestava il modo in cui Mulder aveva di trasformarla in un testimone oculare della sua vita per poi fare in modo che sembrasse che il mondo non poteva girare senza di lei. “ Tu mi hai salvato…Mi ha mantenuto onesto… Ti devo tutto”. Era questo? Era quel corridoio di qualche giorno prima? Era il ricordo confuso di qualcosa che non era successo e la facilità con cui tutti e due avevano finto di dimenticarlo?

- Credi forse che non ci abbia pensato?-gridò lui offeso. Per un secondo Scully credette che si riferiva alle sue riflessioni, ma poi si rese conto che la discussione si era fatta ufficiale e Mulder si stava difendendo- da quando guidavo verso Manhattan per andare a cercarla mi sono domandato se dovevo portarla alla polizia o fare quello che sto facendo. E credimi che ho preso la decisione che mi è sembrata la più indovinata.

Tutto quello era ridicolo. La discussione, le argomentazioni, i suoi pensieri, la situazione. Stavano bisticciando per la minaccia imminente che li trovassero con Hannah e stavano lì, perdendo tempo, gettandosi in faccia rimproveri senza senso, discutendo e aumentando la palla di neve senza arrivare da nessuna parte.
Per tutti i Santi, non aveva nessun senso quello che stavano dicendo. Ti sei sbagliato. No, ho ragione. No, ce l’ho io. No. Sì. No. Sì. No.
E a chi diavolo importava?
Non era questo. Non era questo, e lei lo sapeva. Era Diana, era Emily. Era l’assenza di tutto quell’ottimismo con cui era arrivata all’FBI e la tavola rotta in cui si era trasformato il suo sistema di credenze. Era Melissa. E come aveva smesso di credere nella giustizia quando l’aveva perduta. Era la sensazione insopportabile che a volte la vita sfuggiva al suo controllo. Ed il modo in cui aveva cambiato decisione quando l’aveva guardata, e abbracciata, e aveva sfiorato le sue labbra. Era il modo in cui gli aveva detto che era stanca di seguirlo ovunque lui andasse ed invece l’aveva accompagnato fino a quell'istante Era la verità che si era mostrata davanti a loro completamente nuda. Più di cinque anni fianco a fianco: non poteva essere in un altro modo. Era un bacio, un accenno, l’intenzione di Mulder e il permesso di lei. Era il mutuo accordo davanti ad un gesto non portato a termine. Proibito, desiderato da tutti e due. Ora lo sapeva. Era il modo in cui Mulder l’aveva assorbita e le aveva fatto credere che davanti a lui non esisteva. Che non era Dana Scully. Almeno non quella di ora.
E’ questo, Dana.
Stai cambiando. Ed hai paura.
Sentì la bocca secca ed un’ondata di calore bruciante. L’idea di perdere il controllo faceva sì che l’aria fosse irrespirabile e che l’ironia la possedesse per rifugiarsi nel suo sempiterno ruolo di colei che compie il suo dovere che l’aveva accompagnata da quando era bambina.

- Oh, chiaro. Passare al di sopra della legge è la cosa più indovinata- buttò lì senza pensare, con una voce che sembrava sputare invece di parlare, atipicamente cinica.

Uno scintillio irato ed elettrico attraversò lo sguardo di Mulder, innescando in modo automatico il pentimento di Scully. Nello stesso istante che apriva la bocca per chiedergli scusa, s’incontrò con un’espressione astiosa dell’agente e lo vide alzare le mani con rassegnazione dandosi per vinto.

- Sai una cosa? Mi arrendo. Questo è il cane che si morde la coda.

Scully lo guardò stupita e rimase immobile, senza sapere che fare né che dire.

- Se ti preoccupa tanto cosa può succederti, vattene- continuò lui in maniera tagliante davanti alla fragile sorpresa degli occhi della sua compagna- Accomodati, torna a Washington- un eco crudelmente ironico vibrò nella sua voce, tinta di dispotismo. – Se mi cacciano dall’FBI forse ti assegneranno un compagno a cui puoi recitare le tue amate regole.

Ordinò a se stessa di respirare profondamente ed evirare di piangere, ma anche così i suoi occhi diventarono enormi e cristallini. Le parole affilate di Mulder le opprimevano il petto e diventavano incomprensibili e deliranti. Per un secondo credette che le aveva immaginate, e scosse la testa cercando d’ingoiare saliva per sciogliere il nodo che aveva in gola.
Una sfilata caotica di voci ed immagini attraversò la sua mente, incapace di reagire davanti all’inaspettato atteggiamento di Mulder. Mutanti mangiatori di fegato e motels lungo le strade. Voli turbolenti, rapporti e telefonate nel cuore della notte. Sorveglianze notturne e battute allusive. Torri di mobili, semi di girasole ed omini verdi. Una macchina al buio, una panchina ad Home, uno scoglio al centro di un pantano. Verità e menzogne. Un campo di grano ed un corridoio. Una rinuncia ed una supplica.

“ Se abbandoni ora, essi vincono”.

***

Parcheggio del Dunes Den Bar & Grill
8:50 pm

Le voci suonavano attutite dietro i finestrini, ma anche così poteva capire perfettamente quello che dicevano.

- Quanto durerà ancora questo, Mulder? Fin quanto pensi di continuare a scappare?

- Fino a scoprire che cosa sta succedendo

- Non sappiamo nemmeno dove andiamo

Scully parlava con esasperazione trattenuta a male pena. Hannah vide che Mulder lasciava le borse di carta sul cofano della macchina, e udì il timbro stanco e distante della sua voce quando disse semplicemente:” Domandaglielo”

-Domandaglielo tu- replicò immediatamente l’agente- Lei è venuta da te, non da me. E’ in te che ha fiducia.

La ragazza sentì una stilettata dentro di lei e la colpevolezza la visitò ancora una volta, con il suo sorriso macabro ed i suoi occhi vuoti.
Lì stavano. Fox Mulder e Dana Scully, i fiammanti ed invincibili agenti dell’FBI, che discutevano a causa sua con un’espressione furibonda ed irritata e i vestiti neri sgualciti come due mormoni falliti. Sapeva che prima o poi si sarebbero spazientiti davanti all’incertezza. Dove andavano? Che cosa avrebbero trovato? E a che cosa stava giocando quella ragazzina?
Non era una questione di fiducia, così come pensava Scully. Aveva fiducia in entrambi nello stesso modo. Se avesse voluto parlare l’avrebbe fatto quando erano saliti tutti e tre nella macchina ed avevano lasciato il motel in New Jersey.
No, non era per questo.
Era questione di una paura asfissiante ed irrazionale che aveva preso possesso di lei come un parassita da quando aveva sentito l’intruso nella stanza di sua madre. Stare con Mulder e Scully le dava una fragile sensazione di sicurezza che desiderava con disperazione, e la ragazzina aveva paura che se parlava e raccontava loro quello che avrebbe dovuto raccontare dal principio, loro l’avrebbero abbandonata quando fossero arrivati a destinazione. Quell’idea assurda le impediva di respirare e le bloccava il cervello.

-Siamo una preda facile, Mulder. Si stanno avvicinando sempre di più. Non puoi continuare ad agire a tuo piacimento, ha solo sedici anni ed è in pericolo il nostro lavoro è proteggerla seguendo il protocollo. Dobbiamo giocare secondo le regole del gioco.

La voce di Scully era solida, ma le sue parole erano cariche di disperazione. E la colpa soffocava Hannah molto più della paura.
La giovane sentì il polso accelerato e lo sguardo torbido per le lacrime che si rifiutava a lasciare uscire. Aprì la porta in cerca d’aria ed uscì senza fare rumore.

-Sai perfettamente che se così fosse già sarebbe morta.- disse l’agente all’altro lato della macchina.

- Mulder non puoi ignorare il sistema! Per l’amor di Dio, togliti la benda dagli occhi. Non ti rendi conto? Ci prenderanno prima o poi. Come pretendi di aiutarla se ci tolgono il distintivo? Come lotterai contro quello che abbiamo visto se dai loro motivo di impedircelo?

Era scoppiata e non poteva rimproverarglielo. Scully aveva ragione. Aveva agito contro la legge, e Hannah sapeva che se perdevano il loro lavoro sarebbe stato unicamente per colpa sua. Non riusciva nemmeno a capire come Mulder aveva avuto fiducia in lei ed era riuscito a convincere la sua compagna ad arrivare dove stavano. Non aveva dato loro niente in cambio, non li aveva ricompensati con l’informazione vitale che conosceva, e malgrado tutto continuavano a proteggerla.
Non poteva sopportarlo oltre. Prese a camminare e si allontanò dall’auto.
Passò vicino ad una station-wgon sgangherata e a varie Harleys allineate, e non si fermò finché le voci dei federali non divennero confuse. Il parcheggio girava a destra, seguendo la facciata dell’edificio, in fondo trovò l’uscita antincendio e la porta dei bagni del Dunes Den. Puzzava di urina e di spazzatura decomposta, e le macchie di olio per terra si tingevano di colori metallici sotto all’insegna a neon del bar, che palpitava con uno schioccare impertinente per colpa di una lampadina fulminata.
Forse non era il posto ideale per sedersi e staccandosi da quello che stava accadendo, ma almeno poteva stare sola.
Si appoggiò contro la parete e respirò profondamente. Anche se non aveva piovuto di nuovo da quella mattina, faceva freddo. Il vento le gelava le guance e le ingarbugliava i capelli, e l’asfalto bagnato fece sì che retrocedesse nel tempo e nello spazio. Ricordò la sua corsa angosciosa per il largo viale nel Queens, il dolore nel petto e i passi dell’intruso che l’inseguiva. Un brivido le percorse il corpo e tirò fin su la cerniera lampo della sua giacca.
Allora sentì una voce alle sue spalle ed ebbe un sussulto.

-Sviatoslav Banjac, che bella sorpresa.

La voce roca e languida, usciva attraverso la porta semiaperta del bagno, e anche se il suo cervello l’avvertiva gridando che doveva andar via di lì, uno strano presentimento lasciò l’adolescente inchiodata al suo posto, ad ascoltare di nascosto ed ignorare il segnale di pericolo che emanavano tutte le sue terminazioni nervose.

- L’ultima volta che ti ho visto è stato nel conflitto in Guatemala- continuò lo sconosciuto- Sei cambiato molto in questi due anni, mladic.

- Che ci fai qui?- domandò quel tale Banjac senza nascondere il suo disprezzo, e fu allora che Hannah sentì una violenta scarica al riconoscere quella voce metallica e sibilante.

Slava.
Si appiattì contro la porta e acuì l’udito, desiderosa di andar via correndo ma incapace di lasciar perdere e non sapere con chi stava parlando quel giardiniere impostore.

- La stessa cosa tua- disse l’altro uomo.- Ho un lavoro.

- Allora continua a farlo, Jocik. Io continuerò con il mio- replicò Slava.

Hannah sentì come il ragazzo incominciava ad andare verso la porta mentre i suoi passi producevano un eco oscillante nel vicolo, il corpo della ragazza si tese come quello di un gatto. La voce di Jocik fermò Slava prima che lei si mettesse a correre.

- Le tue alleanze sono diventate rischiose, Sviatoslav.

Nel piccolo angolo che offriva la porta, Hannah vide l’ombra lunga e sfigurata di Slava proiettata per terra, che si girò ed affrontò il suo interlocutore. Indovinò la smorfia ostile ed il tono ceruleo degli occhi socchiusi mentre rispondeva.

- Mi appoggio solo a chi mi offre più garanzie

- E credi che quando tutto inizierà loro terranno in conto i tuoi servigi?- la domanda fu provocatoria, e rimase sospesa nell’aria per un secondo che sembrò allungarsi come una gomma da masticare.

- Questo è stato l’accordo- sibilò Slava con accento ambiguo.

-Allora ti auguro buona fortuna- disse Jocik, e la sua voce diventò complice e beffarda mentre spariva nella direzione opposta, verso l’interno del bar- Ci vediamo all’inferno, mladic.

Hannah era pietrificata, assorta in quello che aveva appena sentito e cercando di ordinare i pezzi di un rompicapo con nomi slavi e dati contradditori. Per questo reagì tardi quando Slava aprì la porta e si trovò faccia a faccia con lei, perplessa e spaventata come una bambina colta in flagrante con le mani nel barattolo dei biscotti.
La ragazza fece l’atto di scappare, ma Slava fu più veloce e l’afferrò per il braccio, obbligandola ad appoggiare la schiena contro il muro.

***

Parcheggio del Dunes Den Bar & Grill
8:51 pm


Il viso di Scully era il riflesso perfetto della contraddizione. Tristezza, rabbia e confusione lottavano per affiorare sulle sue labbra strette, ed i suoi occhi si ribellarono presi nella lotta titanica contro la minaccia delle lacrime che si accalcavano in essi. Come puoi essere così crudele, Mulder? Sembrava gridargli la sua espressione incredula.

“ Anche tu lo sei stata con me” pensò lui.

Non sapeva esattamente in quale momento aveva toccato la molla per cui Scully era saltata in quel modo. Non era nemmeno sicuro di chi dei due avesse iniziato.
In realtà non importava. La tensione era lì, latente tra loro da giorni. Aspettando per scoppiare come un palloncino tentato da un ago. Fino a che ha fatto BOOM. Una discussione assurda, un tira e molla senza senso, ripetitivo, noioso. Io ho ragione, tu non hai ragione, io, io, tu, tu. Bla, bla, bla. Questo era il meno. Era servito per lanciarsi l’uno contro l’altro pugnalate, ognuna più bruciante della precedente.
Il fatto era che Mulder non sapeva quale era l’origine di questa tensione.
Era cresciuta così, senza motivo, poco a poco. Qualsiasi dettaglio bastava perché la furia si retroalimentasse. Un’insalata per esempio. O un maledetto giornale locale. La goccia che aveva fatto traboccare il vaso, appunto. Erano giorni che Scully portava un’insopportabile maschera di perpetua irritazione. E questo riusciva a dare su i nervi a Mulder. La Regina di Ghiaccio, quella che non abbatteva mai il suo impenetrabile muro, quella che non scoppiava, non gridava, quella che ingoiava la sua ira, usava il silenzio per punire il suo compagno.
E lui lo odiava.
Forse Mulder aveva commesso una monumentale e presuntuosa cretinata portando via Hannah, ma Scully non era da meno. Lui era puerile per agire senza pensare, e lo era anche lei per arrabbiarsi. E nessuno dei due cedeva mai.
Fox Mulder e Dana Scully. Due grandi testardi.
L’uno valeva l’altro.

- Sei molto ingiusto- disse l’agente con la più grande serenità di cui fu capace- Sono rimasta per te. Sono venuta fin qui per te.

Disarmato davanti agli occhi della sua compagna, Mulder si domandò perché sempre che si sentiva minacciato doveva ricorrere al vigliacco istinto di accusare per ferire ed auto proteggersi. Perché era così egoista e spregevole. E perché doveva esserlo con lei, con l’unica persona al mondo che aveva lasciato tutto per lui. L’unica in cui poteva aver fiducia senza che paranoici dubbi gli martellassero il cervello.

Deciso fece due passi avanti e la distanza tra loro svanì di colpo. A pochi centimetri da una Scully addolorata e vulnerabile, Mulder sostenne il suo sguardo.

-Lo so- disse lui, e la sua voce suonò sussurrante e roca come se un sintetizzatore l’avesse abbassata di vari decibel.

Scully sbattè le palpebre con meraviglia ed il dolore si liquefece in una perplessità dubbiosa, quasi infantile.

- E ti chiedo di fare solo ancora una cosa- continuò Mulder mentre le prendeva il viso tra le mani. La senti prima tendersi e poi tremare leggermente, e la trovò allo stesso tempo fragile e forte sotto la sua enorme persona- Abbi fiducia in me.

Non fu un ordine. Fu una supplica. Disperata e tinta in parti uguali di angoscia e dipendenza.

- Siamo vicini, Scully- sussurrò con occhi brillanti- Siamo così vicini…

Lei lanciò un sospiro spezzato e sconfitto.

-Sempre siamo vicini, Mulder- i suoi immensi occhi azzurri scintillavano con desolazione- Ma a volte credo che non arriveremo mai.

***

All’esterno del Dunes Den Bar & Grill
8:52 pm


Non aveva scappatoie, presa tra la parete di cemento e la figura alta e agile di Slava. Non la stava toccando, ma averlo così vicino, animato da incerti propositi, la intimoriva e la faceva sentire accerchiata come un animale indifeso davanti ad un predatore. Gli occhi strettamente socchiusi del ragazzo sembravano irreali, bagnati dai colori stridenti dell’insegna a neon che lampeggiava fastidiosamente sulle loro teste.

- Sviatoslav Banjac- disse lei con il respiro agitato- Sei russo?

Slava la guardò, impassibile, e rispose con lo stesso distacco.

- Bosniaco.

La ragazza tentò inutilmente di sfuggirgli e lui intervenne afferrandole le braccia con entrambe le mani e avvicinandosi. Completamente accerchiata, Hannah sentì il caldo respiro del ragazzo a pochi centimetri dal suo viso e vide un’ombra elettrica ed animale nei suoi occhi azzurri.

- Non mi radevo ancora quando un soldato serbo crivellò di colpi mio fratello a meno di un metro da me. In risposta, io gli aprii la testa con una pietra di dieci chili- la voce di Slava era carente di qualsiasi emozione- Da anni che non m’importa un accidenti della vita degli altri. Uccidere mi risulta facile. Non credi che se avessi voluto toglierti di mezzo già lo avrei fatto?

Sì. Se lo pensava freddamente, aveva la sua parte di logica. Ma Hannah non era disposta a lasciarsi ingannare. I suoi occhi di miele scintillarono con sfida e la sua voce cercò di suonare neutra, tentando di non fargli captare la paura atroce che l’invadeva totalmente.

- Forse hai bisogno di me viva- disse lei.

- Hai ragione- ammise con un sorriso compiacente e cinico- Non posso spedirti in Irlanda in una bara. Inoltre- disse nello stesso tempo che s’inclinava inaspettatamente su di lei e la percorreva dalla testa ai piedi con lo sguardo- viva servi per molte altre cose.

La ragazza si sentì piccola davanti alla presenza aggressiva e mascolina di Slava. I suoi occhi azzurri e metallici, la trafiggevano con intensità, e Hannah incominciò a sentire un calore da vertigine sotto la giacca di pelle. Si domandò se il ragazzo stava giocando con lei come i gatti con i topi, prima di divorarli. Si domandò se Mulder e Scully l’avrebbero sentita da dove stavano se lei avesse gridato chiedendo aiuto. E se quel ragazzo della guerra in Bosnia aveva assassinato sua madre tre notti prima.
Le domande si accavallavano nel suo cervello intontito dalla paura, e quando Slava l’attrasse a sé con rudezza ed il tempo si fermò all’improvviso, Hannah si domandò se stava per ucciderla, allo stesso tempo due spari stordirono i suoi timpani ed una forza sconosciuta ruggì dal più profondo delle sue viscere.

***

Washington D.C.
8:52 pm

- Indiana. Non passerà questa notte.

Il fumo si attorcigliò davanti alle persiane come una creatura diabolica che ballava la sua danza macabra davanti alle porte dell’inferno e le sue labbra disegnarono un sorriso soddisfatto prima di riappendere il telefono.

***

Parcheggio del Dunes Den Bar & Grill
8:52 pm

- Siamo sempre vicini, Mulder. Ma a volte credo che non arriveremo mai.

Mulder sapeva che parlava della verità che entrambi cercavano da anni, ma per una frazione di secondi fantasticò con l’idea che la piccola rossa avesse fatto una metafora della loro relazione. Vicini e lontani allo stesso tempo. Insieme ma separati. Incapaci di fare il passo successivo per paura. O forse perfino con diverse versioni. Lei senza aver mai pensato a questa possibilità, lui ossessionato da un’illusione impossibile. Un corridoio e pochi millimetri di distanza carichi di desiderio che si trasformavano in migliaia di chilometri coperti di neve e desolazione.
Stavano vicino. Molto vicino. Con le mani strette sul suo viso di porcellana, le teste inclinate, occhi negli occhi e facendosi domande l’uno all’altro nella loro comunicazione silenziosa. Esattamente uguali o completamente diversi, chi poteva dirlo.
Mulder sentì un alone d’elettricità ed un formicolio nello stomaco. Aveva gli occhi bloccati e fissi su Scully, che lo guardava con una pena brillante per le lacrime frustrate. In quelle immense iridi oceaniche c’era lo stesso disfattismo stanco del giorno in cui gli aveva detto che abbandonava, e qualcosa di antico e sconosciuto si agitò in Mulder. Senza pensarci e mosso da un impulso, si strinse contro di lei e la sentì tremare. Guardò le labbra della sua compagna, disposto a mandare nel Congo Belga il regolamento dell’FBI, Cassidy, l’OIP e tutti i federali messi insieme.
Ora o mai più , Mulder.
E perché precisamente ora?
Perché la pelle delle sue guance sembrava latte tiepido, perché i suoi occhi erano due pozzi tempestati di lacrime, perché era bella come sempre e vicina come mai.
E perché era Scully, l’unica tra cinque miliardi.

Seguì con i pollici il contorno della sua bocca, e allora fu quando li sentì.
Due spari. Un grido rotto. Un colpo secco.
E lo capì. Entrambi lo capirono, con i corpi tesi e le gambe che correvano con ansia verso la fine del parcheggio.

- Hannah!- gridò Mulder.

Risposte

Chi cerca la verità corre il rischio di trovarla”
Manuel Vicent

Il tempo è vicino. Sento il ruggito delle catene che si trascinano, ma l’uomo continua sordo e cieco davanti a questo inferno di freddo metallo.
Vorrei morire mentre dormo per non presenziare all’olocausto che ci aspetta, desidero che mi prenda nel suo abbraccio lugubre e silenzioso, perché solo la morte ci può liberare dal destino che altri hanno deciso per noi.
L’ambra, il gelo e il sangue saranno l’ultima immagine Dopo solo oscurità, flaccidezza.
Inesistenza.
Le vestigia dell’uomo giaceranno dimenticate, arte ed intelligenza, secoli e culture, come spoglie di un caos infinito di libri inceneriti e cattedrali sommerse.
La notte perenne sta stendendo il suo manto. Ma l’uomo non la vede, e continua estraneo, sordo e cieco, mentre gli stendardi del re degli inferi avanzano, lentamente ed in processione, verso di noi.

***

Dunes Den Bar & Grill
8:52 pm

Harriet passava un panno umido sul bancone scolorito. Al tavolo del biliardo, Stan ed i suoi amici già erano ubriachi. Li sentiva ridere rumorosamente mentre il primo sbagliava e mandava la palla bianca in una delle buche. L’uomo scoppiò a ridere della sua stessa stupidità e le risate degli altri si moltiplicarono in volume.
Annoiata, Harriet gettò il panno vicino all’enorme caffettiera e prese l’Indianapolis Star che qualcuno aveva dimenticato. Un camion ribaltato a Richmond, l’inaugurazione di un nuovo centro commerciale vicino Kokomo, la vittoria dei Pacers contro gli Atlanta Hawks. I suoi occhi percorsero con astio i titoli e si spalancarono al vedere quelli della sezione nazionale nell’estremo inferiore destro.
“MINORE DI 16 ANNI SPARISCE NEL QUEENS, NEW YORK”
Un viso bruno e occhi arabi le sorridevano da una fotografia scolastica.
E quasi allo stesso tempo, due spari ammutolirono il bar e la spinsero in modo automatico a prendere il telefono.

***

All’esterno del Dunes Den Bar & Grill
Portage, Indiana
8:52 pm

Accadde in appena pochi secondi, ma sembrava che il mondo si muovesse al rallentatore.
Sentì uno scricchiolio alle sue spalle ed una voce familiare, roca e languida, che annunciava ad un interlocutore invisibile:” Indiana. Non passerà la notte”. Il cervello di Slava ordinò al suo corpo di agire rapidamente. Abbracciò Hannah mentre si girava per allontanarla dalla traiettoria della pallottola che rimbalzò contro la parete di cemento, e con la mano libera sollevò la sua arma: un piccolo revolver che aveva rubato nell’Ohio e che portava legato alla caviglia d’allora. Premette il grilletto senza esitare. Un lampo illuminò la canna e l’esplosione risuonò violentemente. Fu allora quando la sentì battere i denti e lanciare un grido che fece si che la terra smettesse improvvisamente di girare.
Stordito dal frastuono della polvere da sparo e dal grido terrorizzato dell’adolescente, Slava sentì un rumore sordo e smorzato quando il corpo di Vladko Jocik cadde accanto alla porta dei bagni.

***

Parcheggio del Dunes Den Bar & Grill
8:52 pm

La strada sembrava non aver fine, e il panico invase Fox Mulder un secondo prima di girare a destra, timoroso per l’orrenda scena che l’aspettava all’altro lato. La ragazza che si dissanguava a terra. Un peccato in più da espiare per il resto dei suoi giorni e un fantasma nuovo con cui cercare di convivere la notte.
Il cuore gli fece una capriola quando arrivò, e le sue gambe si fermarono. Solo quando Scully gli passò vicino come un lampo fu capace di reagire.
Il corpo di un uomo giaceva sull’asfalto con una macchia scarlatta sul petto, una pistola in mano e l’espressione perplessa sul viso morto. A meno di un metro da lui, Slava sosteneva un altro revolver ancora fumante. Mulder si lasciò scappare un profondo sospiro di sollievo quando vide che tra le braccia del ragazzo, piccola e raggomitolata come bebè, Hannah tremava.

-Hannah!- gridò Mulder correndo verso di loro, e con un gesto sicuro liberò la ragazza e fece in modo che lo guardasse, sostenendola per le spalle- Hannah, stai bene?

Con gli occhi spaventati e la bocca contratta, la ragazza assentì.
Adottando il suo pragmatico ed efficiente ruolo di medico, Scully si era inginocchiata accanto al corpo per verificarne il polso.

- E’ morto- dichiarò

Nessuno dei due federali ebbe il tempo di chiedere spiegazioni al ragazzo, i cui muscoli si erano già tesi azionati da un ululare lontano.
Maledizione.
Le sirene della polizia avanzavano per l’autostrada. Si potevano quasi vedere le luci azzurre dal vicolo. Mulder prese Hannah per mano e si mise a correre verso la macchina, seguito da vicino da Scully e Slava.

***

Autostrada 121
Periferia di Portage, indiana
9:03 pm

Veloce e brillante come un proiettile, la Ford Taurus correva sull’asfalto eccedendo pericolosamente il limite di velocità. Al suo interno, mescolati al vapore e all’odore d’umidità, domande senza risposta s’intrecciavano confusamente nell’aria.
Sul sedile posteriore, Dana Scully cercava di mettere ordine nei suoi pensieri. Quando aveva sentito gli spari, un’idea sconvolgente le aveva attraversato la mente. Hannah non era lì, nemmeno Slava. Mentre correva verso la fine del parcheggio il suo cervello le diceva che l’avrebbe trovata morta e che non ci sarebbe stata traccia del ragazzo. Invece, arrivando al vicolo, aveva verificato che la ragazza non aveva nemmeno un graffio, riparata dal corpo di Slava, e un uomo armato giaceva morto a terra.
Ricordava ancora gli infruttuosi tentativi del ragazzo di dimostrare i suoi veri propositi la notte che aveva sorpreso Hannah nel motel.
“ Mi hanno contattato mesi fa per proteggere Hannah e portarla in un posto sicuro.”
Quelle parole circolarono nella memoria dell’agente come un discorso interminabile di cui andava incastrando i pezzi. Diceva che la sua missione non era ucciderla, ma proteggerla, e nessuno dei tre l’aveva creduto. Ma alla luce di quello che aveva visto appena cinque minuti prima, Scully non poteva negare ciò che era evidente. Il ragazzo aveva tenuto fede alla sua parola.
Davanti a lei, l’adolescente rimaneva raggomitolata e con lo sguardo terrorizzato. Da quando l’aveva vista nel vicolo, aveva riconosciuto in lei i sintomi dello shock di chi si trova di fronte per la prima volta un’arma da fuoco: l’abbassamento brusco della temperatura corporea, della pressione e del tono muscolare, la lenta reazione dell’istinto di conservazione, l’adozione quasi istantanea della posizione fetale. La ragazza era rimasta paralizzata durate la sparatoria e rilassata come una bambola di pezza quando Mulder le aveva presa per mano per farla entrare in macchina.
Appena udibile in quel silenzio denso, la voce di Hannah la svegliò dai suoi pensieri.

- Fermi la macchina.

Senza avere dubbi Mulder pigiò il freno nel cuore del niente e le ruote stridettero sul pietrisco della corsia d’emergenza. Con disperazione, come se stesse asfissiando, Hannah cercò goffamente la maniglia della porta e l’oscurità l’ingoiò.

***

All’esterno del Dunes Den Bar & Grill
9:04 pm

La clientela si accalcava intorno al vicolo con curiosità morbosa. Uno dei poliziotti si domandò se i nastri gialli sarebbero stati capaci di trattenere quei motociclisti barbuti lontani dal corpo insanguinato, e per un istante sentì i desideri di sparare in alto per spaventarli come se fossero uccelli intono ad una carogna.
Maledetti curiosi.
Ancora non si era abituato ai guardoni. E nemmeno al balbettio inebetito dei testimoni.
La cameriera, una donna vicino ai quaranta, con qualche radice nera nei capelli tinti di biondo e un’espressione dolce nei grandi occhi, parlava con il tenente Callahan, che era in borghese.

- La ragazzina non sembrava spaventata, sa? La coppia era ben vestita che…Dio mio, come averi potuto pensare che fossero sequestratori!- diceva la donna con incredulità.

- Ed il ragazzo?- domandò Callahan.

- Non saprei che dirle, ho immaginato che fosse il suo ragazzo o qualcosa di simile. La ragazza è uscita con la donna e lui è andato in bagno. L’uomo mi ha domandato di un motel vicino ed è andato via.

- Quale motel?

- Gli ho parlato del Days Inn, sta ad un paio di chilometri.

- E dice che la minore è uscita con la donna?

- Sì, la donna era un poco nervosa, l’ha presa per mano e sono andate via, ma la bambina sembrava avere tanta fiducia…Dio, come non me ne sono resa conto prima?

Il giovane agente ascoltava con le mani sui fianchi, guardando con disprezzo la folla che si accalcava. Sentì compassione per la cameriera. Ancora di più quando sentì Callahan chiederle di identificare il corpo. Un uomo caucasico, metro e ottanta, novanta chili. Circa trentacinque anni. Con una ferita d’arma da fuoco nel polmone sinistro ed una Beretta 92 in mano. Arma militare per eccellenza. Un agente cercava impronte sul Nokia di ultima generazione che aveva trovato accanto al corpo.

- No, non stava con lei- singhiozzò la donna alle sue spalle- Non ho visto quest’uomo nel bar.

Un furgoncino con il logo della CNN frenò bruscamente nel parcheggio e si sentivano altre macchine che arrivavano dall’autostrada. La festa era incominciata.
Il poliziotto si aggiustò la cintura della sua uniforme e aggrottò la fronte, preparandosi a combattere con la stampa.
Maledetti curiosi.

***

Periferia di Portage, Indiana.
9:08 pm

Sul sedile del passeggero, Hannah senti che la testa pulsava e che tutto perdeva il suo contorno. Soffocata e allo stesso tempo morta di freddo, riuscì a tirar fuori forza dalla sua fiacchezza e articolare tre deboli parole che fu incapace di sentire ancora stordita dagli spari assordanti.

- Fermi la macchina.

Mulder la guardò e vide solo un viso coperto di sudore e occhi vitrei. Quando frenò, la ragazza aprì urgentemente la porta e uscì.
Disorientata per l’oscurità. Camminò tra alcuni arbusti e s’inchinò in avanti perché sorpresa da un conato. La tensione, la paura ed il dolore crescente di quei tre giorni sembravano aver preso forma nel suo stomaco. Vomitò. E tornò a farlo quando appena qualche secondo dopo, fu invasa di nuovo dalla nausea.
Si lamentò.
Aveva un terribile dolore pulsante nelle tempie ed una pellicola di sudore freddo sulla pelle che la faceva tremare, esposta alla brezza notturna. Il mondo si muoveva. Sotto i suoi piedi, intorno a lei. E la testa sembrava pesarle una tonnellata sul collo addormentato.
Vomitò una terza volta. Malgrado il gusto amaro della bile, si sentì meglio. Si pulì la bocca con il dorso della mano e si allontanò di qualche metro, schifata dall’odore. Chiuse gli occhi per un secondo, in attesa che quella strana vertigine andasse via una volta per tutte.

- Hannah, stai bene?

La voce dell’agente Scully le arrivò lontana anche se stava ad un palmo da lei. Con gli occhi non a fuoco, la ragazza annuì con la testa ed immediatamente si pentì di averlo fatto. Dio, perché non smetteva di muoversi tutto?Le sembrava di stare su una nave che dondolava da un lato all’altro.
Cercando il suolo con la mano, Hannah si lasciò cadere in ginocchio sull’erba umida e distinse i fari della macchina, che ritagliavano le figure di Mulder e Slava, a cinque o sei metri. Ancora nauseata, non si rese conto che Scully si accovacciava accanto a lei con un’espressione preoccupata finchè la federale non le mise la mano sulla fronte.
Mentre gli occhi della ragazza cercavano di mettere tutto a fuoco, il suo cervello assimilava con rapidità quello che era appena accaduto. Aveva sentito Slava parlare con un uomo che dopo aveva sparavo vicino a lei e che il ragazzo aveva assassinato appena cinque minuti prima.
Assassinato.
Slava aveva premuto il grilletto di un’arma che aveva nascosto non sapeva da quando tempo e aveva fatto in modo che il cuore di quell’uomo smettesse di battere per sempre. Il suo vero nome era Sviatoslav Bnjac della Bosnia Herzgovina, e appena bambino aveva ucciso un uomo. Ed ora, davanti a lei, ne aveva ucciso un altro.
Ricordò la sorprese iniziale quando aveva sentito il braccio di Slava che la stringeva contro di lui ed il panico con cui aveva accettato che avrebbe tirato fuori un’arma e le avrebbe attraversato lo stomaco e la schiena. Ricordò anche l’inattesa detonazione dietro di lei. E come dopo aveva visto se stessa seduta nella macchina e il vomito che le bruciava le viscere.
Allora capì cosa era successo.
Il motivo per cui era scappata dalla casa abbandonando il corpo senza vita di sua madre, il motivo per cui, spaventata e disperata aveva fatto ricorso a Mulder…quel motivo era morto steso a terra in un vicolo puzzolente. Quell’uomo l’avrebbe uccisa. Lei. E Slava l’aveva scostata dalla traiettoria del proiettile ed aveva sparato, salvandole la vita. Così come aveva detto che avrebbe fatto. “ Non sto qui per ucciderti, ma per proteggerti.”
Hannah sentì nausea ed un buco nello stomaco, e le facevano male le orecchie per le detonazioni di entrambe le pistole. Aveva paura e aveva freddo. Ed era grata. Grata di sentire le frustate che cuore impazzito le provocava nelle vene, di sentire suoni lontani e attutiti, di poter respirare, di essere viva. Per questo, quando Fox Mulder la guardò arrivando accanto alla sua compagna, Hannah si mise in piedi traballando leggermente e prese una decisione. Rapida, conclusiva. Senza ritorno.
Era ora di offrire risposte.

***

Ufficio Locale del FBI
Indianapolis, Indiana
9: 10 pm

- Così?

- No, più piccoli.

- Così?

- Si, va bene.

- Naso grande, no? Vediamo…così?

-Più lungo. E’…è come un triangolo.

- Così?

- Giusto così.

Il computer verificò l’identikit con i bata-base dell’FBI a velocità vertiginosa. L’immagine che apparve sullo schermo fece sì che i tre agenti che erano in sala si scambiassero uno sguardo che Harriet non seppe interpretare.

***

Periferia di Portage, Indiana
9: 11 pm

Il vento soffiando sempre più forte faceva sin modo che l’erba disuguale oscillasse producendo un sibilo raccapricciante. Odorava d’umidità, e un vapore invisibile ed elettrico sembrava sgorgare dalle nuvole. C’era una sensazione plumbea nell’aria, come se una lugubre inquietudine si fosse impossessata della natura.
Bagnata dall’alone biancastro dei fari della macchina, Hannah sembrava un’apparizione rivelatrice, spinta da Dio solo sa quale forza improvvisa. Non rimaneva più niente della creatura prostrata di qualche minuto prima. Con occhi magnetici e gesti decisi, la ragazza si era messa in piedi all’avvicinarsi di Mulder, e all’agente sembrò che quei tre giorni di fuga disperata non erano mai esistiti. Che stava nel salone delle conferenze della facoltà di filosofia di New York e che era stato sorpreso da una giovinetta dalla voce sardonica che sapeva troppo. Ed allora tutto gli sembrò smisurato ed inaudito.

- Tre mesi fa- cominciò a dire Hannah con voce chiara- ricevetti un’email da un indirizzo sconosciuto. Il messaggio era molto breve. Diceva: “ Avrai le risposte a tutte le tue domande”. L’allegato era il resoconto completo della vita di mio padre con il marchio del Dipartimento di Stato e varie foto degli anni 60 in cui compariva insieme ad uomini che non conoscevo.

Mulder e Scully si scambiarono uno sguardo furtivo e capirono che era arrivato il momento. Che lì in mezzo ad uno spiazzo, vicino ad un tratto solitario dell’autostrada, la figlia di Alvin Kurtzweill stava per rivelare loro il suo grande segreto.

- Quella cosa mi confuse, non sapevo esattamente quello che significava né che trascendenza raggiungeva- continuò lei- Non ebbi altre notizie fino ad un mese fa. Mi mandarono un file che spiegava i vecchi progetti:L’Operazione Piperclip, Controllo di Purezza…patti internazionali ed esperimenti così inumani che credevo che non potessero esistere. Dopo pochi giorni, ricevetti un altro file da un indirizzo diverso, e poi divenne routine. Tutti i giorni aumentava il flusso delle informazioni.

I suoi occhi brucianti s’inchiodarono su Mulder con tale veemenza che il federale credette che lo avrebbe ipnotizzato.

- Seppi chi era suo padre, agente Mulder- dichiarò Hannah quasi con solennità- quello che fece e che relazione ebbe con il mio. Seppi chi erano quegli uomini del Dipartimento di stato e tutto sul Progetto. I familiari che furono consegnati come moneta di scambio, gli esperimenti con il DNA alieno, la guerra per la vaccinazione, ed il grano transgenico…E seppi chi eravate voi due. Conobbi il vostro lavoro negli XFiles, il rapimento dell’agente Scully, la sua malattia.

Gli occhi della ragazza ballavano dall’uno all’altro, e Mulder senti che gli si rivoltava lo stomaco quando Hannah nominò la sparizione di Scully e il cancro che le avevano inoculato, furioso e atterrito davanti all’idea che l’intera vita della sua compagna fosse scritta in un raccoglitore come se fosse una cavia umana.

- Mi sentivo incapace di credere a tutto quello- la voce di Hannah era frenetica- Sembrava fantascienza, un copione ben architettato e con tutti i dati al loro posto, ma sfuggiva alla mia ragione. Per questo, quando mi ebbero confessato il passato ed il presente, incominciarono a rivelarmi il futuro. E fu così preciso che dovetti credere a tutto quello che mi avevano mostrato.

Fece silenzio per qualche secondo prima di continuare. Slava osservava la scena ad una prudente distanza, mentre gli agenti erano in attesa di quello che avrebbe detto, ansiosi.

- Cinque ore prima che scoppiasse quella bomba a Dallas, quando aprii la posta, seppi il luogo, l’ora ed il numero dei morti che ci sarebbero stati. Non ci potevo credere, ma quando vidi le notizie mi resi conto che tutti quei messaggi non erano un romanzo di Michael Crichton, ma una spaventosa realtà. Il giorno dopo il funerale di mio padre, ricevetti l’ultimo messaggio. Parlava dell’incidente dell’aereo spagnolo e m’invitata ad incontrarmi con lei all’università di New York quella stessa sera- la ragazza prese una profonda boccata d’aria- Il resto, già lo conoscete.

Completamente sconcertato, Mulder cercò di assimilare l’informazione e schiuse le labbra per dire qualcosa, ma Hannah si anticipò.

- Che cosa le raccontò mio padre, agente Mulder?- i suoi occhi brillarono un secondo di curiosità e poi passarono alternativamente su entrambi gli agenti.- Cosa sapete?

- Che useranno le api come mezzo di trasporto per l’infezione. Che il patto del Sindacato fu un modo per accedere al DNA e sviluppare in segreto una vaccinazione. E che ora il virus è mutato- disse l’uomo con impazienza.

La ragazza fece cenno di sì con la testa e la sua voce acquistò un tono che a Mulder risultò familiare.

- Esatto. Credevano che ci avrebbero solo resi schiavi, non che ci avrebbero usati per ripopolare. Quando incominciarono a moltiplicarsi, il progetto crollò e la vaccinazione smise di essere efficace.

L’ombra della sorpresa negli occhi dei federali fece sì che Hannah imprimesse un’urgenza scettica al suo discorso.

- Di cosa vi meravigliate? Voi siete stati testimoni del comportamento del virus, avete visto con quanta celerità si propagava. Non possiamo frenarlo. Non con la vaccinazione.

L’aria era carica di umidità. Il cielo si chiudeva su di loro, denso e pesante, e l’elettricità si andava condensando sempre più, asfissiandoli, come lo facevano le parole di Hannah.

- Ma, gli ibridi?- intervenne Mulder stupefatto.

- No, agente Mulder- l’interruppe lei con condiscendenza e scuotendo la testa insistentemente.- Gli ibridi sono solo un simbolo, l’iconografia di un accordo. L’unico modo di sopravvivere ma anche il segnale che tutto incominci. Quando si otterrà il primo ibrido e i coloni verranno a conoscenza della sua esistenza, si dichiarerà lo stato d’emergenza ed il governo rimarrà in mano alla FEMA.

L’agente riconobbe quel tono e quello sguardo socchiuso, ed una sensazione di dejà vu lo invase completamente.
Lo stesso viso, più pallido e più vecchio di cinquant’anni, che gli rivelava l’Apocalisse in un angolo buio. La stessa voce febbrile e contenuta allo stesso tempo. Gli stessi occhi fanatici, traboccanti per la grandezza di tutto quello che sapevano. E Mulder che assisteva ad una scena troppo fantastica per essere vera e troppo reale per poterla negare. La figlia di Alvin Kurtzweill che raccoglieva il testimone del padre per una strada sconvolgente ed inevitabile verso fine del mondo.

- Allora…- incominciò dire l’uomo con incredulità- Non c’è niente da fare.

- Sì che c’è-replicò la ragazza- Se per qualcosa dobbiamo lodare i membri del Sindacato, è per la loro precauzione. Per anni, svilupparono una soluzione alternativa a cui ricorrere come ultima cosa, un piano parallelo alla vaccinazione. Una nuova razza.

- Una razza immune?- domandò Mulder.

Quasi arrossì quando ricevette lo sguardo di rimprovero di Hannah. L’adolescente scosse la testa e la sua voce suonò come quella che spiega una cosa ovvia ad un bambino.

- Non lo ha ancora capito? Questo significherebbe che hanno ottenuto l’ibrido e niente di quello che le sto dicendo avrebbe senso. Una razza immune sopravviverebbe semplicemente all’olocausto virale, ma non metterebbe fine agli invasori. Prima o poi gli ibridi diventerebbero schiavi. Per caso vale la pena sopravvivere per questo?

Samantha era stata rapita per entrare nel programma di clonazione e sopravvivere come ibrido genetico.
E da quando l’aveva saputo alcune settimane prima, Mulder non si era mai fermato a pensare a cosa sarebbe stato di lei quando sarebbe iniziata la colonizzazione. E nemmeno a cosa sarebbe stato del resto del mondo.
Anche se si riuscisse ad immunizzare un gran numero di persone, anche se si fosse frenato l’avanzare del virus, come avrebbero lottato contro di loro? Non erano piccoli omini verdi. Erano bestie. Con artigli ed un istinto predatore iper sviluppato. E vincerli avrebbe implicato più che iniettare quella vaccinazione in un tempo massimo di novanta sei ore.
La realtà lo schiaffeggiò improvvisamente. Silenziosa, scarna. Con lo sguardo di Hannah che lo trapassava con una determinazione quasi insopportabile.
Accanto a lui, Scully rimaneva silenziosa, ascoltando con incredulità e trattenendo il fiato. Mulder poteva ancora ricordare le grida inumane delle creature che si svegliavano quando entrambi scappavano da quella cupola sotterranea perduta in mezzo all’Antartide. Così sarebbe finito tutto? Ambra, ghiaccio e sangue?
Fissò la ragazza con occhi carichi di un’improvvisa intensità e assetati di risposte.

- Che cos’è quello che hanno fatto, Hannah?

- Copiare la natura- dichiarò lei- Sviluppare un meccanismo di difesa attiva. Una razza di sopravviventi capace di scappare, minacciare…e contrattaccare.

Un brivido attraverso il corpo di Mulder dalla testa ai piedi. Incominciava a capire. E questo gli provocava uno strano miscuglio di fascino, scetticismo e paura. Paura davanti ad una verità che si disegnava brutale ed impossibile da rifiutare.

- Pensateci- continuò la ragazza con voce acuta- perché gli uccelli hanno le ali e noi camminiamo diritti? Perché centinaia di specie si sono estinte e le altre continuano a stare qui, miliardi di anni dopo? Perché sopravvivono solo gli individui che sono capaci di adeguarsi ai cambiamenti, i più forti.

-La legge più elementare del Darwinismo- Disse Scully, come se si fosse svegliata da un lungo e profondo letargo- La natura seleziona i migliori che si adattano all’ambiente e possono sopravvivere e trasmettere le loro peculiarità ai loro discendenti.- recitò a memoria.

Hannah diresse ora lo sguardo verso la donna ed annuì, dandole ragione.

- Ricorda il Progetto Litchfield?- domandò la ragazza.

- Sì- si affrettò a rispondere Mulder- è stato uno dei nostri primi casi. Nella prima decade degli anni cinquanta si allevarono e si studiarono alcuni bambini controllati geneticamente. Gli Adamo e le Eva.

L’adolescente tornò ad assentire. Piccole ed arbitrarie gocce di pioggia incominciarono a cadere su di loro.

- Cinquantasei cromosomi al posto di quarantasei, che li dotavano di maggior forza fisica e maggior intelligenza. Ma anche possedevano una maggiore psicosi, per questo abbandonarono il progetto- disse Hannah- Invece la genetica è avanzata a passi da gigante. Dopo anni di fallimenti per ottenere la vaccinazione, una sensazione di sconfitta incominciò a pesare sul Sindacato. Davanti a questa incertezza decisero di riprendere di nuovo le ricerche del Progetto Litchfield e l’ampliarono fino a raggiungere l’obiettivo. Un piano parallelo che è pronto dal 1995-come un oratore che studia la reazione del pubblico, Hannah fece una pausa prima di andare avanti- Immaginate un essere umano più forte, più veloce, con la potenza dei grandi predatori? Un essere umano capace d’ingaggiare una battaglia con le sue stesse mani e morire se è sconfitto?

La debole pioggia calava su di loro a poco a poco, come la rivelazione dell’adolescente.

- Il soldato perfetto- dedusse alla fine Mulder.

Una scintilla trionfale illuminò gli occhi della ragazza.

- L’unico modo di ottenere una razza che sopravvivesse- disse con voce tagliente- Individui superdotati fisicamente e programmati per morire se infettati dal virus. In questo modo, non serviranno come anfitrioni e si potrà frenare la colonizzazione. Le stesse persone che furono consegnate per creare l’ibrido umano sono servite per creare i due prototipi, uno maschile ed uno femminile, con lo scopo di potersi riprodurre e ripopolare. E lo hanno ottenuto con successo: hanno una forza ed una velocità sei volte maggiore del normale. Sono autentici predatori umani. Ed anche se si è ottenuta la cura e tutti saranno immunizzati, il loro DNA dispone di un meccanismo preventivo per cui moriranno all’immediato contatto con il virus. Perché?- Hannah si fermò per prendere aria ed i suoi occhi apparvero opachi come quelli di un felino nascosto nell’oscurità- Nella decade degli anni novanta, quando si lavorava con i prototipi, ancora non c’era la cura per il virus alieno, così che li disegnarono in modo che il metabolismo si destabilizzasse violentemente e provocasse snaturalizzazione delle proteine, la qual cosa avrebbe fatto morire l’individuo nel tempo massimo di due ore. Il meccanismo si è conservato. Funzioni o non funzioni la vaccinazione il virus non riuscirà ad incubare.

Quelle parole scossero Mulder come una scarica elettrica ad alto voltaggio.
Nude e turbolente, le risposte alle sue domande si agitavano nel labirinto caotico della sua testa, intrecciandosi con vecchie rivelazioni e verità confuse come i germi che bollivano dentro le viscere della terra. O dell’inferno.

***

828 Viva Tower
Crystal City, Virginia
9:14 pm

Il telefono suonò nell’oscurità. Senza quasi avere il tempo di lasciare chiavi e cappotto, Skinner chiuse la porta con una manata e prese la cornetta con la speranza che la voce di uno dei suoi due agenti suonasse all’altro lato.

- Pronto.

- Walter Skinner?- domandò un uomo giovane.

- Sì.

- Sono l’agente Dorman. La chiamo dall’ufficio dell’FBI di Indianapolis. Vede, una donna afferma di aver visto la ragazza che è sparita a New York venerdì sera.

Skinner socchiuse gli occhi e si chiese dove voleva andare a parare quel tipo al telefono.

- Nella sua dichiarazione dice che la ragazza non era sola- continuò lui- era con due uomini ed una donna. Abbiamo l’identikit di due di loro.

Fox Mulder e Dana Scully.
Cazzo.

- Mi ascolti, non chiami l’ufficio di Washington- ordinò Skinner con tono implacabile.

- Ma signore…-tentennò il giovane all’altro lato della linea.

- Faccia quello che le dico e m’incaricherò personalmente che lei smetta di fare il telefonista, agente Dorman.

***

Periferia di Portage, Indiana
9:16 pm

Una razza di esseri umani trasformati in predatori, immunizzati dalla vaccinazione e dotati di un meccanismo alternativo per non servire da anfitrioni al virus alieno. Un piano diabolico ed incredibile.
Ma non per Fox Mulder.
Dopo quello di cui era stato testimone qualche settimana prima, qualsiasi chimera si sarebbe trasformata in una possibilità perfettamente reale.
Incastrando i pezzi di quel puzzle dantesco, l’impazienza lo sopraffece.

- E l’incidente aereo?- domandò Mulder- Perché assassinarono quel medico?

Hannah socchiuse gli occhi prima di rispondere.

- Perché anche i russi volevano un pezzo di torta. Credevano che si trattasse di un nuovo modo per salvare la pelle ed inviarono Gavrilov negli Stati Uniti per investigare e ottenere un campione del progetto, ma il Sindacato aveva paura che tanto movimento richiamasse l’attenzione dei coloni, per questo lo eliminarono- la ragazza scosse la testa e parlò quasi con incredulità- Il mondo sta per finire, e siamo così egoisti che invece di unire le nostre forze quello che facciamo e lottare tra noi. Il Sindacato vuole proteggere il futuro, che il progetto non venga fuori da dove sta, perché hanno bisogno di tempo per creare un esercito.

- Un esercito? –Ripetette l’agente.

L’aspetto della ragazza scivolò improvvisamente in un’espressione morbida e lo guardò con uno scintillio diverso negli occhi scuri.
Pena.

- Stanno clonando i prototipi per formare un esercito nel tempo massimo di sei mesi- rispose lei- Quando avranno finito, porteranno a termine una selezione naturale provocata.

Inorridito, Mulder si tese al comprendere tutto.
Quello che Hannah sapeva era molto più terribile di quello che Scully e lui avevano visto in Antartide. L’Armagedon che la ragazza gli aveva appena rivelato era una decisione senza ritorno e senza possibile difesa davanti a cui tutti erano uguali. Loro, il resto della popolazione mondiale. Perfino il Sindacato. Situazioni estreme richiedono soluzioni estreme. Una selezione naturale provocata. E solo sei mesi di tempo prima che diventasse esecutiva. Un modo obiettivo, brutale e disperato per garantire la conservazione della specie. Un piano atroce ma irrevocabile.

-Ci elimineranno- disse l’uomo con voce sommessa.

Gli occhi di Hannah scintillarono quando Mulder risolse l’enigma.

- Noi siamo semplici anfitrioni- continuò lei con voce tremula- questo permetterebbe il moltiplicarsi dei coloni ed è controproducente. Tutto si è ridotto ad una lotta implacabile per la sopravvivenza- l’adolescente sembrava improvvisamente distrutta e minuscola.- Devono rimanere solo quelli che possono sopravvivere.

Faceva freddo. Un freddo inclemente che le scioccanti risposte di Hannah sembravano aver moltiplicato per mille, facendolo diventare metallico e lugubre. Il vento ululava con sibili che davano i brividi ed il cielo finì di rompersi in grosse gocce d’acqua che crearono una cadenza funebre, come l’anticipo implacabile di una processione infernale.

- Dio, questa è una pazzia- mormorò Scully rompendo il silenzio, senza dar credito a quello che aveva sentito.

- Ma voi potete fermarlo- li incalzò Hannah senza l’ombra di quell’aspra disillusione nella sua voce e illuminando gli occhi con una scintilla di speranza.- per questo ricevetti quei messaggi e mi guidarono fino a voi. Per questo mi vogliono morta. Io so dove stanno i prototipi, noi ci dirigiamo lì.

- Dove? – tagliò corto Mulder nervoso.

- Apostle Islands , nel Wisconsin.

Gli occhi da gatto di Mulder brillarono quando un’idea gli passò per la testa. Un’idea lontana e quasi egoista. Prese Hannah per le spalle e la guardò con intensità sconvolgente.

- Hannah, hai detto che hanno utilizzato le stesse persone che furono consegnate come garanzia quando suggellarono il patto- la voce gli tremò- Mia sorella, sta lì?

Compassione e vergogna. E anche frustrazione. Fu questo quello che lesse Fox Mulder in quello sguardo di miele e oro vecchio.

- Non lo so- confessò la ragazza.

Spinto alla stesso tempo da una speranza impossibile e da una tristezza carica d’indignazione, l’agente si girò e alzò la voce sul martellante ticchettio della pioggia.

- Tutti in macchina.

- Dove andiamo, Mulder?- domandò la sua compagna mettendosi a camminare dietro di lui.

- Abbiamo ancora tempo per prendere il volo notturno.

Il bagliore bianco dei fari della Ford Taurus deformò le figure di entrambi gli agenti, leggermente curvati sotto la densa cortina d’acqua. La realtà gridava reclamando attenzione, scuotendo le fondamenta della logica e bucherellando la pelle con lacrime affilate del cielo, come se con esse volesse svegliare la terra abbandonata nel suo letargo d’ignoranza.

***

Pentagono
Washington D.C.
9:17 pm

I passi risuonavano come tamburi di una primitiva cerimonia funebre. Quando la porta dell’ufficio si aprì, pensarono che la sola immagine bastava perché perfino la lava più calda si solidificasse in una frazione di secondi.
La sua voce sempre opaca dietro il fumo che lo accompagnava di continuo, suonò fredda e tinta d’ira latente.

- Jocik è morto.

Gli uomini si sentirono improvvisamente ridicoli con le loro uniformi coperte di galloni e i loro anni d’addestramento d’elite.

- Parlerà. E’ questione di ore e scopriranno tutto. Voglio un esercito che li aspetti e che faccia il possibile per salvaguardare il progetto- i suoi occhi si socchiusero e l’iris grigiastro sembrò ardere.- Voglio la ragazza morta. Questa volta non ammetto nessun errore.

***

Periferia di Portage, Indiana,
9:18 pm

Ancora in silenzio, Slava osservò Mulder e Scully, e per un istante gli sembrò di vederli attraverso un vetro. Loro, le sterpaglie che crescevano lungo l’autostrada, le stelle che tremavano a distanza di milioni di anni. Si sentì fuori del mondo, estraneo a tutto, e le immagini di un ponte saltato per aria e di corpi mutilati ballarono davanti ai suoi occhi assenti. Si domandò cosa ci faceva lì, e ricordò a se stesso il motivo. Si domandò se ne valeva la pena e se sarebbe stato in grado di continuare. Ed il ricordo confuso degli occhi grigi ed opachi di un soldato serbo gli restituirono il sangue nelle vene, e l’odio nel cuore e l’unico motivo per cui aveva abbandonato le sue radici spezzate. Resistere, sopravvivere. A qualsiasi prezzo. Come aveva sempre fatto.
Un tocco freddo e dolce fu quello che lo fece tornare indietro con la violenza di un fulmine. Girandosi, la sua sorpresa davanti al gesto di Hannah crebbe al vedere l’espressione del viso di lei.
Simpatia. Onestà. Ed un’inusitata dolcezza.
Tutto questo rivolto a lui.

- Mi hai salvato la vita- disse lei in un sussurro.

Lì, sotto la pioggia, piccola, bagnata ed avvolta dal chiaroscuro dei fari della macchina, Hannah sembrava un angelo bruno cacciato dall’Eden. Visionaria, ormai spogliata del suo potere per cui era a conoscenza del precipizio orrendo e atroce che si faceva strada dietro un bel campo di segale e che aveva appena finito di rivelare a loro rendendoli partecipe del suo macabro privilegio. Li separava un abisso di due passi, e li univa la sua mano ossuta. Quello non era nei piani. Il ragazzo pregò che fosse tutto un’illusione. Che Hannah continuasse ad avere l’atteggiamento pedante e dispotico, e che lui non fosse disarmato e pietrificato come un idiota davanti a lei. Che non lo guardasse con quell’espressione nuova, atipica e sconcertante. E che non fosse così incredibilmente bella. Ebano bagnato. Con i capelli appiccicati alle guance ed il cielo notturno negli occhi, vecchi, saggi, pieni di vita e di una scintilla esultante e sconosciuta.
Slava sostenne il suo sguardo con indecisione e le guardò le labbra per un secondo che sembrò durare un’eternità. Piene, larghe, perfette in quella pelle color tabacco. Il contatto delle dita fredde della ragazza faceva male. Aderivano alla pelle come chiodi brucianti e lo ferivano come lingue di fuoco. Gli provocavano un calore che nasceva nello stomaco e gli liquefaceva il cervello, come ferro fuso.
Un’ombra di dubbio vibrò negli occhi del ragazzo, e la confusione affiorò sul viso di Hannah sotto forma di un’adorabile smorfia di stupore. Una smorfia che fece si che diventasse un visione ancora più bella: la bocca socchiusa con incertezza e gli occhi che gli parlavano in silenzio. Supplicandolo di accorciare le distanze tra loro con due passi ed un gesto allo stesso tempo selvaggio e dolce. E pregandolo allo stesso tempo di non farlo.
Le possibilità erano lì, sospese nell’aria, tangibili e reali come la pioggia. Tentandoli.
Un primo e ultimo bacio.
Solo uno prima di sciupare tutto.
Senza sapere bene da dove aveva preso la forza di volontà, Slava si represse.

- Per questo mi hanno pagato- replicò seccamente.

Gli occhi arabi di Hannah tremarono, delusi e rasseganti. O forse sollevati. Ma l’adolescente non si perse di coraggio. Non lo faceva mai, ma lo sorprese ancora una volta abbozzando un sorriso ampio e sincero che distava anni luce dagli altri, lupeschi ed ironici.

-Grazie- mormorò Hannah dolcemente.

E gli lasciò la mano per camminare davanti a lui, mentre a vari chilometri un tuono scoppiava come il ricordo macabro degli inferi che continuavano ad avanzare. Lì. sotto la pioggia, Slava vide un angelo bruno che iniziava la sua processione verso di loro.

Diavoli

Succede che il diavolo è molto astuto
Succede che non sempre è così brutto come dicono

Jacques Cazotte

Aeroporto Internazionale di Indianapolis
Indianapolis Indiana
9:36 pm


Se quella apocalittica tormenta non lo impediva, l’aereo per il Wisconsin sarebbe partito entro quindici minuti.
Piena di un’energia vigorosa ed improvvisa, Hannah si era offerta di comprare qualcosa da mangiare per i suoi accompagnatori, ma loro avevano rifiutato. Scully aspettava accanto alla porta d’imbarco, meditabonda e abbattuta in una delle poltrone di pelle sintetica. In piedi, molto vicino a lei, Mulder contemplava la tempesta attraverso le magnifiche grandi vetrate e vedeva decollare un Airbus malgrado i tuoni. Appartato dal gruppo, Slava dava un’occhiata ad una rivista di macchine in un’edicola.
L’adolescente si diresse verso una delle salette d’attesa che stava accanto ai bagni ed osservò i distributori di bibite e dolciumi.
Si sentiva molto meglio dopo aver parlato.
Spesso la verità sembrava bruciarle le viscere e strangolargli la gola. A volte, sentiva che sarebbe scoppiata dentro di lei come una bomba ad orologeria. E non aveva mai pensato che sarebbe stata capace di raccontare tutto. Ma l’aveva fatto, ed ora si sentiva sollevata. Come se avesse tolto un immenso peso dalle sue spalle. Ed aveva una strana sensazione, un gorgoglio che le faceva solletico e stomaco, non sapeva se per la tranquillità che implicava l’aver sputato fuori una volta per tutte quella diabolica informazione o per il gradevole brivido che sentiva quando ricordava Slava.
Mentre prendeva il piccolo portafoglio rosso dalla tasca della giacca, pensò alla confusione con cui il ragazzo aveva accettato il suo ringraziamento. Ai suoi occhi intensi che le scrutavano la bocca. Anticipandosi. Disposto a farlo. Al modo in cui l’aveva evitata d’allora, durante il tragitto fino all’aeroporto, mentre compravano i biglietti ed ora.
Immaginò che era arrabbiato, infastidito per il cambiamento del suo atteggiamento. In fin dei conti, lei aveva creduto che fosse un assassino. Che mentiva, Gesù, l’aveva anche tenuto sotto tiro con una pistola.
La lattina di Coca Cola fece un rumore cadendo nella scanalatura. Hannah la prese e lanciò uno sguardo all’interno del portafoglio. Appena un dollaro, forse avrebbe potuto comprare noccioline o qualche cioccolatino nell’altro distributore.
Se Slava era offeso era nel suo pieno diritto. Ma lui anche doveva capire che la storia era molto delicata per confidarla al primo intruso che s’infilava in una stanza di un motel e ti sorprende alle spalle. Anche se l’intruso era capace di lasciarti senza battito ogni volta che apriva la bocca per lasciare uscire quell’accento incerto.
Quando ebbe la bustina di M&M tra le mani, la ragazza si girò per uscire dalla piccola stanza. Sussultò nel trovarsi di fronte a degli occhi azzurri che la guardavano e subito sorrise, tra sollevata e vergognosa.
Non l’aveva sentito arrivare. Da quanto tempo era lì?

- Mi hai spaventato- disse lei con un’intonazione complice.

Slava abbozzò un mezzo sorriso appena percettibile che feci sì che il rossore venisse fuori sulle guance di Hannah con una puntualità britannica. Il ragazzo introdusse una moneta nel distributore di bibite, indifferente, e continuò a non dire niente.
Lei fece una smorfia e morse il labbro inferiore, pensando a qualche argomento di conversazione. Avrebbe continuato a non parlarle per il resto della sua vita?

- Gli aeroporti mi portano molti ricordi-disse Hannah improvvisamente, in un tono che pretendeva d’essere casuale- Ho vissuto in tanti posti diversi che credo d’aver passato più tempo in aereo che a casa.

Il ragazzo aprì una lattina di soda e la portò alle labbra.
Niente.
Assolutamente niente.
E quello incominciava a darle fastidio. Molto.

- Ci sono città che non ricordo, ero così piccola…- continuò l’adolescente animatamente- ma ne ricordo alcune molto belle. Una che mi è piaciuta molto è stata Huntsville, in Alabama. Credo d’aver avuto dieci o undici anni. La conosci?

Slava finì il contenuto della lattina in un solo sorso e la ridusse ad un piccolo ammasso di metallo con la mano sinistra.

- Perché non l’abbandoni una volta per tutte- sbottò lui.

Hannah sbatté le palpebre, perplessa.

- Che cosa?

- Il tuo maledetto ruolo di vittima-disse con sdegno allo stesso tempo che gettava quello che rimaneva della lattina in un contenitore d’immondizia che stava all’altro estremo della stanza.

La ragazza lo guardò con gli occhi spalancati. Non capiva niente. Ruolo di vittima? Perché diceva questo?

- Hai sempre creduto d’essere molto importante, vero Hannah?- continuò Slava con uno sgradevole accento, ostile e sarcastico.- Scappando da bambina da un posto all’altro, cambiando nome e vita come chi cambia un paio di scarpe, pensando al motivo per cui tuo padre ti aveva abbandonato e perché scappavi continuamente, convincendoti che dovevi essere la figura chiave in tutto questo per essere così pericolosa.

Era crudele. E molto ingiusto. Hannah cercava di ricordare in quale momento qualcosa che aveva detto poteva aver scatenato quell’improvviso attacco contro di lei, ma non trovava un motivo minimamente logico. Ricordi, aerei. Ed una bella città. Aveva pensato che sarebbe stato un buon argomento per parlare serenamente. Che rappresentava tutto quello?
Gli occhi di Slava erano di un’intensità liquida, e riflettevano quasi disprezzo.

- Sai qual’era quel motivo?- annunciò con aria trionfale- Vuoi sapere perché Kurtzweill si disfece di voi e perché hai passato la vita a correre senza capire niente?

Sembrava un’allucinazione.
Un minuto prima era stata preoccupata unicamente che gli spiccioli che aveva con sé fossero sufficienti a comprare dolciumi mentre aspettava che partisse l’aereo, e ora Slava minacciava di distruggere il suo ottimismo appena inaugurato di colpo con qualcosa che lei ignorava ma che, senza sapere molto bene perché, le faceva paura ascoltare. Che diavolo stava succedendo?
Il ragazzo fu implacabile e continuò a parlare.

- Perché tuo padre era un paranoico che pensava che una decade dopo il patto sarebbero venuti a cercarti per prenderti come garanzia. Il grande imbecille non si rendeva conto che le persone dello scambio ormai non avevano più importanza, per il fatto che il feto fu consegnato quando Bill Mulder acconsentì a dare sua figlia dieci anni prima che tu nascessi. – Slava torse la bocca e godette delle sue parole- non correvi nessun pericolo, Hannah. Né tu, né tua madre. Fino alla morte di tuo padre sei stata più inoffensiva di un uccellino. Ma d’allora in poi sei diventata il corriere dello zar.

Lei non poteva credere a quello che sentiva. Idee ridicole le attraversavano la mente mentre cercava di assimilare tutto quello. Una parte di se stessa rifiutava di continuare ad ascoltare, ma un’altra era ansiosa di sapere di più, con una sete sconosciuta che fece si che la sua voce fosse un filo disperato e vitreo.

- Perché non me l’hai raccontato prima?- domandò.

Lo sguardo di Slava l’attraverso con determinazione prima di rispondere, e Hannah sentì un improvviso vuoto nello stomaco e la bocca secca. C’era elettricità nell’aria che s’interponeva fra loro. Milioni e milioni di particelle invisibili, positive e negative, che sembravano disposte a portarli come esempio per una magistrale lezione d’elettromagnetismo.
La ragazza era stordita dalla rabbia, confusa per averlo lì, arrogante come un gatto selvatico e percorrendola da capo a piedi con lo sguardo, con lo stesso desiderio silenzioso di un predatore prima di saltare sulla sua preda. Paralizzata. Indifesa davanti alla sua intensità.

- Perché avevo bisogno di te- lo disse con quell’accento sibilante che sembrava allo stesso tempo un insulto ed un’insinuazione.- Avevo bisogno che tu mi raccontassi quello che sapevi. E non l’avresti fatto se ti avessi detto che tuo padre era un fanatico che aveva condannato la moglie e la figlia a scappare da una minaccia inesistente e che ti aveva messo in pericolo nel rivelarti la verità quando capì che sarebbe morto.

Hannah rimase senza fiato, come se le avessero dato uno schiaffo o l’avessero scossa senza un motivo.
Non poteva essere. No, era impossibile.
I violenti battiti del suo cuore la resero sorda, l’aria della piccola stanza diventò irrespirabile. Persino le pareti sembrarono piegarsi. Si sentì minuscola, ferita come un cane abbandonato, ma fece ricorso a tutte le sue forze e lo sfidò prima di dargli le spalle.

- Stai mentendo- disse con rancore.

E si girò, andando verso la porta. Due, tre, quattro passi e sarebbe uscita di lì. Afferrò il pomo saldamente e fece l’atto d’aprirla quasi allo stesso tempo che qualcuno la chiudeva.
Dietro di lei, Slava aveva allungato il braccio sinistro, impedendole di andar via.

- Questo credi?- la voce suonò alle sue spalle, così vicina che la giovane credette che si sarebbero fusi come gocce di mercurio in una sola.

Hannah respirò profondamente, cercando di controllarsi.

-Lasciami uscire.

Era accerchiata come un animale in gabbia. Davanti a lei, la porta chiusa. Alla sua destra il muro, alla sua sinistra il braccio di Slava, che lui non sembrava disposto ad abbassare.

- Non vuoi saperlo?-insistette inclinandosi su di lei.

Il calore del suo alito le sfiorò la nuca ed un brivido percorse la schiena di Hannah, allo stesso tempo che scuoteva la testa insistentemente.

- Sì, Hannah.

Basta.

- Il tuo informatore segreto, l’uomo che t’inviava tutti quei messaggi anonimi….

Basta, basta.

- …colui che ti guidò fino a Mulder e Scully e ti confessò il destino del mondo…

Basta, per favore.

-…fu lo stesso uomo che ti abbandonò senza spiegazioni nè saluti e che hai appreso ad odiare man mano che crescevi.

Le parole le rimbalzavano nel petto e Hannah pensò che il suo cervello sarebbe scoppiato, soprasaturo di stimoli inconcepibili. Le labbra di Slava a due centimetri dal suo viso, mentre le rivelavano una dolorosa verità.

- Tuo padre ti mostrò la verità per farti capire, ma non si rese conto che ti stava trasformando in carne da macello.

Ora basta.
Voleva piangere, ma non davanti a lui.
Hannah ingoiò saliva e respirò profondamente per cercare di controllare il tremito della sua voce. Facendo uno sforzo soprumano, si girò e affrontò Slava, alzando piano gli occhi e trapassandolo per un istante.
Guardò lontano, molto lontano dentro del ragazzo che quasi potè vedere i ponti distrutti di Sarajevo, il cadavere di un soldato e il sorriso macabro di un bambino che fruga soddisfatto nelle ferite degli altri.

- Sei un figlio di puttana- sussurrò con un tono fragile.

E tornò a girarsi vedendo sollevata come Slava abbassava lentamente il braccio per lasciarla uscire.
Ma non fu così.
Calda, velenosa, la mano sinistra del ragazzo le circondò la vita e si appoggiò sul suo ventre. Schiena contro stomaco. Come la notte nel motel in Pennsylvania. Ma, in quest’occasione la ripugnanza si era trasformata in anelito e la paura in odio. Un odio che feriva come coltelli, sorto da qualcosa che non era ancora nato ma che Hannah aveva creduto che stesse apparendo. O che almeno avrebbe potuto apparire. Le lacrime le affiorarono minacciosamente negli occhi al rendersi conto di quanto fosse stata stupida.
La mano di Slava l’afferrava con fermezza, e Hannah tremò fino a farsi di burro quando sentì uno il tocco evanescente della guancia del ragazzo mentre le sussurrava nell’orecchio un’ultima volta.

-Žao mi je.

Il tempo si fermò, inerte e pastoso come la tela di un ragno invisibile. Sentì che Slava la lasciava, ma percepiva ancora il suo calore sulla schiena e lo stomaco. Il suo cervello non capiva il significato di quelle parole, ma il suo cuore non voleva saperlo.
Hannah soffocò un singhiozzo ed aprì la porta.

***

Dipartimento di Polizia di Indianapolis
50 North Alabama Street
Indianapolis, Indiana
10: 17

Merda.
I federali già avevano messo il naso, come sempre.
Henry Callahan si servì di nuovo il caffè stantio nella sua tazza mentre s’isolava dal trambusto della stazione di polizia nel suo caotico ufficio. Bevve un sorso e borbottò per l’ennesima volta mentre prendeva un altro analgesico.
Sentiva che era stato sul punto di toccare il cielo con un dito. E quell’occasione era svanita di colpo. Vista e non vista. Quando aveva ricevuto la chiamata da quel bar a Portage e mezzo dipartimento si era presentato lì in meno di cinque minuti, Callahan aveva creduto fermamente che il caso O’Fallon fosse risolto. Avendo trovato la minore viva, i dettagli sulla sparizione avevano meno importanza. Lei li avrebbe forniti. E se non fosse stato così, almeno l’avrebbero trovata viva.
Un cadavere. Questo è quello che avevano trovato. Il corpo atletico di un uomo morto per una ferita d’arma da fuoco. Vladko Jocik, 36 anni. Croato. Un colpo pulito, a bruciapelo, effettuato da meno di cinque metri. E nessuna traccia della ragazza.
Il caso O’Fallon era musica per le sue orecchie. Sopratutto dopo lo scandalo di cui Callahan era stato protagonista quattro mesi prima. Cazzo, aveva fatto una stronzata, sì. Monumentale. Forse accettare denaro da una ventenne arrestata per traffico di droga in cambio di lasciarla libera non era stata una buon’idea, ma la tipa aveva un corpo da schianto. E Callahan ubriaco, così che il flusso sanguigno non gli era arrivato al cervello, ma più giù. Quella ragazzina era scomparsa solo da tre giorni da New York. Il suo viso era diventato famoso. La cercavano in tutto il paese. Un caso succoso e promettente che lo avrebbe tirato fuori dal fosso del corpo di polizia se riusciva a risolverlo.
Ma prima che avesse il tempo di strofinarsi le mani per pura soddisfazione, il suo piano andò a farsi fottere.
Poco dopo aver interrogato la cameriera del Dunes Den, mentre parlava a telefono con il laboratorio, Callahan vide da lontano quelli che sembravano distintivi dell’FBI.
Le mosce rompicoglioni del Dipartimento di polizia: sempre a svolazzare intorno, sempre a dare fastidio.
I federali arrivarono come la Regina di Saba, limitando l’accesso alle prove e delimitando l’area dell’investigazione della polizia dell’Indiana, mentre uno di essi portava via nella sua macchina l’unica testimone senza dire una parola. I borbottii di Callahan gli servirono solo per provocargli un mal di testa ed a restare senza un accidenti di niente. Il caso O’Fallon restava a completa disposizione dell’FBI. Se volevano, Callahan ed i suoi potevano continuare ad investigare sul croato.
Per di più li doveva anche ringraziare per il favore.
Cazzo.
Si erano liberarti di lui sotto al suo stesso naso. E non aveva potuto fare nient’altro.
La grande famiglia dell’FBI, che si cucina e mangia la torta tutta sola. Tipico. Tanto che una puntura insopportabile nella tempia gli ricordò che gli analgesici non erano sufficienti in caso di cefalea acuta.

***

Midwest Airlines, volo 1157
10:23 pm

La tempesta era passata, ma la pioggia torrenziale continuava a cadere. Neri nuvolosi nascondevano la luna ed avvolgevano il Boing 737 in uno strato spesso plumbeo e tremante.
Pensieroso ed esaurito, Mulder contemplava il cielo senza stelle dal suo posto. Aveva deciso di riposare durante il volo, cercare di lasciare la mente in bianco per l’ora ed un quarto che lo separava da Milwaukee. Ma non poteva. Pochi minuti dopo il decollo, il silenzio in cui era immerso l’aereo lo aveva catturato ancora una volta, permettendo alla sua mente iperattiva di funzionare da sola.
Le parole di Hannah scuotevano il suo cervello come folate cariche di elettricità.
Una vaccinazione inutile, una soluzione parallela e solo sei mesi di tempo. Un olocausto immediato per impedire un Apocalisse ancora più crudele. Un piano che crollava come un castello di carte nello stesso tempo che un altro si erigeva come unica via d’uscita. Brutale, irrevocabile. Ed una certezza terrificante: che per ogni creatura che viveva al mondo spesso un’altra doveva essere sacrificata. Anche se questo significava sacrificare cinque miliardi di esseri umani.
Raggomitolata al suo posto vicino al finestrino Hannah dormiva profondamente con la testa appoggiata alla spalla di Mulder. Innocente e fiduciosa, come un cucciolo protetto da sua madre. I capelli le coprivano parzialmente il viso e profumava di sapone. E di ansia. Di quella tranquillità strana e calda di cui profumano i bambini quando dormono.
Non capiva. Meno di due ore prima l’aveva vista tremare e vomitare, invasa dal panico e sul punto di avere uno shock post-traumatico. Ed ora dormiva come un neonato. Ricordava ancora la vigorosa energia con cui si era offerta di comprare qualcosa da mangiare nell’aeroporto, come se non fosse successo niente. Era stupefacente. Come quella mattina in New Jersey, solo un giorno dopo che avevano ucciso sua madre. Hannah crollava ma subito si rimetteva in piedi. Come un’araba fenice che rinasceva dalle sue ceneri. Forse la sua ansia di sopravvivere era così grande che la sua mente continuava ad andare avanti qualsiasi cosa accadeva. E quella notte l’aveva fatto di nuovo.
Grazie a Slava, aggiunse una vocina dentro Mulder.
Doveva riconoscerlo. Il ragazzo aveva dimostrato di dire la verità. Aveva protetto Hannah quando quel tipo le aveva sparato. A meno che non avesse chi sa quali oscuri propositi per salvarle la vita per pura convenienza, i fatti avevano parlato a suo favore. Qualcuno inseguiva la ragazza per toglierla di mezzo. L’odioso ragazzo aveva detto che Kurzweill l’aveva contattato per portare Hannah in un posto sicuro. Nessuno l’aveva creduto. Ed ora c’era un tizio morto vicino ad un bar e la ragazza sognava accanto a lui, sana e salva. Se Mulder risolveva la “x” di quell’equazione, c’era una soluzione logica: Slava era lì per proteggere Hannah, così come aveva detto.
L’adolescente si sistemò meglio sulla sua spalla e Muder represse un debole sorriso, incantato dal suo gesto infantile.
All’inizio non aveva creduto nemmeno a lei. Non era abituato al fatto che i suoi informatori avessero gonne scozzesi e libri sulla schiena. Ma, quando aveva saputo dell’incidente aereo, Mulder passò dal vedere una quindicenne che giocava alle spie al trovarsi di fronte ad un Graal da adorare. Ed anche se per tre giorni aveva cercato d’immaginare la verità che Hannah gli avrebbe rivelato, la realtà superava abbondantemente la sua immaginazione.
Un essere umano capace di lottare contro di loro. Un ritorno alla natura più primitiva. Predatore e preda che combattevano a morte per la sopravvivenza.
La sentì sospirare nel sonno, e si domandò perché quella spaventosa verità sembrava aver liberato lei e condannato lui.

- A cosa pensi?

Mulder girò la testa e s’incontrò con i placidi occhi della sua compagna, seduta accanto a lui all’altro lato del sedile. Sembrava stanca e piccola, consumata da quei tre giorni per strada, fughe e rivelazioni. Ed anche dolce e vicina, la qual cosa fece si che l’agente si riempisse di una strana pace, sapendo che la tensione era sparita.
Avevano sfiorato la linea.
Sì, un’altra volta.
Ma negli occhi di Scully potè leggere che non importava, come nemmeno importava quello che era successo prima. O quello che non era successo. Che non c’era più ira trattenuta. Che non c’erano discussioni, nè rabbie assurde, né furia accumulata. Che qualsiasi cosa significasse quel gesto che avevano interrotto di nuovo, lo avrebbero affrontato. Tutti e due insieme.

- A quello che vedremo- rispose Mulder a bassa voce, e Scully strinse le labbra quasi con impotenza in un gesto che lui conosceva da anni-. Non le credi, vero? – chiese senza sembrare seccato.

L’agente respirò profondamente. Il dubbio si disegnava sul suo viso e le faceva scuotere leggermente la testa.

- Ammettilo che risulta difficile, Mulder,- cavillò- Uomini e donne che uccidono con le proprie mani ed obbedendo ad un istinto primitivo e animale. La scienza odierna è incapace di creare una cosa simile.

- La scienza odierna mostra solo una parte di se stessa- tagliò corto lui con dolcezza-. Per tutti questi anni hai visto cose che non conoscevi, hai avuto prove indiscutibili che si stanno manipolando scoperte che non sono ancora di dominio pubblico e che ci sembrerebbero chimere. Chi sa dove è arrivata la genetica in realtà?

Vide che gli occhi di Scully tremavano per la confusione e che lo scienziato razionale e logico che era in lei combatteva per rimanere nella sua testa, come se fosse l’unico modo che aveva di mantenere il controllo.

- Niente si muove in contraddizione con la natura ma solo in contraddizione con quello che sappiamo di essa- disse Mulder- Me lo hai detto tu, ricordi?

Un’ombra di riconoscimento attraversò il viso stanco di Scully prima che parlasse di nuovo.

- Ma…uno sterminio di massa? E’ fantascienza- mormorò incredula.

- No non è più fantascienza di quello che cercarono di fare i nazisti- sottolineò Mulder.

Lei sostenne lo sguardo, rifiutandosi di credere.

A volte, Mulder pensava che lo faceva per paura della verità che era andata disegnandosi davanti a loro durante gli anni, acquisendo ogni volta una forma più sconvolgente. E lo capiva. Anche lui aveva paura. Tirare il filo di quella verità machiavellica era gratificante…e terrorizzante.

“ Le stesse persone che furono consegnate per creare un ibrido sono servite ora per creare i due prototipi.”

Quelle parole erano la luce in fondo al tunnel, una speranza a cui aggrapparsi come ad un chiodo bruciante. Ed invece, l’effimera possibilità che sua sorella potesse essere lì gli faceva sentire desiderio e repulsione allo stesso tempo, contemporaneamente un’idea impressionante lo colpiva continuamente.

“ Sono autentici predatori umani”.

Se accadeva, se finalmente trovava Samantha, se tra poche ore avrebbe visto sua sorella faccia a faccia, sarebbe stata realmente lei? O sarebbe stato un essere sconosciuto e selvaggio, incapace di ricordare?

- Scully…- la sua voce suono spezzata e roca come una caverna scura, e la sua compagna lo guardò, ricevendo dai suoi occhi da gatto una luce verde ed elettrica carica di qualcosa simile al panico- E se lei sta lì?

Aveva paura. Fox Mulder aveva paura della verità che aveva desiderato tanto trovare. Sentiva lo stesso timore paralizzante e confuso che gli aveva fatto osservare la scomparsa di sua sorella senza muovere un solo muscolo quando era solo un bambino. E per un istante che sembrò eterno, si pentì di essere su quell’aereo verso una realtà che lo aspettava come la minaccia di una ghigliottina sul punto di cadere senza pietà sul suo collo.
Il firmamento azzurro, dolce ed infinito che invadeva gli occhi della sua compagna attraversò i suoi, e fu allora che qualcosa di caldo lo riportò indietro. Un gesto ferreo e salvatore che lo univa la terra quando tutto crollava, che lo manteneva onesto e che non l’abbandonava mai. Scully aveva teso la mano ed aveva intrecciato le sue dita con quelle di Mulder.

- Ascolta, qualsiasi cosa troveremo li, non arrenderti- la sua voce era un balsamo che sanava ferite e dava redenzione ai suoi peccati, un’iniezione di coraggio che gli diceva che non era solo. Che non lo sarebbe mai stato. E che valeva la pena di andare avanti se lo facevano insieme. – Lotta, Mulder.

Un sorriso che gli dava il benvenuto dopo un coma di ghiaccio, un incrociarsi di sguardi in un’occhiata, un abbraccio in un ospedale. Una barca di salvataggio nell’immensità dell’oceano. La piccola rossa che lui pensava che avessero mandato per buttare a mare il suo lavoro era diventata in quei sei anni un raggio di luce in mezzo alle tenebre. Qualcosa di così necessario come l’ ossigeno.
Mulder sorrise e strinse istintivamente la mano di porcellana di Scully contro il petto, accarezzandole il dorso con il suo lungo pollice.

“ Non arrenderti. Lotta, Mulder.”

Avrebbe lottato. Avrebbero lottato insieme. Come sempre.

***

828 Viva Tower
Crystal City, Virginia
10:24 pm

Il cervello dell’ex-marine funzionava a velocità vertiginosa. Da quasi un’ora e mezzo scopriva dati e raccoglieva informazioni per canali non ufficiali dei quali era meglio non sapere niente se non voleva trovarsi con il laccio al collo.
Secondo il data-base, la minore era figlia di Noel O’Fallon, un avvocato morto nel 1988 per un infarto al miocardio. I precedenti penali più gravi che aveva quest’uomo erano due multe per eccesso di velocità.
Skinner non trovava niente di sospetto. Per quello che lui sapeva, tutto ciò che circondava la vita di Hannah O’Fallon era indemoniatamente pulito: lei e sua madre erano state una famiglia americana benestante, con una buona pensione di vedova, una casa nel Queens, un’iscrizione ad una scuola privata. Tutto, salvo la sua scomparsa. Sua madre era morta per aver inalato monossido di carbonio. Un incidente. E mischiare un incidente con la scomparsa di una minore era come mischiare il lardo e la velocità. Non aveva il minimo significato.
Invece, qualcosa gli diceva che ne aveva per Mulder.

***

Midwest Airlines, volo 1157
10:25 pm


Žao mi je.
A volte credo che sono nato il giorno che ho sentito scricchiolare il cranio di quel soldato serbo. Prima di questo, la mia mente è incapace di ricordare qualcosa. So che ho avuto una famiglia. Dei genitori, un fratello. Ma ho anche imparato a dimenticarli, Hannah. Entrambi sappiamo che è l’unico modo d’andare avanti.
L’odore del sangue mi perseguita. Il fetore della carne decomposta e della polvere da sparo s’infila nei miei incubi. Calce viva, vetri rotti. E ponti che saltano in aria. Sento ancora le pallottole che sibilavano vicino al mio orecchio quando vidi mio fratello morire.
Questa sera, per un secondo ho creduto che eri lui. E ho creduto che gli stavo salvando la vita. Ma eri tu, Hannah. E sei stata tu che mi hai sorriso e mi hai ringraziato.
So che mi odi. So che odi la verità ed il modo in cui l’hai saputa. Che sia stato io chi te l’ha mostrata e proprio ora, quando incominciavi a fidarti di me. Ma io voglio che tu mi odi, Hannah. Per questo te l’ho raccontato. Perché non posso permettere che tu mi sia grata dopo quello che ho fatto.
Se sapessi…
Perdonami. Io volevo solo sopravvivere. L’ho fatto nel mio paese, essendo ancora un bambino, l’ho fatto per anni in quelle prigioni infernali che qui chiamano” riformatori”. Ed ora che tutto finisce, ho cercato di nuovo il modo di non estinguermi come l’ha fatto la mia famiglia. Anche se per questo ho dovuto fare patti con il diavolo. Lo stesso che ci invaderà a poco a poco.
Mi dispiace.
Mi dispiace per quello che ho fatto e so che mi odierai per il resto dei tuoi giorni. E che desidererai che io marcisca all’inferno e che paghi i miei peccati con lo stesso dolore che ora ti asfissia.
Scoprire il piano per distruggerlo. Eliminare il messaggero e tutto ciò che lo circondava. Questo è stato l’accordo. Ma ho fallito quando mi hai sorpreso la prima volta e sei scappata.
Solo tu potevi vedere oltre la segale. E ti sei afferrata a questo con un atto eroico e disperato. Sei una sopravvissuta, Hannah. In questo ci rassomigliamo molto.
Ho sempre ucciso in modo meccanico, senza compassione né rimorsi, come quel giorno di pioggia e mitraglia a Sarajevo. Ora mi dispiace per tutto quello che ho fatto, ma so che è molto tardi. Per questo voglio che tu mi disprezzi. Che tu senta ripugnanza per me come se fossi una bestia.
Žao mi je, Hannah.
Mentre dormi sembri una dea esausta. Ti guardo, e per un secondo i tuoi occhi arabi e millenari si aprono e mi fissano. Mi domandano e mi accusano. Mi detestano. E non gliene faccio una colpa.
Mi dispiace, Hannah.

***

10:26 pm

Il corridoio, stretto, interminabile, si estendeva all’infinito pieno di una luminosità tenue e metallica. Il sibilo assordante sembrava sgorgare dalle pareti nude, mentre in fondo, abbagliante, un alone biancastro aspettava pazientemente.
Hannah sognava.
Un freddo artificiale le faceva rizzare la peluria e la luce diffusa tingeva la sua pelle di un tono matto e cadaverico. Camminava con cautela. E ad ogni passo che faceva, il corridoio pareva allungarsi di dieci metri.
Paura, freddo. Curiosità. Inquietudine o indifferenza. Non sapeva cosa sentiva.
Sembrava che ci fossero un milione di api che svolazzavano intorno a lei. La luce l’avvolgeva, lattescente e gelida. Si fermò, incapace di proseguire. Abbagliata e confusa. Il sibilo divenne un mormorio incomprensibile, mentre nell’accecante chiarore prendeva forma una figura che parlava. Alta, flessuosa. Mascolina. Un uomo. Quello di sempre.
Suo padre.
Žao mi je, Hannah.
La ragazza aprì gli occhi per incontrarsi con quelli di Slava, tormentati ed in attesa, all’altro lato del corridoio dell’aereo.
“ Ti odio”, pensò.
E tornò a chiuderli mentre si accoccolava ancora di più contro Mulder, in maniera istintiva. Lo sentì respirare al di sopra della sua testa. Ne percepì il calore attraverso i vestiti. E sospirò.
Un secondo, solo un secondo dopo aver sentito la voce dolce di Scully nel silenzio, Hannah si addormentò di nuovo.

***

Centro per i Visitatori Bayfield
Strada 1, Box 4
Bayfield, Wisconsin
00:31 am

La notte era limpida. L’acqua aveva trascinato con sé quell’invisibile manto di piombo, ed il cielo sembrava una volta di metallo nero tempestato di minuscoli zirconi.
Il centro per visitatori, coloniale ed accogliente, era chiuso. Sceso dalla macchina a noleggio; Mulder si avvicinò alla grande mappa delle Apostle Islands che era al centro di un pannello coperto da un vetro, accanto alla scala d’accesso al centro. L’arcipelago era un cumulo di macchie sul Lago Superiore. Un totale di ventuno isole diverse sparse a poche miglia dalla Penisola di Bayfield. E solo una era quella giusta.
Girò su se stesso e cercò Hannah in quella tenue oscurità.

- Sai qual è?- Domandò in tono frustrato.

La giovane si avvicinò e guardò la mappa con attenzione. Le sue sopracciglia si alzarono leggermente quando la localizzò.

- Questa- disse indicando con il dito l’isola più nord occidentale di tutte.

- Devils Island- lesse Mulder, ed abbozzò un gran sorriso che fece si che i suoi occhi diventarono ancora più verdi- Andiamo a fare campeggio.

Scully li aspettava a pochi metri, sul molo, guardando con impotenza le barche e le lance che si dondolavano dolcemente sulla superficie dell’acqua.

- Come arriveremo fin lì?- domandò la federale sollevando un sopracciglio con riprovazione.- Quell’isola deve stare ad una trentina di chilometri. Impiegheremo secoli a raggiungerla a remi.

Si udì uno scoppiettio e subito dopo il dolce ruggito di un motore. I tre girarono la testa sorpresi e videro Slava seduto al volante di una delle lance per turisti che erano ancorate al molo.
Mulder prese ad andare verso di lui, seguito da Hannah e Scully.

- Preferisco non chiedere dove hai imparato a farlo- commentò l’agente con voce ironica mentre saliva sulla lancia.

***

828 Viva Tower

Crystal City, Virginia

00:51 am

Il portatile riceveva copiosamente informazioni attraverso la rete. I files si scaricavano simultaneamente attraverso quindici finestre diverse. Solo Dio sapeva quante leggi federali stava violando mentre kilobytes di dati andavano accumulandosi nel buffer
Walter Skinner mosse il cursore del mouse sullo schermo e guardò finestra dopo finestra. I Pistoleri Solitari, quel trio paranoico e strambo che tante volte aveva aiutato Mulder, gli stavano filtrando le informazioni più confidenziali che c’erano su Hannah O’Fallon nell’infinita intelaiatura del World Wide Web. La sua cartella clinica, i suoi documenti scolastici, la sua posta elettronica. Ogni tipo di fotografia, date, informazioni, numeri, nomi e città apparivano a poco a poco sullo schermo.
Aveva studiato per tre anni nella Juilliard School of Music. Violino. E nel 1996 era arrivata alle semifinali delle Olimpiadi della Matematica dell’Università di Boston. Aveva due molari otturati ed era allergica ai sulfamidici. A cinque anni, aveva contratto la meningite C. Tre giorni in prognosi riservata. Antibiotici per via endovenosa. Fu dimessa settanta due ore dopo, dall’Ospedale Navale di Bethesda. Militari. Un segno? Una coincidenza.
Il vice direttore guardò l’orologio, impaziente e frustrato, ed esalò l’aria dai polmoni lentamente. Aprì di nuovo le finestre. Una di esse stava sul punto di completarsi. Attese qualche secondo mentre si scaricava la pagina di yahoo. Un messaggio di benvenuto si leggeva sull’estremo superiore destro. Un poco più in basso, un link che indicava che c’erano tre messaggi nuovi.
Mosse il dito indice sul mouse e vide due reclame e un messaggio di una certa Amy, inviato lo stesso giorno della scomparsa di Hannah.Tutti gli altri messaggi erano segnati come “letti”.
Facendo appello per un istante al suo senso pratico e ricordando che stava leggendo la posta di un’altra persona, Skinner cominciò ad aprire tutte le emails. Una per una.
Amy, Joe, Ashley….commenti sulla scuola e cose da adolescenti. Al quinto messaggio sentì l’impulso di fermarsi. Per amor del Cielo, stava curiosando nell’intimità di una minorenne che era scomparsa. Come poteva pensare, anche remotamente, che lì poteva trovare le risposte alle sue domande? Decine di ragazzi scomparivano ogni anno negli Stati Uniti per motivi più disparati: pederastia, denaro. Perfino vendetta. Come poteva pensare ad una cosa così contorta? Come poteva credere che Hannah O’Fallon era sparita perché in qualche modo in relazione con i sinistri scampoli di verità che Fox Mulder andava scoprendo da quasi sei anni?
Il seguente messaggio sembrava diverso dai precedenti. Un mittente nuovo: Anne Becquer( un’altra ragazza della scuola?) . Oggetto in bianco, data il martedì precedente. Lo aprì senza esitare e giurò a se stesso che sarebbe stato l’ultimo che avrebbe letto.

“Fox Mulder parteciperà al dibattito su “ Cosmo: credenze e scienza” questa sera alle 9:00, all’Università di New York.
Qui finisce tutto.
Ora è il tuo turno.”

I suoi occhi si socchiusero dietro i vetri degli occhiali, e quando Skinner scaricò l’allegato la realtà lo colpì con forza e gli gridò che era vero, che le sue assurde paranoie senza fondamento erano così veritiere come il computer che aveva davanti a lui.
Sullo schermo, un file parlava del recente incidente dell’aereo dell’esercito spagnolo, spiegato in tutti i dettagli e raccontato un giorno prima che accadesse.

***

Devils Island
Apostle Islands, Wisconsin
1:02 am

Illuminate nella semioscurità dalla luna, le spettacolari grotte marine di Devils Island sembravano bocche grottesche e sdentate che dedicavano loro un macabro sorriso di benvenuto.
Sul molo, vari cartelli ricordavano che si trovavano in una zona di” addestramento militare” e che ad un paio di chilometri potevano godere delle spiagge e dei campeggi dell’isola dell’Orso o di quella di Rocky.
Addestramento militare.
Sì, certo.
Scully aveva avvertito lo scintillio ironico e dispregiativo di Mulder nell’oscurità. La sempiterna politica di chiedere scusa. Coprire la verità con facili ed amabili bugie. Ingannare, imbrogliare e nascondere.
Avevano attraccato in una piccola cala situata al nord dell’isola. Ed avanzavano da quasi dieci minuti nella spessa vegetazione, immersi in un silenzio claustrofobico, quasi schiacciante e sentendo la terra umida scivolosa sotto i loro piedi. L’alone di luce del gigantesco faro che situato a nord ovest scorreva su di loro ogni quaranta secondi. Scully l’aveva cronometrato, inquieta davanti alla possibilità che qualcuno li potesse vedere.
Lo stesso pensiero tornò ad attraversarle la mente per l’ennesima volta quella notte.
Predatori umani.
L’idea era così incredibile come terrificante. E l’arco di tempo, sinistro. Sei mesi. Malgrado il suo scetticismo non la smetteva di sentire qualcosa di strano. Come un condannato che aspetta pazientemente il suo turno nel braccio della morte. Panico? Forse.

-Guardate- mormorò Mulder davanti a lei.

Colossale e scuro come un gigantesco carro armato, un edificio di cemento armato dominava sugli alberi, a pochi metri.
L’agente si girò a guardare Slava e gli fece segno con un dito.

- Tu rimani con Hannah. L’agente Scully ed io entreremo.

- Allora non mi ammanetta più al tubo di scappamento- chiese il ragazzo con spacconeria.

Una scintilla d’ostilità solcò gli occhi glauchi di Mulder mentre la sua mascella si tendeva, azionando automaticamente il braccio di Scully che si posava sulla sua spalla per tranquillizzarlo. O per avvertirlo.
Fu allora quando Hannah tagliò l’aria bruscamente con la sua voce che tremò troppo per sembrare una soluzione diplomatica.

- Non possiamo entrare tutti?

Dana indirizzò lo sguardo verso gli occhi dell’adolescente, grandi e traslucidi come un gatto che aspetta nell’oscurità.

- No- le disse con dolcezza- sarà meglio che rimani con lui.

Il viso di Hannah si strinse in un gesto che non era fastidio né delusione, ma qualcosa che a Scully sembrò molto più intenso.

- Se non siamo tornati tra mezz’ora, andate via dall’isola e chiamate la polizia- ordinò Mulder.

Timore.
Quello fu ciò che vide l’agente nel chiarore degli occhi della ragazza.
Uno scricchiolio di foglie schiacciate dalle scarpe di Mulder la tirò fuori della sua cavillazioni. Alle sue spalle, Dana Scully poteva quasi sentire il respiro dei ragazzi mentre la luce accecante del faro cadeva su di loro come una sentenza. Di fronte a lei, la sagoma di Mulder si disegnava sotto il suo cappotto nero ad ogni passo che faceva, e per un secondo le sembrò di star contemplando la cappa di un eroe che avanza con decisione verso le porte dell’inferno.

Ferite

"Il castigo dell’impostore è non essere creduto, anche quando dice la verità. "
Aristotele


Devils Island
1:14 am

Tutto era tranquillo. L’unico suono che riempiva l’aria era quello del sibilo di un generatore. Proveniente dalla zona ovest, la luce bianca del faro risultava confortante. Una presenza periodica, costante, che faceva ricordare che la vita continuava malgrado il silenzio. Anche se era una vita artificiale. Varie centinaia di volts programmati per illuminare durante la notte. Il faro di Devils Island era stato costruito nel 1891, ed era affascinante che continuasse a funzionare più di cento anni dopo, imperturbabile al passare del tempo, come una grande lampadina in mezzo all’acqua.
Nella garitta di sicurezza, un giovane militare osservava attentamente l’altissima recinzione che circondava il laboratorio. Per un secondo, uno scricchiolio gli fece tendere le mani sul fucile CAR-15. Trattenne il fiato e aguzzò l’udito, ma il bosco che si apriva davanti a lui continuava a rimanere nel più assoluto silenzio.
Lasciò scappare l’aria con un profondo sospiro. Il vapore appannò leggermente il vetro della garitta. Faceva freddo e c’era un’umidità boscosa nell’aria, carica, quasi sanguinolenta. L’autunno si avvicinava.
Un altro rumore.
Il militare alzò il fucile e si affacciò all’esterno con cautela. Guardò verso entrambi i lati senza vedere niente. Quando l’implacabile luce del faro bagnò la zona, una figura apparve davanti a lui. Fece un salto e prese la mira senza dubitare.
Un uomo. Apparentemente sorpreso come lui e solo a pochi metri. Come diavolo aveva fatto a passare dall’altro lato della recinzione?

-Fermo!- gridò il giovane caricando il fucile.

Un rumore sordo e il ragazzo cadde faccia a terra, incosciente.
Dietro di lui, Scully apparve impugnando la sua pistola. Un colpo alla testa con la culatta. Non falliva mai.

- La prossima volta, tu farai da esca- disse Mulder mentre si avvicinava al ragazzo e passava in rivista la sua giacca.- Non mi piace essere tenuto sotto mira da un simile aggeggio.

L’agente sollevò la mano sostenendo tra le dita una piccola scheda. La chiave che li avrebbe condotti a ciò che aveva raccontato loro Hannah

***

Stazione di Polizia di Indianapolis
50 North Alabama Street
Indianapolis Indiana
1:16 am

Lo squillo del telefono risuonò tra le pareti dell’ufficio. Suonava fievole, sepolto sotto una montagna di documenti e scatole di pizza vuote. Callahan entrò precipitosamente ed incominciò a cercarlo tra carte e ancora carte.

“ Non riattaccare, per favore” pensò con nervosismo.

Molte carte. Troppe. Ma nessun telefono. Quante telefonate perdeva a causa del maledetto disordine. Risultati delle autopsie, prove dell’ultim’ora, testimoni importanti. Erano soliti passare per le mani di qualcuno dei suoi aiutanti prima che per le sue. E se questa telefonata aveva a che fare con la ragazza o il croato, non era disposto a permettere che qualche pivello prendesse quell’informazione a metà. Aveva troppo valore.
Lo trovò al sesto squillo, vicino al tavolo dove il fax lottava per sopravvivere tra tanta merda. Fortunatamente chiunque fosse che era all’altro lato della linea era molto, molto paziente.

-Pronto- disse alla cornetta

- Tenente Callahan?

- Sì.

La voce era imperiosa, tanto che Callahan dovette reprimere l’inspiegabile impulso di mettersi diritto e fare un saluto militare.

- Sono Walter Skinner, vicedirettore dell’FBI.

Il capoccia di Washington?
Cazzo.

- I suoi uomini già sono stati a ficcare il naso da queste parti- sibilò Callahan seccamente- hanno lasciato detto molto chiaramente di chi sia il caso O’Fallon, così che, francamente, non so cos’altro volete da me.

- Un favore personale.

Le sopracciglia del poliziotto si alzarono all’infinito. Un favore personale? Ma che cazzo voleva quel tipo?

- La ragazza è stata vista con due dei miei agenti.

Callahan accennò ad un sorriso alla voce del federale e dovette mordersela lingua per non scoppiare in una risata. Corruzione nell’FBI? Accidenti, accidenti, accidenti. Così sembrava. Nessuno era libero di fare stronzate. Nemmeno l’Onnipotente e Perfetto Ufficio Federale d’Investigazioni

- Questo caso è più complicato di quello che crede - la voce di Skinner suonò enigmatica all’altro lato del telefono- Mi aiuti ed io l’aiuterò.

Henry Callahan aggrottò la fronte e si sedette piano sulla scomoda sedia del suo ufficio. Qui pro quo( n.d.t. nell’intenzione dell’autrice è un “Do ut des, Ti do perché tu mi dia”) Sai che beffa. Non gli era mai piaciuto Starling.

- E come pensa di aiutarmi?- chiese diffidente.

Potè quasi intuire il sorriso trionfale del vicedirettore nella sua voce solida e grave.

- So che trovare la ragazza è la soluzione a molti dei suoi problemi, tenente Callahan. Se porta avanti questa storia con discrezione, le garantisco non solo che la troverà, ma che tutto il merito sarà attribuito a lei.

Il poliziotto guardò pensoso il ritratto del Capo della Polizia che era appeso precariamente accanto alla porta. Si grattò il mento. L’offerta era allettante, senz’altro. Ed assolutamente strampalata. In fin dei conti, tutti preferiscono lavare i panni sporchi in famiglia.

- Cosa devo fare esattamente?

***

Devils Island
1:17 am

Come un animale che strisciava nell’oscurità, Slava avanzava silenzioso verso la mole di cemento armato che emergeva sul bosco.
Aveva aspettato uno o due minuti dopo che Mulder e Scully erano andati via. E poi era andato dietro ai loro passi. Senza una parola, senza spiegazioni. Nemmeno uno sguardo. Si sentiva incapace di affrontare i suoi occhi, ma risentì che gli attraversavano la nuca quando incominciò a camminare, lasciandola indietro.
Per una frazione di secondi, angosciosa come acqua che bolle, ebbe il desiderio di girarsi e lasciare un sigillo sulle sue labbra. Umido, istintivo. Brutale. La traccia arrogante e disperata che, una volta molto tempo prima, Sviatoslav Banjac aveva sentito qualcosa più dell’odio.
Ma già si era represso due volte quella notte.
Così tornò a farlo per la terza.
Detestava aver fatto tutto quello. Il viso incredulo e ferito di Hannah lo perseguitava da varie ore. Dopo tanta diffidenza aveva ottenuto la fiducia della ragazza ed in solo pochi minuti era andato tutto a puttane ridiventando odio. Schifo. Scettico e stordito all’inizio. Feroce ed insopportabile poi. Ed accusatore. Aveva sciupato tutto, ma era inevitabile. Meglio questo che continuare ad essere un impostore. Non con gli altri, ma con lei.
Sentiva le sue parole come frustate.

“ Una razza di sopravvissuti capace di scappare, minacciare…e contrattaccare.”

Sconvolgenti.

“ Un essere umano capace di dare battaglia con le proprie mani e di morire se è sconfitto”

Pesanti come macigni.

“ Porteranno a termine una selezione naturale provocata”

Brucianti e vere.

“Sei un figlio di puttana”

Lo era. Un figlio di puttana che firmava alleanze diaboliche per ottenere un solo obiettivo: sopravvivere. Lo aveva fatto a Sarajevo e lo stava facendo da tutta la vita. Mentire, uccidere. Vedersi al miglior offerente. Non sapeva fare altra cosa.

“ Mi hai salvato la vita.”

Era bastato un solo sguardo compiaciuto ed un sorriso sincero perché qualcosa si agitasse dentro di lui fino a provocargli nausea. Il muscolo oppresso che stava tra i suoi polmoni e che si limitava a pulsare sangue nel suo organismo ebbe una strana scossa. Ed in uno assurdo slancio d’onestà, Slava aveva detto la verità ad Hannah su suo padre. Anche se la verità faceva male come una ferita sanguinante. Saperla l’avrebbe fatto odiare. Ed odiarlo le avrebbe evitato il dolore di un’altra verità ancor più crudele.
Un’ alta recinzione metallica si alzò davanti a lui, ed il ragazzo si arrampicò con agilità. Arrivato a terra, il faro illuminò un involto.
Si avvicinò.
Un corpo con un’uniforme militare. Un ragazzo non molto più grande di lui. Respirava.
Slava socchiuse gli occhi scrutando l’edificio che aveva davanti. Porte con meccanismi di sicurezza. Parole d’ordine, scheda d’identificazione. Muder e Scully dovevano aver rubato quella del militare dopo averlo lasciato incosciente.
L’ombra di un sorriso soddisfatto gli spuntò sulle labbra al vedere il coperchio di un chiusino. La guerra insegnava a sopravvivere. E per sopravvivere, spesso bisognava comportarsi come una creatura da fogna.
Quello che Slava non sapeva era che un’altra creatura lo osservava nascosta nella notte, silenziosa e scura come un gatto.

***
Aeroporto Nazionale Reagan
Arlington, Virginia
1:20 am

Walter Skinner non era solito essere un uomo impulsivo. Ma solo quattro ore prima una telefonata gli aveva fatto sospettare ed ora si trovava vicino ad una delle porte d’imbarco dell’aeroporto, aspettando che annunciassero il primo volo per Milwaukee.
Aveva mosso più fili di quanti aveva mai creduto di essere capace di fare. E sperava solo di trovare Mulder e Scully prima che scadesse l’ultimatum di Cassidy.
Frohike gli aveva telefonato quindici minuti dopo aver letto quella raccapricciante corrispondenza. Langly aveva identificato la carta di credito di Mulder, che molto prudentemente aveva pagato fino al quel momento in contanti. Lo Spettrale sapeva quando doveva lasciare indizi. Quattro biglietti aerei da Indianapolis a Milwaukee, una macchina a noleggio ed una mappa del Parco Nazionale di Apostle Islands
Il paranoico ometto gli aveva parlato di un tale tenente Henry Callahan. Interesse nel caso O’Fallon, precedenti scabrosi. La persona ideale per negoziare.
Qui pro quo, dottore( ndt Anche qui è:Do ut des). Gli era sempre piaciuto Starling.
Skinner aveva fatto un patto con Callahan: il tenente avrebbe inviato varie unità ad Apostle Islands e non avrebbe detto niente all’FBI. Nel rapporto ufficiale si sarebbero omessi i nomi di Mulder e Scully e lui sarebbe stato il veterano di polizia che aveva trovato Hannah. Se l’ufficio del Wisconsin non era testimone del fatto che gli agenti erano con la ragazza, tutto sarebbe rimasto una diceria.
Le spiegazioni all’OIP sarebbero venute dopo.

***

All’esterno del laboratorio
Devils Island
1:22 am

Un solido calpestio occupò il silenzio, seguito dallo scricchiolare delle armi che si caricavano.
I due militari si avvicinarono al corpo con prudenza. Verificarono sollevati che aveva polso. Forse il colpo gli aveva provocato una commozione. Uno si accovacciò e lo schiaffeggiò dolcemente.

- Ehi! Sveglia!- disse.

Il ragazzo sbatté le palpebre con stupore e cercò di mettere a fuoco i visi dei suoi compagni.

- Dio…-mormorò con voce impastata.

- Stai bene?- domandò l’altro.

- Sì- fece un tentativo per alzarsi e si mantenne la testa- Quegli stronzi mi hanno colto di sorpresa.

Uno dei militari tirò fuori un walkie-talkie da una tasca e l’apparecchio rispose con uno scricchiolio statico.

- Tutti in marcia- disse- Stanno dentro.

***

All’interno del laboratorio
1:23 am

I corridoi erano labirintici. Mulder aveva la sensazione che girando l’angolo si sarebbe scontrato con un Minotauro pronto a divorarlo. Il suono metallico dei suoi passi gli provocava un involontario tremito, come se il freddo dell’acciaio che calpestava potesse trapassarlo. O forse era l’aria forzata.
Alle sue spalle, la respirazione agitata di Scully lo confortava. Qualsiasi cosa che avrebbero trovato, lei gli era accanto. Bestie umane o sorelle perdute, non importava. Avrebbero lottato insieme. Come sempre.
Colpi frenetici risuonarono sulle pareti, ed entrambi gli agenti rimasero paralizzati per un secondo. Un vai e vieni di stivali che correvano all’unisono con voci che davano ordini.

- Sono dentro!

- Sono armati!

- Non lo dimenticate, la ragazza ha la priorità!

Mulder guardò brevemente la sua compagna ed entrambi iniziarono a correre. I loro passi agitati si confondevano con quelli dei militari, che sembravano arrivare da tutte le parti.
Una porta. Aveva bisogno di trovare una porta in quei maledetti corridoi deserti.

***

1.23 am

Le pareti erano coperte da una sostanza gelatinosa sulla quale era meglio non fare troppe riflessioni. Un gocciolio costante provocava un eco. Hannah cercava di non respirare con il naso o il fetore putrefatto della fogna l’avrebbe fatta vomitare quel poco che le doveva essere rimasto nello stomaco.
Slava era andato via senza dire niente dietro gli agenti, e lei aveva desiderato violentemente una spiegazione. Ma avrebbe preferito che non gliel’avesse data. Temeva molto che avrebbe reagito con l’odio accumulato nei suoi muscoli, giovani e tesi. L’avrebbe picchiato e lui l’avrebbe appena ascoltata, sorridendo con spavalderia. Ed una rabbia ed una furia insopportabile avrebbero invaso Hannah. Forse si sarebbe perfino guadagnata uno schiaffo dalla mano grande ed agile di quel detestabile bosniaco.
Lo odiava.
Come odiava suo padre.
Perché gliel’aveva raccontato? Perché era stato così crudele? Dio, si era comportata come una stupida, credendo che le cose sarebbero cambiate, immaginando…immaginando cosa, si può sapere? Quel maledetto farabutto era un seduttore dell’est europeo con gli occhi più straordinari del mondo, sì, ma era una bestia. Come aveva potuto sentire brividi anche per un secondo ad averlo vicino?
Stupida. Infantile, innocente, idiota. Lo era sempre stata. Fuggendo per tutta la vita…da cosa? Dalla pazzia di un vecchio?
“ Era un paranoico che pensava che una decade dopo il patto sarebbero venuti a cercarti per prenderti come garanzia”
L’aveva abbandonata per una minaccia fantasma, per qualcosa che non era possibile. Se n’era andato per un timore infondato. Come potè essere così cieco?
“Tuo padre ti mostrò la verità per farti capire, ma non si rese conto che ti stava trasformando in carne da macello”.
Come aveva potuto farlo? Come aveva potuto condannarla in questo modo?
“Egoista”, pensò con le lacrime agli occhi.
Kertzweill le aveva passato il testimone oppresso dall’idea che tutto sarebbe morto con lui. Pentito, cercando di emendare i suoi errori quando non c’era più tempo. Come aveva osato? Non aveva forse immaginato che tutti avrebbero voluto uccidere il corriere dello zar?
I suoi occhi scorsero una scaletta a pochi metri. Respirò profondamente ed ebbe nausea.
Non sapeva molto bene perché aveva seguito Slava fin lì. Le sue gambe avevano incominciato a camminare come se lei fosse un automa maneggiato da forze esterne. Forse la paura di rimanere sola. Forse una strana sensazione di diffidenza, o sospetto che l’impostore non aveva mostrato ancora tutte le sue carte.

***

Interno
1:24 am

Li sentivano ovunque. I militari abbaiavano ordini, e si sentirono braccati come animali. Scully correva accanto a Mulder per quei tortuosi corridoi. Sembrano sempre gli stessi, come se si fossero mossi in circolo. Il suono metallico dei loro passi perforava il timpano ed il freddo artificiale faceva rizzare la peluria. Dana ricordò le cupole perdute nel deserto del Texas e sentì un brivido, allo stesso tempo che scuoteva la testa per allontanare quell’immagine dalla mente.
Ad una decina di metri c’era una porta che il suo compagno raggiunse con disperazione, e mostrò loro delle scale, strette e claustrofobiche.
Davanti a lei, Mulder incominciò a salire inciampando.
Scully si domandò quanto avrebbero dovuto salire. Al terzo piano, si afferrò alla ringhiera mentre Mulder si dirigeva verso il quarto. Un strepito metallico fece sì che rimanesse immobile, come un cervo illuminato dai fari di una macchina.
La figura verde scuro di un militare apparve nel vano della porta aperta.

- Scully!- urlò Mulder dall’alto.

Dana corse giù per le scale prima che il militare potesse reagire.

- Continua a salire, Mulder- gli gridò lei.

***

Seminterrato
1:24 am

Sudato, chino su un involto di lenzuola, Slava svuotava il settimo bidone di benzina che aveva trovato.
Distruggere il piano, questo era stato l’accordo.
Sulla sua testa, gli stivali dei militari suonavano affrettati. Tutto l’esercito li cercava. Questo lo faceva sentire quasi stupidamente orgoglioso.
Le lenzuola rimasero impregnate. Il ragazzo si mise in piedi e versò il combustibile a terra, creando un rigagnolo lucente e serpeggiante da dove si trovava fino alla porta.
Fu allora quando sentì un respirare silenzioso alle sue spalle, nascosto in qualche angolo del seminterrato. Avrebbe potuto riconoscerlo ovunque.
Merda.
Che cazzo ci faceva Hannah lì? Aggrottò la fronte irritato, ed un secondo prima di voltarsi i suoi occhi captarono un’ombra lunga e sconosciuta sulla porta.
Perfetto. Avevano compagnia.
Dopo essersi assicurato che non l’avevano ancora visto, preciso come un felino, Slava mollò il bidone lasciando che la benzina si spargesse e s’incamminò verso la sua destra. Confidò nel fatto che Hannah non si muovesse dal suo nascondiglio finchè lui non l’avesse trovata. Il militare entrò puntando il suo spietato fucile. In suono indiscutibile dei suoi stivali era sufficiente a far sì che la ragazza rimanesse nascosta. Slava si abbassò e avanzò gattoni.
La vide.
Raggomitolata dietro ad un armadio metallico vicino alla porta, con gli occhi enormi fissi sul militare che avanzava con cautela.
Con abilità, le si avvicinò, e con un solo movimento le tappò la bocca con la mano mentre con l’altra la prendeva per la vita e la stringeva contro di lui.

- Buona- sussurro Slava- Ti tengo.

In due falcate raggiunse la porta, e nello stesso istante in cui il militare si girava pronto a sparare, il ragazzo si gettò al suolo comprendo con il proprio corpo Hannah.
La scintilla del fucile accese la benzina. Tre violente esplosioni accompagnarono le grida rotte del soldato, che si contorceva per terra avvolto da enormi fiammate.

***

All’interno
1:25 am

Non sapeva a che piano stava. Disorientato e sfinito, non poteva nemmeno ricordare in quale piano aveva perso Scully. Un enorme cartello presidiava la zona.
AREA LIMITATA. SOLO PERSONALE AUTORIZZATO
Mulder vide una porta in fondo al corridoio e andò verso di essa respirando con ansia. Era bloccata. Una scanalatura con una spia rossa gli indicò che aveva bisogno di usare la scheda che aveva preso al militare.
Sospirò con sollievo quando la luce verde e lampeggiante sostituì la rossa. La porta si aprì con un sibilo e tornò a chiedersi ermeticamente dietro di lui. Si trovava in una sala tenuemente illuminata, carica di un odore dolciastro e penetrante. Qualche composto chimico. La parte destra della sala era occupata da lettini, tavoli con computers e apparati scientifici completamente sconosciuti per lui. Una parete scorrevole di vetro opaco separava questa zona da quella sinistra, che lasciava scappare un bagliore smorto. Mulder si avvicinò fin lì e fece in modo che la parete scivolasse dolcemente fino ad aprirsi.
Allora il cuore gli fece una capriola.
Sotto i vari neons, come sarcofaghi di vetro ed acciaio, due enormi capsule occupavano l’ambiente. Erano connesse ad un generatore, probabilmente per mantenere costante la temperatura. In esse, in piedi, due figure umane si intuivano attraverso il vetro appannato.
I prototipi.
Mulder si avvicinò e distinse la donna nella capsula di sinistra. Sentì la bocca secca.
Stava lì.
La risposta a tutte le sue domande. Appena distinguibile dietro il vetro, con i capelli scuri e sciolti ed immersa in un liquido verde. Per un momento, credette che il cuore avesse smesso di battere, e allo stesso tempo lo sentiva pulsare con furia in tutto il corpo. Immagini assurde gli passarono davanti agli occhi con la velocità di una cometa. La casa di Marta’s Vineyard, due biciclette gettate nel portico, piccole impronte sulla sabbia, pezzi di Stratego per terra…gelati, sorrisi, un paio di trecce.
Fece uno sforzo per respirare e l’aria penetrò nei polmoni come un coltello. Allungò la mano e fece un cerchio sul vetro coperto di vapore allo stesso tempo che pregava per la prima volta in vita sua perché fosse lei e perchè non lo fosse.
Le ossa della gambe diventarono gelatina. I tratti pallidi e dolci della donna non rassomigliavano a quelli di sua sorella. Almeno, non alla sorella adulta che aveva conosciuto.
Il sollievo durò solo un istante.
Gli occhi del prototipo si aprirono di colpo e scintillarono al vederlo. Mulder sentì un brivido. Il tempo si fermò nella stanza, denso e asfissiante. C’era qualcosa d’animalesco in quegli occhi. Qualcosa di violento. Bestiale.
Predatori umani.
Potè vederlo. Leggerlo nel suo sguardo, annusarlo nell’aria carica di composti chimici. Un istinto primario. Uccidere per sopravvivere.
Con uno strepito sordo, le mani della donna si allungarono in avanti. Tese, come una tigre che attacca la sua preda. Facendo ciò per cui era stata creata. Immediatamente, l’adrenalina attraversò Mulder da capo a piedi e l’agente dimenticò completamente che li separava un vetro, portando le mani alla pistola appesa alla sua cintura. I secondi parvero congelarsi. Prima di tirare fuori l’arma dalla fondina, un grido lo scosse con violenza e gli restituì la coscienza.

-Al fuoco!

***

Seminterrato
1:25 am

Hannah non poteva respirare. Le ardevano i polmoni. Il calore le bruciava la pelle. Ed un corpo la schiacciava per terra.
Slava.
Coperto di sudore, muscoloso ed agile. Come una corazza che la proteggeva dal fuoco, le cui fiamme crescevano sempre più all’interno del seminterrato. Lo sentì respirare avidamente su di lei. E mettersi in piedi, trascinarla con lui a fare la stessa cosa, prendendola per mano e salendo insieme le scale. Slava scaricò un calcio sulla porta, che si aprì al secondo tentativo. L’umidità del bosco li ricevette con uno schiaffo, ma un unico pensiero pulsava nelle testa di Hannah. L’eco da brivido di alcune parole.

“ Buona. Ti tengo.”

No, no, no, no.

“ Ti tengo”

Quando Slava la lasciò per riprendere fiato, la ragazza si mosse senza pensare. E si mise a correre.

- Hannah”

No, no.
Non poteva essere. Ma era vero. Era lui. Dio, era lui.

- Hannah, torna indietro!

Lo sentì correre dietro di lei.

“ Non fermarti” si disse.

Lo stesso terrore, lo stesso freddo che le tagliava il respiro. Una corsa disperata che si ripeteva continuamente. Hannah raggiunse la recinzione metallica ed incominciò scalarla senza girare a testa. Non voleva guardare. Lo sentiva affannare alle sue spalle. Vicino, molto vicino. Destro, sinistro, destro, sinistro. I suoi piedi salivano meccanicamente. Con un salto atterrò al suolo e continuò a correre.

- Torna indietro, per favore!

Il cadavere di sua madre apparve davanti ai suoi occhi, nella sua mente. Stivali intravisti attraverso il copriletto. Che correvano dietro di lei, esattamente come ora. Dio, come aveva potuto essere così cieca…
Ti tengo.
La falce di luce del faro si confuse con il lampo che l’illuminò Devils Island con un bagliore improvviso. Un tuono implacabile rimbombò nella volta celeste. Le faceva male il petto. Ed il viso bruciava malgrado che la pioggia incominciava a cadere, forte, come grandi lamine che s’infilavano pesantemente fino al midollo.

“ Corri”

***

Interno del laboratorio
1:23 am

- Al fuoco!- Esclamò un soldato dai piani inferiori.

Scully correva per i corridoi come un fulmine.

- Mulder!- gridava disperata.

L’ aveva perso.
L’odore inconfondibile dell’incendio cominciava a bruciarle i polmoni. Il fumo saliva con sorprendente rapidità. La cosa affascinante del fuoco, e allo stesso tempo terrificante, è che si comporta come un’entità a sé stante. Fuori di ogni logica. Obbedendo solo alla propria logica come se fosse una creatura viva ed intelligente. E questo fuoco infernale sembrava che avesse deciso di inseguire lei.
Non udiva più passi. Solo il crepitare delle fiamme e le strutture che andavano crollando una dietro l’altra. Doveva stare al primo piano. Faceva molto caldo. Si vedeva appena.

- Mulder!- gridò di nuovo.

Il corridoio si divideva in due, come un labirinto diabolico fatto di metallo. Girò a destra e vide inorridita il fulgore l fiammate che ardevano davanti a lei. Si mise a correre per il corridoio di sinistra, con gli occhi lacrimosi e cercando di trattenere il respiro.

“Mulder” pensò” dove sei?”

Il fumo era asfissiante. Come mani calde che la strangolavano. Cominciò a tossire e scorse una porta in fondo.

- Scully!

L’agente si girò e vide l’alta figura di Mulder sorgere tra il fumo. Correndo, si gettarono contro la porta ed uscirono all’esterno. Non si fermarono a respirare. Non c’era tempo. I loro muscoli agivano da soli, correndo con una velocità nervosa, spinti dall’adrenalina. Il dolore l’invadeva. Percorreva le loro membra come chiodi, perforava i loro organi come scariche elettriche.
Il faro l’illuminò con il suo fiotto di luce bianca un secondo prima che l’esplosione facesse in modo di lanciarli spediti in aria come bambole di pezza. Il viso di Scully si schiacciò contro il suolo e sentì la terra bagnata contro la guancia.
Una strana pioggia cadeva su di lei. Scintille, frammenti, acqua. L’acquazzone alleviò il bruciore dei suoi polmoni, mentre il laboratorio, quell’inferno fatto di cemento armato e metallo, era in pasto alle fiamme.

***

1:27 am

Dietro di lei, i passi sembrarono moltiplicarsi in una processione diabolica. Cercandola, inseguendola. La luce biancastra del faro la smascherava periodicamente.
Vicino, lontano, da qualche parte sentì gridare l’assassino di sua madre.

- Hannah!

“Impostore” pensò.
Il bosco era un labirinto. Affannava. Ed i passi, sempre più vicini, sembravano aumentare sempre più. Aveva una fitta insopportabile nelle costole, respirare le bloccava la trachea. E la testa….Dio, la testa le faceva male tanto che pensò che stesse per scoppiare. Alcuni arbusti spinosi le graffiarono il viso. La terra umida cedeva sotto i suoi piedi e la pioggia divenne così intensa che l’unica cosa che sentiva era il ticchettio selvaggio delle grosse gocce contro il suolo. Passò sotto un albero caduto.

“Corri, corri.”

Credette di distinguere un altro grido sul rumore della tempesta. Di nuovo Slava. Che la chiamava. O forse era solo il vento. La luce abbagliante di un fulmine ruppe il cielo ed un altro tuono risuonò nel bosco. La ragazza vacillò un secondo. Aveva bisogno di fermarsi, di riprendere fiato.

- Hannah, per favore! Vieni con me!

Sentiva che le avevano perforato le ginocchia, e il battito impazzito le scuoteva senza pietà le tempie, il petto, le vene. La bocca aveva il sapore del sangue e aveva vertigini. Voleva vomitare.
Ma non importava.
Senza pensare, riprese a correre.

- Non ti farò del male!

“ Non credergli” disse a se stessa “ Mente. Ha sempre mentito.”

Cominciò a scendere per un pendio coperto di muschio, interminabile come una cascata di polvere e terra. Il faro tornò a bagnarla con il suo alone madreperlaceo e accusatore, ed un’esplosione rimbombò tra le pareti invisibili del bosco mentre il cielo s’illuminava come una girandola di fuochi artificiali. Passi vicini schiacciavano la terra bagnata. Hannah accelerò il passo e scivolò.
Cercò di afferrarsi al suolo con le mani, affondando le dita, cercando un ramo. Ma rotolava e rotolava. E sbatteva con ogni parte del corpo. Mentre cadeva e il mondo girava davanti ai suoi occhi accompagnato dalla pioggia di pietre e terra, pensò a sua madre, al viso sorridente e spensierato davanti al mare ad East Hampton, alle persone che erano andate al suo funerale e se qualcuno avesse portato fiori sulla tomba. Pensò ad Amy, a cui non aveva ancora restituito il disco di Bon Jovi, all’esame di Biologia che le aveva fatto il signor Morgan due settimane prima, a cosa stessero pensando tutti in quel momento, consapevoli che lei era sparita e ignoranti del fatto che lei stava cadendo per un terrapieno, rotolando e rotolando come se stesse dentro una lavatrice. E pensò a Slava, a cosa avesse sentito quando l’aveva visto sparare quel soldato, e cosa aveva sentito mentre spegneva la vita di sua madre, addormentata ed indifesa. Perché aveva distrutto il laboratorio. E per chi lavorava.
Con un rumore sordo la sua caduta si fermò. Quindici, venti metri più giù, non lo sapeva. Bocconi, affannando, vide l’acqua cadere su di lei, senza sapere molto bene dove iniziava la pioggia e dove finivano quelle nubi che la piangevano. Milioni di gocce, gelide e grosse, che s’immergevano nel suo corpo come un cantico ancestrale.
Le faceva male tutto il corpo, e aveva i capelli appiccicati alle guance ed un gusto salato nel palato. Si raddrizzò con sforzo e tossì, sputando erba. Davanti a lei si apriva uno spiazzo, circolare ed immenso. Quando riuscì a mettersi in piedi, si guardò intorno e aguzzò l’udito, in attesa.
Non si udiva niente. Niente, salvo il picchiettio implacabile della pioggia.
Prima che un altro tuono tornasse a squarciare il cielo, un lampo illuminò la figura che la guardava dall’altro lato della spiazzo, tra gli alberi, e la ragazza non capì se arrivò prima lo scoppio della polvere da sparo alle sue orecchie o il dolore tenero al suo stomaco. Per alcuni secondi le mancò l’aria e l’invase uno strano vuoto. Il liquido caldo che sentì sulla sua pelle la fece tornare alla realtà ed abbassare lo sguardo. Sorgeva a fiotti silenziosi da una ferita che le sembrava irreale e che inzuppava rapidamente la camicia granata, tingendola di un colore scuro. Si toccò con una mano e vide ciò che era.
Sangue.
Il suo sangue.
“Slava” pensò stranamente tranquilla.
Hannah sentì il pulsare del suo cuore, denso e pesante, e svenne.

Angeli

Come cadere dalla pelle all’anima
Pablo Neruda


Cadere, fluttuare,
Sentire l’eternità sotto i tuoi piedi.
Sentire, vedere.
Accarezzando l’abisso, sfiorando le sue pareti sanguinanti.
E le ali rotte.
Nelle mani del tempo, le dita di sabbia scivolano tra i secondi. Le ore perdute pulsano sotto la pelle, nell’eco diabolico di quello che è stato.
E l’uomo si lamenta.
Hannah, Hannah…
Sento freddo del mio corpo e l’oscurità mi avvolge in un caldo abbraccio. Voglio lasciami andare a questa strana forza che mi reclama in silenzio e mi promette riposo e sollievo, ma una voce me lo impedisce.
Hannah…
Mi fa male.
Il mio ventre si squarcia ma non ho la forza di gridare. Il sangue esplode nella mia bocca ed il mio petto è incapace di continuare a respirare. Il dolore brucia e mi asfissia.
Hannah…
Un angelo viene a cercarmi con le sue ali di seta spiegate.
Le mie sono rotte.

***

Centro dei Visitatori Bayfield
Strada 1, Box 4
Bayfiel, Wisconsin
1:26am

Pioveva come se fossero secoli che la terra non riceveva acqua. Violenti lampi rompevano il cielo seguiti da tuoni implacabili e minacciosi come la spada di Damocle. La natura si ribellava, selvaggia e violenta, come se avessero voluto attentare contro di lei in una di quelle isole ed ora li stesse facendo pagare la loro audacia. Le luci delle macchine della pattuglia lampeggiavano con fari rossi ed azzurri, e vari agenti discutevano per radio o per telefono le istruzioni da seguire.
Ventuno isole. Quale era di esse?
Come se qualcuno li avesse sentiti e inviasse loro un segnale, a varie decine di chilometri, si sentì un’esplosione, e quasi immediatamente una colonna di fumo e fiamme si sollevò sulla superficie del Lago Superiore, che diventò rosso e brillante come il sangue.

- Andiamo- gridò uno per radio, e nello stesso istante un altro suono squarciò l’aria, alzandosi nella pioggia.

Due elicotteri partirono dalla parte posteriore del centro visitatori mentre alcuni agenti richiedevano ambulanze, e le scosse delle gigantesche eliche risuonarono sopra del ticchettio della pioggia finchè un nuovo tuono, irato come un dio della guerra, le fece diminuire.

***

Devils Island
1:27

Tutto era irreale. Assurdo e surreale come un sogno senza senso. L’aveva sentita tesa e tiepida sotto di lui mentre la proteggeva dall’esplosione di benzina, e poi, quando avevano raggiunto l’esterno, l’aveva vista scappare come un animale spaventato. L’aveva chiamata due volte e aveva visto come si arrampicava sulla recinzione con disperazione. E prima che lui anche saltasse, l’aveva chiamata una terza volta mentre il bosco l’ingoiava.
Fu allora che si rese conto che Hannah lo sapeva.
Slava correva affondando i piedi nel fango. Davanti a lui, la figura scura e sfuggente di Hannah avanzava con una velocità sorprendente. Si sentì una scoria. Repellente come una larva, orrendo ed odioso, come un mostro. Era un criminale. Ed un impostore. Ma quando Slava sentì gli ordini e decine di stivali alle sue spalle, la sua mente comprese cosa sarebbe successo e lo spinse a gridare suo malgrado.

-Hannah, per favore! Vieni con me!

La cercavano. Uomini con un addestramento d’elite, carichi di fucili di precisione, con un unico obiettivo di sedici anni che scappava spaventata.

- Non ti farò del male!

Nervoso, Slava impugnò l’arma con cui aveva sparato a Jocik e continuò a correre, mentre i passi dei militari crescevano sopra al frastuono della tempesta. Li circondavano, intercettandoli, tagliando loro la strada e superandoli. Si sentì ridicolo con un revolver di piccolo calibro. Forse poteva servire per attaccare qualcuno ad una distanza di meno di cinque metri, ma non un esercito con fucili d’assalto. La vide scendere per un pendio, lontano, ignorando le sue grida.
Scappava. Da lui.
Alle sue spalle il laboratorio saltò in aria. L’esplosione sicuramente aveva avuto origine nel seminterrato: il fuoco aveva raggiunto le tubature del gas ed era scoppiato come una bomba. I piani superiori già erano in pasto alle fiamme e le fondamenta non avrebbero tardato a cedere, danneggiate dalla detonazione. I prototipi sarebbero scomparsi tra la cenere ed il lavoro per cui era stato contattato sarebbe terminato. Ma questo non importava più. Tutti i suoi sensi erano concentrati sulla figura sfuggente che aveva davanti a se, più lontano di quanto gli sarebbe piaciuto.
Tornò a sentire i passi affrettati come una folata ed allora tutto accadde piano, congelato sotto la pioggia imperterrita ed illuminato dalla trinità macabra che formavano i fulmini, il faro ed il fuoco. Sentì uno sparo che risuonò nel bosco come se fosse l’unico suono che esisteva. Il sangue gli si gelò nelle vene e Slava accelerò il passo fino ad arrivare al bordo del terrapieno, da dove vide un’immagine così desolante come quelle che il suon nervo ottico aveva memorizzato per sempre nelle strade fantasma di Sarajevo.
Vari metri più in basso, buttata per terra in un ampio spiazzo, Hannah giaceva con una ferita all’addome che sanguinava a fiotti.
Il suoi muscoli si tesero e Slava sentì l’impulso di scendere, ma si fermò al sentire i militari vicini. Gli occhi cerulei del ragazzo cercarono un nascondiglio nell’oscurità e scorsero un albero caduto.

- L’ho colpita- si sentì attraverso il walkie-talkie.

Nascosto, vide come i militari si chinavano sopra il pendio e contemplavano la scena, impavidi.

- Confermato. L’hanno colpita-annunciò per radio uno di loro- Rientrate.

Missione compiuta, no? La ragazza si dissanguava come un animale investito. Slava sentì schifo e nausea, e ricordò a se stesso che lui era uguale a loro. Uno con un obiettivo. Un criminale.
Per questo, quando sentì il grido disperato di Mulder, scappò.

***

1:29 am

Quando la vide capì che l’immagine si sarebbe ripetuta nella sua mente milioni di volte per il resto dei suoi giorni. Crudele, devastante e vivida.
L’inconfondibile scoppio di uno sparo che era vibrato nel bosco li aveva fatti temere il peggio, ed ignorando l’asfissia provocata per aver inalato tanto fumo dell’incendio, si erano alzati e messi a correre senza esitazioni. Il bosco sembrava interminabile bagnato dalla diabolica cavalcata di luci rosse e bianche che crepitavano nel cielo notturno. Fuoco ed elettricità. Ed acqua. Molta acqua. Gelida, densa e pesante. Litri di piombo e ghiaccio fuso che cadevano su di loro e li faceva scivolare. Ora l’acqua bagnava quella scena congelata, con l’aria carica di polvere da sparo, sangue e terra umida.
Così ingiusta che non sembrava reale.
Mulder era inginocchiato sul terreno dello spiazzo e la circondava con le braccia, cullandola, incapace d’accettarlo. Parlava costantemente mentre le accarezzava i capelli bagnati e la stringeva contro di lui, appoggiando la schiena di lei contro il suo petto. Durò solo un secondo, un secondo in cui Scully rimase pietrificata, testimone muto di un’immagine straziante che non avevano potuto evitare. Fu solo un secondo, ma capì che quell’istante l’avrebbe tormentata per tutta la vita. Mulder che piangeva abbracciando una ragazza morta. Il fantasma di Samantha che gli scivolava tra le dita ancora una volta.
Una ragazza, morta.
Morta.
Una ragazza.
Hannah.
Morta.

-No!

Dana gridò mentre finiva di discendere il terrapieno. Quando s’inginocchiò accanto al corpo dell’adolescente, il suo cervello cominciò a darle ordini ed agì come uno scienziato, dimenticando qualsiasi sentimento che potesse annebbiare la possibilità di riportare indietro Hannah.
La camicia granata era completamente inzuppata, e per terra incominciava a formarsi una pozza di sangue. Scully le aprì la camicia e sollevò fino alle costole la sottile maglietta di lycra, tinta di un rosso brillante ed evidente. Allora vide il macello. Una ferita aperta nello stomaco, un’emorragia intensa, impazzita. Premette una mano sul buco del proiettile e con l’altra toccò il viso di Hannah. Freddo. Aveva la pelle grigiastra e le labbra violacee. Il polso debole. Per quanto lo volesse, non poteva negarlo.
Stava morendo.
Scully guardò Mulder, ma lui la ignorò. Il suo compagno cullava la bambina sul suo grembo con il viso affondato nel collo. Sussurrava. Le chiedeva di rimanere. Di resistere.

-Hannah, mi senti? Apri gli occhi.

Uno spasmo agitò il corpo abbandonato di Hannah e tossì, una sola volta. Un filino di sangue cominciò a scendere dal lato del labbro inferiore e Scully sentì che il mondo sprofondava.
No, non poteva essere.
“ Pensa come un Medico”, si disse.
Grosso errore. Se lo faceva, tutto era inutile. La dottoressa Scully sapeva che alla ragazza non rimaneva altro che qualche minuto di vita. No, no. Non poteva incrociare le braccia. Non poteva lasciare che si consumasse in quel modo.

-Mulder.

L’uomo rimaneva con il naso immenso nei capelli scuri e bagnati della ragazza.

- Mulder! Gridò furiosa e frustrata.

I suoi occhi opachi e sconfitti la misero a fuoco a mala pena, ed il cuore di Scully ebbe un sussulto. Lui si era già dato per vinto. Ma lei non l’avrebbe fatto. Per Hannah. E per Mulder. E per lei stessa.
Prese una mano di Mulder e l’appoggiò sull’addome nudo della ragazza mentre toglieva la sua.

- Premi con forza. Bisogna fermare l’emorragia.

Mulder portò lo sguardo verso la ferita sanguinante e la nascose sotto il suo enorme palmo, assente e distratto come un automa. Scully tirò fuori il suo telefono cellulare e fece il numero del pronto soccorso.

- Sono l’agente speciale Dana Scully.

Cercò di parlare con fermezza al di sopra del ticchettio della pioggia. Alle sue spalle la voce di Mulder suonò come un lamento roco di un animale ferito.

-Hannah, Hannah.

- Il mio numero di identificazione è 2317…

Aveva la bocca immersa nel suo orecchio e Scully sentì un brivido al guardarlo. Intimo, complice, con la vita di Hannah che gli scappava tra le braccia.

-Resisti ancora un poco – mormorò Mulder- solo un poco, mi senti?

La sua voce baciava la notte e schiaffeggiava l’anima. Dana si morse il labbro. Un altro poco. Solo un altro poco, Hannah. Per favore.

- Sono a Devils Island del Parco Nazionale di Apostle Islands- informò la federale.

-Hannah- continuò a chiamarla Mulder.

Un fulmine divise il cielo con un disegno impossibile. “ Resisti Hannah”, penso Scully” Resisti, Dio mio.”

-Ho bisogno che evacuate urgentemente una minore con una ferita d’arma da fuoco.

Il tuono zittì il bosco ed il tempo si fermò improvvisamente, pieno di sangue e polvere da sparo. Il cellulare fece uno scricchiolio ed il sussurro di Mulder le fece rizzare la peluria con una domanda tremante.

-Hannah?

Fu allora che un ronzio fortissimo di motori tagliò l’aria con violenza allo stesso tempo che due elicotteri apparivano sulle loro teste, inquadrandoli con i loro fasci di luce come due angeli sterminatori. Terrorizzata, Scully ricordò gli elicotteri neri dei campi di grano nel deserto, e per un secondo credette che avessero perso.

***

1:30 am

Galleggiava.
Sentiva allo stesso tempo freddo e caldo, e le sue orecchie erano inondate da un battito pesante, grave. Assordante.
Il tempo.
Flessibile, scappando attraverso le sue vene, dicendole addio. È il tuo turno, chiudi gli occhi. La sua vita si estingueva sotto forma di sangue, che le inzuppava i vestiti e le visitava il palato.
Era stanca. E l’invase una strana sensazione di leggerezza. Immaginò che era la morte che l’abbracciava e le prometteva di placare il suo dolore.

“Hannah, Hannah”

Lo sentì. Alle sue spalle, attraverso la pelle. E sorrise dandole il benvenuto finalmente, sollevata al sapere che il riposo era vicino.

“Hannah”

Una presenza titanica l’avvolgeva. Calda, solenne, possente. Un angelo.

“Hannah”

Protettore. Disperato. Le chiedeva di rimanere. Le accarezzava i capelli. La stringeva contro di lui. Un uomo. La abbracciava. Suo padre? Forse. Forse no. Non importava.
Finalmente avrebbe smesso di correre.

***

Memorial Medical Center
1615 Maple Lane
Ashland, Wisconsin
4:56 am

Quando ero bambino buttai giù Sam dall’altalena. Si dondolava piano ed io arrivai correndo e le diedi una spinta per farle una sorpresa. Cadde di schiena. Per tutto il tragitto verso l’ospedale, credetti d’averla uccisa. Lei era incosciente tra le braccia di mia madre e desiderai che mi dessero uno schiaffo perché Samantha era morta ed era colpa mia. Non so quanto tempo passò, forse trenta o cinquanta minuti finchè la vidi apparire con il braccio ingessato ed un gelato di vainilla, ma per me fu un’eternità.
Sto da quasi quattro ore seduto qui, aspettando, ma sembrano secoli. Il tempo si allunga, pigro, e accresce la mia tortura Voglio che mi diano uno schiaffo. Che mi sgridino e che mi scuotano, perché è colpa mia.
Tutto si ripete nella mia testa a rallentatore. Uno sparo che squarcia il bosco e la paura atroce che mi spinge a correre. La sua sola visione che mi chiama a viva voce, e quando la prendo mi sembra di avere tra le braccia una bambola rotta. Morbida, fredda. L’appoggio sul mio petto. E la chiamo. Una, due, tre volte. La cullo avanti ed indietro e intreccio le dita nella sua chioma bagnata. Il sangue è caldo sotto la mano e sputa via la vita fuori senza tentennamenti, consumandola, sgonfiandola. La chiamo e la chiamo, ma non mi risponde. E tutto scompare intorno a me, il bosco, la pioggia. Non mi rendo nemmeno conto che me la tolgono dalle braccia fino a che il chiarore nudo e accecante della sala d’attesa mi sorprende come una rivelazione.
Uno strillo isterico mi fa sussultare.
All’altro estremo della sala, una dottoressa passa una mano confortante sulla spalla di una donna che scoppia a piangere sconsolata. Cattive notizie. Sento la bocca secca e gli sguardi nervosi e furtivi del resto delle persone presenti. Ci unisce tutti un laccio macabro e solitario. E tutti ci chiediamo chi sarà il successivo a crollare quando saprà l’ultimo bollettino medico del figlio, fratello, amico.
Guardo l’orologio per l’ennesima volta. Mancano solo pochi minuti alle cinque del mattino.
Non può morire. Non può. Dopo essere arrivata fin qui, non può spegnersi come un fiammifero. So che non morirà perché sarebbe crudele che lo facesse dopo essere scappata quella notte ed aver visto sua madre morta. So che non accadrà.
No, non lo so.
Lo desidero solamente.
Le porte del pronto soccorso si aprono con un rumore e vari infermieri entrano spingendo una barella.

-In incidente d’auto! Uomo, di ventotto anni! Lesioni multiple!

Passano davanti a me. Il ragazzo ha il collarino e la gamba coperta di sangue, ma batte gli occhi. Un medico corre verso di lui con una piccola pila per esaminargli le pupille mentre grida agli infermieri:

-Box 6!

Hannah è entrata direttamente in sala operatoria. Scully camminava accanto alla barella e le porte senza battente le hanno ingoiate entrambe. Quattr’ore fa. Cosa starà succedendo?
Le cinque in punto.
Ho voglia di gridare. Quando la vidi non ci potevo credere. Cosa t’hanno fatto, Hannah? Chi te l’ha fatto?
La storia si ripete ancora una volta e mi odio per questo. Le persone si avvicinano a me e questo le danneggia. E’ sempre stato così.
Sono uno stupido.
In un arrogante gesto d’eroismo, l’ho portata con me pensando che sarebbe stata al sicuro, ed ora sta lì dentro, toccando la delicata linea che separa la vita dalla morte. Ho creduto di poterla salvare e sta morendo.
Morendo.
E’ impossibile che Hannah stia lì dentro, spirando la poca energia che ancora le rimane. Giorni fa non sapevo nemmeno che esisteva, e ora sta consumandosi a solo qualche metro da me. Sono condannato a questo tutta la vita? A sentirmi colpevole?
Un’infermiera passa davanti a me con un bicchiere d’acqua e lo offre alla donna, che singhiozza in silenzio con lo sguardo perduto.

- Vuole che chiami qualcuno?-domanda.

Odio quest’odore. Odore di ospedale. Di antisettici, metallo e lacrime. La luce biancastra dei neons mi far star male. Luce soffusa. Sotto di essa Scully sembrava un fantasma d’alabastro la notte in cui morì Penny Northern. Quando l’abbracciai, sentii che sarei stato capace di ancorarla alla vita con le mie braccia. E quando si stava spegnendo in un posto come questo qualche anno fa, mi odiai tanto che mi giurai che non sarei mai più stato testimone di niente di simile.
Ti sei tradito, Mulder. Sedici anni di vita stanno sparendo in questo stesso istante. Posso quasi sentire il sussurro degli angeli che vengono a cercarla con le ali rotte.

-Agente Mulder.

La voce è reale. Immagino che deve esserlo perché quello che ho davanti a me non è il prodotto della mia mente affaticata, ma l’immagine tangibile ed erculea di Walter S. Skinner che mi squadra da dietro i suoi occhiali.

- Complimenti, signore. Ha saputo trovarmi.

- Lasciamo la sua affascinate maniera di sparire senza lasciare tracce per dopo, Mulder- parla tra i denti ed i muscoli del collo sembrano d’acciaio quando gira la testa in cerca di qualcuno- Il vice direttore Cassidy vuole sapere dove siete prima delle undici di questa mattina, e sarà meglio che glielo diciate voi personalmente.

- Ho paura che questo non sarà possibile, signore.

So che lo sto sfidando e che sta facendo uno sforzo inumano per non stampare un pugno granitico sul mio viso. Ringrazio la luce che si riflette nei vetri dei suoi occhiali che mi nasconde i suoi occhi, perché dubito che sarei sopravvissuto al suo sguardo.

- Agente Mulder, ha idea a che estremi sono arrivato per salvarle il culo davanti all’OIP? Ho sistemato la faccenda di Hannah O’Fallon con la polizia dell’Indiana. I vostri nomi non appariranno e tutti faranno finta di niente per la vostra piccola fuga da New York con una minore scomparsa. E’ ancora a tempo per non affondare fino al collo, Mulder.

- Rassicurante- sbotto con una smorfia che so che risulta odiosa- E suppongo che nel rapporto ufficiale dirà che Hannah passeggiava per il bosco cercando bacche per la sua nonnina e che un cacciatore miope l’ha confusa con un coniglio.

- Maledizione- non grida, ma i suoi occhi lo fanno. Mi sputano, bestemmiano.- Cassidy pretende cacciarvi dall’agenzia. Tutti e due. Se non vuole farlo per lei, lo faccia almeno per Scully.

Se c’è qualcosa che detesto, e che utilizzino la mia compagna per ricattarmi. Skinner lo sa, e ora sono io che mi reprimo per non dargli un sinistro, anche se so che alla fine perderei.

- Non mi oppongo che l’agente Scully si presenti all’appuntamento, non sarò così egoista da rovinarle la carriera un’altra volta. Ma non l’accompagnerò, signore. Non finchè Hannah non si riprende.

I miei occhi ed i suoi si sfidano in una battaglia silenziosa, e l’ira e l’ego ardono e si mescolano con la presuntuosa mascolinità di due lupi che si affrontano.
E’ lo zucchero sussurrante della voce di Scully ciò che fa sfumare questa sfida assurda.

- Mulder- mi giro e la vedo, con la pelle così pallida sotto la luce artificiale che sembra quasi traslucida.

Le tracce della stanchezza si riflettono sul suo viso, ed un’ombra velata nelle iridi azzurre fa si che qualcosa mi scuota dentro ed un'orribile sensazione di panico mi pietrifichi.

Mia sorella mi venne incontro mangiando un gelato. Ora so che Hannah non lo farà.

***

Devils Inslad
5:02 am

La luce del faro spazzava la terra bagnata. Nel cielo, le stelle avevano ripreso tutto il loro splendore dopo la tempesta e continuavano ad essere estranee al tempo e allo spazio. Colonne di fumo salivano sugli alberi mentre uno dei militari di più alto rango contemplava i resti brunastri del laboratorio.

- Comandante- chiamò una voce dietro le sue spalle.

Si girò. Un caporale si avvicinava correndo. Il ragazzo sollevò la mano coperta di fuliggine e gli mostrò quello che conservava in essa.

***

Memorial Medical Center
Ashland, Wisconsin
5:03 am

Alla facoltà di medicina le avevano insegnato ad affrontare la morte con serenità
Scully ricordava ancora il cadavere macilento e sconosciuto che aveva visto al primo anno, come tutti gli studenti di medicina. Ricordava la sensazione di vertigine ed il sudore freddo. E la nausea. E l’orrore con cui il suo cervello aveva processato il fatto che quel corpo immobile e nudo che il professor Nissen aveva disteso sul freddo tavolo metallico mentre parlava con i suoi alunni era di qualcuno che alcune ore prima respirava come lei, e che forse aveva mangiato “huevos rancheros” ed un caffè, ed aveva letto il Times nel metro ed aveva pianificato il suo fine settimana mentre prendeva l’ascensore per salire a casa sua, o nel suo ufficio. Ma, la piccola Dana aveva superato quel rito iniziatici abbondantemente. Aveva trattenuto la voglia di vomitare e non era svenuta. Non era qualcosa di cui si potessero vantare molti alunni. Con il tempo aveva appreso a contemplare un cadavere con precisione analitica e freddezza scientifica. Un morto, aveva detto loro Nissen nelle prime lezioni, era un problema da risolvere.
Invece, trasmettere questa stessa serenità alle persone a cui bisogna annunciare una cattiva notizia non lo si insegna in nessun’aula. Dana Scully l’aveva appreso da sola, durante i suoi primi anni al pronto soccorso.
Ed ogni volta le era risultata più spaventosa di quella precedente
Per questo uscì con il viso alterato dalla sala operatoria ed il suo cuore andava rompendosi man mano che si avvicinava a Mulder e riceveva da lui qualcosa di etereo e preoccupato nei suoi occhi verdi. Scully non vedeva nemmeno il vice direttore Skinner. I suoi occhi l’avevano si riconosciuto, ma la sua mente bloccata era incapace di reagire. Davanti a lei esisteva sola la domanda latente che le inviava Mulder.
Si inumidì le labbra prima di rispondere.

- Il proiettile le ha perforato lo stomaco e l’intestino. Hanno dovuto asportarle la milza, e drenarla per arrestare l’emorragia interna.

Si sollievo cristallino degli occhi di Mulder la sopraffece e sentì voglia di piangere. Parlare in passato prossimo significava che era ancora viva, ma non sapeva come dirgli che il filo che l’univa alla vita era molto fragile.

- Dove sta? – disse l’agente con voce roca.

- In terapia intensiva.

- Posso vederla?

- Mulder.

Bloccò bruscamente il torrente di ansia ed energia nervosa che si era impossessato del suo compagno. Fermati, per favore. Guardami, ascoltami.
Il proiettile che aveva ferito Hannah aveva la punta morbida ed era di 5,56 mm, lo stesso che usavano i fucili CAR-15. Erano pallottole più sottili e veloci di quelle del comune calibro 38, ed il loro effetto era più terribile di quelle espansive: quelle di punta morbida si piegavano facendo contatto ed incominciavano a girare erraticamente nel corpo distruggendo tutto al loro passaggio. Lo sguardo glauco di Mulder l’attraversò con uno sconcerto quasi infantile e Scully represse l’impulso di fondersi con lui in un abbraccio disperato. Respirò profondamente e pregò che la sua voce rimanesse ferma mentre parlava.

-Sta morendo- suonò come uno schiaffo. Perfino lei lo sentì, che la scuoteva senza compassione.

Mulder battè le palpebre attonito e disorientato e torse la bocca, ma Scully continuò a parlare ed evitò i suoi occhi, trincerandosi nel suo gergo tecnico per prendere le distanze dal caos d’emozioni che bolliva dentro di lei.

- E’ questione di ore. Alle tre del mattino ha sofferto un arresto cardiorespiratorio, e anche se sono riusciti a stabilizzarla il suo cervello né stato gravemente influenzato- parlava con atteggiamento scientifico, con chiara razionalità, con la stessa voce che diceva “ Ho il cancro”, epica e serena- E’ entrata in coma. La hanno messo la respirazione artificiale. Hanno lasciato che io prendessi la decisione e non so…

Scosse la testa. Non poteva evitarlo. La corazza di ghiaccio si stava screpolando ed il suo cuore incominciò rimanere nudo davanti alla realtà che lei stessa aveva raccontato. I suoi occhi brillarono e le parole sorsero a fiotti.

- Sono medico, e l’idea di allungare a vita di un moribondo mi fa orrore. Io stessa ho rifiutato che lo facciano con me. Ma con Hannah ho creduto che…E’ solo una ragazzina. Io non sono nessuno. Perché lo hanno lasciato nella mie mani?- la sua voce si ruppe come il vetro ed improvvisamente si sentì piccola, minuta, persa in un tunnel buio- Dio mio che ho fatto, Mulder?

Gli occhi di gatto l’attraversarono, venti centimetri più in alto. Mulder l’attrasse a sé con un gesto avvolgente ed il suo odore salino l’inondò. Non crollò. Dana Scully non lo faceva mai. Lasciò solo che le lacrime scivolassero piano per le guance spente e che Mulder aprisse le braccia per lei e l’allontanasse dal resto del mondo, dalla luce biancastra e dai camici verdi e dall’odore clinico e freddo.

- Che cosa ho fatto, Mulder?- ripeté con incredulità

Non sapeva perché si sentiva così. Non sapeva nemmeno come si sentiva. Non sapeva se era per Hannah, o per Mulder, o per lei stessa. I circoli intrecciati che le dita di Mulder disegnavano sulla sua schiena calmavano il maremoto interno di Scully, e per un secondo si dimenticò di Skinner e dell’ospedale. Di tutto. Di quei tre giorni demenziali, dell’Antartide, della fine del mondo. Di sua figlia, di sua sorella. Di Acab. Delle vite che si spegnevano intorno a lei senza soluzione. Volesse il cielo, pensava l’agente, che questo secondo potesse durare tutta l’eternità. Dimenticarsi di quello che aveva appena fatto, di pensare se aveva fatto la cosa giusta.

- E’ ancora viva.

La voce scura di Mulder vibrò al di sopra della sua testa e Dana ristrinse contro di lui come una bambina piccola.

- Ma questo non basta- rispose lei a voce bassa.

***

Washington D.C.
7:07 am

Il progetto era così semplice come da brivido. Due pareti che formavano un angolo di 125 gradi, tra il Lincoln Memorial ed il monumento a Washington. I nomi di quasi sessantamila morti o dispersi brillavano sotto il sole timido del mattino sul Monumento ai Veterani del Vietnam.
La sagoma di un uomo si rifletteva sulla superficie levigata del granito nero. Osservò il volo iniziatico di un pettirosso mentre esalava il fumo della sua sigaretta con una lentezza reverenziale. Accanto a lui, un uomo anziano con un cappotto scuro lanciò un rametto di margherite accanto ad ogni tipo di oggetti che si ammucchiavano ai piedi delle pareti.

- Ebbene?- domandò assaporando il filtro della sua sigaretta

- Sono riusciti a recuperare un campione del tessuto. Sarà difficile, ma ci proveranno.

-E la ragazza?

Il pettirosso gorgheggiò mentre si lanciava nel vuoto imitando la madre.

- Non contate su di lei.

Il fumo scappò dalle sue labbra sotto forma di sorriso, allo stesso tempo crudele e triste, mentre un raggio di sole si posava sulla scultura di Frederick Hart. Immobili, immortali, simbolici, i tre soldati di metallo guardavano l’orizzonte, nel punto esatto in cui il cielo e la terra si uniscono per aprire la bocca dell’inferno.

Messaggi

I morti sono gli unici con i quali
uno non si espone ad inciampare di nuovo sulla Terra
Alessandro Dumas.


Ufficio Centrale dell’FBI
Washington D.C.
7:54 pm


Attraverso le enormi finestre, assistette ancora una volta allo spettacolo. Macchie malva, ocra e sanguinolente, che si contorcevano, morendo, rinascendo. La notte ed il giorno che lottavano per la sopravvivenza in un braccio di ferro infernale che si ripeteva senza riposo come un’araba fenice che moriva continuamente per tornare a sorgere dalle sue ceneri.
Skinner contemplò la battaglia con la rassegnazione di un vecchio soldato. Nella sua testa continuava a trasmettersi il film delle ultime quarantotto ore, di cui però lui non aveva comprato il biglietto. Sapeva il copione a memoria.
Mulder che lo sfidava. Lo avrebbe ucciso con le sue stesse mani se non fosse stato per lo stupido ed inspiegabile sentimento d’ammirazione che aveva sperimentato verso il suo subordinato. Solo un uomo del calibro di Mulder sarebbe stato capace di mandare al diavolo la sua carriera per il nobile atto di vegliare una sconosciuta di sedici anni. L’enigmatica dottoressa Scully non era stata da meno. Si era aggregata alla decisione del suo compagno senza parole, con un gesto davanti al quale il vice direttore si era sentito a disagio. Perfino rabbioso. Vederli abbracciati ed immersi nella loro bolla complice e soprannaturale gli aveva fatto credere che stava violando un’intimità di cui nessuno meritava d’essere testimone. Per questo era uscito in silenzio dalla sala d’attesa ed aveva telefonato all’aeroporto per prenotare un biglietto per Washington.

“ Gli agenti Mulder e Scully sono nel Wisconsin per avere in custodia una testimone che è stata ricoverata in ospedale per una ferita d’arma da fuoco” aveva detto a Cassidy. La risposta della donna ancora gli bruciava nelle vene “ Sotto quale giurisdizione?”

Dopo un’ora di riunione con la vice direttrice, l’unica cosa che aveva ottenuto era una citazione per entrambi gli agenti. Almeno, Jana Cassidy era stata relativamente comprensiva a concedere loro un margine di tre giorni prima di abbandonare Ashland e presentarsi all’Edgar Hoover. “ Immagino che sarà meglio che i suoi agenti si facciano carico dei documenti del funerale della ragazza”. L’aveva fatto rabbrividire l’indifferenza con cui Cassidy aveva dato per scontato che la piccola non ce l’avrebbe fatta. Quasi come se l’avesse desiderato, in realtà.
Fortunatamente, si disse Skinner, non era successo. Hannah si stava riprendendo in maniera miracolosa. Varie ore dopo essere entrata in rianimazione, il suo elettroencefalogramma aveva dato segni di attività cerebrale. Le ultime notizie che aveva di lei erano promettenti. La ragazza era già capace di respirare da sola, anche se non si era ancora svegliata.
La notte scoppiò sotto il manto rosso del tramonto e Walter Skinner ricordò il massaggio criptico che aveva letto nella posta di Hannah O’Fallon.
Ora è il tuo turno.
Sentì un brivido. Che genere di persona poteva condannare una bambina in questo modo?

***

Memorial Medical Center
1615 Maple Lane
Ashland, Wisconsin
8:02 pm


Niente. Tutto era scuro, denso, perfino il dolore alle costole, che sembrava molto lontano, come se su di esso ci fossero vari chili di sabbia. Era coricata su qualcosa di morbido, un letto, stava in un letto?

“ Apri gli occhi” pensò

La luce che filtrava in minacciose frange arancione attraverso le fenditure delle persiane la ferì come coltelli. Strinse le palpebre e cercò di sollevarle a poco a poco. All’inizio vide tutto confuso, come se avesse portato occhiali con molte più diottrie di quanto avesse bisogno. Poi riuscì a mettere a fuoco la vista e restituire un contorno a ciò che vedeva: un muro bianco, una cassettiera di truciolato. Vicino a lei, su i suoi piedi c’era una giacca. Quella non era la sua stanza. Allora, dove stava?
Ricordi vaghi le attraversarono la mente come lampi furtivi. Pioggia, benzina, fango, fumo. Nient’altro. Non riusciva a capire cosa facesse in un letto estraneo, in una stanza che non aveva visto prima.
Guardò a sinistra, dove vide un divano, e su di esso, le gambe allungate di un uomo, immerso nell’oscurità. Aggrottò la fronte spaventata e girò la testa all’altro lato. Allora il suo cuore fece una capriola. Dandole le spalle, guardando verso la finestra e circondata dalla luce rossiccia del tramonto che entrava nella stanza, c’era una donna, bella e lontana come un’apparizione divina. Hannah ricordò il dolore della meningite e sentì il desiderio di sciogliersi in un pianto che improvvisamente l’opprimeva il petto.
Erano loro.

- Mamma?- la chiamò con un fievole sussurro.

L’aura dorata che l’aveva avvolta scomparve quando si girò a guardare Hannah. Scully si avvicinò a lei precipitosamente, mettendole una mano sulla fronte.

- Grazie a Dio- mormorò l’agente.

Il cervello di Hannah funzionava rapidamente. Quella donna non era sua madre e lei non aveva la meningite. Non era più una bambina di cinque anni ma un’adolescente di sedici ani. Sua madre era morta, come suo padre. Nemmeno l’uomo che era disteso sul divano era lui. La donna che le controllava la temperatura e l’uomo del divano erano gli agenti federali a cui aveva fatto ricorso. L’incubo era reale, e le avevano sparato. Hannah incominciò a desiderare che lo sparo fosse stato più preciso. Così che sarebbe stata morta e tutto sarebbe finito.

- Sai dove sei?

C’era qualcosa di trasparente e tremulo negli occhi di Scully. Allegria contenuta. Sollievo cristallizzato.

- Suppongo non a Disney Word, vero?- rispose Hannah cercando di sollevarsi.

Si lamentò e fece una smorfia. Sembrava come se un battaglione passeggiasse sotto le sue costole e qualcuno attraversasse la pelle con un bengala acceso. Scully si affrettò ad aiutarla a stendersi di nuovo.

- Hannah- il suo nome suonò rugoso uscendo dalle labbra di Mulder.

La ragazza lo guardò. Stava alzandosi dal divano. Probabilmente il suo lamento l’aveva svegliato. Aveva il nodo della cravatta allentato ed un’espressione indescrivibile sul viso, un miscuglio d’angoscia e stanchezza.

- Sta bene?- domandò rivolgendosi a Scully.

Hannah si infastidì. Perché non lo domandava a lei direttamente? Non era diventata ancora un vegetale, poteva ancora comprendere quello che le diceva e rispondere lei stessa.

“ Sono sveglia” pensò di malumore. “ Non sto per rompermi”

Ma la rabbia le passò immediatamente al sentire la grande e calda mano di Mulder prendere la sua. Girò la testa e s’incontrò con i suoi occhi verdi, curiosi ed ipnotici, che la guardavano con un’espressione che confortava. Con dolcezza, con affetto, quasi con adorazione.
Come una madre guarda suo figlio appena nato.

- Credo che stiano finendo gli effetti dei calmanti- disse Scully- Ti fa male?

La ragazza spostò lo sguardo da Mulder e si concentrò nell’oceano di Scully. Ricevette la stessa carica d’affetto e preoccupazione negli occhi della donna e, per un istante, l’invase uno strano presentimento.
Che era accaduto? Perché la stavano guardando così?

- Da quanto tempo sono qui?- s’avventurò a chiedere.

- Due giorni-rispose lei.

Mulder le strinse la mano e la voce oscillò come la fiamma di un fiammifero.

- Ti abbiamo quasi persa- disse

Una corrente invisibile d’elettricità la scosse da dentro. Era stata sul punto di morire? Lei? Sentì un vuoto alla bocca dello stomaco che le provocò nausea. Forse era la ferita che, in effetti, incominciava a svegliarsi. Il solletico sulla pelle cresceva sempre di più e la cicatrice sembrava bruciare con forza, come se volesse farle sentire il profondo taglio del bisturi ed il buco che le aveva fatto la pallottola. Qualcosa tremò dentro di lei, qualcosa di pungente e fragile che incominciò ad inviarle idee orrende. Vide se stessa, fredda, nuda, vuota, a tre metri sotto terra. Incapace di pensare, di sentire. Morta. Per sempre. Come sua madre
Per sempre. Che significavano queste due parole? Quanto durava l’eternità?

- Hannah?- domandò Scully

La sua voce le fischiò la realtà all’orecchio. Sei viva. Viva. Sentilo. Senti il tuo cuore, ascolta come respiri. Godi del dolore. Sei viva, Hannah. Viva. Per tua madre. Per te.

- Sì- rispose l’adolescente facendo un profondo sospiro- sto bene.

Mulder lanciò uno sguardo significativo a Scully e Hannah cercò di decifrare la loro conversazione silenziosa per un fugace istante. Non sapeva d’aver appena usato la frase jolly dell’inaccessibile agente Scully, quella che utilizzava quando non voleva mostrare la sua vulnerabilità e teneva in piedi le sue mura per allontanarsi da Mulder.

- Hannah, ricordi qualcosa?- domandò lui rivolgendosi per la prima volta alla ragazza, che lo trapassò con uno sguardo imperscrutabile- Sai…Sai chi te l’ha fatto?

- Slava- dichiarò Hannah con occhi vitrei- Mi ha ingannato. Lo ha fatto fin dal principio. Mi ha utilizzato per arrivare fino al laboratorio e poterlo distruggere- la voce si spezzò e palpitò nella stanza bianca- Lui ha ammazzato mia madre e mi ha sparato.

Lo scintillio ballerino delle lacrime vibrava nei suoi occhi, così enormi che sembravano occuparle il viso improvvisamente rimpicciolito. Era stato lui. In una notte di fuoco ed acqua, i pezzi andavano incastrandosi con la violenza sviluppatasi per un sussurro “Ti tengo”. La sagoma scura che aveva scorto nello spiazzo quando il proiettile l’aveva attraversata senza pietà aveva adottato una forma rivelatrice attraverso gli alberi. Irrefutabile davanti ai suoi occhi dolenti, tangibile sotto la pioggia. Sentiva ancora le sue grida sepolte nel bosco, mentendole, cercandola. Ed un idioma sussurrante scivolarle nell’orecchio. Žao mi je. Vedeva i suoi occhi che si vendicavano della guerra assurda e crudele, ed immaginò una città caotica di ponti distrutti e strade coperte di cadaveri e polvere. Sarajevo, grigia e sanguinante, che succhiava l’anima dei bambini della guerra.
La voce le accarezzò i timpani come un mantello di velluto.

- Lo troveremo- Mulder la guardava, raggomitolata nel letto- Te lo giuro.

Pallida, impressionantemente minuta, Hannah vide la sicurezza di una promessa negli occhi dell’agente. Fu allora quando le sue labbra si strinsero debolmente verso l’alto regalandogli un sorriso da lupo.

- Spero che non dobbiamo sputarci in mano- disse con sarcasmo ed uno scintillio malizioso negli occhi arabi.

Mulder si lasciò scappare una risata dolce ed un torrente d’emozioni represse esplose in essa. La risatina grave e dinamica di Hannah, che le faceva vibrare il petto coricata nel letto, oscillò allegramente mentre Scully chiudeva gli occhi e si univa a loro con una di quelli suoi rari e sinceri sorrisi.
Le risate si spensero poco a poco, come una candela. I tre rimasero in silenzio per un secondo. Dovevano andar via. E Hannah lo sapeva.
Scully si chinò verso di lei.

-Starai bene? –domandò.

La ragazza fece di sì con la testa. Dana le accarezzò i capelli, in un gesto timido e dolce. Anche se il mondo si estingue, anche se il fuoco dell’inferno trascina tutto, staremo qui, Hannah. Con te. Non lo disse a parole, ma lo disse. Hannah l’aveva sentito nella sincerità sussurrante dei suoi occhi azzurri e placidi. E le credette. Si era creato un laccio indistruttibile tra loro tre, forgiato sotto la pioggia.
Inevitabilmente, la vita di un uomo, una donna ed un’adolescente convergevano ora in uno stesso sentiero. Rosso sangue, azzurro cielo. Il tempo era sempre più vicino e, a meno che non si fosse convertito in cenere, tutti e tre sapevano che l’armaggedon sarebbe caduto senza pietà su tutti.
Scully si avvicinò alla porta con piccoli passi lenti, come volendo allungare il momento d’abbandonare la stanza. Quando arrivò si fermò quieta, aspettando il suo compagno ed osservandolo. Mulder guardava Hannah con devozione, e senza distogliere gli occhi dalla ragazza, avvicinò le labbra alla piccola mano che non aveva ancora lasciato e la baciò. Dopo si chinò su di lei e le diede un bacio sulla guancia, mentre Hannah chiudeva gli occhi e reprimeva le lacrime. Sentì che Mulder le lasciava la mano, e quando li aprì, entrambi gli adulti stavano di spalla vicino alla cornice della porta.

- Mulder- lo chiamò la ragazza. Senza formalismi, senza la carica federale. Solo Mulder. Si sentiva vecchia. E viva. Come un bimbo che vede la luce del sole per la prima volta.

Quando lui si girò, Hannah gli indicò qualcosa con a testa, ai piedi del letto. Mulder si avvicinò e prese la giacca spiegazzata. La ragazza li guardava con occhi brillanti e labbra strette, sicuramente per evitare di piangere. Le lacrime non sono altro che un simbolo di debolezza. Hannah non era così. Hannah era regale, forte, fredda. Una sopravvissuta. Una giovinetta che sapeva molte cose. Vulnerabile. Come la dottoressa Scully e la sua scienza, il suo orgoglio, la sua razionalità ed i suoi muri. Come Mulder lo Spettrale e la sua fede, il suo sentimento di colpa, la sua intuizione ed i suoi fantasmi. Come tutti.
La ragazza mosse le labbra e cercò di curvarle cinicamente, ma una lacrima vinse la battaglia e scivolò piano lungo il viso minuto.
Le sue spalle si curvarono in un adorabile gesto di rassegnazione. Piangere è buono, no? O almeno inevitabile. Nessuno è di pietra. Nemmeno Hannah O’Fallon. O’Fallon? Kurtzweill?Cosa importava? In qualsiasi modo si chiamava, era lei, e per la prima volta da molto tempo piangeva piano e quieta davanti agli occhi di un uomo ed una donna che una volta erano stati sul punto di salvare il mondo.
Forse ancora lo erano.
Forse tra sei mesi l’Umanità si sarebbe trasformata in un ricordo confuso sepolto sotto le macerie da un mondo ostile e primitivo. Forse aveva passato la vita a fuggire senza motivo per colpa di una paura irrazionale e paranoica di suo padre, e che era stato lui il colpevole della morte di sua madre e di quei tre giorni di strada, pioggia e disperazione. Forse Alvin Kurtzweill era stato egoista a cercare di redimersi rivelando alla figlia la mostruosa verità che l’aveva condannata a morte, e che lei era cresciuta con l’assenza di qualcuno più forte e più vecchio che la proteggesse dagli orrori del mondo, dall’oscurità e dai racconti dei vampiri. Forse la persona che l’aveva fatta sentire per la prima volta il battito impazzito e lo stomaco pieno di farfalle che agitavano le loro ali fosse assassino, e che era stata così stupida da non rendersene conto e sentire cose che aveva creduto che non avrebbe mai sentito. Forse tutto era cambiato, che dualismi astratti e vertiginosi si erano dati appuntamento davanti a lei senza nemmeno avvertire, la vita e la morte, l’amore e l’odio, così avvilenti che sembravano volerla asfissiare con la loro intensità. Forse era rimasta sola ed aveva solo sedici anni, e non si chiamava Hannah.
Tutto era possibile.
E niente aveva importanza. Perché era viva. Ora. Lì. Viva.
Hannah spostò lo sguardo verso la finestra per la quale i raggi screziati del tramonto profetizzavano un'Apocalisse vicina di ambra, ghiaccio e sangue, e Mulder e Scully andarono via, uno accanto all’altro, convertiti in due ombre i cui passi risuonavano con un suono metallico nel corridoio deserto dell’ospedale.

***

Ufficio Centrale dell’FBI
Washington D.C.
9:00 am


Impeccabile, con un vestito appena stirato, il nodo della cravatta perfetto e le guance ben rasate, Mulder buttò fuori l’aria lentamente. Non si sentiva a disagio. Malgrado la durezza della sedia e gli sguardi inquisitori che sei vicedirettori gli dirigevano dal lungo tavolo delle conferenze che aveva di fronte, Ufficio dell’OIP cominciava a farlo sentire come a casa sua. Era tanto tempo che lo visitava che le questioni che si trattavano in esso sembravano perdere di gravità sotto i raggi del sole che entravano in abbondanza per le finestre.
O almeno voleva farsi quest’illusione.

- Tutti ci domandiamo che cosa l’ha portata nell’FBI invece di dedicarsi alla letteratura di Fantascienza, agente Mulder- ironizzava con freddezza Jana Cassidy dando un'occhiata al sottile fascio di carte che aveva tra le mani.

Tentennò tra il rispondere con un sarcasmo che l’avrebbe portato direttamente a mettersi in fila tra i disoccupati o mordersi la lingua ed avvelenarsi con essa. Optò per l’ultima cosa al ricevere lo sguardo d’avvertimento di Skinner che sembrava aver letto la sfida nei suoi occhi incolleriti.

- Francamente non so cosa sembra più incredibile- continuava la donna- le api portatrici di un virus extraterrestre che mi avete portato dal Texas o la razza superdotata che provocherà la sesta estinzione tra sei mesi- i suoi occhi lo attraversarono con un’interrogazione fatta di ghiaccio che rarefò l’aria catturandola in una capsula di vuoto asfissiante- A che gioco sta giocando? Dove pretende d’arrivare con tutto questo, agente?

Non dubitò nemmeno un secondo. La sua voce fu ferrea. Ed anche se non se ne accorse, il suo superiore lo guardò con qualcosa che sembrava ammirazione e che sfiorava l’orgoglio fraterno.

- Alla verità- rispose Mulder.

Semplice. Tanto che suonò eroico. Ridicolmente idealista, lo sapeva. Ma era quello che sentiva. Non poteva evitarlo.
Per un istante, un millesimo di secondo fugace e lontano come un paese sconosciuto, gli occhi di Cassidy si oscurarono con qualcosa di nuovo, umano. Pena. O quasi. La donna sospirò profondamente prima di abbassare lo sguardo di nuovo sul rapporto.

- Se non ha nient’altro da dire, procediamo a....

- In realtà ho qualcosa da dire- la sua voce suonò profonda nell’enorme sala, come se stesse sfidando la vice direttrice ad un duello- Voglio che Hannah O’Fallon entri in un programma di protezione testimoni.

Le sopracciglia di Cassidy si sollevarono leggermente.

- Non ci sono prove che dimostrino che sia in pericolo o che lo sia mai stata- disse lei.

- Le hanno estratto una pallottola dallo stomaco.

- Ho qui il rapporto medico. Munizione militare. –cominciò a leggere Cassidy in un raccoglitore giallo.- Buona cicatrizzazione, senza rischio d’emorragie interne. La metteranno in uscita tra una settimana.- sollevò la vista dal rapporto e trapassò Mulder con una ferocia glaciale.- Devils Island è un’area di accesso limitato debitamente segnalata. Erano nel loro diritto.

Mulder aggrottò la fronte e fissò Skinner. Come sapeva l’FBI che erano andati a Apostle Islands?
Ricevette una muta risposta. Nemmeno Skinner aveva idea di ciò che era successo. L’accordo si era ritorto contro di loro pugnalandoli alle spalle. I loro nomi erano stati omessi solo di fronte all’opinione pubblica.

- Ha sedici anni- accusò l’agente.

Ed avevano contattato un sicario per liquidarla. Anche se ora aveva dei dubbi sull’autore dello sparo, che poteva essere stato opera dei militari. Da quando Hannah aveva detto che era stato Slava che aveva provocato l’incendio, un’idea macabra era andata formandosi nella sua mente. Non aveva senso che fosse stato il Sindacato ad incaricare Slava di uccidere Hannah, perché il ragazzo si era servito di lei per scoprire la verità. E quando l’aveva saputo, l’aveva distrutta. Nel mostruoso rompicapo della cospirazione poteva esserci solo una parte del patto interessata a disfarsi del piano parallelo che si era ideato, e Mulder sapeva che non era il Sindacato.
La possibilità, perfettamente reale, che Slava si fosse alleato con i coloni lo fece rabbrividire da capo a piedi.
Aveva investigato sul ragazzo. Sviatoslav Banjac era nato il 15 maggio 1977 a Hrasnica, Bosnia Herzegovina, ed aveva perso tutta la famiglia durante l’assedio di Sarajevo. Nel 1992 era entrato negli Stati Uniti e gli era stato concesso asilo politico e dall’allora era andato da riformatorio in riformatorio accusato di delitti minori. Al compimento della maggior età si era arruolato nell’esercito, ed era stato lì che aveva incominciato ad aver rapporti con Vladko Jocik, un croata di quindici anni più grande di lui, anch’egli rifugiato politico. Essendo ancora un caporale, Slava aveva partecipato a diverse operazioni militari nell’America Latina. Dopo si erano perse le tracce.

- Un increscioso errore- la voce di Cassidy lo sorprese con un’indifferenza sconcertante.

- Un tentativo d’omicidio- replicò tra i denti.

- Erano le due del mattino e c’erano tre persone non autorizzate in una zona militare. L’esercito ha ordine di sparare contro qualsiasi oggetto mobile. Fortunatamente per tutti, la ragazza è viva. Riceverà un cospicuo indennizzo per danni.

Sentiva il desiderio di distruggere quelle carte che mentivano. Mulder poteva sentire il gorgogliare del suo sangue, pulsare irato nelle vene e tendendo i muscoli fino al delirio. Strinse i pugni e represse l’impulso di colpire il piccolo tavolo davanti al quale era seduto, sotto gli occhi altezzosi e biasimanti che lo guardavano a cinque metri di distanza.
Ingannare, raggirare, nascondere. Chiedere scusa per errori intenzionali. L’increscioso errore aveva un volto ed un nome, e sorrideva come un lupo da un letto d’ospedale, piena di vita che era stata su punto di scappare dal suo corpo adolescente.

Mulder si sentì furioso, frustrato. Impotente come se avesse voluto gridare e fosse muto.

- Non era un oggetto mobile…- cominciò c dire con tono irritato-

- Agente Mulder…

- Hannah stava quieta in uno spiazzo ben illuminato e ricevette uno sparo a meno di dieci metri.

- Agente Mulder- la voce di Cassidy si alzò di tono e rimbombò sulle pareti nude- mi rifiuto di continuare a parlare di questa questione. Non è di nostra competenza.

Nell’Europa Feudale, Jana Cassidy sarebbe stata una terribile e potente padrona del mondo, con la vita di migliaia di contadini nelle sue mani dalle unghie impeccabili, alla mercé della sua volontà. Aspettando di vedere il pollice di quella novella imperatrice decidere se i gladiatori del Medio Evo meritavano di vivere o no.
La rabbia consumava Mulder con un calore bruciante, e nell’improvviso silenzio che occupò la sala per un secondo denso e lungo ricevette lo sguardo di Skinner, senza sapere se in esso c’era sconfitta o compassione.

- Due settimane sospeso dal lavoro senza stipendio- annunciò Cassidy improvvisamente- Il 3 ottobre avrà una nuova udienza alle nove in punto del mattino. Consegni la sua pistola e il suo distintivo prima d’abbandonare l’ufficio, per favore.

Con un gesto di sfida, Fox Mulder si mise in piedi e la sua figura enorme e magnetica sembrò invadere lo spazio di quelle quattro mura. Il sole di settembre illuminò una parte del suo viso e proiettò un’ombra barocca sull’altra, disegnando forme impossibili nei suoi occhi verdi. La Smith & Wesson fece un rumore sordo al cadere sul tavolo, e l’astuccio di pelle rimase aperto mentre Mulder si allontanava a grandi falcate senza salutare.
Tre parole spiccavano sul distintivo levigato, come un giuramento forgiato durante anni che brillava ora senza padrone sotto la luce del sole.
Fedeltà. Bravura. Integrità.

***

2360 Hegal Place appartamento 42
Alexandria, Virginia
10:03 pm


Quando aprì la porta, il riflesso acquoso dell’acquario fu l’unica cosa le dette il benvenuto. Era entrata con le sue chiavi disposta ad aspettarlo nell’oscurità familiare e complice del suo appartamento credendo che non l’avrebbe trovato lì. Per questo si meravigliò quando incrociò la luce verde dei suoi occhi piccoli ed ipnotici.

-Non ti ho visto in ufficio dopo la convocazione- disse lei a mò di saluto. Avanzò di qualche passo e rifermò vicino al divano, dubbiosa- Ti ho chiamato al telefono.

- Avevo il cellulare spento.

Sentì un abisso devastante ai suoi piedi che l’allontanava da lui. L’odore della naftalina fluttuava insieme a particelle invisibili di polvere. Distanza. Nuda e visibile, messa tra loro un’altra volta, in maniera automatica. Una distanza che la schiaffeggiava.

- Dove sei stato? –domandò lei.

- A passeggiare.

La risposta, di una sola parola tagliente, la ferì senza riguardo. Si rimproverò per sentirsi così vulnerabile e addolorata, ma non poteva evitarlo. Stava davanti al Mulder che la escludeva ancora una volta, facendola partecipe della sua vita a suo capriccio. Ora ho bisogno di te, ora no.
Ingoiò a vuoto e parlò di nuovo, per cercare di proteggersi di fronte a quella sensazione plumbea ed asfissiante.

- Hai sentito le novità?- ricevette lo sguardo afflitto e spoglio di ogni sfumatura degli occhi verdi del suo compagno.- Daranno gli XFiles ad altri agenti e tu ed io non staremo più sotto il comando di Skinner. Si fanno i nomi dei vicedirettori Maslin e Kersh.

Il silenzio tornò ad occupare il piccolo spazio del salotto per alcuni secondi. Non sapeva se avesse ascoltato quello che gli aveva appena detto. Mulder aveva lo sguardo perduto in qualche punto tra la sua spalla ed il mento, forse dietro di lei. Lontano da lì. Lontano da entrambi.

- Ho ricevuto una bella notizia dal Wisconsin, con una fotografia a colori- disse lui improvvisamente con voce lenta, indicando con il mento il pc che stava di fronte alla finestra- Aprono Devils Island al pubblico.

La sua voce suonava roca nell’oscurità dell’appartamento. La sua figura si perdeva nella penombra, maglietta nera e jeans vecchi che si fondevano nella pelle anch’essa nera del divano.

- Di nuovo le scuse come politica- Mulder continuò a parlare spassionatamente- Coprire menzogne con menzogne nuove più gradevoli agli occhi dell’opinione pubblica, chiedere scusa per errori camuffati con altri inganni. La versione ufficiale dell’esercito dice che è stato un caporale che ha sparato contro Hannah. Nel suo pieno diritto, così come recita la Sicurezza Nazionale. Un errore fatale trattandosi di una minore. Ed una fortuna visto che non c’è da lamentare la sua morte.

Scully abbassò lo sguardo, invasa da una strana vergogna. Mulder aveva ragione, e la verità si mostrava ferma e dolorosa. Ufficialmente Grace O’Fallon era morta per intossicazione di monossido di carbonio, e sua figlia era stata fatalmente investita nella periferia del Queens, quando era uscita a cercare aiuto. Il conducente dell’auto si era dato alla fuga e la polizia aveva trovato Hannah in una cunetta tre giorni dopo, gravemente ferita ed incosciente. Un miracolo, così dicevano le ultime notizie. Con escursionisti che resistevano senza provviste sotto una valanga di neve, la sopravvivenza di Hannah era perfettamente possibile. Le alte sfere si erano incaricate che qualsiasi testimone oculare della realtà rimanesse zitto. Scully conosceva il metodo: posti di lavoro fisso, belle case senza ipoteche, assicurazioni mediche che salvavano la vita a figli terminali. Qualsiasi cosa pur di preservare le loro menzogne.
Il sole era spirato da più di un’ora e la notte invadeva tutto, languida ed indaco come ebano lucido di un piano. Gli occhi di Mulder brillarono sulle tenebre opache del salone. Glauchi, da gatto, cangianti.

- Avevi ragione. Stiamo sempre vicino, ma non arriviamo mai- Mulder si lamentò con una furia stranamente rilassata, schiacciata forse dall’oscurità- Ho visto i prototipi, Scully. Ho visto la femmina. Stava in un’urna di vetro e ha fatto un salto verso di me. Ho avuto tanta paura che sono stato sul punto di spararle.

Per un momento Scully fu invasa dal panico. Lo stesso che giaceva latente dentro di lei dal qualche tempo, da quando le cose che aveva visto da quando lavorava in quel seminterrato avevano incominciato ad intaccare la sua ferrea mente scientifica. Non sapeva quando era iniziato. Forse quando aveva conosciuto le donne del MUFON. O quando aveva saputo che aveva una figlia. Forse al contemplare la tomba di sua sorella o vedendo il fantasma di Acab. Forse mentre indovinava i tratti della Morte da un letto d’ospedale appena un anno prima. O forse tutto era incominciato in un motel di Bellefleur, quando un uomo l’aveva invitata ad una crociata con la passione cieca di un illuminato.

- Hanno creato dei mostri ed ora non c’è traccia di essi- continuò il suo compagno, sconfitto ed esausto come se fossero anni che dava pugni ad un sacco di sabbia pieno di menzogne.- Sicuramente già hanno costruito un nuovo laboratorio in Amazzonia o in qualche bosco della Nuova Zelanda.

-O forse non esistono più- intervenne lei cercando d’ispirargli una speranza che sembrava disposta a sparire in un angolo buio da un momento all’altro- Tu l’hai visto come me, hai visto come l’edificio bruciava dalle fondamenta. I prototipi possono essersi carbonizzati e ridotti a niente prima che i militari avessero il tempo di recuperarli.

- Ma non siamo sicuri che sia così, vero?

L’oscurità dell’appartamento le impedì di vedere il suo viso. Flessuoso e scuro come un gatto selvatico, Mulder emanava un’intensità vibrante. La rabbia soffocata si traduceva nella sua voce lenta.

- Ho fallito, Scully. L’ho fatto da molto tempo ma non me ne sono reso conto fin’ora. Da quando mi sono imbattuto negli XFiles mi hanno dato centinaia di schiaffi avvertendomi di smettere di tentare di trovare le verità che cercavano di nascondere, ma sono così incredibilmente testardo ed anticonformista che mi sono sollevato sempre e sono andato avanti, porgendo l’altra guancia senza rendermene conto e condannando tutto quello che mi circonda. L’ho fatto nella storia di Diane Barry, quando ti diagnosticarono il cancro ed anche a Dallas. Ed ora ho fatto di nuovo lo stesso errore. Hannah ha avuto fiducia in me per poter fermare l’avanzare di quest’inferno. Tutto quello che ha sofferto, tutto quello che ha patito fin’ora sperando che io potessi far qualcosa, non è servito a niente.

Scully sentì una forza strangolarle la gola. La tristezza del suo compagno la scosse senza compassione e credette che si sarebbe immersa con lui in un pozzo senza fondo, buio come la notte, come il salotto, come la pelle nera.
Oscurità. Sempre oscurità. Opprimente e plumbea, disposta a chiudersi su di loro ed a catturarli per sempre.
Mulder respirava piano sul divano, invaso dalla stesso fallimento che aveva soffocato lei solo qualche giorno prima nel corridoio vuoto a pochi metri da lì, e Scully tremò al contemplare la figura sfumata del suo compagno.
Se c’era qualcosa al mondo che era capace di strappare il pianto senza fine a Dana Scully era vedere Mulder in questa situazione, afflitto e punendosi per i peccati che non aveva commesso, assumendosi responsabilità auto imposte che lo consumavano e lo spremevano fino a lasciarlo vuoto, incapace di continuare a lottare. Al guardarlo, vide un bambino di dodici anni paralizzato dalla paura e sentì il desiderio si racchiuderlo tra le sue braccia per toglierli la colpa che lo tormentata.

- Non pensare che hai fallito, perchè non è così- mormorò lei con voce dolce e placida che offriva redenzione ed invitava ad accettarla- non ti sei reso conto di quello che hai fatto? Le hai salvato la vita. Se non fossi andata a cercarla quando ti ha chiamato, se non fossi così incredibilmente testardo ed anticonformista, credi che ora Hannah sarebbe viva?

- Ma, e tu Scully?- Mulder parlava con un dolore quasi fisico, cristallizzato nell’oscurità.- Quante opportunità hai perso per colpa mia? In cosa ho trasformato la tua vita? Avrei dovuto lasciarti andar via quando ne hai avuto l’occasione, ma sono stato così egoista che ti ho trattenuto ancora una volta e mi hai seguito di nuovo nel mio idealismo infantile e narcisista.

Gli occhi di Mulder tremarono e la luce verde si spense improvvisamente.

- Ti ho promesso risposte e ti ho delusa- mormorò lui con astio antico.

Tenerezza. Infinita tenerezza, attraversandola dalla testa ai piedi come un’ondata calda.
Scully sentì gli occhi umidi e Mulder divenne un angelo bello e nero davanti a lei, perso nell’oscurità del divano e del salotto. Accorciò la distanza facendo un passo e sedendosi lentamente accanto a lui. La figura scura del suo compagno acquistò precisione con la vicinanza, e per un istante Mulder sembrò enorme, irreale come un colosso fatto di bronzo e granito che si sciolse immediatamente sotto quello sguardo azzurro.

- Tu non mi hai mai deluso, Mulder. Mi hai aperto gli occhi- la sua voce era fatta di caramello e miele. E perdonava. Perdonava peccati antichi ed altri che non erano stati ancora commessi. Ed inviava messaggi di speranza che illuminavano l’oscurità come torce disposte a non spegnersi.- Forse io ti mantengo onesto, ma tu fai in modo che io abbia fede. Fede che ci sia una verità che dobbiamo trovare, che siamo vicini e che ci arriveremo un giorno. Che dobbiamo impedire che altri decidano il nostro destino e che ci riusciremo insieme.

Piccolo ed impercettibile per qualsiasi altra persona, il sorriso di Scully si disegnò sulle sue labbra piene ed illuminò la pelle di porcellana facendo sì che i suoi occhi brillassero ancora più azzurri, splendidi, con migliaia di lacrime che giocavano tra le sue ciglia.

- Mulder, tu fai si che io abbia fede in noi. In te. In me stessa.

La luna spargeva fiotti di luce madreperlacea che tra le fenditure della persiana come un’intrusa, illuminando per la prima volta Mulder lo Spettrale, cupo e colpevole, indifeso come un bambino. I suoi occhi scintillarono, e l’eco di un sorriso risuonò dolcemente nel salotto mentre attraeva Scully verso di sé e si rifugiava in lei con un gesto fermo e docile allo stesso tempo.
Mulder aveva l’odore del sale, della pelle, dell’ironia consumata. Della colpa e della redenzione. Dell’intuizione. Di una fede rivelatrice.
Stai cambiando, è vero. Ma non aver paura, Dana.
Scully gli si aggrappò al collo con entrambe le mani mentre Mulder rimaneva immerso nel suo abbraccio salvatore. I loro respiri cadenzarono un ritmo languido che pulsava sotto la luce biancastra allo stesso tempo che la luna disegnava con chiaroscuri obliqui l’appartamento.
Incominciava a capirlo.
Forse, pensò lei, forse la realtà era a volte così impossibile che sembrava sfumare tra le loro dita. Forse la verità era un raggio di luce, timido ed irraggiungibile, perso nel fondo di un tunnel infinito. Forse la ricerca significava soffrire perdite lungo la strada. E piangere, e sentire. Soffocare con una tristezza straziante che uccideva lentamente. Forse. Ma c’era qualcosa che non si poteva negare. Una costante imperterrita, stoica come una roccia che riceveva il flagello crudele delle avversità. La certezza che se stavano insieme lei, Scully, non si sarebbe persa in quel labirinto.
Che nessuno di loro l’avrebbe fatto.
Istintivamente si strinse ancora di più contro di lui, aveva bisogno di sentirlo prossimo, vicino. Così reale che sentì voglia di piangere. Mulder le strofinava la schiena piano e la penombra dell’appartamento sussurrava segreti impronunciabili.
Sentì qualcosa di strano e familiare ad abbracciare Mulder. Pace. La stessa pace che l’invase nell’ospedale ad Allentown, quando la paura e la solitudine sembravano sul punto di consumarla. La stessa che palpitò nel suo petto solo a pochi metri da lì, in una notte gemella e simmetrica. Sconfitta e confortata nel corridoio dal Mulder scuro che ora lei stava confortando.
Al ricordarlo, le si fece un nodo nello stomaco, e prima che potesse reagire Mulder si separò da lei di qualche centimetro e la guardò con qualcosa di violentemente improvviso e sconosciuto. Elettricità. Fisica, calda, fluttuando nella notte con una virulenza inusitata. L’energia liquida degli occhi di Mulder distillava una tale convinzione che Scully ebbe timore. Con lentezza esasperante, il suo compagno le prese il viso tra le mani, e lei rabbrividì al sentire il contatto degli enormi pollici sulle sue labbra. Due giorni prima, nel parcheggio di un bar dell’Indiana, aveva fatto la stessa cosa. E la situazione si riprodusse sotto il tocco teso e tiepido. Mulder si avvicinò a lei ancora un poco e l’interrogò con lo sguardo.
Due centimetri.
Ciclopici ed insormontabili, che li separavano con crudeltà.
Le chiedeva permesso e riviveva quasi sei anni di scherzi controllati e doppi sensi provocatori. Una routine insinuante ma sicura, sempre dentro la linea. Sul punto di andarsene al diavolo e lasciarli indifesi davanti ad una verità completamente nuda.
E’ quello che vuoi? Sembravano chiederle i suoi occhi selvaggi. Sei disposta a farlo?
Per un secondo infinito Scully vacillò. Era questo il cambiamento che le stava facendo sentire tanta paura? Era questo? Era la paura di perderlo se osava fare ancora un passo?
Le dita di Mulder disegnavano il suo viso come un Pigmalione innamorato della sua scultura. Lei rabbrividì. La sua intensità mascolina inondava il salotto, che sembrava più scuro, più piccolo. Più tentatore. Il suo alito le bruciava le labbra e lo stomaco, e faceva si che il suo cuore battesse velocemente. Scully cominciò a sentire un sopore incontrollabile che faceva sì che le pesassero le palpebre.
Allora, senza pensarci, lasciò che il muro si rompesse.
All’inizio il bacio fu lungo, dolce. Le labbra godettero pigramente per quegli anni di separazione insopportabile. Dopo diventò feroce e disperato allo stesso tempo che Mulder sdraiava con cura Scully sul divano. Carne, sale. Il sapore era umido e tiepido, e nessuno dei due osò separarsi dall’altro, giocando a cercarsi nell’oscurità. La luce argentea della luna fu il loro testimone, e li avvolse mentre le bocche lottavano in una guerra pacifica in cui nessuno vinceva e nessuno perdeva.

***

2360 Hegal Place, appartamento 42
Alexandria, Virginia
4:47 am


Quando aprì gli occhi l’invase una sensazione diafana e sconosciuta. Straordinariamente chiara nella tenue penombra, la certezza che il mondo aveva sperimentato una trasformazione si presentò davanti a lui come qualcosa di corporeo. Era solo e seminudo sul divano nero, appena coperto dal plaid indiano consumato. Per un istante credette d’aver sognato. Poi sentì qualcosa di freddo e doloroso che lo colpiva in pieno. Panico. Scully era andata via.
Mulder si sollevò ed in una frazione di secondi la sua mente fu capace d’inviargli più messaggi di quelli che mai pensò potessero fare le sue sinapsi neurali. Avete passato la notte insieme e quando ti svegli lei non c’è. Lo considera un errore. E’ pentita. Per due settimane non puoi tornare a lavoro e approfitterà della situazione per evitarti. Forse ti chiamerà e ti dirà” Dimentichiamo l’altra notte, Mulder. Non sarebbe mai dovuto succedere”. E quando vi incontrerete in ufficio e tu sarai incapace di guardarla senza ricordare ogni secondo di quello che è successo, lei ti rivolgerà un sorriso cordiale con le stesse labbra che ti hanno baciato in questo stesso divano e tornerà ad innalzare il suo muro, ancor più colossale di quello che ha buttato giù poche ore fa.
Una frazione di secondi, e quando Mulder si girò e guardò verso la finestra non potè evitare di sorridere e lasciarsi scappare un profondo sospiro di sollievo.

“ Paranoico” si disse.

Come una scultura greca, lattea e perfetta, Scully osservava la notte che si apriva all’altro lato del vetro. In piedi, estranea a tutto, con le gambe nude e la maglietta nera di Mulder che pendeva da tutte le parti. Lontana e bella, vicina e minuta, Vicina, vicina come non mai.
Mulder si diresse verso di lei con un passo silenzioso e l’abbraccio da dietro, sorprendendola.

- Stai cercando Ufo?

La sentì rabbrividire sotto le sue braccia come un animaletto intirizzito dal freddo. Doveva incominciare ad abituarsi a questa nuova intimità. Entrambi avrebbero dovuto farlo. Mulder sporse leggermente la testa sulla spalla sinistra di lei e vide il profilo di un sorriso che le piegava le labbra prima di rispondergli.

- Pensando- sussurrò lei.

Le mani di Mulder stavano sullo stomaco di Scully, e sentì il contatto delle dita fredde di lei che s’intrecciavano alle sue sopra la maglietta. Lei inclinò il capo indietro e l’appoggiò sul suo petto, facendogli il solletico con la chioma disordinata, e Mulder si spaventò davanti a quella sensazione di immensa felicità.

- Ti ho mentito- disse improvvisamente Scully.

Lui aggrottò la fronte, senza sapere molto bene a cosa si riferiva. Sentì il profondo sospiro della sua compagna.

- L’altra notte in Indiana. Ti ho mentito- Mulder l’ascoltò in silenzio e la strinse ancora di più contro di lui.- Tutto quello che ho detto…io…mi dispiace, Mulder, non avrei dovuto farlo. Ero furiosa.

- Non importa- rispose lui con voce cavernosa che s’immerse nel collo di lei per baciarle dolcemente l’orlo della clavicola.

- A volte ho la sensazione che sto per perdere il controllo. Che sparirò sotto l’uragano di tutto ciò che è successo- la voce di Scully sembrava panna liquida e calda, un sussurro di seta- La mia…- dubitò e s’incrinò per un secondo- scomparsa, il cancro, Emily, sono pezzi di un puzzle più grande di me, che si scontra con tutto ciò che sono. In questi anni sono successe cose che non posso negare né spiegare. Hanno finito per scuotere la mia ragione, e sento che sono persa. Tutto quello in cui ho creduto per tutta la mia vita sta precipitando e non posso controllarlo.

Mulder credette di asfissiare ricevendo delle scuse che non meritava, ma anche così gliene fu grato in silenzio. Il sollievo lo inondò quando finalmente seppe il motivo della tensione di qualche giorno prima, malgrado che l’avessero già dimenticato. La preziosa scienza di Scully e le sue regole assolute che sfumavano davanti ai suoi occhi e scappando al suo controllo. Era triste. E spaventoso. Mulder immaginò la sensazione di vertigine e l’angoscia che doveva sentire la piccola rossa. La stessa che aveva sperimentato appena un anno prima, quando gli dissero che tutto quello in cui lui credeva era una menzogna.

- Credere mi spaventa, Mulder- confessò Scully con un mormorio vitreo.

Piano, impercettibilmente, girò nelle sue braccia e l’attraversò con quei suoi enormi occhi azzurri che lo facevano andare avanti malgrado le menzogne, le perdite, la fine che li aspettava tra sei mesi o vent’anni. Senza lasciarla, Mulder inclinò la testa e appoggiò la sua fronte su quella di lei, fredda e morbida.

- Spaventa anche me- sussurrò lui chiudendo gli occhi

Ad una distanza millenaria, le stelle tremavano, tiepide, come i loro corpi.

***

Ufficio Postale L’Enfant Plaza 458
Washington D.C.
6:54 pm


La prima lettera arrivò quasi sei settimane dopo ad una casella postale concordata in precedenza. Così come si aspettava, non aveva mittente. Dentro c’era un foglio di carta verde pallido piagata in due ed una fotografia. Era scritta con inchiostro nero, in caratteri lunghi, veloci e flessuosi. Come lei.

“ Ho sempre voluto vivere vicino al mare.

Anche se incomincia a fare freddo, mi piace passeggiare sulla spiaggia: è vuota, la sabbia è fresca e l’aria sa di sale. Se chiudo gli occhi e cerco di ascoltare l’ondeggiare del mare, a volte riesco a non pensare a niente. E’ confortante, ma dura solo un momento. Dopo incomincio a pensare un’altra volta. Non posso evitarlo. Immagino che non sarò mai capace di dimenticare completamente.
Questo grande danese così bello si chiama Porthos, ed è del vicino. Credo di piacergli. No a Porthos, ma al vicino. Immagino che sia la fissazione della “ragazza nuova”. Le lezioni vanno bene. La gente è gradevole, la città bella. Ho intenzione di adattarmi meglio che posso, ma sarà difficile.
Con affetto.
H”

La fotografia mostrava una passeggiata separata dalla spiaggia brumosa da una recinzione a cui stava appoggiata Hannah, accarezzando la testa di un grande danese. Era strano vederla così informale, con jeans, stivali da montagna ed una spessa giacca di lana. Sembrava più bella del solito. E anche più piccola. Aveva gli occhi spenti ed un sorriso senza grazia di chi lo accenna per obbligo. Ricordò la sua voce sardonica, le sue risposte impertinenti, la sua eterna smorfia di lupo. La sua energia, il suo affanno di sopravvivenza. E come tutto sembrava essere rimasto sepolto sotto una montagna di macerie.
Avvolto in un cappotto e con i capelli scompigliati dalla brezza autunnale, Fox Mulder sentì un’oppressione nel petto. Tristezza. Questo era quello che trasmettevano quelle righe angolose e veloci, quel sorriso perduto di fronte al mare. E fu questo che l’invase. Una tristezza densa e languida, come il suono di velluto di un violoncello.
C’era qualcosa scritto dietro la fotografia. Un desiderio. Una speranza.

“ La prossima volta, spero di poter inviarne un’altra con un vero sorriso”

***

TRE MESI DOPO
Charlottetown in Prince Edward Island
Canada
8:06 am

Era sabato e faceva freddo. Per questo le piaceva poltrire a letto, anche se non aveva sonno. Le piaceva stare al caldo tra le coperte raggomitolata, ascoltando il silenzio della casa e della strada, solo interrotto dal suo dolce respiro ed il mormorio dell’oceano, a pochi metri dalla sua finestra.
Rimase a guardare il tetto e sentì qualcosa di strano. La camera aveva assunto un aspetto biancastro e si sollevò fino a rimanere seduta sul letto, facendo scorrere gli occhi per la stanza a cui si era abituata a poco a poco. Gli scaffali pieni di libri, ancora troppo nuovi per considerarli suoi, la sedia con i peluches ammassati che non appartenevano alla sua infanzia e che profumavano ancora di negozio, l’armadio con le porte con gli specchi che riflettevano una scrivania che le avevano portato appena da una settimana, le finestre. Girò la testa e guardò la sua scrivania, dove la notte prima aveva lasciato gli appunti di fisica e l’astuccio di legno che aveva comprato in qualche negozio d’artigianato. Osservò la finestra che stava sul tavolo. I vetri erano privi di trasparenza, ma forse la colpa era delle tende di lino bianche. Si mise in piedi e si diresse verso la finestra per aprirle. Continuavano ad essere appannati. Con il palmo della mano, bruna e flessuosa, disegnò un cerchio sul vetro freddo ed i suoi occhi si spalancarono per la sorpresa, una sorpresa che non sentiva da bambina.
Piccoli fiocchi di neve cadevano dolcemente sul giardino, coperto di un bianco manto, e sparivano più in là, verso il mare, in un alone di madreperla. Hannah sorrise e si affrettò a mettere il montgomery sul pigiama.
In calzini, passò in punta di piedi sul pianerottolo e incominciò a scendere le scale di legno, che scricchiolarono. Si fermò e sentì il russare dolce e costante che usciva da una delle porte. Continuò a scendere fino ad arrivare all’ingresso. Lì sedette su una delle poltrone mentre calzava gli stivali di gomma ed uscì nel portico. Vide divertita il vapore che usciva dalla sua bocca e cercò i guanti di lana nelle tasche del montgomery. Il giorno prima, tornando da scuola in autobus pieno di gente, aveva sentito per radio che avevano raggiunto lo 0°C. All’inizio di dicembre. La prima nevicata si era fatta attendere troppo. Prese a camminare, affondando i piedi nella neve spugnosa e lasciando indietro la magnifica casa di legno bianco e tetto d’ardesia, in cui tutti dormivano ancora.
Erano quasi tre mesi che viveva con Matt, un cugino di sua madre, e Carol sua moglie. Un giorno prima di essere dimessa dall’ospedale, un giovane di una trentina e passa anni, bruno ed affascinante, si era presentato alla sua stanza. Gli agenti Mulder e Scully avevano ottenuto che Tribunale dei Minori contattasse Matthew Evans, cugino di primo grado di Grace O’Fallon. Matthew già sapeva la notizia della morte di sua cugina, anche se non era andato al funerale, perché sua moglie Carol stava per partorire. Non era stato molto in contatto con Grace, e non sapeva che Hannah fosse minorenne. Ma, non ebbe esitazioni ad accoglierla in casa sua. Aveva appena avuto un bambino e Carol e lui avevano pensato seriamente che , se a loro fosse accaduto qualcosa, anche a loro avrebbe fatto piacere che qualcuno si fosse fatto carico del piccolo Tim.
Dopo giorni di documenti noiosi e tramiti dell’ultim’ora, Matt ed Hannah erano volati in Canadà ed avevano attraversato in macchina i quasi tre chilometri che separavano Prince Edward Island dal continente, uniti dall’interminabile Ponte della Confederazione che avevano inaugurato da pochi mesi. Charlottetown era l’unico nucleo urbano dell’isola e si estendeva sullo stretto di Northumberland. Matt aveva un suo studio fotografico e Carol era insegnante di violino all’accademia, per cui si erano potuti permettere una casa enorme in un tranquillo quartiere, fuori città, davanti ad una delle numerose spiagge dell’isola.
Hannah si stava adattando lentamente, ma poco a poco la tensione iniziale davanti all’ignoto cominciava a sparire. Matt e Carol erano persone gradevoli e molto comprensivi, per cui sapevano darle spazio. Capivano come radicalmente era cambiato il mondo di Hannah in così poco tempo, anche se conoscevano una versione molto diversa dalla realtà. La presenza di Tim aveva aiutato molto Hannah, un bel bambino, dagli enormi occhi verdi che a volte le ricordavano quelli di Mulder per la loro espressione curiosa. Le piaceva camminare con il carrozzino per la passeggiata che si estendeva all’altro lato della strada, davanti al mare. Le piaceva aiutare Caral a fargli il bagno, e a volte Matt le permetteva di dargli la pappina. Matt e Carol le avevano comprato vestiti nuovi ed avevano dipinto la stanza degli ospiti- che non lo sarebbe stata mai più- secondo il suo gusto, con mobili di faggio e pareti azzurre, l’avevano iscritta a scuola e avevano stabilito con lei una paga settimanale. Avevano anche preso accordo che per qualche tempo andasse dallo psicologo. Hannah non si era rifiutata, per lasciarli tranquilli, ma l’unica cosa di cui parlava nelle visite settimanali era della morta della madre. E quella era una piccola parte di tutto ciò che tormentava la ragazza. Non poteva parlare di suo padre, del suo abbandono, del suo impiego, della cospirazione, di Mulder e Scully, di Slava. Nessuno sapeva che la cicatrice che Hannah aveva sul lato sinistro era una ferita d’arma da fuoco, pensavano che fosse frutto del grave incidente che, secondala versione ufficiale , aveva avuto dopo la morte di Grace.
Slava.
Hannah ricordò le ultime parole che le aveva detto Mulder.” Lo troveremo, te lo giuro”. Sentì una fitta allo stomaco e si portò la mano alla cicatrice, la stessa mano che Mulder aveva accarezzato con fervore reverenziale e aveva baciato prima di accomiatarsi da lei. Ricordò sua madre, e Scully davanti alla finestra, confondendole quando si era svegliata in ospedale. Desiderò che la confusione fosse stata reale.
I fiocchi di neve cadevano su di lei, ed il freddo le impedì di mettersi a piangere.
Si appoggiò alla recinzione che circondava la proprietà. Da lì poteva vedere il mare che si estendeva all’altro lato della strada, dietro la sabbia dorata coperta di neve. Respirò profondamente disposta a non cadere nel suo inferno personale, pieno di fantasmi e timori, di una certezza orribile che si sarebbe realizzata in una data già fissata. Decise che avrebbe vissuto il momento, godendo delle piccole cose, della neve, del mare che poteva vedere dalla sua stanza, degli allegri gorgoglii di Tim.
Sentì il trillo di un passero che la nevicata aveva colto alla sprovvista e che volava frettoloso di rifugiarsi con i suoi simili nel ciliegio del giardino. Hannah lo seguì con lo sguardo e vide che cassetta postale, la qual cosa le fece aggrottare la fronte.
Qualcosa sporgeva dalla fenditura.
Si avvicinò. Vide che si trattava dall’angolo di una busta imbottita color marrone. Era molto presto perché fosse arrivato il postino, ed era sicura che quando era arrivato a casa la sera prima Matt aveva preso tutta la corrispondenza. Tirò fuori le sue chiavi da una tasca del montgomery ed aprì la cassetta. La busta non aveva mittente, né diceva a chi era diretto. Non era molto grande, appena 70x50 cm. Nemmeno pesava troppo.
L’aprì con curiosità. Ed allora sentì che il sangue si gelava.
Guardò intorno a se, cercando. La paura le nasceva alla bocca dello stomaco e le opprimeva il petto come se una mano le stesse strangolando il cuore. Quella sensazione di nuovo, crudele e insopportabile, che le solleticava la nuca e faceva sì che il suo corpo si tendesse, l’invase completamente. Lasciò cadere per terra la busta ed il suo contenuto come se le stesse bruciando le mani e si mise a correre verso casa seguita da una fila di impronte che i suoi piedi lasciavano sulla neve immacolata. Entrò chiuse la porta alle sue spalle, facendo più rumore del necessario. Su Tim incomincio a piagnucolare per essersi svegliato di colpo.
Fuori continuava a nevicare implacabilmente. I rami del ciliegio dove era andato a rifugiarsi il passero, intirizzito dal freddo, andavano a poco a poco a coprirsi di mucchietti bianchi ed informi. Le impronte di Hannah sparivano sul lato del portico ed avevano origine accanto alla cassetta postale, sotto cui c’era qualcosa abbandonato per terra, che sporgeva da un estremo aperto della busta come un macabro messaggio.
Un libro, un’edizione tascabile dalla copertina morbida su cui i fiocchi di neve si scioglievano in piccole perle pallide e spugnose.
E un titolo celebre, allo stesso tempo complice, spia e minaccioso.

“The catcher in the rye”

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