Le fanfic di X-Files

Trinità

Quando la fede è riconciliarsi con se stesso, la cura e la verità possono stare solo dentro di noi.
Autore: Irati
Pubblicata il: 24/09/2009
Tradotta da: Angelita
Rating: G, per tutti
Genere: MRS/RSM
Sommario: Quando la fede è riconciliarsi con se stesso, la cura e la verità possono stare solo dentro di noi.
Note sulla fanfic: "Trinità" si colloca a metà Redux II e ciò che racconto è assolutamente basato su una mia idea del capitolo: recuperare la fede. Nel caso di questa storia, la fede di Scully nelle cose che la salvarono. Se avete letto l'ECCELLENTE (come sempre) commento di Paula Graves sul capitolo il tono della storia vi risulterà familiare. Perché concordo al duecento per cento con la sua opinione e lei mi ha dato la chiave per capire il capitolo. Così che moralmente parte di questa storia le appartiene. Ciò che è brutto è completamente mio.

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"Tutti abbiamo fede in qualcosa", Fox Mulder, "Redux II"
"Noi due sappiamo che le risposte stanno dentro di me ed è lì da dove devo incominciare a cercarle" Dana Scully, "Memento Mori"

Ospedale Trinity
7:11 p.m.

C'è qualcosa che è uguale in tutti gli ospedali. Un certo silenzio minaccioso e igienico, un odore indefinito e costante, una presenza bianca e funebre. Da quando sua sorella si ruppe la clavicola a sei anni, Fox Mulder aveva odiato i corridoi bianchi e i medici. Quanta premonizione in quest'odio giovanile. Forse in qualche modo cosmico aveva sempre temuto il giorno infinito che alla fine era arrivato. Il giorno in cui la sua stessa vita svaniva consumata da un tumore in un letto asettico di quello stesso ospedale.
Parcheggiò la macchina di fronte all'entrata principale dell'edificio centrale. Enormi muri di mattoni, finestre sinistre, autoambulanze, vite che se ne andavano e che arrivavano. Sul portone d'entrata delle lettere bianche ed enormi lo salutarono. "Centro medico Trinidad" Gli venne in mente di guardarle e pensare a tutti quelli che l'avevano letto prima, a cosa pensarono e a ciò che accadde dopo, salvezza o disperazione? Cosa sarebbe stato questa volta?
Non voleva tornare a pensare all'udienza con Blevins. Skinner gli aveva detto che sospettava che si stava portando a termine un'operazione di pulizia. Senza tracce, senza prove, senza spie, senza luce, senza ombre. Niente. Come sempre. Per una volta, almeno, era lui che ne avrebbe tratto beneficio. Non si sarebbero fatte accuse contro di lui per la morte di Scott Ostelhoff. Che sollievo. Il suo angelo era pallido di morte, il suo passato sfumava e aveva una paura più grande di quanto potesse esprimere, ma non c'erano prove contro di lui. Il destino aveva un curioso senso dell'umorismo.
L'ascensore si aprì davanti a lui. Varie infermiere entrarono e domandarono a quale piano andasse. Vado al piano di Scully. E si meravigliò che potessero esserci altri piani, altra gente, altri inferni.
Suonò il campanello per avvisarlo che era arrivato. E come sempre all'avvicinarsi alla stanza di Scully sentì come se si stringesse lo stomaco con fitte di paura e dolore. Due giorni prima le avevano impiantato il chip nella nuca e non c'erano miglioramenti. Se la tac non rivelava nessun cambiamento... Se il chip non funzionava....
Fermò volontariamente il flusso dei pensieri e spostò la sua mente verso un avvallamento bianco senza preoccupazioni né sensazioni, come faceva ogni volta che i dubbi muovevano la sua testa oscurata per domandare "e se non ?" E se non si salva? E se la perdo? E se mi obbligano a continuare a vivere senza di lei? Naturalmente era impossibile. Non sarebbe successo e questo era tutto ciò che c'era da dire. No.
Ma e se?
No.
Scully l'avrebbe chiamata fede. Invece, per Mulder era più semplice. Non sarebbe accaduto perché non poteva accadere. Questo era tutto.
Di fronte alla porta della stanza di Scully si fermò un momento per respirare. Lo fece con dolore, come se i polmoni fossero diventati più piccoli. Un'infermiera lo guardò mentre passava e sorrise come d'abitudine. A Mulder sembrò un'intrusa, una pazza compassionevole e troppo alta. Tutti erano troppo alti, i muri, i medici con i camici bianchi e verdi, i cestini e le finestre. O forse era lui. Forse si stava veramente restringendo, forse si sarebbe svegliato un giorno e sarebbe stato un piccolo nano. Immagini contorte gli vennero alla mente, vide sè stesso come pollicino, trascinava un cece enorme e milioni di infermiere con le gambe lunghe ridevano di lui.
Sinistro.
La paura ti sta facendo impazzire, Mulder.
Qualsiasi cosa lo aspettava dietro era meglio che non sapere. Girò la maniglia ed entrò nella stanza.
La luce che entrava dalla finestra lo accecò aprendo la porta. Chiuse gli occhi per istinto e battè le palpebre per disfarsi delle nubi che non gli facevano mettere a fuoco la vista. Dopo alcuni secondi, il mondo incominciò a farsi più nitido. E il cuore gli si fermò di colpo.
Il letto era vuoto.
No.
Battè di nuovo le palpebre. Gli fischiarono le orecchie.
No.
Il letto continuava ad essere vuoto.
No.
Si guardò intorno e non vide nessuno. Il letto di Scully era vuoto.
No
No.No.No.NO.
Aveva sbagliato stanza o corridoio o piano, o ospedale. O vita. Gli tremarono le ginocchia.

"Mulder"

La sua voce di cristallo. Si girò mosso da un terrore più grande della morte e la vide, in piedi con il sua flebo, che usciva dal bagno della stanza.
Viva.
Cercò di parlare ma i suoni non sembravano trovare la strada per uscire. Le ginocchia continuavano a tremare. Scully lo guardò negli occhi, una ruga di preoccupazione in mezzo alla fronte. Lo sguardo di Mulder era panico allo stato puro. Come se lo avessero accoltellato e fosse testimone di come si stava dissanguando il suo corpo. E capì. Capì che aveva visto il letto vuoto, che per alcuni secondi aveva dovuto affrontare una realtà che stava rifiutando dal giorno in cui venne a sapere della diagnosi. Tumore rinofaringeo. Inoperabile. "Mi rifiuto di crederci" le aveva detto.
Lui. Che si rifiutava di credere.
Ma negli ultimi secondi, in qualche modo aveva creduto ed era impazzito. Per alcuni secondi.
Dio mio.
Nessuno seppe chi abbracciò chi, chi cercò, chi necessitò di più. Si abbracciarono portati da un impulso che stava più in là delle ragioni o dei ragionamenti o delle razionalizzazioni. Una corrente magnetica che li fece combaciare. Come combaciavano sempre. Il corpo piccolo, fragile, latteo di Scully. La forma lunga, felina, confortevole di Mulder. Si lasciarono vivere l'uno nell'altro, bere delle loro presenze, godere dei loro respiri disuguali. Parlare senza parlare. Essere. Esistere.

"Mulder", con in viso affondato nei vestiti di lui Scully tirò fuori la forza necessaria per parlare. C'erano cose che avevano bisogno di essere dette e ascoltate. Ora. "Mulder, il dottor Zuckerman ha fatto nuove analisi questa mattina".

Un tremito gelato scosse Mulder e le sue ossa diventarono metalliche. Si scostò dall'abbraccio per allontanarsi da Scully, per correre e non dover sentire le notizie. Perché ora sapeva con certezza folle che non avrebbe potuto sopportarle. Come non aveva potuto sopportare la visione di quel letto vuoto.

"Dovresti coricarti, Scully. Non dovresti stare in piedi. Ti aiuterò, non è bene che stia in piedi, Scully, fa freddo. Non fa freddo qui?"

Parlava precipitosamente, senza capire una parola, senza voler sentire. Lei cercò di interromperlo ma nella sua accelerazione, Mulder non poteva sentirla. La portò al letto continuando con la marea di parole e lei lasciò fare.

"Ti porto qualcosa, Scully? Alcune riviste? Qualcosa da leggere? Torno subito".

Si alzò per andar via, rifiutandosi di ascoltare qualsiasi cosa sui risultati di medici bugiardi che volevano portagliela via, finchè la sua chiamata ferma lo bloccò vicino alla porta con tre parole impossibili.

"Mulder, sto meglio"

Si fermò di botto, sentendo ancora il tremito nelle ginocchia, e lo stridere metallico delle giunture delle ossa rigide. Sto meglio. Si girò facendo uno sforzo sovrumano, senza osare credere, senza osare non credere. E s'incontrò con gli occhi azzurri, enormi, perfetti di Scully, che lottavano per controllare le lacrime, rossi per lo sforzo.

"Il dottor Zuckerman dice che non trova una spiegazione ma la massa tumorale si sta riducendo" Mulder si avivcinò con passi tremanti al letto senza distogliere lo sguardo da questi occhi pieni di verità, gli stessi occhi che l'avevano riscattato ogni giorno dall'abisso per cinque anni, curandolo, sfidandolo, avendo fiducia in lui. "Mulder, dice che il cancro sta sparendo".

Sparendo. Il suono di queste lettere miracolose colpì Fox Mulder con l'intensità di un maremoto. Le ossa si sciolsero improvvisamente e dovette sedersi sul letto per non cadere per terra. Il nodo nello stomaco cedette e si sciolse e un'ondata di sollievo lo riempì di pioggia gialla.
A pochi centimetri, Scully gli sorrideva con una luce nei suoi tratti di vaniglia fredda. Due piccoli sentieri le scivolavano per le guance e per il viso perfetto.
Mulder sorrise. Un poco. Non era abbastanza.
Si afferrò alla mano di Scully sorridendo di più e volendo credere e non potendo e sognando. Baciò le sue dita di lava e scoppiò a ridere con la forza di un'esplosione.
E improvvisamente la sua risata diventò gemiti e singhiozzi e qualcosa dentro di lui si ruppe e l'inondò e pianse. Pianse perché una volta aveva perduto una sorella. Pianse perché sempre gli strappavano la verità. Pianse perché per colpa sua la gente si ammalava e spariva e pianse perché in qualche modo si era sentito morto e ora la vita stava di fronte a lui, con il suo corpo piccolo e i suoi capelli rossi e la sua scienza luminosa, che l'abbracciava mentre piangeva per ciò che avrebbe potuto accadere e per ciò che non era accaduto.
Quando riuscì a riprendersi Scully continuava ad abbracciarlo, respirando con lui, adattandosi a lui, come una ninna nanna. Si separò da lei. Aveva bisogno di ricomparsi, di riprendersi. Si sentiva vulnerabile, esposto e infinitamente grato e pieno di domande.
Scully sapeva cosa sarebbe venuto dopo, i come, i perché, le domande. Così era Mulder, aveva sempre bisogno di sapere di più. Invece, la prima domanda di Mulder non poté sorprenderla di più.

"Lo sanno tua madre e tuo fratello?" La voce di Mulder era morbida, calma, debole, come un animaletto che fa i suoi primi passi.

"Sì, il dottor Zuckerman venne a visitarci dopo che tu sei andato all'FBI e ci dette i risultati dei tests. Bill ha portato mamma a riposare quando il dottore è riuscita a convincerla che era vero" Il fatto che tra tante domande avesse scelto voler sapere della sua famiglia era l'ultima cosa che Scully si sarebbe aspettato da Mulder e in realtà era quello che si aspettava esattamente da lui. Dall'uomo dolce che era stato accanto a lei durante la sua prova di fede. "Non sanno come è stato, Mulder, il dottor Zuckerman dice che è possibile che il suo trattamento abbia influito ma non sa cosa pensare sul chip..."

Mulder l'interruppe prendendole la mano. Sorrideva e gli ballavano gli occhi. C'era una calma nuova nella sua compagna, uno scintillio fiducioso e sereno che non poteva condividere completamente ma che ringraziava e amava. Stava rinascendo, davanti a lui, stava rinascendo.

"No, Scully. Non importa"

"Mulder, so che vuoi sapere molte cose". Con gli occhi, lui cercò di dirle che non era necessario.

"Qualsiasi cosa sia ciò che ti ha salvato, non m'importa. Stai bene, Scully. Il resto delle risposte può aspettare."

Si guardarono con un'intensità che era solo loro, che li aveva accompagnato anche nei momenti più bui.

"Di tutte le persone delle quali mi sarei aspettata di sentire queste parole, Fox Mulder, tu sei l'ultimo" Sorrise, sentendo un amore per quest'uomo che andava più in là delle parole e delle definizioni. "Mulder, ricordi quando portasti il chip e domandasti al dottor Zuckerman se era compatibile con un trattamento convenzionale?"

Lui annuì, le parole gli erano ancora pesanti.

"Quando avevo undici anni Missy ed io trovammo un cane ferito per la strada. Era un fox terrier bianco e Missy disse che sembrava Milù. Lo portammo a casa e riuscimmo a convincere mamma per farcelo tenere". A Mulder sfuggiva il significato delle sue parole ma ascoltarla gli produceva un effetto balsamico. La sua voce lo aveva curato già tante volte. Avrebbero dovuta imbottigliarla questa voce e venderla in farmacia, pensò e sorrise davanti a quest'idea improvvisa. "Lo curai per giorni, ma non migliorò. Ero solita alzarmi la notte e rimanevo a guardarlo come se questo potesse consolarlo". Mulder era sicuro che poteva, lui stesso era stato al posto del cane ferito. "Lo portammo dal veterinario e disse che aveva un'infezione ai polmoni, che si era estesa troppo e che non c'era niente da fare. Pregai perché guarisse, Mulder, pregai e pregai ma continuò a peggiorare e finalmente Acab disse che era meglio che non continuasse a soffrire".

La voce le si spezzò in un nodo nella gola. Respirò profondamente e continuò a parlare. Le dita di Mulder l'accarezzavano con devozione.

"Niente più fu lo stesso. Mi riferisco alla fede. Continuai ad andare a messa ad essere una brava ragazza cattolica, ma non era lo stesso, Mulder. Mai. Con il tempo mi sono allontanata dalla chiesa. Non è che smettessi di credere in Dio ma lo allontanai da me perché faceva male, sai?" Mulder si ricordò di padre McCue che entrava in quella stessa stanza, qualche ora prima. Così che era questo. Fede. "Ma senza rendermene conto ho sostituito il vuoto che aveva lasciato questa fede, l'ho riempito con la scienza, Mulder. L'ho abbracciata come una nuova fede che avrebbe potuto rispondere a tutto".

E lui gliel'aveva tolta. Con le domande egoiste e i dubbi e le sfide le aveva tolto la sua scienza. Un sentimento familiare di colpa si rivoltò dentro Mulder e si odiò per un momento, mortificato.

"Ma non mi sentivo in pace, Mulder. Non riuscivo a conciliare queste due verità" Rimase zitta. La sua mano batteva tiepida sotto le dita di Mulder. "E negli XFiles quello che sembrava verità incominciò a vacillare..."

"Mi dispiace, Scully, è colpa mia. Ho sempre chiesto di credere senza pensare a ciò che significava per te..."

Con il dito Scully gli sfiorò le labbra. Silenzio, gli chiese. Lasciami avvicinare alla verità.

"Non credo che mi abbia salvato il trattamento, o chip, che sia extraterrestre o meno, o pregare"

E nei suoi occhi Mulder lo capì. Ti salvò tutto, pensò.

"Quando domandasti se i due trattamenti erano compatibili mi misi a pensare. Ho trascorso la vita cercando di decidermi e questo mi stava dividendo in due e ho pensato che forse non c'è da decidere, che tutto è verità in modi diversi. Credo che sia stata la fede che mi ha salvato, Mulder".

Ti amo. Pensò lui. Non so da quando ma so solo che c'è stata un epoca che pensai che le verità del passato mi avrebbero reso libero ma mi sbagliavo. Non so del mio passato, so solo che in questo viaggio, con te, ci sono altre verità che sono più importanti, che stanno più dentro e sono più semplici. Non verità che si presentano in un ristorante a mezza notte con una storia straordinaria, ma verità che guariscono in un letto d'ospedale a forza di fede.

"Ho avuto bisogno di tutta la fede che avevo, Mulder. La mia fede in Dio" la sua voce suonava chiara, cristallina. Lui la guardò.

"La mia fede nella scienza" le splendevano gli occhi. Si guardarono. E con la sua presenza intensa, devota Scully pronunciò parole liberatrici. "E la mia fede in te."

Lì stava. L'unica donna al mondo capace di annodargli lo stomaco con una sola frase. L'unica che aveva fiducia in lui. L'unica che possedeva le armi per distruggerlo e invece, le usava per renderlo felice.

"Sempre, Mulder".

Se qualcosa aveva appreso Dana Scully da tanto dolore e tanta paura, era che qualsiasi fosse la verità, chiunque fosse lei stessa, l'uomo dagli occhi piccoli che tratteneva le lacrime sul suo letto, era parte di lei. Per anni aveva sfidato tutte le fondamenta della sua identità, mettendola in discussione, e invece, nella sua ora più buia, le aveva dato la chiave della sua stessa vita.
Forza. Determinazione. Passione.
Fede.
Tenendosi per mano, uno vicino all'altro si sentirono come i pezzi di un rompicapo infinito che solo ora incominciavano a capire. Passione e intuizione. Ragione e metodo. Due dolori, due timori, due vite. Un destino.
Si avvicinarono con gesto istintivo. Seduti sul letto, si baciarono leggermente, uno sfiorarsi di labbra come promessa di un futuro, ora che lo avevano di nuovo. Un bacio tentatore, quasi furtivo che non si poteva spiegare ma solo condividere.
Se esisteva qualcosa remotamente simile al destino, questo ne era parte. Fox Mulder lo capì con certezza.
Abbracciata a lui, la sua vita respirava ritmicamente, incandescente, infrangibile, infinita. Al suo collo una piccola croce dorata brillava ad ogni respiro.
****

Era quasi notte quando Mulder tornò ad attraversare la porta principale dell'ospedale. Margaret Scully era rimasta con la figlia nella stanza, vegliando il suo sonno ristoratore. C'era qualcosa in questa donna coraggiosa che faceva sì che Mulder si sentisse come il bambino che era stato Prima. Prima di questa notte.
Prima e Dopo. Così era stata la sua vita fino ad allora. Prima che gli portassero via Samantha. Dopo. Prima di Scully. Dopo. Prima del cancro. Dopo. E ora. Prima della cura. Dopo.
Dopo. Per la prima volta avvertì una certa speranza a sentire questa parola sinistra. Dopo.
La brezza della notte lo ricevette con un miscuglio di calore e frescura. Poche stelle strizzavano l'occhio dalla loro altezza. Anche loro lo sapevano.

"Sta sparendo".

C'era tanto da fare. Tutte le domande continuavano a stare lì, ossessive, cacciatrici. Samantha, il fumatore, la verità. Tutto diverso, tutto uguale.
O forse no. Forse, qualcosa era cambiato. Forse il bambino di dodici anni che stava in qualche posto dentro Mulder aveva fatto un passo in questi giorni. Un passo verso la riconciliazione, verso la ragione, verso la luce, verso Scully. La sua scienza, la sua verità, il suo futuro.
Entrò in macchina. Odorava di chiuso e abbassò il finestrino. Accese le luci e vide che non c'era nessuno nel parcheggio. Due luci fluorescenti illuminarono la facciata dell'ospedale, come fari nella notte. Le lettere bianche che ore prima gli erano apparse vuote e minacciose si illuminarono davanti a Fox Mulder. "Centro medico Trinità"

"La mia fede in Dio, la mia fede nella scienza"

Mise in moto, con l'eco delle parole di Scully che gli risuonavano ancora in testa, una melodia cordiale, affettuosa. "E la mia fede in te". Trinità, pensò E sorrise.

Di fronte a lui, la notte lo salutò, familiare, incerta, piena di domande e speranze.

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