Le fanfic di X-Files

Deviazione e passeggiata davanti al mare

Essenzialmente Memento mori
Autore: Rain
Pubblicata il: 29/09/2009
Tradotta da: Angelita
Rating: R, una via di mezzo tra il PG-13 e NC-17
Genere: UST, ANGST
Sommario: Essenzialmente Memento mori
Note sulla fanfic:

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Parte I

I have my freedom but I don’t have much time
Faith has been broken, tears must be cried
Let’s do some living after we die

Wild horses, Rolling Stones

"Non berrai con una ragazza che hai immaginato nuda; qualsiasi cosa accade ti rammaricherai d’aver bevuto" era una delle molteplici stupide leggi che Fox Mulder aveva da giovane. C’era anche la tanto usata ed abusata "Non fare sesso con un’amica o una compagna di lavoro".

La maturità non aveva fatto sì che le sue norme, leggi e promesse fossero meno stupide ma si erano ridotte di numero considerevolmente. Quanto più andava avanti nella vita tanto più era cosciente che poche regole erano suscettibili o degne di essere mantenute per principio.

Senz’altro nessuna che si potesse enunciare in una sola frase lo era.

In ogni modo, era un fatto provato che Mulder aveva sempre considerato le leggi fatte per essere infrante.

Forse erano anni che non pensava a quelle frasi ma quella notte le ricordò e rise dentro di se, forse perché aveva un bicchiere di rum tra le mani, un leggero calore tra le gambe, un paio di preservativi nel taschino ed un’amica e compagna di lavoro che aveva immaginato un paio di volte nuda (nelle ultime ore) seduta all’altro lato del tavolo.

In realtà già sapeva che non sarebbe accaduto. Lei aveva lasciato intendere chiaramente che non era questo quello di cui aveva bisogno. Ma aveva paura, un poco, che uno dei due o anche tutti e due smettessero d’avere piede in quel mare di vicinanza, vite private e sguardi sostenuti in cui andavano nuotando tutto il giorno, perché una cosa era un momento durante un caso o una sera di sabato di tanto in tanto ed un’altra un giorno intero con una notte intera e la promessa delle 48 ore successive.

Lo preoccupava che ogni volta stavano più lontani dalla riva, dal mondo reale, dalla comodità e dall’abitudine di essere Mulder e Scully, agenti e compagni. Ogni volta erano più loro, lui e lei, due esseri umani, due amici, due persone che si sentivano unite da troppe cose. E ad entrambi stava piacendo troppo.

E rimaneva parecchia notte davanti a loro.

Rimaneva molto fine settimana.

C’era troppo a cui pensare, o solo ad una cosa, precisamente alla causa per cui erano in quella situazione.

Probabilmente la causa per cui lei stava da vari minuti con lo sguardo perso nel fondo del bicchiere mentre lo agitava rimescolando il ghiaccio

- Ci stai pensando?- le domandò. Si sentiva di nuovo colpevole per tutto ciò che c’era sotto la sua cintola.

Quella donna era incredibilmente resistente all’alcool. Quella donna sembrava resistente a tutto. Ma quella donna era solo una donna…Una donna che si sentiva sola e piccola contro qualcosa contro cui non poteva lottare, una donna spaventata, con un motivo per esserlo, un donna che aveva bisogno di qualcuno a cui appoggiarsi… forse era così forte che non ne aveva bisogno ma anche se fosse stato così lo meritava, doveva averlo.

Era solo una donna che sarebbe morta molto presto.

L’eccitazione cessò repentinamente ma non se ne rese nemmeno conto. Era perso di nuovo nei suoi occhi. In realtà non gli era mai sembrata una donna particolarmente attraente, si poteva dire che aveva una donna ideale, distava molto dall’essere come lei, cazzo!, aveva quegli occhi! Quel modo di guardarti, questi milioni di modi di guardarti.

- Sì, immagino che ci sto sempre pensando, in un modo o nell’altro

C’era qualcosa di graffiante nel tono. Di nuovo seppe che le stava facendo del male. Sostenne il suo sguardo. Quella domanda non aspettava risposta.

Aspettò che lei continuasse:

- Mulder, quando hai fatto questa stupidaggine questa mattina, sai, mi è venuto in mente che potevi farlo solo per due motivi: per farmi pensare o per fare in modo che io non ci pensassi. Ed ho desiderato che fosse per il secondo.

Lui sorrise con tristezza e scosse la testa. Scully sentì una certa pena: in fin dei conti stava lì per lei e gliene era grata, ma non pensava di permettergli di far crollare le dighe che aveva costruito per arginare il dolore solo perché aveva pensato che doveva parlare. Non aveva bisogno di parlarne. Aveva bisogno che non esistesse e questo era impossibile. Così che restava solo volere: voleva dimenticarlo.

Gli riempì il bicchiere pieno a metà del contenuto del suo. Lui ancora annuiva con lo stesso sorriso triste, accettando che il piano era dimenticare. Lo guardò fisso in silenzio, e alzò il bicchiere. Sapeva quello che voleva dire, voleva dire "Per te" ma non sapeva quali fossero le parole.

- Per i buoni amici.

Suonò strano alle sue stesse orecchie, troppo basso, troppo rauco, le parole molto staccate. Vero, onesto, ma strano. Ed incompleto.

Lui sollevò il bicchiere e brindò:

- Per la migliore.

---

Alcune ore prima Scully aveva lo sguardo perso al di là del finestrino. Il caso era risolto. Non era stato un rapimento alieno e nemmeno un sequestro, le luci e le voci parevano che ci fossero state solo nella mente sconvolta di una madre che aveva bisogno di qualcosa in cui credere per non credere che il figlio era stato semplicemente irretito da una setta senza che i suoi familiari se ne rendessero conto finchè era sparito di casa. Ora era morto. Suicidio collettivo, 20 persone ricoverate in ospedale, 10 lievi, 7 gravi, 3 molto gravi, 3 morti. Era uno di quei tre morti. I tre più giovani: minore massa corporea, maggior effetto della droga. Un arresto. Non erano arrivati a tempo e, forse, avevano evitato 20 morti, forse qualcuna in meno a secondo dell’evoluzione che avrebbero preso le cose.

Ingiusta, crudele, assurda, vile, perversa, contorta, inutile... In quel momento le venivano in mente molti aggettivi per definire la vita e nessuno era positivo. Si sforzò per sfuggire all’acuta sensazione di dolore che il caso gli aveva lasciato in seno. Lei non era solita implicarsi troppo nei casi, era abituata. A volte aveva nausea di se stessa al pensarlo ma la verità era che era abituata. Ma erano passate solo alcune ore e c’era dell’altro. La ferita aperta non era il caso, la ferita aperta era una ferita chiusa, infetta, incancrenita.

Concentrò la vista sul paesaggio cercando di allontanare l’idea dalla sua mente anche solo per un istante. Viaggiavano su una strada vicino all’oceano. "Pacifico", si ripeté questa parola continuamente mentre l’orizzonte blu sul blu appariva e spariva dal finestrino. Desiderò fondersi con esso, fu un’immagine, una sensazione; qualcosa usciva dal suo corpo e saltava fino all’oceano, e s’immergeva in esso, nella pace, nel blu, nell’acqua, nel sale. Nella vita. Nella morte.

Sparire è un’idea tentatrice finchè non incomincia ad essere possibile, allora smette di essere almeno desiderabile.

- Scully.

L’aveva detto così basso che dubitò perfino d’averlo sentito. Si girò verso di lui.

- Sì?- si sforzò di fingere un sorriso, senza gran successo a dire il vero.

- Sei qui? - di nuovo a bassa voce. Ultimamente lo faceva spesso. Domandava cose incoerenti a bassa voce. Sapeva il perché. Le dava fastidio, le piaceva, la commuoveva.

- No, stavo lì - rispose indicando l’oceano con un sorriso ora onesto e di conseguenza triste.- È così…immenso che…può contenere tutto.

"Le parole sono strane" pensò lui, "strane, lontane, estranee. Rinofaringeo, inoperabile, cervello, cancro, 0%, tumore…morire, morte, morta."

"Se le tenebra mi hanno ingoiato quando leggerai questo non devi pensare che forse avresti potuto fare qualcosa". Le parole. Le parole in quel quaderno. Scully che parlava. Scully che diceva. Ma solo lì, solo per lei, solo per non essere ascoltata. Il quaderno era diretto a lui e invece lamentava che lui l’avesse letto. Si era chiusa in se stessa. Non aveva nemmeno fiducia, nemmeno lontanamente fiducia, che gli dicesse la verità rispetto all’evoluzione della malattia. Si stava isolando, stavo passando il peggior momento della sua vita e non permetteva che nessuno si avvicinasse. L’aveva permesso solo a lui, in quell’ospedale, in quell’abbraccio, in quel bacio. Il quaderno era diretto a lui. Aveva chiamato solo lui in quel primo momento

E lui doveva star facendo qualcosa di molto molto brutto, perché decisamente non riusciva a farle intendere che non doveva stare sola, che non doveva tacere, non doveva evitare di piangere, che non doveva proteggere tutti e due isolandosi, che aveva delle braccia in cui rifugiarsi in qualsiasi momento; le sue per esempio. Sì, senz’altro che doveva pensare che poteva fare qualcosa. Come aveva detto Melissa durante quel terribile coma, forse non le avrebbe salvato la sua vita, forse non avrebbe trovato la verità sulla sua malattia, forse solo sentire, farle sentire di essere in compagnia, amata.

Uno 0% aveva fatto sì che il suo mondo cambiasse quasi del 100%. Le priorità, i desideri, il futuro.

Le tenebre l’avrebbero ingoiata. E lei voleva affondare nell’oceano.

La morte. La vita.

Aveva chiamato solo lui. Fare qualcosa.

Prese la deviazione, senza sapere ancora cosa cercava di fare. Lei non se ne rese conto. Aveva detto che pensava di riposare nel fine settimana. Poteva vedere come: in casa, sola, lei ed il tumore rinofaringeo come unica compagnia.

Forse non era la migliore compagnia che avrebbe avuto, ma sapeva che aveva fiducia in lui ed era lui che se ne doveva occupare, non come investigatore, non nel modo in cui aveva tentato all’inizio, ma come persona, come qualcuno che lei sentiva vicino. In alcuni momenti è importante rendersi conto che non è il momento di sottovalutarsi. Lei lo aveva scelto.

E l’avrebbe avuto.

Si fermò sulla sabbia e la guardò. Non aveva distolto lo sguardo dal finestrino, dall’oceano, cercava di non piangere, fino a quel momento con successo.

Sapeva che la stava guardando, aspettando, cosa?

- La domanda è quella di sempre, Mulder: che ci facciamo qui?

- Non ci crederai ma c’è chi dice che in questa spiaggia si sono viste montagne fatte da un granello di sabbia.

L’assurdo della risposta fece sì che lo guardasse, non poté evitarlo. Si rammaricò: ora aveva visto i suoi occhi pieni di lacrime. Questo avrebbe reso tutto più difficile.

- Hai ragione su una cosa: non ci crederò- Abbassò lo sguardo. Voleva piangere, voleva piangere ora, ma sola. Senza che lui la guardasse con quella maledetta faccia di "povera Scully"- Perderemo l’aereo, te ne rendi conto?

- Se andiamo via subito arriveremo in tempo. Decidi tu.

Tre giorni, fino a lunedì, poteva essere anche di più, Skinner non avrebbe detto niente. Non sapeva cosa pretendeva, cosa voleva, che avrebbero fatto. Sapeva solo che Scully adorava l’oceano e che stavano lontani da casa e che lì faceva caldo, lì sembrava primavera, di fatti sembrava quasi estate E alcuni minuti prima Scully si era avvicinata a sorridere, e quest’oceano sembrava la causa.

Continuava ad osservarla mentre lei guardava le sue scarpe. Erano chiuse, scure, avevano un tacco alto, erano nuove e la stavano uccidendo.

- No, ormai non arriveremmo più a tempo.

Se le tolse ed apri la porta della macchina. Sentì la sabbia, calda al primo contatto, fresca quasi umida ad immergere il piede. Camminò fino alla riva, lasciando scappare le lacrime: sapeva che non l’avrebbe seguita fino a che non fossero passati alcuni minuti. Sarebbe rimasto in macchina, guardandola, ammirandola e compatendola.

L’uomo che credeva quasi a tutto non era capace di credere che lei sarebbe morta. "Maledetto cretino" sussurrò, e le sue due lacrime si trasformarono in un torrente.

"Ha i pantaloni bagnati fino alle ginocchia" fu quello che pensò mentre si avvicinava a lei da dentro. Gli sembrò scioccante questa trascuratezza, questa negligenza. Aveva aspettato un quarto d’ora, si era trattenuto per un quarto d’ora. La marea stava salendo e le onde le gorgogliavano intorno ai piedi. Sembrava non esserne cosciente. Sentì un intenso desiderio di abbracciarla, di baciarle la spalla, sussurrarle "Sono qui", come se questo significasse qualcosa; così che rimase in piedi ad un paio di metri di distanza ed aspettò che lei parlasse.

Improvvisamente si girò, con uno sguardo carico di rabbia.

- Non ci riuscirai, Mulder.

Bene, qualcuno su quella spiaggia sapeva ciò che Mulder pretendeva e perfino che non ci sarebbe riuscito. Era un passo avanti, perché lui era solo capace di intuire il secondo.

- Cosa? - domandò non senza una certa curiosità.

- Quello che pretendi - sembrava furiosa, ma la cosa divertente era che sembrava furiosa con se stessa per non poter fingere di esserlo - So molto bene cosa pretendi.

- E cosa si suppone che sia?

- Che mi apra, che esprima i miei sentimenti come in un maledetto gruppo d’appoggio. Cosa vuoi? Che dica "Salve sono Dana Scully e sto per morire?"

No, non era questo che lui voleva, questo già l’aveva ottenuto. Anche se in verità era suonato come un "salve, sono Dana Scully, dottore in medicina ed informo che l’agente Scully ha un tumore inoperabile". Sì, lo preoccupava come lo stava prendendo. Era più che preoccupante.

- Che non ne parli non significa che non lo accetti, Mulder. Lo accetto, lo faccio mio, sto bene. Non ho bisogno di…. sedute di terapia.

Aveva il trucco un poco sciolto per le lacrime, le palpebre leggermente gonfie, occhiaie, ed un doloroso gesto di disperazione. Guardò di nuovo la parte inferiore dei pantaloni, scuriti dall’acqua, con piccole tracce di sabbia e alghe. Non l’aveva mai vista così perduta. Si sedette sulla sabbia di fronte all’oceano. Soffiava una legger brezza carica di sale.

- Ho solo pensato che ti piace il mare.

Forse perché sembrava stupidamente vero. E lei doveva essere molto stupida perché le risultava logico. Si avvicinò e sedette accanto a lui. Era ancora arrabbiata, arrabbiata come prima, solo che gli costava sempre più crederci.

- A volte sembri mezzo scemo, Mulder - disse mordendosi un sorriso.

Lui rise e la colpì dolcemente sulla spalla. Sembrava che, ebbene sì, stava facendo qualcosa.

- Ma non sono l’unico.

- No, non sei l’unico.

***

"A volte il sesso è terribilmente ridicolo" pensò "A volte il sesso è circondato da cose ridicole come rallegrarti di portare jeans, guardare una macchina dipinta con oscenità mentre ti domandi com’è possibile che ti proponi di utilizzarla o smettere di ballare con la una stupida scusa perché non dovresti star sentendo quello che stai sentendo, come se "dovere" e "sentire" fossero parole che si potessero combinare in una frase con un senso"

Non capiva completamente com’era finito con la schiena contro il muro del bagno, leggermente eccitato, a guardare la macchina dei preservativi ed aspettando di calmarsi, mentre si domandava se voleva o no andare a letto con Scully, se quella cosa avesse un senso, se lo trasformava nel più grande porco del mondo o solo nel più grande imbecille, come poteva pensarci date le circostanze, che cosa avrebbe pensato lei se lo avesse saputo, se lo avesse visto lì. L’unica cosa che aveva molto chiara era che risultava ridicolo.

Avevano incominciato a ballare, più per ridere un poco che per altro. Lui aveva scommesso che non avrebbe resistito a ballare "Hunt dog" completa ma era risultato che Scully sapeva ballare il rock molto bene. In effetti si poteva dire che se la licenziavano dall’FBI, avrebbe potuto guadagnarsi da vivere a Las Vegas imitando Elvis: aveva un movimento di fianchi più che interessante, e decisamente esilarante quando lo esagerava.

Poi era suonata un’altra canzone, e poi un’altra. Non c’era un giradischi, ma solo un tipo che dall’aspetto sembrava essere il padrone e che sapeva molto bene quale era la buona e la cattiva musica. Non era capace di fare in modo che le canzoni cambiassero ma aveva gusto nello sceglierle. " he way you look tonight" era stata possibile, troppo dolce e morbida per costituire un pericolo, lenta, era come una abbraccio con una scusa. La scusa era stata la benvenuta. "Haven", eccessiva per avere implicazioni, quasi divertente, altra buona scusa. Poi aveva perso il conto: era quello che significava aver bevuto un poco, o forse era quello che significava Scully: si stava troppo bene abbracciandola, scusate, ballando con lei per avere il tempo di pensare. Allora erano arrivate "Angie" e "Wild horses", quando già stavano troppo vicini, dondolandosi un poco addormentati per l’alcool. Ad un certo punto Scully aveva respirato profondamente, in una specie di sospiro, sfiorandogli il petto mentre faceva scivolare la mano sulla sua spalla per sistemarsi meglio. Allora accadde. Non molto, di fatti credeva persino che lei non se ne fosse accorta.

Lamentava che fosse successo ma non era questa la ragione per cui continuava a stare appoggiato contro il muro quando già era passato. In realtà non gli dava troppa importanza, nemmeno credeva che lo avesse fatto lei. Quello che lo inchiodava a quel muro era fino a che punto quello poteva non essere stata una semplice reazione fisica. O, forse, fingere che continuava a domandarselo quando lo sapeva perfettamente.

C’erano due cose che Mulder non aveva fatto dalla maggior età: evitare il contatto fisico con qualcuno che gli piaceva e negare un sentimento sessuale davanti a sè stesso. Ma con Scully era solito venir meno nel secondo, in diverse occasioni si era fermato a pensarci e aveva deciso che se lo stava negando. Probabilmente perché c’erano troppi sentimenti che aveva incontrato intorno a lei, probabilmente perché l’attrazione si perdeva tra essi, probabilmente perché non sopportava di perdere la vicinanza che avevano come conseguenza di dover evitare il desiderio.

Si lavò il viso per snebbiarsi un poco e tornò ad appoggiarsi contro il muro mentre si asciugava, di nuovo davanti alla macchina. Disegnini di frutta accanto ai pulsanti. "A Scully piacciono le fragole" pensò improvvisamente.

La ricordò un paio di settimane prima seduta nella macchina davanti ad una borsa di fragole. Erano le prime della stagione e gli aveva fatto fare quattro giri intorno all’isolato fino a trovare un parcheggio per poter entrare in quel negozio di frutta che le reclamizzava sulla lavagna. Aveva bucato la borsa e lavate sotto una fontana vicina. Rare volte Dana Scully si comportava come una ragazzina capricciosa. Forse se l’avesse fatto più spesso non sarebbe risultata così…interessante.

- Ne vuoi Mulder?

In realtà ne voleva, ma sapeva che non le avrebbe godute tanto come lei; non gliene voleva togliere nemmeno una.

- Non hanno un sapore acido, così senza panna né niente? - le aveva domandato solo per evitare di pensare a ciò che gli stava provocando vedere come si succhiava le dita troppo letteralmente.

- Quello che mi piace delle fragole è il sapore di fragole - gli rispose stingendosi nelle spalle, troppo felice per pensare.

Tornò ad eccitarsi, ma non aveva niente a che vedere con i preservativi al sapore di fragola, ma con l’idea di baciare Scully, in quella stessa macchina a noleggio, con la bocca piena di fragole acide, fragole con il sapore di fragole.

Un uomo entrò nel bagno, fece un gesto di saluto con la testa a cui Mulder rispose nello stesso modo, mentre si metteva le mani nelle tasche.

Lo guardò attraverso lo specchio mentre si lavava.

- Stai bene, amico?

- Si, ho solo un poco di vertigini.

- Un bicchiere d’acqua per ogni bicchiere d’alcool - disse quel tipo sorridendo.

Sembrava tremendamente allegro. Probabilmente lui non aveva dubbi su come sarebbe andata a finire la sua serata e nemmeno se ne preoccupava.

- Questo è per i postumi di una sbornia - rispose Mulder pensando che tutto quello era ridicolo, molto ridicolo.

Il tizio annuì con un sorriso spensierato.

- Mi aspettano - disse uscendo dal bagno.

Anche lui lo aspettavano. Fece un paio di passi e mise le monete.

Semplicemente lo fece, non ci pensò. Schiacciò il primo pulsante: senza sapore né striature…"e senza molta speranza" mormorò.

Ripercorse lo spazio tra il bagno ed il tavolo dove l’aspettava Scully a grandi falcate mentre la guardava. La colpa era di lei, si disse evitando un sorriso; per aver voluto ballare, il fatto che lui gliel’avesse proposto non era una scusante; per avergli appoggiato la testa sul petto ed aver avvicinato il bacino al suo, il fatto che lui le avesse fatto pressioni sulla schiena non era una scusante; e perché un medico dovrebbe sapere dove vanno a finire tutti i nervi che nascono dalla colonna vertebrale di un uomo e, di conseguenza, non deve nemmeno sfiorarlo.

Sentì una puntura allo stomaco per ognuno di questi ricordi, gli vennero meno le ginocchia.

Stava desiderando Scully.

Aveva comprato preservativi pensando a Scully.

Si era eccitato tra le braccia di Scully.

Lei lo sapeva.

Non aveva idea se lei lo desiderava, se lo desiderava realmente, includendo la mattina seguente, il lunedì seguente e tutti i seguenti seguenti.

Non era così sicuro che lei non lo desiderasse.

Forse c’erano dei motivi per cui tutto stava succedendo in quei momenti e, se era così, era lui che doveva mantenere la testa fredda.

Era, decisamente, perso.

Quando si sedette lei lo capì. Per 15 minuti d’orologio si era domandata se quella breve separazione poco prima che finisse la canzone e la successiva fuga nel bagno, abbastanza degna malgrado le circostanze, quanto era appena successo si doveva ad una questione puramente fisiologica dovuta allo sfioramento o qualche altra cosa. Il tempo ed il viso di Mulder dicevano a qualche altra cosa. Pensò che gli avrebbe reso le cose più facili se avesse domandato:

- Stai bene Mulder? Vuoi che andiamo via?

Cercò di sembrare neutra, cercò di mostrare che non l’aveva notato, che considerava i quindici minuti nel bagno dovuti ad un’altra causa. Era ovvio che l’aveva notato ma se lui la vedeva tranquilla (che non lo fosse in realtà non aveva importanza) anche lui si sarebbe tranquillizzato.

- Sì, sto bene, sono stato a parlare con uno. E no, no se tu non vuoi.

Bene, aveva funzionato. Era solo un’erezione non la fine del mondo.

- La cameriera ha sentito la tua mancanza - disse con un sorriso malizioso - Credo che l’abbia offesa sommamente che ordinassi per te togliendole il piacere di servirti. Reitero che hai possibilità.

Mulder sorrise. Scully a volte era meravigliosa. Trovava sempre le parole. Era così capace di salvarlo da una situazione imbarazzante di fronte a Skinner come davanti a lei.

- Quanti ti sono venuti intorno durante la mia assenza perché vuoi liberarti di me così sfacciatamente?

Lei lo guardò, "É Mulder" pensò, "semplicemente è Mulder. Mulder che vuole rimanere con me, accanto a me". Pensò che forse doveva preoccuparle il sesso, quella notte non era diversa, era uguale a sempre ma le coordinate spazio-tempo li stavano influenzando: stavano molto lontani da casa, non c’era lavoro in mezzo e per qualche strano modo il fatto che avrebbero passato il fine settimana insieme, perché sì, senza scuse, per divertirsi o qualcosa di simile. I muri stavano cadendo o, semplicemente, si stava dimostrando che non erano mai esistiti. Non voleva pensare se desiderava o no andare a letto con lui. Quella era sempre stata una domanda difficile a cui rispondere, suonava a domanda con il trucco e non aveva ancora scoperto qual’era il trucco. Ma non voleva pensarci, non quella notte, quella notte voleva Mulder che parlava, che rideva, che l’ascoltava, che era presente, essendo… essendo semplicemente Mulder, quello di sempre.

- Non è quello che voglio. Non ha importanza chi possa venire o no, non so. A volte l’unica cosa che si desidera è parlare… con qualcuno con cui si possa parlare senza giochi stupidi, sai? Qualcuno disposto a perdere la maledetta partita dei Knicks per cui in realtà entrambi sappiamo che non aveva i biglietti per quanto lo giuri. In ogni modo non ha nemmeno tanta importanza: perderanno.

- Ritira quello che hai detto.

- Perderanno.

Al diavolo i preservativi, leccare il tatuaggio, bere dalla sua bocca, le fragole, farlo nel mare, il modo in cui avrebbe buttato indietro la testa nell’avere un orgasmo, quelle labbra che succhiano le sue dita, sentirla gemere mentre la baciava… Al diavolo tutto: Scully voleva un amico e Scully avrebbe avuto un amico. Sentiva molte cose verso di lei su cui aveva dubbi… ma ce n’era una su cui non dubitava assolutamente. Era sicuro che l’amava, che era sua amica, forse la migliore che avesse mai avuto.

Sollevò il bicchiere piano sostenendo lo sguardo di lei nel quale si leggeva una profonda fiducia che non sapeva come aveva conquistato.

- Al diavolo i Knicks, Scully.

***

Quando uscirono dal bar cadeva una pioggia leggera e profumava di mare. Il motel stava ad una ventina di minuti da lì, all’altro lato del lungo viale che attraversava il paese.

- Probabilmente possiamo arrivare quasi senza bagnarci se andiamo di portone in portone.

Quando si girò per guardarla lei già stava alcuni passi distante, sotto la pioggia, alle sue spalle, guardando il cielo. Sentì un brivido. Sentì desiderio ma non si preoccupò più se era sessuale; era solo insopportabile.

Era insopportabile l’idea che sarebbe morta, insopportabile vederla così viva, insopportabile non poter fare niente, insopportabile pensare a tutto quello che non avrebbero mai fatto, insopportabile che i minuti fossero contati, insopportabile che non potesse arrivare a conoscerla tanto come voleva, insopportabile non avere la forza, la fiducia in cosa fosse la cosa giusta, le parole, per dirle quello che sentiva, o anche solo quello che pensava.

Allungò la mano verso di lui senza nemmeno guardarlo. La prese sul punto di mettersi a piangere per l’impotenza e lei lo tirò avvicinandolo. Si avvicinò ancora di più e le passò un braccio intorno alla vita.

-Grazie per…questo, Mulder.

Camminarono lentamente verso il motel. Era gradevole passeggiare all’aria aperta, la notte era calda e la pioggia troppo leggera per risultare fastidiosa, si sentiva l’odore di erba tagliata e fiori notturni.

Non dissero una parola durante il tragitto. Tutte le parole sembravano poco appropriate per essere la prima volta dopo quel momento, quel piccolo leggero, semplice abbraccio aveva detto qualcosa di difficile da superare.

All’arrivo al motel, si fermarono sulla porta della stanza di Scully, la più vicina all’entrata e si guardarono negli occhi, per la prima volta da quando erano usciti dal bar.

Allora successe.

Nessuno dei due avrebbe mai saputo chi di loro aveva realizzato il primo movimento. Nessuno dei due era cosciente di essersi mosso. Semplicemente stavano abbracciati, fortemente abbracciati. Ad un certo punto Mulder fu capace di avere un pensiero coerente e fu che la forza era eccessiva, che le stava facendo male, così che allentò leggermente le braccia.

- Non lasciarmi - sussurrò lei.

- Non ti lascerò. Non pensavo di lasciarti andare.

La strinse di nuovo con la stessa intensità. Quelle parole l’avevano attraversato in un brivido: non l’avrebbe mai lasciata. Forse tutto ciò che non sapeva o non poteva o non doveva dire era chiaro così. Non poteva immaginare niente di meglio da fare.

Lei stava tremando. Non sapeva da quando, non era cosciente che anche lui tremava, né d’aver freddo, i suoi vestiti erano bagnati e la leggera brezza era diventata vento.

- Andiamo dentro, Scully.

Per un istante lo guardò come se non avesse capito, ma immediatamente tirò fuori la chiave ed aprì la porta. Entrarono, si abbracciarono di nuovo e chiusero la porta in un solo gesto. Di nuovo il resto del mondo sparì, il passare del tempo sparì. Esistevano solo loro nella penombra di quella stanza immersi in qualcosa che era più forte di loro e li trascinava uniti, prevedendo una caduta che sembrava imminente e senza vedere dove portava, quale sarebbe stato il fondo su cui sarebbero finiti. Solo i loro corpi, solo l’altro tra le braccia, l’alito umido e caldo sopra al petto che respirava con ansia, il tremito delle mani che si muovevano ancora per la schiena (di nuovo nessuno dei due era cosciente d’aver fatto il primo passo), ancora rasentando i limiti: no al di sopra del collo, non sul davanti dei fianchi, non sotto la vita, mai sotto i vestiti. Ma ad un certo punto Scully ruppe quest’ultimi limiti, quasi tutti insieme. Lo fece molto pieno, con dolcezza, solo un poco, ad un certo punto si fermò perfino, ma lo fece. Questo provocò che la pressione che andava e veniva chissà da quando si mantenesse, costante, ormai senza via di fuga, e questo le dette l’impulso per affondare ancora di più le mani.

E lui gemette, non poté evitarlo, e decise che era chiaro da quale lato dei limiti stavano, così che le prese le braccia e se le portò al collo.

-Vieni.

La sollevò tra le braccia mentre lei gli circondava la vita con le gambe e incominciava a baciargli il collo e la portò fino al tavolo. Le accarezzò le cosce, le fece scivolare le mani sotto la maglietta molto piano, sul ventre, sotto il seno, verso la schiena, più giù e l’attrasse verso di lui, finchè non ne poté più, finchè senti il respiro di un gemito sul collo, un leggero sorriso sulla pelle. I baci si trasformavano in piccoli morsi, e, per ognuno, spingeva contro di lei, all’inizio bruscamente, fortemente, aritmicamente, poco a poco cambiò, come iniziavano a cambiare i morsi, sempre più umidi, sostenuti, profondi, si allungavano fino all’impossibile, fino a risultare dolorosi. Lui le lasciava cadere piccoli baci sui capelli, le orecchie, il collo, lì dove poteva arrivare. In varie occasioni cercò di scostarla lo spazio sufficiente per poterle baciare le labbra ma lei non glielo permetteva: si teneva immersa nel suo collo sapendo che guardarlo negli occhi sarebbe stato tornare indietro, baciarlo sarebbe stato ritornare, essere cosciente di ciò che accadeva, cadere nel mondo reale. Se lo guardava avrebbe dovuto pensare ed invece voleva solo sentire: il calore febbrile, che sorgeva ovunque e le provocava brividi, il sapore di sale della sua pelle, la curva della sua mandibola nella bocca, questi gemiti giusto nell’orecchio, come sussurri meditati ed allo stesso tempo incontrollabili, l’odore di pioggia e sudore dei suoi vestiti, le sue mani che la reggevano per i fianchi, il dolore dell’eccitazione ad ogni carezza troppo intensa. Voleva che accadesse, sarebbe accaduto, sul quel tavolo, presto.

Anche lui sentiva che stava per accadere, lo desiderava. Non avrebbe sopportato i vestiti per altro tempo. Doveva strapparle quei maledetti pantaloni, e togliersi i suoi. Aveva bisogno di baciarla, immergersi nella sua bocca, ne aveva bisogno ora. Ma c’era qualcosa di cui aveva più bisogno: guardare i suoi occhi solo per un istante, sapere che tutto andava bene. Le accarezzò i capelli e le sussurrò all’orecchio:

- Scully.

E quando lo disse capì che non sarebbe successo.

Smise di resistere contro il suo collo, si separò, abbastanza per guardarlo negli occhi e fece di no con la testa.

Lui sussurrò "Perché?" che non si sentì nemmeno.

-Non qui, non ora, non così, non ubriachi, non per questo.

Sorrise ironico, ma non disse niente. Non gli importava niente che non fosse sentirla vicina, e ancora la sentiva vicina.

Appoggiò la fronte contro quella di lui. I loro bacini continuavano ad essere uniti, troppo uniti, di fatto continuava ad abbracciarlo con le gambe, non sopportava l’idea che si allontanasse. Non ancora. Teneva le mani sui fianchi di lei, solo che non stringeva più né la tirava, le disegnava solo circoli con i pollici sulle ossa, la qual cosa la stava eccitando ancora di più. Ma non voleva che si fermasse, né che si allontanasse, né continuare. Voleva essere un’altra persona, essere lei qualche mese prima, non doversi preoccupare che non avrebbe continuato ad essere qualsiasi cosa era per lui ancora per molto tempo.

"No, non siamo così ubriachi per non sapere quello che facciamo e non importa quando o dove, ma io sì che morirò" pensò. Chiaramente non fu questo che disse.

- Non disperati, non tristi.

Lo guardò di nuovo

Lui pensò che non era il miglior motivo del mondo, ma era il motivo che lei aveva e probabilmente indovinato. Non era una fuga, non si stava allontanando, era evidente.

Si lasciò portare dal quel mare blu. Tutto il dolore che vedeva nei suoi occhi, il dolore provocato dalla paura, dalla rinuncia forzata, dalla zavorra della disperazione, dalla conoscenza di quel futuro e la mancanza di conoscenza dei fatti esatti, dal cumulo dei dubbi, dal desiderio di avere fede che si scontrava contro la precauzione che suggeriva di non averne…voleva che tutto questo dolore avesse una forma, che fosse una cicatrice, una stimmate localizzata, qualcosa di palpabile. Qualcosa a cui dare un bacio infantile per curarla, qualcosa da guardare mentre le diceva "tutto andrà bene", anche se era una bugia. Desiderava poter guardare quel mare e dire "Questo non ti vincerà".

Ma non c’era dove guardare, non c’era niente da baciare, niente da tagliare, niente da indicare con il dito dicendo "Questo? Tu sei più forte di questo". Era lì, nascosto nella sua testa, sotto i suoi occhi, dietro il suo naso, sopra le sue labbra. Mai aveva odiato tanto. Odiava più che mai qualcosa d’inseparabile da ciò amava più che mai. Perché in quel preciso istante l’amava con una forza incomparabile a qualsiasi cosa avesse sentito prima.

E volle dirglielo in qualche modo, ma non aveva parole, non sapeva cosa dire. Rimase solo a guardarla, mentre sentiva la sua voce gridargli dentro. "Niente m’importa come te", "Ucciderei perché tu potessi vivere", "Morirei perché tu potessi vivere", "Non potrò andare avanti senza di te,…c’ho provato e so che non potrò".

Ma lei non poteva sentirlo, anche se intuiva le grida, si vedeva in quegli occhi, ancora più tristi del solito, che lui stava gridando, forse che anche lui aveva paura, forse che era vicino, forse che voleva starle accanto, forse un semplice "Mi fa male il tuo dolore". E voleva dirgli "Non voglio che ti faccia male" voleva dirgli "Non voglio morire ora" ma lo baciò. Fu l’unica cosa che le venne in mente per far sì che smettesse di pensare, che smettesse di vedere in lei un’ammalata. Non era il bacio che aveva evitato poco prima; era carico di passione, ma non sensuale. Fu profondo, lento, quasi doloroso ed incredibilmente liberatore.

- Non so cosa stavi vedendo mentre mi guardavi - disse ancora affannata - ma non voglio che dimentichi che continuo ad essere io, sono la stessa persona, niente è cambiato.

Mulder sorrise e l’abbracciò.

- Come dimenticarlo?

"Veniamo al mondo di testa, se ci pensi questo è già un segno di ciò che ti toccherà dopo. E questo è qualcosa di simile a tutto ciò che c’è qui: un paio di stupidi persi nell’oscurità di una stanza di un motel, sostenendosi in un abbraccio. Stanchi, feriti, ubriachi, persi ed insieme. Dondolandosi in una specie di ballo marcato dei battiti del cuore. E sarebbe dolce in qualche modo pensare che siamo fuori dal mondo… ma ugualmente è il mondo questo. Questo vuoto, questo freddo, questa solitudine, questo cammino verso la morte, anche però questo calore, compagnia, deviazione verso altro. Quasi un inganno per mantenerci qui. Per far sìi che vogliamo restare."

- Vuoi che me ne vada, Scully?

Si domandò quale strano meccanismo muoveva Mulder a parlare a bassa voce costantemente.

L’aveva quasi fatta trasalire malgrado l’avesse detto in un sussurro. Teneva la testa appoggiata sulla sua spalla, ancora si tenevano abbracciati, aveva solo lasciato cadere le gambe, e gli stava sfiorando con i talloni dietro le ginocchia, a cui lui aveva risposto con un paio di mormorii d’approvazione. Ma non sembrava più eccitato, lei nemmeno lo era, solo si sentiva… bene. Mulder aveva iniziato a muoversi cambiando il peso del corpo da un piede all’altro, in una specie di ballo, un dondolio che aveva il sapore di una ninna nanna.

Quello era il cielo… quello non era reale e c’era da tornare alla realtà.

- Immagino che sia meglio…starai stanco.

L’aveva detto per pura cortesia, perché non era la sua stanza e forse lei voleva restare sola ma non osava dirlo dopo quello. La verità era che l’idea di averla a più di venti centimetri di distanza gli era inconcepibile in quei momenti. Si sorprese a pensarlo e fu cosciente che mancava di qualsiasi senso ma da quando erano arrivati al motel non aveva prospettato che esistesse la possibilità di smettere di abbracciarla, che ci fosse di mezzo il sesso, senza sesso di mezzo o qualche strano fine di mezzo.

- Non ho domandato che ritieni meglio, ma cosa vuoi - rise.

Lo guardò ancora dubitando tra l’arrendersi davanti all’evidenza, davanti sè stessa e, a quanto sembrava, davanti a lui o mantenere un poco di serenità, prudenza, temperanza, orgoglio, senso comune, calma.

Ma allora vide i suoi occhi, il suo sorriso pieno di calore e considerò che aver evitato di farlo con Mulder su un tavolo in una stanza di motel, in uno stato di semiestasi ancora da analizzare, senza essersi fermata a pensare a ciò che si sentiva e non si sentiva e sapendo che aveva i giorni contati, malgrado stesse più che eccitata, alterata, quasi fuori di sé e dovendo dirlo mentre quelle mani la mantenevano contro la sua erezione e con il lobo dell’orecchio tra le labbra, era sufficiente mostra di autocontrollo per quel giorno. Voleva che rimanesse, e basta.

C’era solo una cosa da tenere in conto:

- Se vuoi rimanere…

- Non rimarrei se non volessi - sussurrò avvicinandosi all’orecchio - non dimenticartene.

Scully abbozzò un sorriso e incominciò a risistemargli le maniche bagnate della maglietta che lei stessa aveva spostato mentre l’accarezzava.

- Hai freddo. Dovresti cambiarti.

-Vado a prendere dei vestiti e torno.

Le baciò dolcemente la fronte. Non sapeva come andarsene. Non era questione di educazione o roba simile, era che veramente gli costava separarsi da lei. Cinque minuti! Per andare alla stanza accanto!

Le dette un paio di piccoli colpi sulle gambe e finalmente si diresse alla porta. Fu allora quando sentì freddo.

Si girò e l’osservò, seduta sul tavolo, che si abbracciava le ginocchia, con i capelli in disordine, la maglietta mezza tolta, quel viso di chi è appena uscito dal letto o di chi sta andando a mettersi molto presto e quello sguardo tra la meraviglia e la tenerezza per ciò che era successo.

Dove si era messa questa Scully per tutto quel tempo? Dove stava guardando lui per non vederla?

-Tu pensa a qualcosa da fare, Scully. Abbiamo bisogno di un piano B. Anche se qualcosa mi dice che non sarà così buono come quello iniziale.

Parte II

And I’m so sad like a good book
I can’t put this day back
A sorta fairytale with you
A sorta fairytale, Tori Amos.

Nelle tele la puzzola-hostess domandava ad Ilsa-gatta "Caffè, te, me?" Mulder rise con gusto e la sua risata vibrò su Scully. Quello che le fece sentire anche era normale.

"Immagino che a lavorare negli XFiles, finisci per abituarti a tutto, tutto finisce per sembrarti normale, telepatia, telecinesi, extraterrestri, cospirazioni, che la testa del tuo compagno riposi sul tuo ventre mentre vede una versione di Casablanca in cui Bugs Banny è Rich e la povera gatta che la puzzola insegue è Isa e che ovviamente finiranno insieme perché una simile ingiustizia non si può ripetere. Ti sembra normale come se succedesse tutti i giorni.
E risulta normale che tu ti sia svegliata con una scatola di fragole davanti, bevande ed una battuta su che una cosa era rimanere senza sesso ed un’altra senza colazione a letto. E’ normale, completamente normale. È normale anche ciò che era successo ieri, tutto è normale, quello che è successo e quello che non è successo. Devo togliermi quest’immagine dalla testa, tutte queste immagini, ora. È normale essersi addormentati guardandosi mentre si chiudevano gli occhi, parlando di appuntamenti disastrosi e di amori platonici alle superiori (e ora possiamo dire che è strano solo di quelli della scuola). Devo liberarmi anche di questa immagine. Tutto questo è molto normale. L’unica cosa che non è normale è che Dio pretenda che non pecchiamo con il pensiero e permetta che esistano labbra come queste.
Va bene Dana, è finita! Guarda la tele"
Veramente si sentiva come se questo fosse successo cento volte, l’unica cosa strana era sentirsi così, sentire questa familiarità. Indubbiamente si conoscevano da anni ed avevano passato molto tempo insieme, molti momenti cattivi, molti momenti buoni, molti giorni normali e molte situazioni fuori del normale.
E tutto quello li aveva portati a quel letto e a vedere insieme i cartoni animati.
Normale.
Carrotblanca finì e Mulder si stiracchiò sbadigliando sonoramente, lasciò un braccio appoggiato sulla coscia di lei, avvicinò l’altra mano fino alla sua ed incominciò a farle il solletico sul palmo.

-Ti annoi.

-No, sto bene, pensavo.

Pensava che era… qualcosa di diverso da tutto ciò che era. Era attraente, era alto, era magro, aveva un corpo ben formato ed aveva quel viso, quelle labbra, quegli occhi di un colore indeterminabile, dallo sguardo intenso, e quel naso enorme per dare più realismo all’insieme. Ma non era questo che vedeva.

Mulder aveva luce. Aveva quello sguardo, sempre triste, sempre attento, sempre intenso, sempre sul punto di abbandonare tutto ma facendo un passo indietro per cercarti, sempre gridando un "Amami", e sempre firmando un "Non ho bisogno di te". Aveva bisogno e dava tutto allo stesso tempo, con la stessa forza, con ansia. Niente sembrava importagli troppo salvo alcune cose, poche, molto poche. E Scully sapeva di essere una di esse, ed iniziava a rendersi conto della sua posizione nell’elenco.

Mulder era luce.

- A come staresti bene a casa senza un noioso come me?

Mulder era un bambino ed un uomo adulto. Aveva bisogno di coccole mentre si prendeva cura di te. Lì, disteso su di lei e toccandola senza fermarsi sembrava tanto sul punto di dire "Mamma raccontami una storia che ho paura" che "Mi occuperò io di tutto. Non hai di che preoccuparti" ma curiosamente nessuna delle due cose sarebbe suonata falsa: aveva bisogno di sentirsi amato ma allo stesso tempo era un solitario, un orgoglioso autosufficiente…

-Sto bene qui.

E Scully adorava entrambe le cose. Poteva riconoscerlo o no secondo la giornata, poteva collocarlo nella casella del cameratismo, in quella dell’amicizia, in quella della necessità di protezione autoritaria, in quella dell’istinto materno, in quella del desiderio di sesso, in quella dell’affetto, in quella della fratellanza perfino, ma il caso era che adorava questa necessità e questa capacità di darsi unite nel fondo di quello sguardo.

Si girò verso di lei con un sorriso furbo che gli ballava sulle labbra e si sistemò sul suo stomaco quasi sprimacciandola.

-Anch’io.

Era stata una pazzia, era stata la più grande pazzia della storia della sua vita, arrivare fino al punto dove era arrivata con lui il giorno prima.

Ci aveva pensato sopra mentre lui stava nella sua stanza cambiandosi i vestiti ed esistevano solo due possibilità: o quella vicinanza eccessiva metteva fine alla già abituale vicinanza fisica che condividevano o metteva fine alla poca distanza che ancora rimaneva.

Il dubbio era stato innegabilmente stupido.

C’erano vari temi che non entravano nella mente di Fox Mulder. Di fatti, quando Scully si annoiava molto durante qualche vigilanza era solita enumerare mentalmente tutto ciò che era ovvio per la maggioranza dei mortali ma che non aveva un posto nel cervello apparentemente sviluppato di quell’uomo.

La necessità di qualsiasi essere umano di mantenere il suo spazio personale intorno a sè in cui altri non entrassero appariva sempre nel suo elenco.

Non è che le dava fastidio, il vero problema era che non le dava fastidio.

- Accidenti Mulder, ho sempre saputo che rinunciare ad una dieta dopo due ore che hai deciso di seguirla doveva avere la sua utilità.

Aveva gli occhi chiusi. Scully cercò di trovare un aggettivo per definirlo ma tutto quello che le passava per la testa erano antonimi. Sembrava che stesse dormendo, sul suo stomaco!, le aveva circondato la vita con un braccio come se fosse un cuscino, e continuava a giocare con una sua mano, come se stesse contandole le dita continuamente.

E non le dava fastidio, le sembrava normale.

Mulder era qualcosa di simile ad un "palpeggiatore", un polpo, solo che Scully avrebbe giurato che il 99% della popolazione femminile che qualche volta aveva sofferto le attenzioni di uno di questi avrebbe ucciso perché i tipici "polpi" fossero come lui.

Non perché fosse…bene, com’era; e non solo per l’assenza di malizia, o perfino d’intenzioni, né per le sue innocenti "zone-obiettivo"; ma perché sapeva accarezzare. Come un arco di violino. Era maestro in quell’arte.

-Dieta?-mormorò- Tu sei perfetta.

Sapeva accarezzare, sì signore.

-Gia, già vedo…come cuscino.

In realtà non le importava minimamente che lui la considerasse grassa o magra o altro. Ma nel suo stomaco c’era molto di più della pressione della testa del suo compagno. C’era una maledetta convenzione dove si erano riunite tutte le farfalle del paese. Ed aveva bisogno di cose stupide da dire mentre cercava il modo di rallentare il respiro.

Si domandò come sarebbero state le cose la notte precedente se le condizioni fossero state altre, ma sapeva perfettamente che ciò che li aveva portati lì, a quella deviazione, a quel dimenticare il lavoro e lasciarsi andare, alla vicinanza ancora maggiore, era precisamente quello che impediva, forse solo a lei, probabilmente e prudentemente non doveva essere così, di continuare, fare l’ultimo passo.

Il sesso suonava a fuga disperata. Suonava a droga. Suonava a sonnifero, ad analgesico, a morfina.

E questo era esattamente quello che voleva.

E voleva lui.

E non voleva mescolare entrambe le cose.

Il concetto di paradosso fu più chiaro che mai per una che aveva fatto una tesi su un paradosso.

Paradossale.

Sorrise. Bene, non aveva sesso ma aveva Mulder, questo era meglio, no? Non faceva dimenticare, non invadeva, non permetteva di scappare, non addormentava, non alleggeriva il dolore, non tranquillizzava, in effetti la innervosiva abbastanza… ma malgrado tutto era quello che voleva.

Brutto segno.

Tardi per pensarci.

Scivolò lentamente fuori dal letto pensando che stesse dormendo. Aveva bisogno di uscire di lì.

-Dove vai?- Si lamentò in uno dei suoi usuali sussurri senza nemmeno aprire gli occhi.

-Vado a fare una doccia, vorrai uscire un poco prima di mangiare, no? Immagino che non siamo rimasti qui per passare il giorno nel letto.

-Incominciavo a sospettarlo.

-Tu puoi rimanere se vuoi e dormire un poco.

-Non stavo pensando a questo- Disse con serietà-Scully.

Si girò e tornò indietro di due passi verso il letto. Lui la guardava scrutandola, serio, persino preoccupato.

-Cosa c’è?- disse con un filo di voce.

-Vuoi parlare di ciò che è successo ieri?

-Cosa?- Disse con la sua ultima speranza di evitare l’argomento. Mulder la guardò con stanchezza. Addio speranza. –No, Mulder, non voglio.

-Non credi che dovremmo?

-No.

-Te ne rammarichi.

- In questo momento sì- Sembrava sorpreso, quasi addolorato- Sì,…se devo parlarne. Ed analizzarlo e dare spiegazioni e …tutto il resto.

- Non ti …ho chiesto questo.

- È semplicemente accaduto, d’accordo?-disse con dolcezza-

-Scully io non pretendevo…, volevo solo che tu sapessi che io non pretendevo…-immerse il viso nelle lenzuola, incapace di spiegarsi.- Dio non so cosa pretendevo.

Era complicato, molto complicato dirle che la desiderava e che l’amava e che entrambe le cose non andavano così unite come avrebbero dovuto per poter sembrare una buona idea, e che la seconda cosa vinceva con differenza, con troppa differenza, con una differenza eccessiva. Malgrado questo, avrebbe fatto l’amore con lei la notte prima, ed anche in quello stesso momento, ma non sapeva molto bene il perché.

E non era il suo stile non sapere il perché.

Lei lo guardava, come aspettando una risposta.

-Mulder, forse le lenzuola ti hanno sentito ma io no.

-Non importa.

Non avrebbe avuto il coraggio, non poteva avere il coraggio... Aveva il coraggio di iniziare e non finire... bene questo le ricordava un poco quello che aveva fatto ma non era questo a cui doveva pensare.

-Cosa.

Fu quasi un grido.

Tardò nel rispondere. Si fermò a guardarla cercando di decidere quale era messaggio, quale erano le parole, quale era il senso. Come si diceva quello?

Forse era una risposta più per se stesso che per lei:

- Che sei molto importante. Credo che questo sia l’unica cosa che voglio dirti ed è l’unica cosa che volevo dirti.

Perché diavolo quel maledetto uomo insisteva col dire incoerenze a bassa voce?

Fu contenta che il muro stesse così vicino. Ci appoggiò contro la spalla. Lui continuava a guardarla, come se non avesse ancora finito di parlare. Come se stesse ancora dicendo cose. Sentì un bruciore negli occhi.

-Né di più né di meno, solo questo.

Perché diavolo quel maledetto uomo insisteva col dire incoerenze a bassa voce?

-Anche tu-mormorò Scully.

Si girò con un’intensa stanchezza ed aprì la porta del bagno.

-Non ricordo l’antonimo, ma fa lo stesso perché questo non vale- mormorò tra sé.

Lui non potè sentirla. Guardava la sua schiena sparire.

-Questo è tutto-disse.

Comprarono vari panini, frutta e bevande ed andarono a mangiare sull’alto di una scogliera che si elevava ad un paio di chilometri dal paese. Era uno di quei giorni indecisi di primavera in cui può succedere qualsiasi cosa, almeno per ciò che si riferisce al cielo. Fino a quel momento rimaneva nuvolo e pronto a tutto.

Scully percorse il tortuoso cammino con una strana sensazione di iper ossigenazione che era solita accompagnarla nei migliori e nei peggiori momenti. Era emozionata ma non sapeva cosa fare con quello che sentiva, non sapeva definirne la causa e nemmeno le conseguenze, solo che si sentiva quasi quasi felice e forte.

Semplicemente non ci stava pensando.

Pensò di ringraziarlo di nuovo per quella ancora stupida ma decisamente buon’idea. Ma non lo fece, solo gli tese la mano per aiutarlo a salire l’ultimo scalino che sembrava tagliato nella roccia dall’erosione.

- È un posto bellissimo.- disse allora.

Si sedettero vicino al bordo, guardando l’oceano e mangiarono in silenzio.

Non risultava loro strano stare in silenzio, a Mulder un poco, a volte, ma solo perché a lui risultava sempre strano stare in silenzio indipendentemente da chi stava accanto a lui. Ma, anche così, con Scully era diverso. A volte gli costava rendersi conto che non stavano parlando, con lei sembrava sempre che ci fosse una conversazione aperta. Salvo quelle volte… quando lei si allontanava.

Si era disteso per terra mentre lei rimaneva seduta a guardare l’oceano. La maglietta si era sollevata leggermente quel tanto che permetteva di vedere la testa di un serpente che si mordeva la coda.

C’erano molte cose che non sapeva di lei. Malgrado tutto quello che sapeva, gusti, opinioni, reazioni, qualità, difetti… in molte occasioni poteva predire la sua linea di pensiero, sapeva quale tosse era vera e che tosse finta, sapeva tante cose… Ignorava tante altre.

Improvvisamente quella cosa gli attraversò la mente. "Con lui andò a letto". Una frase fuori luogo, 5 parole, qualcosa che forse nemmeno era vera. Qualcosa che non aveva diritto di giudicare, qualcosa che avrebbe desiderato aver pensato come "Andò a letto con lui" perché in quel "Con lui andò a letto" era implicito un "ma con me no".

Non era gelosia, era il rumore delle onde, l’odore del mare, fiori e profumo di Scully nella brezza, era erba morbida e quel serpente, e quei pochi centimetri dalla sua mano alla cintola di quel pantalone, che avrebbe potuto abbassare solo un poco per vederlo completamente, e poi trascinare la lingua seguendo quel percorso circolare ed eterno, perché Scully doveva avere il sapore del sale in tutto il corpo, e baciava come sempre l’avesse fatto di cuore, e le sue mani erano ferme e lente e pensose quando accarezzava, e sapeva mordere con la forza giusta, e qualsiasi suo sguardo era da scrivere un libro o due, e quella pelle era così morbida che se avesse cercato di percorrere il serpente avrebbe finito per scivolare e cadere per il suo fianco, fino a perdersi in qualche angolo del suo corpo da cui non avrebbe mai voluto venir fuori e…

Scully lo stava guardando. Con la fronte aggrottata ed un sorriso inquisitorio.

-Che cosa c’è?

-Guardavo solamente il tuo tatuaggio- disse con una tranquillità che sorprese entrambi- E’ bello.

Scully sorrise con una certa tristezza.

-Perché lo hai scelto?

-Non ne ho idea- rispose con disinteresse e quasi senza guardarlo- Semplicemente mi è piaciuto. Diciamo che… mi ha catturato, l’ho scelto prima di decidere di farlo.

-Credi che significhi qualcosa? Sai, che richiamasse la tua attenzione.

-È stato solo un impulso.

Era stato solo un impulso. Sapeva che quel "…ma con me no" aveva qualcosa di positivo, una relazione diretta con l’essere importante per lei… ma era così terribilmente repressivo…

Avvicinò le dita fino a sfiorare la stoffa ma in modo che lei non lo notasse. Non lo stava guardando, non sembrava avere interesse nella conversazione.

-Ti ha fatto male?

-Sì e no, era un dolore strano.

Allora si girò. Ritirò la mano prima che la vedesse. Si distese di fronte a lui. In generale le dava fastidio pensarci, troppe sensazioni mischiate, troppo complesso, troppo terribile. E poi c’era il fatto che qualche legge naturale avrebbe dovuto evitare che il compagno di lavoro archiviasse "la tua ultima avventura quello che quasi ti uccide", soprattutto quando loro due non stavano nel loro miglior momento di comprensione, quando era successo.

Ma qualcosa faceva sì che questa volta non le desse fastidio. Qualcosa faceva sì che ormai niente sembrasse importante. Qualcosa faceva sì che niente risultasse strano con Mulder.

-Strano?

-Era gradevole in un certo modo, elettrico. Sì, era un dolore strano.

In realtà pensava "Eccitante".

E Mulder lo vide. Vide "Sesso" scritto nei suoi occhi e, per qualche strana causa, il "...però con me no" si trasformò lentamente in un "Sono io chi sta qui a guardarla tra germogli di erba, sono io che ho dormito con lei questa notte, sono io chi l’ha abbracciata, ed è stato a me che ha detto «Non lasciarmi». Sono io che non l’ho lasciata".

-Eccitante?- disse sorridendo con una certa timidezza.

Scully lo guardò tra meravigliata e divertita.

-Oh Dio santo!-disse ridendo.

Si coprì il viso con le mani e fece qualcosa che nessuno dei due si aspettava: disse la verità.

-Sì.

Continuò a ridere nervosa mentre lui l’osservava con un sorriso soddisfatto. Era lui che la vedeva ridere sonoramente. In un impulso stupido le si avvicinò all’orecchio e sussurrò:

- In realtà l’avevo sempre saputo.

-Che cosa?

La guardò a lungo, i suoi occhi, le sue labbra… "che ti saresti eccitata a farti un tatuaggio, che davi calci mentre dormi, che mordevi, che ti piaceva il rum, che prendesti una cotta per il ragazzo di tua sorella, che graffiasti la macchina la prima volta che hai guidato la sola, che hai baciato quel James non so che dietro il patio per una scommessa e che avevi il sapore delle caramelle di menta…"

- Che sapevi ridere sonoramente ma lo tenevi segreto.

Si tennero così, faccia a faccia, distesi per terra, guardandosi.

Lei incominciò a piangere, con calma, le lacrime cadevano semplicemente, nemmeno cambiò l’atteggiamento, continuò a stare tranquilla sorridendo, lui sì, lui domandò con lo sguardo. Scully negò: stava pensando a come era meraviglioso tutto, quando non avere una scrivania era un problema.

-Mi passerà, lascia stare, è solo un momento.

Si distese guardando il cielo. Lui si avvicinò e le baciò la spalla con dolcezza.

-Sono qui- le sussurrò.

Lo so. Lo so.

Al tramonto andarono sulla passeggiata della spiaggia, con i capelli ed i vestiti pieni di erba, gli stivali ed i pantaloni macchiati di fango e la pelle arrossata dal sole. Camminarono lentamente, stanchi ma allegri. Scully non distoglieva la vista dall’oceano, era quasi divertente, sembrava una bambina davanti alla vetrina di una pasticceria.

La passeggiata era piena di gente. Il giorno era diventato chiaro ed era troppo gradevole per rimanere in casa. Passeggiarono tra bambini che correvano, mimi, venditori ambulanti, coppie che si baciavano, musicisti con i cappelli pieni di monete, tutto era così naturale, così gradevole, luminoso e pieno di vita. Così poco abituale in un certo modo. Comprarono dei gelati e si sedettero su una panchina. In verità avevano dormito poco, Mulder in particolare molto poco, tra il postumi della sbornia ed in fatto che avevo percorso alcuni chilometri su e giù per la scogliera, erano abbastanza stanchi.

Allora capì che loro erano fantasmi. In uno strano sentimento di dejà vu e predizione, tra il ricordo di un sogno ed il sognare del dormiveglia. Sentì come un brivido le percosse la schiena estendendo per il corpo la certezza che non esistevano in quel mondo che li circondava: erano solo fantasmi, o angeli, o spiriti estranei a tutto ciò che era materiale. Qualcosa la tirava verso la logica che così bene dominava, verso l’ovvio che erano solo due persone in più in quella moltitudine ma qualcosa di più forte la manteneva in quella sensazione di non appartenenza, d’incorporeità.

Desiderò toccarlo per verificare che anche lui stava dove stava lei, dentro o fuori del mondo reale ma dalla stessa parte. L’osservò a lungo. Aveva i gomiti appoggiati sulle ginocchia e guardava con un miscuglio di curiosità (deformazione professionale), e disinteresse i viandanti mentre leccava il suo gelato. Pensò come ci sarebbe stata bene quella lingua in qualsiasi parte del suo corpo la qual cosa la fece sorridere, senza pudore per sua sorpresa, c’era qualcosa di provocantemente tenero in quel pensiero.

Tutti i suoi sensi erano rimasti indietro nel tempo, come arretrati, e quell’immagine riempiva la sua mente: Mulder. Mulder doveva stare accanto a lei, fosse o meno nella realtà che li circondava, altrimenti non l’avrebbe potuto vedere con tanta chiarezza, sentirlo come lo sentiva. Non poteva sentire la musica, intuiva solo il mormorio di sottofondo e un certo ricordo della stessa, vedeva solo lui, sentiva solo lui. Voleva toccarlo, perché solo toccandolo avrebbe ripreso coscienza, i suoi sensi, e sapere che stava lì, con lei, non con le figure sfumate e vive che li circondavano. Poteva toccarlo, solo allungare la mano fino al suo avambraccio e sfiorargli dolcemente la pelle con la punta delle dita. Era così facile. Tutto con lui sembrava così facile improvvisamente, così possibile. Poteva sentirlo fino a tal punto che quando lui tremò in un brivido questo si contagiò a lei immediatamente. Si girò verso di lei. E capì di essere stata la causa di quel brivido, che in qualche modo il viaggio che stava realizzando all’interno di Mulder l’aveva fatto tremare. Ora la guardava tra meravigliato e… vicino. Come se sapesse.

- Che cosa c’è?- Domandò con un sorriso. Non sapeva perché lo domandava, non sapeva che cosa avesse sentito, solo che Scully lo guardava come se avesse potuto leggergli nella mente.

Scully si guardò intorno cercando di collocarsi di nuovo nella realtà, nella passeggiata sulla spiaggia, sulla panchina di legno bianco, nel tramonto dorato del Pacifico, nella folla che passeggiava mangiando gelati con quell’ansia dei primi giorni di caldo e in Mulder accanto a sé. Solo Mulder, non un’altra anima in pena, come pochi minuti prima. Guardò in avanti, famiglie, bambini che scappavano correndo, genitori che correvano loro dietro gridando minacce di rimanere senza gelato o senza montare sui pony, coppie giovani, gruppi di ragazzi e ragazze che parlavano troppo ad alta voce nel tentativo inconscio di richiamare l’attenzione.

No, loro non dovevano sembrare fuori da quel mondo, ma lo erano.

Per chiunque che stava passeggiando erano una bella coppia, probabilmente sposati da poco, forse lei medico e lui psicologo, sicuramente avevano un piccolo appartamento, forse un attico con vista su Los Angeles ed una casetta nei dintorni. Forse stavano pensando di avere il loro primo bambino, forse già ne avevano uno e lo avevano lasciato ai nonni per passare da soli il fine settimana. Chiunque avrebbe sicuramente pensato questo o qualcosa di simile.

Quello che era chiaro è che a nessuno sarebbe passato per la testa che erano una coppia di colleghi dell’FBI che avevano appena finito di smantellare una setta che prevedeva la fine del mondo per quello stesso giorno e che erano rimasti lì per qualche giorno perché lei sarebbe morta presto di cancro e lui, un paranoico con più motivi del 99% dei paranoici ossessionato dal rapimento della sorella, con un lavoro che in cui indagava in modo più che ossessivo casi paranormali, aveva deciso che dovevano fare una passeggiata, lasciare da parte per qualche giorno le loro vite di cospirazioni governative, poteri extra-sensoriali, mutazioni genetiche, extraterrestri e quel "Oh-Dio-mio-Scully-muore" per sentirsi un poco più umani e normali, perché il fatto era che lei moriva e meritava un poco di vita prima.

Nessuno su quella passeggiata avrebbe pensato questo. Nessuno avrebbe indovinato. Scully n’era sicura, e in questa occasione non era la strana sensazione di essere fuori dal mondo di pochi minuti prima. Era la logica più schiacciante.

Ed odiò se stessa ed odiò Mulder e odiò tutto quello che li aveva portati a non essere quello che sembravano a qualsiasi persona normale.

-Quando è stata l’ultima volta che hai avuto un appuntamento, Mulder?

Rimase di pietra: Dana "èlamiavita" Scully non faceva domande di questo tipo. No, lei poteva entrare nella sua vita in molti sensi, poteva arrampicarsi sui muri perché lui guardava una donna o perché una donna gli si buttava addosso nel letto senza che ne avesse colpa, poteva chiedergli se stava bene, come medico e come collega, interessarsi se dormiva o no, preoccuparsi se un caso lo stava influenzando eccessivamente, chiedergli come stava sua madre, sì, Scully a volte chiedeva. Ma non chiedeva mai dei suoi appuntamenti.

Scrutò il suo sguardo cercando di trovare un motivo per quella domanda. Gli passò perfino per la testa che gli avvenimenti della notte precedente avessero qualcosa a che vedere…. ma non ci credeva, non lo capiva, lei rimaneva impassibile, con un sorriso mezzo ironico e mezzo tenero, sembrava un’insegnante che stesse domandando. "Dove sono i compiti?"

-Il mio ultimo appuntamento?- finì col dire con la bocca semiaperta.

Scully sorrise e si strinse nelle spalle. Aveva un poco di paura che avesse dato alla domanda un senso sbagliato e la mise da parte rapidamente. Ogni volta si sentiva più ridicola per aver paura delle cose ridicole.

- Sì, non è che devi risponder per forza e... Non so, è solo una domanda. La ricordi?

Il tono ironico era aumentato nella seconda domanda e Mulder incominciò ad intravedere quella cosa da dove veniva e dove andava a parare.

Ricordava la notte prima, Scully, il tavolo, le sue mani che l’attraevano, le sue labbra, la sua lingua, il suo respiro, il suo odore, il suo sapore appena scoperto, quel suono indeterminabile che le vibrava nella gola, che gli entrava nel corpo e lo faceva vibrare, l’eccitazione, il suo sguardo dopo. Sì, ricordava perfettamente il suo ultimo bacio ed era meglio che smettesse di ricordarlo se non voleva o trasformarlo in penultimo (idea tentatrice ma forse poco appropriata in quel momento) o che Scully pensasse che più che ricordare stava rimemorizzando con dettagli qualche momento del suo supposto ultimo appuntamento in un posto poco appropriato per questo tipo di ricordi.

Ricordava Kristen. Perfettamente. Quella bella donna perduta che l’aveva accompagnato nella sua solitudine per una notte. La ricordava a volte, con affetto, con tristezza.

Ma decisamente non ricordava l’ultimo appuntamento. Doveva essere stato perlomeno prima di Diana.

- Certamente che la ricordo.

Scully lo guardò con affetto. A volte semplicemente Mulder non sapeva mentire. Era triste, molto triste, un uomo che riusciva con somma facilità a farsi passare per un impiegato per entrare in un edificio fino a raccontare frottole della grandezza dell’Himalaya ad uomini allenati a non credere a niente a volte semplicemente non sapeva mentire.

- M’intrometterei nella tua vita se ti chiedessi quanto tempo fa?

Guardò davanti a sé, una coppia di poco più di venticinque anni: lui la portava per la vita e le sussurrava qualcosa all’orecchio qualcosa che doveva riassumere il senso della vita a giudicare dalla faccia che faceva lei. E poi guardò lui, intensamente. Perché diavolo invece di "Scully che cerca di parlare di sesso" sembrava "Miss Wagner che domanda dei compiti a casa"?

- Si lo faresti.

Cercò di non suonare sgradevole, in effetti cercò di suonare insinuante. Ma la verità era che si sentiva infastidito, per la domanda e per non avere una risposta.

-Non è curiosità, Mulder. Non è che voglio che tu me lo racconti- Arrossì nel rendersi conto fino a che punto non voleva.- È solo che…

Mulder la guardò. Suonava grave, suonava triste, suonava onesta. Aspettò che continuasse. Stava evitando di guardarlo. Fece un gesto con la mano riferendosi alla gente intorno

-Ci sono donne e bambini, Mulder!- finì col dire con una risata nervosa.

- Di cosa stai parlando, di un maledetto naufragio?-rise lui.

Allora lo guardò, stava ancora ridendo. Era piacevole guardarla.

-Che cosa?

Smise di ridere ma mantenne quel sorriso d’affetto a cui lui si stava abituando, troppo troppo in fretta.

-Credo che quello che cerco di dire sia…che dovettero forzarti a prenderti alcuni giorni liberi per andare a Graceland- si strinse nelle spalle- che stai passeggiando vicino alla spiaggia perché…bene, tutti e due sappiamo il perché.

- Perché voglio portarti a letto- insistette lui cercando di mantenere il tono gioioso per svignarsela da qualcosa che non voleva sentire: Scully che gli diceva "vivi tu che puoi".

Non avrebbe sopportato che Scully gli parlasse di donne, di bambini, di naufragi, di Graceland ne di passeggiate per la spiaggia. Non avrebbe sopportato che Scully si preoccupasse per lui in questa situazione. Non avrebbe sopportato… che lo salutasse per sempre.

-Mulder, sono anni ed hai tutta l’intenzione di passare il resto della tua vita così. Non ti dico di lasciare il lavoro, nemmeno di smettere di esserne ossessionato, solo che… passeggia di quando in quando.

Aveva bisogno di dirglielo. Non era il cancro, non era la morte, almeno non del tutto, in effetti era quel pomeriggio, quella notte, quella mattina, era Mulder nel letto che rideva per dei cartoni animati, sorridendo ad una ragazza ed accarezzandola, bevendo té e facendo battute... era l’infinita bellezza di vedere Mulder che cercava di far felice un’altra persona e riuscendoci.

Lei era stata l’altra persona.

Lei sarebbe morta.

Lei era la persona a lui più vicina.

E l’unica amica non paranoica che aveva.

Le sue conoscenze della logica le dicevano che la sintesi risultante dalle sue affermazioni si poteva riassumere in un volgare "Mulder soffrirà maledettamente"

Erano anni che cercava la sorella scomparsa, perché ingannarsi, solo Dio sa come. Aveva creato un mondo intero, una mitologia con cattivi, molto cattivi e pessimi intorno a questo fatto, aveva convertito la sfiducia in una filosofia di vita, la fede nell’ignoto in religione, la tensione in un’abitudine.

Sì d’accordo, lei non era la sorella, il trauma non sarebbe stato lo stesso.

Lei era solo importante. Importante. Niente di più, niente di meno, questo.

O conosceva molto poco Mulder o questo si traduceva in "Soffrirà maledettamente"

E non conosceva molto poco Mulder.

-Scully, io no…

Non si aspettava più una risposta. Sapeva che quello che cercava di fare era ridicolo, Mulder sarebbe crollato qualsiasi cosa lei dicesse. Ma voleva imprimergli quelle parole.

Lui lo sapeva.

Era così chiaro come i "non". Non sarebbe stato felice, non sarebbe andato a passeggiare vicino alla spiaggia con donne e bambini... a lui sarebbero rimasti i resti di tutti i sui naufragi. Accettare il destino. Il suo destino era quello. Ma poteva fare qualcosa: lottare per la verità. Quel che faceva.

- Scully io ho scelto la mia vita a misura di come ho potuto. Ho distrutto abbastanza persone che non hanno scelto.

La voce gli tremava.

-Mulder, anch’io ho fatto la mia scelta. Semplicemente…- decise che la cosa migliore era dirglielo, tutto era troppo ovvio per dire sciocchezze- non voglio che quello che succederà ti danneggi.

Lui rise cupamente. Si girò ancora una volta verso di lei con gli occhi peni di lacrime e le accarezzò la guancia con il dorso delle dita.

-Non sempre puoi avere ciò che vuoi.

Si alzò e si diresse alla ringhiera che separava la passeggiata dalla spiaggia.

Pensò a quello che aveva appena detto, e fino a che punto era solo una cruda risposta a ciò che si poteva considerare senza alcun dubbio "La più grande sciocchezza che Dana Scully aveva pronunciato in vita sua"

Il sole già stava più in là dell’orizzonte cosa che lasciava il cielo ad una luna immensa che si rifletteva sull’oceano in calma.

Pensò alla luna, completa, all’oceano, incompleto, alle cose troppo grandi che si potevano vedere complete solo da lontano.

Desiderò poter vedere da lontano la notte passata, quel giorno, sè stesso in quel preciso momento. Ma tutto stava troppo vicino, colpendo, spingendo da tutte le parti.

-Sai che c’è una teoria secondo la quale la Luna venne fuori dalla Terra lasciando il Pacifico come una specie di cicatrice . La Terra girava troppo velocemente, andava così veloce che perse la Luna.

Si era avvicinata ed appoggiata sulla ringhiera. Aveva un’espressione strana, sognante.

-Dio mio, Scully, nemmeno io crederei a questa teoria- e rispose sorridendo.

Lei gli diede un colpo sulla spalla e cercò di imitare la sua voce:

-Oh, andiamo, devi sempre essere così razionale?- disse guardandolo con un finto rimprovero.

- D'accordo come vuoi, al diavolo l’opinione degli astronomi. La Terra perse la Luna per andare troppo veloce- Sorrise, era divertente vederla difendere un’idea nella quale nemmeno credeva solo perché probabilmente le sembrava bella.

Scully voleva dimenticare la conversazione precedente, del suo patetico, infruttuoso e per quel che sembrava illuso tentativo di qualcosa di così assurdo come che lui non crollasse dopo la sua morte. Tutto quello le sembrava assurdo, tutto quello le ricordava sua madre nell’ospedale che piangeva di rabbia, domandandole come poteva non averla chiamata. Voleva dimenticare tutto questo. Voleva passeggiare per la spiaggia, sotto la luna, come se fosse una bambina e che avesse tutta la vita, senza sapere quanta, davanti.

-Mi piaceva quest’idea da bambina, sai? La lessi in un vecchio libro. Pensavo che… era curioso che due cose belle fossero sorte da un disastro.

Capì che avrebbe pianto e che non poteva scappare da lui prima di farlo. Già le aveva passato il braccio sulle spalle e l’attraeva lentamente verso il suo petto. Non sembrava compassione, sembrava che voleva nasconderla a tutti quegli estranei, a tutta quella gente che passeggiava che la faceva sentire un’ombra, così che l’accettò, s’immerse nel suo petto-nascondiglio e pianse, per tutto ciò per cui non aveva pianto in vita sua per non avere dove nascondersi.

Quando tornarono al motel dopo aver cenato non ci furono domande: Scully aprì la porta e la sostenne perché lui entrasse, e lui entrò. Si sedette sul letto facendo stridere le molle, si tolse le scarpe e si lasciò cadere, come se fosse nella sua stanza, come se fosse casa sua. Non era precisamente la prima volta che agiva così nella sua stanza, ma era la prima che glielo vedeva fare sapendo che sarebbe rimasto.

-Perché abbiamo scelto due stanze, Scully?

-Per salvare le apparenze.

Si tolse le scarpe, seduta su una sedia e rimase lì, a guardarlo.

-Che apparenze? Noi non stiamo lavorando.

-Ma non siamo sposati, Mulder- disse fingendo di scandalizzarsi.

Mulder rise e la guardò. Aveva quel sorriso, quel maledetto sorriso. Penso a qualcosa che ricordava a sè stesso spesso: che qualcosa sia difficile da capire non lo fa meno vera.

Scully si alzò e si diresse verso il letto.

-Così che dovremo comportarci bene- disse coricandosi accanto a lui e prendendo il telecomando delle tele- fare il possibile perché le molle non stridano e vedere un film come due bravi ragazzi.

Accese la tele.

-Posso scegliere il canale.

-Assolutamente no.

Scully spense al "the end" la televisione lasciando la stanza illuminata solo dalla luce della luna e con il respiro di Mulder come unico suono. Si alzò e si mise il pigiama. Lui dormiva. Voleva stendersi accanto e respirare il suo odore, sentire solo il suo calore, stare solo lì.

Si appoggiò contro il muro e l’osservò. Respirava tranquillo. La fece sentire bene vederlo così. Si distese alle sue spalle facendo attenzione a non far muovere il materasso, quelle maledette molle…

Lui si agitò, improvvisamente non sembrava così tranquillo, respirava con ansia. Scully pregò che non fosse quello che sembrava.

-Scully.

No, anche se ormai quasi desiderava quello " Scully" non fosse quel tipo di sogno. Non sapeva di che tipo era, ma non era di quel tipo.

-Sono qui, Mulder.

Gli appoggiò la mano sulla spalla con dolcezza. Desiderava troppo abbracciarlo, accarezzarlo, per farlo. Ma lui sembrava cercarla con la mano, le toccò a tentoni la gamba e il fianco.

- Vieni. Abbracciami.

Senti quelle parole percorrerle il corpo, stendersi in tutte le direzioni sotto forma di calore. Con la mano tremante sfiorò quella di lui che la cercava ancora dalla cintola in su. Gliela prese dolcemente e se la mise sotto la maglietta, trascinandola fino al suo petto, all’altezza del cuore e la tenne lì, con il palmo aperto, con la sua sul dorso. Allora il respiro si calmò di nuovo.

Non quello di Scully. Non l’evitò più, avvicinò il corpo a quello di Mulder, avvolgendolo nella misura in cui era possibile, strinse il petto contro la schiena, le gambe sotto quelle di lui. affondò il viso nella sua maglietta e cercò di evitare un profondo respiro: non potè. Lui dovette sentire l’aria calda, ancora addormentato, si agitò, e Scully si arrampicò sulla sua spalla trascinando il corpo contro quello di lui, non poteva più pensare se si sarebbe svegliato o no, se già era sveglio o no, a cosa sarebbe successo se già lo era e si fosse girato in quel momento. Lo abbracciò di spalle con quanta cura potè. Voleva svegliarlo, non ci poteva credere che quell’uomo che non dormiva mai non si svegliasse. Voleva accarezzarlo. Ma rimase così, tremando, abbracciata a lui, in attesa di un poco di controllo. Allora lui disse qualcosa che la distrusse completamente.

- Tranquilla, Scully. A partire da ora tutto andrà bene.

Parte III

Rimaneva molto da fare:
Raccogliere i sogni nelle notti fredde
Come quando non ci sono pesci raccolgo le reti vuote.
Il bosco della tua allegria, Manolo García.

L’immagine di Phil apparve nella mente di Mulder: la verità era che forse quel tipo nemmeno si chiamava Phil, ma aveva un grembiule rosso con un "Phil’s" ricamato. Phil gli metteva in mano due bicchieri di carta con il caffè mentre sorrideva e diceva "Come andiamo oggi". Phil sudava molto e sorrideva molto e si lamentava molto di sua moglie perché s’impegnava a mettere quel vaso da fiori sul bancone e lui doveva evitarlo per servire quando la coda si scioglieva e venivano da destra. Lo guardava sempre con la bocca semiaperta e gli diceva." Sicuramente lei non deve sopportare che s’intromettano così nel suo lavoro"

Al sentirlo Mulder pensava sempre a Scully seduta nella sedia dell’ufficio aspettando il caffè ed i suoi cornetti mentre ripassava i fogli di qualche file con quella tranquillità tutta sua. Allora la parola "Collega" gli attraversava la mente e sorrideva.

Phil aveva un figlio che si chiamava Roger che entrava ed usciva correndo come se fosse un cartone animato. A quanto sembrava Roger lasciava le cose per l’ultimo momento, non aiutava in niente ed era nato solo per fare impazzire il padre.

Roger era troppo magro secondo Phil (anche se a Mulder sembrava un ragazzo molto sano e normale) così che ogni volta che passava alla velocità della luce Phil gridava "Roger, vieni qui a mangiare un cornetto" e Roger si girava già con il braccio alzato prendeva il cornetto di mirtilli che suo padre gli allungava sul bancone dicendo "Ciao vado al parco" e Phil gridava "Vediamo se posso vederti in faccia" e Roger brontolava " Che noioso, sempre uguale"

E dopo aver sorriso ed aver salutato per la quinta volta Phil e giurare a sua moglie che no, veramente no" non aveva bisogno di portarsi via alcuni dolcetti perché sicuramente non mangiava bene lì con tanto lavoro così che ora non si vive", camminava con i bicchieri in una mano e la busta con i cornetti nell’altra, sentendosi stranamente felice di dover aprire le porte con i gomiti. E a volte, in quei lunghi pomeriggi di primavera, pensava che forse, solo forse, se la vita si allontanasse un poco dall’essere così ripugnante, forse sarebbe arrivato a voler avere un Roger che gli gridasse "Che noioso, sempre uguale"

Avrebbe preferito avere qualsiasi altro sogno, qualsiasi altro, cosa che non era precisamente poco in un uomo che era arrivato ad odiare dormire a causa degli incubi.

Era abituale che si svegliasse di soprassalto, sudando, gridando, piangendo o già in piedi, cercando una pistola.

Avrebbe preferito un incubo, malgrado lo stare con Scully. Nonostante che gliel’avrebbe dovuto spiegare.

A volte faceva buoni sogni, anche se stupidi, senza senso, come che poteva volare sullo Smithsonian, o che si lasciava cadere sull’erba di un prato dove andava a fare un picnic con quella ragazza nei fine settimana al secondo anno ad Oxford o che camminava per la strada un giorno di primavera.

O che Scully l’abbracciava. Era solito sognare che Scully l’abbracciava, senza motivo, non accadeva nessun’altra cosa nel sogno. Arrivava la mattina in ufficio e l’abbracciava, andava a casa sua e quando lui apriva la porta l’abbracciava, si recava in garage per prendere la macchina e Scully stava sul sedile accanto a quello di guida, si sedeva e lei lo abbracciava. Dopo questi sogni si svegliava con una sensazione gradevole, come se Scully l’avesse abbracciato.

Data la situazione in cui stava, quel sogno che si ripeteva sarebbe stata la cosa più normale.

Ma non era questo quello che aveva sognato.

Si era mezzo svegliato ad un certo punto della notte con una sensazione di felicità così intensa che gli era costato rendersi conto che era quello che sentiva; ancora di più accettare che stava in un letto scomodo in una stanza estranea e, per qualche motivo che non ricordava, con qualcuno che respirava vicino al suo collo e con una mano sotto la sua maglietta.

Respirò profondamente e capì che era lei, così che chiuse di nuovo gli occhi e cercò di riprendere il sogno, che era l’unica cosa ancor meglio della realtà.

Risvegliarsi completamente varie ore dopo fu un’altra storia. Quando si svegliò completamente le immagini e le sensazioni del sogno lo colpirono con forza in un immenso "È stato un sogno". Ma questa non era la cosa peggiore, la cosa peggiore era prendere coscienza di quella realtà di Scully addormentata dietro di lui e con un braccio che lo circondava era qualcosa di momentaneo. Perché, ancora insonnolito, tardò un paio di minuti a ricordare che facevano lì e quale era la situazione in cui lei si trovava.

Chiuse gli occhi con forza e mormorò un "Oh, mio Dio".

Le immagini tornarono: stavano in un letto ma non era come quello del motel, era un letto grande e bianco in una stanza grande e bianca illuminata da una luce soffusa che sembrava venire da tutte le parti, come se le pareti, il tetto, i mobili e perfino loro brillassero.

Si guardavano negli occhi. Scully sorrideva, così felice che sembrava incapace di esprimerlo, sul punto di scoppiare a ridere, o a piangere, o a gridare, malgrado la profonda stanchezza che s’intravedeva dietro questa felicità. Aveva i capelli diversi ed era….diversa. Esattamente quel tipo di "diversa", esattamente il "diversa" di una donna che ha appena avuto un figlio.

Un figlio che si era addormentato tra tutti e due con il dito indice di Mulder stretto nella mano. Si alzò con attenzione dal letto, lo prese in braccio e lo portò nella culla.

Rimase lì, in piedi, ad osservarlo. Niente gli era mai sembrato così bello, così complesso, così incredibile e così reale come quel bambino che dormiva tra le lenzuola con gli orsacchiotti. Innocente, estraneo al mondo, in pace.

Quando volle rendersene conto stava piangendo per l’emozione. Allora sentì che Scully stava dietro di lui e la chiamò in un sussurro: "Scully". Sentì la mano di lei sulla spalla. "Sono qui, Mulder."

- Vieni, abbracciami- le disse. Sorrise meravigliato: che mondo era quello in cui lui poteva chiedere a Scully di abbracciarlo senza sentirsi egoista, colpevole, strano o insicuro?

Lei lo circondò con le braccia e si sentì felice e credette che sarebbe scoppiato in pezzi. Era chiuso tra le due persone che più amava al mondo. Perché, nel sogno, non aveva dubbi su cosa sentiva per Scully: semplicemente sentiva tutto, tutto quello che credeva si potesse arrivare a sentire per un’altra persona un affetto intenso, un forte desiderio, la stessa amicizia ma ancora più chiara, un amore profondo. Tutto, mescolato e concentrato stava nello spazio fra tutti e due.

Prese la mano di Scully e se la portò sul cuore incapace di esprimerle in altro modo quello che sentiva.

Allora la sentì inquieta, sospirò sulla sua pelle, le strinse la mano con più forza. Sapeva che stava pensando, sapeva che aveva paura, erano passati per tanto…ma lui sentiva che tutto sarebbe cambiato. Sentiva che, almeno in quell’istante, tutti e tre erano in salvo ed insieme.

Era un istante che valeva una vita intera, che dava senso ad una vita assurda, che dava senso alla sua vita.

-Tranquilla Scully: a partire da ora tutto andrà bene.

Immerse il viso nel cuscino per soffocare i singhiozzi e fu questo lieve movimento che gli fece rendere conto di quella leggera umidità sulla sua schiena. In un primo momento sorrise al pensare che sarebbe stato molto imbarazzante per lei rendersi conto che gli aveva riempito di bava la maglietta mentre dormiva, ma ebbe una strana sensazione: un miscuglio di presentimento e coscienza che non era saliva. Si girò ancora facendo attenzione a non svegliarla. E malgrado che la luce era spenta poté vedere la macchia scura intorno alla sua bocca.

-Scully!

Accese la luce, si tolse la maglietta e le cominciò a togliere con essa il sangue dal viso. Scully si svegliò con quel grido carico di panico e guardò intorno a se aspettandosi un attacco, fuoco, un terremoto, ma non c’era nient’altro che Mulder assolutamente terrorizzato e con una maglietta macchiata di sangue in mano.

Era così confusa ed allarmata, che in un primo momento credette che il sangue fosse di lui, che era ferito, e gli guardò il petto, cercando. Allora sentì il sapore in bocca e comprese.

Lui continuava quando già non c’era quasi più niente da pulire. Inumidì la maglietta e tornò a passargliela sotto il naso volendo cancellare ogni traccia di sangue, come se con questo cancellasse il fatto, come se così potesse sparire quello che l’opprimeva dentro fino a farla sanguinare. Piangeva, sembrava fuori di sé, strofinava così forte che le stava facendo male.

- Mulder, basta- sussurrò Scully fermandogli la mano- È passato ormai. Non è niente, tranquillo.

Gli accarezzò la guancia coperta di lacrime. Sentiva pena per lui, per vederlo in quello stato, gli sorrise perfino e cercò di togliere importanza all’accaduto. Gli prese la maglietta e gliela mostrò:

- Vedi, è poco sangue. Non è niente. Sto bene.

Si obbligò a calmarsi. Per un momento aveva pensato che non si sarebbe svegliata, per un momento… Si appoggiò alla testata del letto e la guardò, davanti a lui, seduta sui talloni, con una nuova goccia che fluiva, cercando di convincerlo che tutto andava bene. Come poteva la vita essere così ingiusta? "Ti sta uccidendo. Ti sta uccidendo e vuoi che mi calmi"

-Ti sta facendo male.

Gli risultava così inconcepibile il fatto di non avere un nemico, che in realtà parte di lei fosse il nemico, non conoscere le cause, i motivi, le condizioni…solo un fatto: la stava uccidendo.

- Non fa male- rispose Scully con stanchezza.

Era stanca, stanca di sanguinare, di mantenersi intera, di evitare di piangere, di dire che non succedeva niente, di aspettare, di aspettare risultati, aspettare speranze e, dall’ultima visita medica…aspettare l’unica cosa che le rimaneva d’aspettare ora che sapeva che non avrebbe dovuto aspettare troppo. Stanca di nascondere questo fatto a tutti.

Si alzò per andarsi a lavare. Lo guardò, e di nuovo poté sentire solo pena per lui e pena per sè stessa ed odiarsi per questo. Lo baciò dolcemente.

- Non piangere. Non è niente.

Camminò pesantemente verso il bagno e chiuse a chiave, senza sapere il perché. Forse solo per dimenticare che aveva fatto ciò che si era giurata di non fare: permettere, causare, che qualcun altro soffrisse per quello.

Seguì il percorso lentamente, passo dopo passo, dietro di lei. Appoggiò la fronte, il palmo della mano contro la porta del bagno, chiusa, aveva sentito il chiavistello.

Non ci stava riuscendo, non la stava aiutando. Si lasciò cadere fino a rimanere seduto a terra, contro il muro.

Il sogno gli tornò in mente, con tutti i sentimenti e le sensazioni che portava associati. Era stato così vivido, così reale, malgrado fosse una situazione impossibile, che risultava fisicamente doloroso.

Che razza di vita era quella in cui questo era impossibile ma non che a Scully l’avessero rapita per sottometterla ad esperimenti in un complotto tra governo ed esseri extraterrestri? Che razza di ridicola ed assurda vita portava a rendere possibile che gli ovuli della sua collega fossero stati nel suo taschino?

Per un momento pensò che il sogno doveva essere la realtà e la realtà solo uno stupido sogno, un incubo.

Non è che volesse un figlio da Scully, nemmeno aveva sufficientemente chiaro se voleva Scully in quel modo. Odiava riconoscerlo ma sì, era quel genere di persone che danno più valore alle cose quando sanno che possono perderle, per questo non poteva prendere una decisione rispetto a ciò che sentiva o non sentiva per lei.

Tutto era troppo confuso, ma risultava ovvio che il sogno sembrava più reale del suo simulacro di vita, con una sorella scomparsa ed un padre assassinato, in cui ogni giorno doveva affrontare qualcosa di più incredibile.

Voleva svegliarsi, Samantha sarebbe stata sana e salva e Scully non sarebbe malata, e se il prezzo era essere padre e dover accettare questa responsabilità avrebbe firmato immediatamente.

Dio mio, lui sapeva che gli ovuli di quella donna che sentiva piangere all’altro lato della porta erano in una provetta e lei nemmeno lo sapeva.

Non era così forte. Non è che non gli piaceva in parte fare una vita diversa, investigare, scoprire fatti nascosti, fare viaggi da un lato all’altro del paese per esaminare segni strani sul collo di qualcuno ma non fino a questo punto. Quello era troppo. Quello stava diventando troppo personale. Non ce la faceva più.

Ma la cosa importante, l’unica cosa importante era che non aveva più forze per sopportare quel peso, accettare che l’avrebbe perduta a meno che non accadesse un miracolo, lei, l’unica persona a cui per molti, troppi anni, aveva permesso di avvicinarsi. Non poteva sopportare non poter fare niente per lei. Venirle meno fino a questo punto. Venirle meno fino al punto di non poterlo sopportare.

Scully uscì dal bagno e lo vide, seduto a terra, con la testa tra le mani.

- Mi posso unire alla festa?- disse sedendogli accanto.

- Mi dispiace, Scully.

- Di cosa?

Non pensava che Mulder dovesse scusarsi per qualcosa, ma sapeva che si sentiva colpevole per quasi tutto a questo mondo e non era capace d’immaginare a cosa si riferisse in quel momento.

- Non fare niente.

- Lo fai, Mulder. Fai quello che puoi. Ed io te ne sono grata.

Allora la guardò, triste, stanco, disperato. Era come uno specchio.

- Sono io a cui dispiace… dispiace d’aver permesso questo: non avrei dovuto lasciare che t’implicassi fino a questo punto. Io devo passare per questo ma tu non ne hai motivo- disse sottolineando le ultime parole.

Glielo avrebbe dovuto evitare ma si sentiva così sola che era stato impossibile. Già aveva allontanato la sua famiglia. Mulder non si era lasciato allontanare, semplicemente.

- Non lo capisci, Scully? Non essere qui non sarebbe diverso per me.

A volte ancora se lo domandava, dopo tutto quello che era successo a volte ancora si domandava che cos’erano. A questo non aveva ancora una risposta, sembrava chiaro, che mai l’avrebbe avuta. Ma, a volte, ancora si domandava se era qualcosa in più per lui, qualcosa in più di chi gli faceva le autopsie, di chi redigeva più della metà dei rapporti, di chi gli dava credibilità davanti ai suoi superiori.

In realtà lo sapeva. Comprendeva perfettamente quel "Importante" che lui aveva pronunciato il giorno prima. Alcune volte più di altre ma sempre lo sapeva. Le dispiaceva che mai prima le fosse stato così chiaro.

- Per me sarebbe diverso se tu non ci fossi.

Mulder sorrise e le mise un braccio intorno alle spalle. Scully dubitò un istante. Ma era tardi per dubitare, per allontanarsi, per sognare che non era importante, che lui si bevesse la sua maschera di donna incrollabile, che stare nelle sue braccia non implicava automaticamente sentirsi meglio. Era tardi così che passò le gambe su quelle di lui, riabbracciò la sua vita e gli appoggiò la testa sul petto lasciando che la circondasse e la isolasse dal mondo reale.

Lasciò vagare la sua mente da un lato all’altro avvolta in quel rifugio.

Solo un tempo rubato, questo erano stati quei giorni, un caso a parte, una nota legata debolmente con un fermaglio alla sua vita, scritta di fretta, senza punteggiatura, parole appena pensate, tratti rapidi e insicuri, difficile da leggere più tardi ed interpretare, poco spazio in cui si cerca di concentrare un messaggio importante.

Volle pensare che entrambi leggevano la stessa cosa lì. "Per me sarebbe uguale- Per me sarebbe diverso" Opposti che curiosamente dicevano la stessa cosa: M’importi. Sei parte della mia vita. Sei parte di me.

Lo strinse con più forza e lui le bacio dolcemente i capelli. Probabilmente non sapeva cosa fare, continuava a pensare che non era abbastanza, ignorando che stava facendo giusto ciò di cui aveva bisogno. Con impaccio e dubitando. Forse poco abituato ad essere necessario, ma sicuro.

Voleva più tempo e voleva più tempo con Mulder. Aveva molto da fare, nel lavoro, nella vita, voleva non fare questo un’altra volta alla sua povera madre, ai suoi fratelli, ma in quel momento quello che veramente voleva era più tempo con quell’uomo che tante volte aveva "sentito troppo presente"

Non è che aveva l’impressione di aver perso tempo ma di non essere stata cosciente di quello che succedeva. Aveva vissuto pensando troppo nel futuro che non esisteva più. Pensando che bisognava andare a dormire per essere riposata, leggere rapporti e ricerche mediche caso mai qualche giorno avesse avuto bisogno di quelle conoscenze invece di rimanere un momento in più a parlare con lui. E mentre pensava a ciò che sarebbe successo non vedeva quello che stava succedendo: come Mulder passava ad essere la persona più vicina, la persona che stava sempre lì quando ne aveva bisogno, in un certo modo, la più importante della sua vita.

Un compagno. Non solo qualcuno a cui si da questo nome ma un vero compagno: Chi ti accompagna nella tua vita.

Ricordò quello strano caso qualche mese prima, un’altra setta, una donna con una doppia personalità, secondo lei, che ricordava le sue vite passate, secondo lui. Mulder si era sottoposto ad una regressione ipnotica ed aveva parlato delle sue vite passate. E lei formava sempre parte della sua vita, diversi modi, diverse persone, ma stavano sempre insieme. Le anime tornavano a stare insieme, aveva detto lui. E si sorprese ad avere fede, solo per un secondo, ma ci aveva creduto.

E questo la fece ridere. Ora che non credeva a niente, stava pensando alla reincarnazione, geniale, era così triste che risultava divertente, molto divertente.

- Che stai pensando?- sussurrò Mulder. Non le piacque la domanda anche se le piacque sentire la sua voce. Le dispiacque aver riso, si stava meglio solamente sentendo.

-Stavo pensando che tutto combacia.

Mulder non chiese altro anche se avrebbe voluto farlo. Invece Scully continuò, anche se non voleva:

- Sai, Mulder, da piccola, da quando mia madre m’insegnò il padre Nostro ho creduto in Dio. A volte di più, a volte di meno immagino, in modi diversi. So che ti sorprende che qualcuno come me creda in Dio- il suo tono cambiò improvvisamente diventando triste ed addolorato- Spesso pensavo che sarebbe accaduto questo, ma è dovuto succedere precisamente ora. Tutta la mia vita ho pregato, ho cercato di osservare tutti i principi religiosi, ho creduto che qualcosa, qualcuno, mi teneva in conto, mi conosceva, mi vedeva. Mi sono sentita a volte colpevole per assolute sciocchezze e altre per altre cose…che erano per sentirsi colpevole, molto colpevole, molto colpevole…

Stette zitta immersa nei suoi pensieri, con lo sguardo perso per terra.

Intuiva quali fossero state le sciocchezze che aveva nominato ma non poteva immaginare che cosa aveva potuto fare Scully che le provocasse tanta colpa. Per un istante, sentì quasi che si separava leggermente da lui, come se improvvisamente non si sentisse a suo agio abbracciandolo ma che nemmeno volesse rompere l’abbraccio. Questo gesto gli disse che non doveva domandare.

- Ho sempre creduto che qualcuno si prendesse cura di me, di tutti noi, e sempre ho creduto...-sorrise con ironia.- sai già, alla parte buona. Salvo ora. Non è divertente?

No, non gli sembrava divertente ma terribile che avesse perso questa fede. Una fede che lui non condivideva ma sapeva che era importante per Scully. Cercò d’immaginare fino a che punto doveva sentirsi abbandonata, senza speranze. Avrebbe voluto piangere, ma non lo fece per rispetto verso di lei.

- Immagino che non dovrei raccontarti questo, è...una sciocchezza.

-Mi piace ascoltarti, sciocchezze incluse- disse sforzandosi di sorridere e cercando di dare alla conversazione un tono leggero.

Scully gli credette e sorrise, troppo, di entrambe le cose, per questo dovette scherzare.

-Andiamo, odi sentire le mie chiacchiere scientifiche che demoliscono le tue teorie.

- Questo è diverso.

Si guardarono a lungo, con quella calma che da la fiducia, la sensazione che niente di ciò che si è, che si è stato, che si è fatto, che sia passato, può cambiare i sentimenti di un’altra persona. Mulder incominciò a sistemarle i capelli mentre diceva:

- Sai, Scully? Nemmeno odio quando mi contraddici. A volte sei esasperante, sì, come me, ma…Non so- sospirò cercando ritrovare le parole.- So che non credi nell’immensa maggioranza delle cose in cui io credo.

Scully sorrise.

- Ma ricordo che ti raccontai che Samantha era stata rapita: c ’eravamo appena conosciuti e so che non ci credesti ma non mi prendesti per pazzo, nè per uno stupido. Quando si è come io sono e si credono le cose in cui io credo…

Si sentì confusa, tutto quello era troppo per essere ascoltato per terra, tra le sue braccia, così vicina, molto più che la stessa situazione implicava. Molto più che fisicamente vicino. Mai erano stati così vicini.

- Mulder, che non creda in quello che tu credi non significa che io non creda in te.

Continuava a sembrargli ingiusto, come sempre, disuguale, come sempre: lei gli aveva sempre dato molto più di lui. Dubitava anche che le avesse dato qualche volta qualcosa. Di modo che cercò, come cercava di fare negli ultimi mesi, di scoprire che cosa era esattamente quello di cui lei aveva bisogno e come darglielo.

Non poteva salvarle la vita, non questa volta, non poteva darle più tempo, non poteva evitarle il dolore, ma ci doveva essere qualcosa, qualche piccola e stupida cosa utile, qualcosa di più che abbracciarla, qualcosa d’importante. Tornò a pensare che era terribile che avesse perso la fede, ora, quando ne aveva bisogno, ma lui nemmeno le poteva restituire questo, nemmeno credeva.

Allora fece quell’assoluta sciocchezza senza senso: ricordò il sogno, s’immerse nel sogno, nelle sensazioni, in quei sentimenti che in realtà, malgrado quanto si sentiva fortemente unito a lei in quei momenti, non aveva, e s’immerse in quello sguardo cercando di trasmetterle quella fede, quella che lui aveva sentito, la fede in che tutto sarebbe andato bene, perché sì, perché erano insieme e tutto doveva andare bene.

- Che cosa...-balbetto Scully dopo un tempo che le sembrò impossibile da determinare.

Non sapeva cosa domandargli, non sapeva che dirgli, non sapeva cosa era successo, solo che si era sentita di nuovo come davanti all’oceano, solo che erano gli occhi di Mulder in quello sguardo e si era immersa in essi come se la vita, la morte, tutti i sensi, tutte le risposte stessero lì, come se c’entrasse tutto, come se tutto potesse avere un posto….perfino la speranza.

- Scully, la fede è pericolosa ma… e se fosse la cosa indovinata?

- Mulder, tu...nemmeno credi in Dio.

- E, anche così, te lo sto dicendo.

- Nemmeno...sono molto sicura che cosa sia quello che mi stai dicendo...

- Forse le risposte rare volte sono quelle che uno si aspetta, ma bisogna continuare a sperare. Forse tutto quello che diamo per sicuro non sia così chiaro…forse.

"Forse niente" pensò "Il cancro è il cancro, l’inoperabile è l’inoperabile e la morte è la morte. E questo è tutto". Aveva sonno. La verità era che non voleva parlare oltre dell’argomento: Parlare era pensare e pensare era pensarci. Sarebbe stato perdere tempo quando lì c’erano carezze, e sguardi, e braccia e odore di Mulder. Forse sarebbe morta, va bene, ma era viva e come avrebbe detto lui: Una cosa è rinunciare al sesso ed un’altra alle fragole.

Chiuse gli occhi ed appoggiò la testa, lasciando che lui l’accarezzasse. Domani sarebbe stata logica, domani sarebbe stata professionale, domani sarebbe stata forte, ma fino all’alba sarebbe stata se stessa tra le braccia di Mulder. Non c’erano motivi per evitarlo. Già niente poteva cambiare niente. Fino all’alba si sarebbe addormentata sotto quello sguardo pieno di…qualsiasi cosa fosse, nel profumo, nelle carezze, nel calore. Era quasi addormentata quando lui parlò.

- Sai che cosa è il divertente della fede, Scully?

- Come dici qualcosa sulle montagne che si muovono... non rispondo di me stessa- disse insonnolita, "Rispondere di me stessa" pensò " ho smesso di rispondere di me stessa da quando mi mollasti quel «Ho pensato che ti piace il mare» "

Mulder sorrise.

- No, la cosa divertente è precisamente che non le muovi ma tutti agiamo come se lo facesse.

Quello risvegliò realmente il suo interesse, e lo guardò interrogativamente.

- Che cosa vuoi dire?

- Che tu creda in qualcosa non fa sì che esista e che non ci creda non fa sì che non esista. La fede non cambia i fatti. La fede cambia solo noi. La fede in altre persone può influenzarli, certamente, ma la fede in Dio... Forse hai creduto per tutta la tua vita e questo non ha fatto sì che Dio esistesse ma, se Dio esiste, che tu non creda ora non cambierà le cose.

Penso che, nel fare coraggio Mulder era come in tutte le altre cose: strano ed onesto. Lei non aveva più la fede e non l’avrebbe recuperata ma…forse sì la speranza, solo un poco, ma l’aveva. Speranza di non sbagliare a non avere fede, speranza di non sbagliarsi a non avere speranza.

Sì, Mulder era strano ed onesto, ma la cosa più strana era che c’era riuscito, in tutto, che parlasse, che dimenticasse e che credesse che esisteva una speranza.

Ricordò lo sguardo di qualche minuto prima e volle credere che era fede quello che c’era in fondo, non fede in un dio, nè fede nella scienza, fede in lei, forse, fede in un miracolo, forse, una fede creata solo per darla a lei, per poterla far sentire bene. Questo le sembrava qualcosa di molto bello ed era questo in cui voleva credere. Tornò a sorridere: " Lei voleva credere."

-Tutto combacia- disse in un mormorio quasi incomprensibile. Il sonno la stava vincendo.

-Che cosa?

- Niente, che forse ci sono montagne che si muovono e che sono fatte di granelli sabbia.

- Dune?- disse lui divertito e meravigliato.

- Non era un indovinello, ma immagino che tu abbia indovinato.

Il sole filtrava attraverso la tenda semiaperte, si trascinava per il pavimento verso di loro. Scully desiderò che non li raggiungesse mai. Non voleva il giorno dopo, non voleva l’aereo, non voleva tornare. Voleva rimanere lì, in un abbraccio pieno di carezze e sussurri che sapeva che non sarebbe più esistito di nuovo o forse, pensò, solo forse…

Lo guardò fisso. Mulder pensò che poteva essere dovuto alla luce dell’alba, ma gli sembrò intravedere una traccia di speranza nel suo sguardo. Il suo sorriso mostrava stanchezza, ma già non sembrava così triste che forse, solo forse…

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