'Non facciamo horror ma mettiamo paura'

LOS ANGELES - Iniziata due anni fa come un esperimento di metafisica applicata al "prime time" televisivo, la serie The X-Files ha conquistato il pubblico americano al di là di ogni aspettativa. Gli X-Files del titolo si riferiscono ai casi dell' Fbi archiviati come irrisolvibili o inspiegabili. I protagonisti della serie, David Duchovny nei panni dell' agente Fox Mulder e Gillian Anderson in quelli della collega Dana Scully, recitano come affetti da sonnambulismo tentando di risolvere il paranormale e sconfiggere i "mostri della ragione". Finora non c' è mai stato un "happy ending", i "cattivi" la fanno sempre franca, i fatti sono sempre inconcludenti e le prove per lo più distrutte o trafugate. Eppure The X-Files ha sedotto la critica e il pubblico americani. Prodotto dalla Fox Tv, che lo manda in onda ogni venerdì sera alle 21, The X-Files (girato a Vancouver, Canada) attrae 12 milioni di spettatori a puntata solo in Usa - oltre 35 milioni del mondo. Lo scorso anno ha vinto il premio Golden Globe (attribuito dalla stampa estera di Hollywood) come miglior serie tv ed ha ricevuto sette candidature all' Emmy Award. L' indice d' ascolto del programma è in continua ascesa, specie nella fatidica fascia d' età - quella privilegiata dagli inserzionisti - fra i 18 e i 49 anni. Si producono 25 episodi di un' ora a stagione, e la sua durata sembra essere illimitata come l' oscurità dei temi affrontati. "Non pensavo che tutto questo potesse accadere", dice il creatore e produttore della serie Chris Carter, 38 anni, che prima di inventare gli X-Files lavorava come giornalista per una rivista di surf. "Ho scritto l' episodio pilota nel mio ufficetto in pantaloni corti e maglietta, giocando col mio cane. Non pensavo certo che un giorno si sarebbero venduti i portachiavi ' X-Files'". Ora che la serie è diventata un fenomeno internazionale paragonabile solo a quello della serie fantascientifica ' Star Trek' , Carter deve affrontare i problemi della crescita, e in particolare la pressione dei manager televisivi che ormai tengono molto a un affare così ricco. "Adesso mi tocca passare ore a discutere con il network Fox su come vogliono chiudere un episodio, idee che a me sembrano spesso una stupidaggine", sospira Carter. "Come se fosse facile ammanettare gli alieni e sbatterli in guardina ogni settimana". In America si pubblica già il fumetto "X-Files", sono apparsi i primi romanzi "X-Files", i fan si danno appuntamento nel cyberspazio per discutere i temi della serie sul World Wide Web (l' indirizzo è http://www.fxnetworkscom/fx/fx-top.html), e sono iniziate le "X-Files Conventions", proprio come succede per "Star Trek". Alla Convenzione di San Diego dello scorso giugno c' erano vampirologi, veggenti, ufologi, metafisici, oltre che gli attori e lo stesso Carter. La maggior parte dei fan presenti erano giovani fra i 12 e i 25 anni, ma c' erano rappresentanti di ogni età, ceto e razza. "Raccontiamo storie paurose, ma non ci limitiamo al brivido facile", dice Carter, spiegando il successo della sua serie. "Cerchiamo di evitare le convenzioni dell' horror e della fantascienza. La nostra è una paura più mentale che fisica. E' roba che ti fa riflettere, che ti rimane dentro per un po' ". "E' difficile produrre storie valide ogni settimana", dice David Duchovny, 35 anni, attore oramai popolarissimo in Usa, che prima di X-Files era apparso solo in ruoli minori in film come "Rapture" e "Kalifornia" e serie come "Twin Peaks" (faceva il travestito) ed ora è anche autore del soggetto di alcuni episodi del serial "Non è come ' Melrose Place' nel quale sono capaci di costruire un episodio su un tipo con un brutto taglio di capelli. I nostri spettatori sono un po' più esigenti".

 

 

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