Troppi misteri nella mia vita

Ci ha conquistate dando la caccia ad alieni e fantasmi. Ma David Duchovny confessa che è stufo di risolvere enigmi. Ora vuol farci ridere. Ci riuscirà?

È stato per anni il serissimo agente dell’Fbi Fox Mulder, specializzato nel risolvere misteri e dare la caccia a fantasmi, mostri, extraterrestri. Poi David Duchovny ha deciso di abbandonare il personaggio che l’ha fatto amare dal grande pubblico. Nell’ultima serie di X-files è apparso solo in pochi episodi, e ora tenta il genere comico con il film di Ivan Reitman Evolution. Ma anche qui, per ironia della sorte, il suo personaggio ha a che fare con degli alieni bizzarri e minacciosi, arrivati sulla Terra con un meteorite.

Signor Duchovny, rieccola a combattere contro i marziani. È una scelta precisa?

“La risposta è no, ahimè. Il fatto è che, quando faccio un film, tutti si aspettino che ci sia dentro qualche “X-files”, qualche mistero. Bene, preferirei che non fosse così. Non ho nulla contro i ributtanti mostri dallo spazio, sia chiaro. Ma non voglio neppure restare legato per sempre a un solo personaggio. Con Evolution ho cominciato a cambiare: ci sono ancora i mostri, è vero, ma trattati in chiave comica. Finalmente posso ridere e far ridere”.

Che ruolo interpreta in Evolution?

“Faccio la parte di uno scienziato che sbaglia gli esperimenti e combina sfracelli. Per sapere quali, però, vi consiglio di andare al cinema”.

In Evolution ci sono alieni di tutti i tipi. Si va dai dinosauri stile Jurassic Park a una specie di gigantesco blob. Secondo lei, come sono veramente gli extraterrestri?

“Come E.T. Ho sempre dato per scontato che quelli veri siano uguali ad E.T.”.

Lei ama i misteri anche al di fuori del set?

“Mah. A furia di averli intorno, sempre meno. Da bambino divoravo libri d fantascienza. A scuola, però, in scienza andavo così così. Per rifarmi, di recente ho cercato di leggere Dal big bang ai buchi neri di Stephen Hawking, ma non sono riuscito a finirlo. E pensare che è scritto proprio per chi non ci capisce niente”.

Meglio puntare sull’umorismo, insomma. In Evolution ne dimostra parecchio. Sorprenderà chi è abituato a vederla come un serissimo detective del mistero. Da dove viene questa sua vena spiritosa?

“Mio padre pensa si essere divertente, e anche mio fratello pensa di esserlo; così probabilmente ho preso da loro. Se poi faccio ridere veramente, questo è un altro discorso”.

Il suo senso dell’umorismo l’ha aiutata ad affrontare meglio gli alti e bassi della sua carriera nel cinema?

“A Hollywood l’unica sana reazione, a volte, è ridere e vedere l’assurdità delle cose. Io però non ho senso dell’umorismo quando si tratta di me. È tutto terribilmente importante, quando capita a me”.

Prende così sul serio anche il ruolo di padre? Lei ha una bimba, Stella, nata due anni fa.

“Si, ho sempre paura di commettere degli errori nell’educarla. Credo sia inevitabile. Se non fai certi sbagli, ne fai sicuramente altri; così devi solo sperare che tuo figlio ti saprà perdonare”.

Che visione pessimistica. Forse l’ha influenzata il divorzio dei suoi genitori, quando lei aveva 11 anni?

“Sicuramente quell’episodio ha rivoluzionato tutta la mia vita. Però, non so come. È un pensiero che mi incuriosisce. Non ho idea di cosa farei e penserei oggi, se papà e mamma fossero rimasti insieme. So solo che sarei una persona profondamente diversa”.

È il motivo per cui si è sposato piuttosto tardi, a 36 anni?

“Quello è un caso diverso. Non ero pronto per altre ragioni. Non saprei dire neanche quali. È andata così e basta”.

Quanti misteri. Ci dica almeno se è stata dura smettere di essere un single.

“È stato orribile. Per fortuna mia moglie mi lascia ancora fare lo squinternato che ero quando mi ha conosciuto. Non mi chiede di cambiare. Del resto, questo è uno dei motivi per cui l’ho sposata”.

Adesso che è padre di una bambina piccola, si è trasformato in un uomo di casa? Aiuta mai sua moglie?

“Cerco di fare la mia parte di lavoro, ma non sono molto bravo a pulire, cucinare e cose di questo tipo. Così ho deciso di applicare la tattica migliore per un uomo: faccio di tutto ma nel peggior modo possibile. Il mio intervento non viene più richiesto, e io posso riposare”.

Eppure essere papà comporta un sacco di impegni.

“Su questo non c’è dubbio. È una gioia avere una bambina, ma ho lavorato sul set quasi ogni giorno da quando è venuta al mondo. Il lato positivo della questione è che così ho avuto una scusa per non fare alcune cose veramente orribili. Come alzarmi alle tre di mattina quando la neonata piangeva. Ci pensava Tea (Tea Leoni, n.d.r.), che è la madre più amabile e premurosa che si possa immaginare al mondo”.

Però anche lei è un’attrice. E in questo momento non è a casa perché sta girando un film. Le manca?

“Si, ma so che non durerà molto. Me ne sto nella mia casa di Malibu a gironzolare con la bambina attaccata ai pantaloni che sembra dire: “Non andare. Vuoi veramente fare un film come la mamma?”. È per questo che io e Tea non ci separiamo mai per più di due settimane. Cerchiamo sempre di ricordare qual è la cosa più importante: passare il tempo insieme e assicurarci che la bambina riceva le attenzioni di cui ha bisogno”.

Come ha vissuto questi due anni di paternità?

“Lo sanno tutti come ci si sente: grandi. Più passa il tempo e più diventa bello. Voglio dire, appena nata Stella era un fagottino e io non la toccavo neppure: avevo paura di farle male e non potevo neanche allattarla (vi giuro che ci ho provato, ma inutilmente). Adesso che ha due anni mi diverto molto di più: andiamo a spasso, giochiamo, scherziamo come due vecchi amici. E sarà sempre meglio fino a quando avrà 12 anni ed entrerà nell’adolescenza. Allora si che prevedo dolori”.

Pensiamo un po’ al futuro. Se Stella volesse seguire le sue orme, la incoraggerebbe?

“Cielo, cerchiamo di procedere un passo alla volta! So solo che non vieterò mai a mia figlia di fare quello che desidera. La carriera di attore, vista da fuori, sembra tutta rose e fiori. In realtà può essere un percorso molto doloroso, pieno di rifiuti e promesse mancate. Può riempirti di paure, complessi ed insicurezza. Perciò, se un giorno Stella mi dirà che vuole diventare un’attrice, la inviterò a pensarci su molto, molto bene. Ma non le vieterò nulla”.

Lei ha frequentato le università più prestigiose e costose d’America: Princeton e Yale. Una cosa strana per un attore. Sua figlia farà lo stesso?

“Sicuro, se lo vorrà. Ma non createvi un’idea sbagliata: io non sono affatto quel tipo di papà snob che dice “Per mia figlia voglio solo un college esclusivo”. Penso che un’educazione di alto livello sia un lusso, una cosa bella da avere, ma non indispensabile. C’è chi a 16 o 18 anni ha una passione forte e sa già perfettamente cosa vuole fare nella sua vita. E allora che senso ha studiare materie generiche? Meglio cominciare subito a inseguire i propri sogni”.

Ci può fare un esempio più concreto?

“Certo: il mio. Ho sempre adorato lo sport e da ragazzo volevo fare il giocatore di basket. Avrei abbandonato tutto per diventare un professionista di questo sport. Purtroppo, non ero proprio capace! Così mi sono rassegnato e mi sono iscritto all’università. Almeno ho fatto contenti i miei genitori: hanno affrontato un sacco di sacrifici per permettermi di prendere una laurea”.

Bisogna dire che li ha ampiamente ripagati. Leggendo quel che si scrive di lei si scopre che, prima di recitare, ha fatto il professore universitario per alcuni anni. Non le piacerebbe ricominciare?

“Non ero un vero e proprio professore, ma un “assistente docente”, come lo chiamano in America. Comunque, credi di essere stato un buon “prof”: facevo ridere i ragazzi”.

Insegnare è un mestiere più nobile che recitare?

“Dipende. Ci sono insegnanti eroici, che aiutano persone in difficoltà, povere o malate. Mi sembra molto nobile il mestiere di chi educa i bambini e li trasforma in uomini. Ma io dovevo trattare con persone di vent’anni e non facevo nulla di così speciale”.

Un’ultima curiosità. È vero che, quando era all’università, tutte le studentesse si innamoravano di lei?

“Si. Avevo terribili segni sul collo, perché le ragazze mi si gettavano addosso. Ma poi, vede, sono scomparsi”.

 
 

Trascritto da Carlotta Casoni

 

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